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Laparoscopia




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Laparoscopia

Cenni storici

La prima esplorazione endoscopica della cavità peritoneale e pleurica nell´uomo venne eseguita dallo svedese Jocobeus nel 1910 con un cistoscopio a luce riflessa.

Gli anni successivi furono segnati dal moltiplicarsi di studi riguardanti lo sviluppo di nuovi sistemi di illuminazione e di nuove ottiche. Nel 1929 il tedesco Kalk realizzò la prima ottica con visione obliqua a 35o. Nel 1954 il fisico inglese Hopkins sviluppò un nuovo ed efficace sistema ottico in grado di trasmettere immagini di elevata qualità, mediante l´impiego di ottiche di calibro ridotto alle quali era possibile collegare apparecchiature fotografiche. Tali ottiche, brevettate e prodotte nel 1960 dal tedesco Karl Storz, sono attualmente le più utilizzate in chirurgia mininvasiva.

Nel 1938 un particolare tipo di ago, ideato da Veress per indurre il pneumotorace a scopo terapeutico, veniva utilizzato per insufflare del gas all´interno della cavità addominale e creare uno spazio che agevolasse la visualizzazione dei visceri. L´introduzione dei primi sistemi di illuminazione a luce fredda nel 1965, delle lampade alogene nel 1970 e l´integrazione dei sistemi ottici con quelli video, diedero una spinta decisiva all´utilizzo della laparoscopia anche a scopo terapeutico.

Cuschieri pubblicò nel 1978 una prima serie di laparoscopie diagnostiche nell´uomo, per la stadiazione delle neoplasie pancreatiche.

Nel 1987, a Lione, Philippe Mouret eseguì con successo la prima colecistectomia videolaparoscopica nell´uomo.

Negli anni successivi le esperienze operative si susseguirono sino a culminare con il primo congresso mondiale di chirurgia endoscopica tenutosi ad Heidelberg nel 1988 durante il quale Cuschieri e Berci presentarono la prima monografia relativa alla colecistectomia videolaparoscopica.

Note di tecnica

Al fine di eseguire interventi di chirurgia videoendoscopica, lo strumentario riveste un´importanza fondamentale; negli ultimi anni le case costruttrici hanno apportato notevoli miglioramenti allo strumentario chirurgico adattandolo ed elaborandolo alle necessità specifiche dell´operatore e della tecnica chirurgica da eseguire. È bene sottolineare che ogni intervento eseguito per via laparoscopica o toracoscopica deve ripercorrere esattamente i tempi e le tecniche eseguite a 'cielo aperto'; cambia solo il tipo di accesso alla cavità addominale o toracica. Questo accesso avviene a 'cielo coperto', utilizzando ottiche che permettono la visualizzazione del campo chirurgico, minitelecamere e monitor ad alta risoluzione che permettono la visione a più operatori e strumenti chirurgici, appositamente realizzati per 'prolungare' la mano del chirurgo all´interno di una cavità che rimane virtualmente chiusa.

Il primo tempo di ogni intervento in laparoscopia è quello atto a realizzare uno spazio che consenta al chirurgo una adeguata visualizzazione delle strutture anatomiche ed una sufficiente libertà di manovra una volta introdotti gli strumenti operativi. Nell´addome ciò si realizza con l´induzione dello pneumoperitoneo.

Attraverso una piccola incisione cutanea, eseguita solitamente a livello periombelicale, viene introdotto un ago di Veress, collegato ad uno strumento che è in grado di insufflare gas con un flusso ed una pressione regolabile dall´esterno e permette di ricostituire rapidamente eventuali perdite di pressione. L´introduzione dell´ago di Veress è una manovra alla cieca, con il potenziale rischio di lesioni intestinali e vascolari e deve essere condotta con attenzione, soprattutto in caso di precedenti interventi addominali per i quali potrebbero essere presenti delle aderenze (Fig. 5.1 Alcuni chirurghi preferiscono creare lo pneumoperitoneo attraverso una piccola incisione delle fasce muscolari, quindi sotto visione diretta (tecnica di Hasson) (Fig. 5.2 Quando la punta dell´ago di Veress è correttamente posizionata e si procede all´insufflazione di gas, si assiste ad un lento aumento della pressione intraddominale che progressivamente raggiunge i livelli di lavoro preimpostati (10-15 mmHg). Il gas comunemente utilizzato è l´anidride carbonica, gas inerte che non permette la combustione ed essendo rapidamente solubile, riduce il rischio di embolia gassosa.

Una volta raggiunta la pressione voluta dello pneumoperitoneo vengono inserite le cannule per l´introduzione dell´ottica e degli strumenti chirurgici. In esse sono introdotti taglienti, detti trocar, dotati di scudo protettivo a scatto automatico per perforare la parete addominale (Fig. 5.3 Le cannule hanno diametri diversi, usualmente 5-10 mm, a seconda del diametro degli strumenti da introdurre, e sono dotate alla loro estremità di una valvola antireflusso; alcune di queste possono permettere l´introduzione di suturatrici meccaniche anche di grosse dimensioni (15-33 mm).



Fig. 5.1. Schema di induzione dello pneumoperitoneo con ago di Veress.



Fig. 5.2. Trocar di Hasson a punta non tagliente con sistema di ancoraggio alla parete addominale per l´induzione dello pneumoperitoneo con tecnica aperta.



Fig. 5.3. Cannula e trocar monouso da 10 mm per laparoscopia. La cannula (sopra) contiene un dispositivo a valvola per evitare perdite dello pneumoperitoneo durante l´introduzione degli strumenti. La punta del trocar è rivestita da una guaina di plastica atraumatica che scatta dopo che la punta ha perforato la parete muscolare onde evitare la lesione di anse intestinali.

La visione del campo operatorio è ottenuta mediante un´ottica, solitamente rigida, del diametro di 10 mm, disponibile con angoli di visione differenti (0°-30°-45°) a seconda del tipo di intervento da eseguire.

La luce nel campo operatorio viene fornita all´ottica mediante un cavo a fibre ottiche collegato ad una sorgente regolabile di luce fredda ad alta intesità.

All´estremità esterna dell´ottica è collegata una microtelecamera computerizzata che trasmette la visione ai monitor televisivi. Queste telecamere, pur essendo di piccole dimensioni e molto leggere, permettono una visione ad altissima definizione del campo operatorio, indispensabile alla corretta riuscita dell´intervento.

Una larga serie di strumenti chirurgici è oggi disponibile con caratteristiche specifiche per la chirurgia endoscopica. Gli strumenti più utilizzati hanno un diametro di 5-10 mm, con lunghezza variabile da 25 a 35 mm a seconda del campo operatorio in cui vengono utilizzati. Sono realizzati in materiale monouso per singolo paziente o poliuso risterilizzabili.

Sono oggi disponibili e spesso elaborati su richiesta del chirurgo in base alle necessità relative alle diverse tecniche chirurgiche pinze da presa traumatiche e non traumatiche, forbici e bisturi, dissettori, divaricatori, aspiratori, coagulatori mono e bipolari, porta-aghi per suture endocorporee, applicatori di clip metalliche e suturatrici meccaniche di varie forme e dimensioni. Anche strumenti più sofisticati come dissettori ad ultrasuoni, coagulatori ad argon, laser e sonde per ecografia sono stati realizzati per l´uso endoscopico.

Apparecchiature di base

Le sale operatorie comunemente utilizzate per gli interventi di chirurgia mininvasiva non sono state specificatamente progettate per tale metodica. Per questo motivo le apparecchiature di base (monitor, insufflatori, fonti di luce, elettrocoagulatori, sistemi di videoregistrazione, ecc.) vengono generalmente posizionate su appositi carrelli (Fig. 5.4 Si tratta di strutture ingombranti che richiedono una sala operatoria nella quale sia possibile spostare rapidamente le varie apparecchiature e, nello stesso tempo, muoversi in sicurezza.

Studi recenti hanno dimostrato come la posizione del monitor rispetto al chirurgo possa influenzare la performance operatoria in termini di velocità ed accuratezza dei movimenti. La distanza tra monitor e operatore deve essere pari a tre volte il diametro trasversale del monitor; quest´ultimo, inoltre, deve essere posto in posizione declive rispetto al chirurgo.

Di norma, vengono impiegati due monitor, posti ai lati del paziente, per agevolare la visione dell´operatore e dei suoi collaboratori.

Il personale di sala deve essere specificatamente preparato a questo tipo di chirurgia, conoscere a fondo lo strumentario, le sue caratteristiche tecniche, le modalità di lavaggio e sterilizzazione. Si tratta, infatti, di apparecchiature ad altissima tecnologia che richiedono cura particolare rispetto agli strumenti chirurgici convenzionali.

Sala operatoria, ferri chirurgici e personale devono essere pronti in ogni momento per l´eventuale conversione dell´intervento in caso di complicanze o impossibilità di proseguire per via endoscopica.

Ottiche

La maggior parte delle ottiche moderne si basano su un sistema di lenti ideato e brevettato dall´inglese Hopkins (Fig. 5.5 Tale sistema è formato da una serie di lenti cilindriche separate da camere aeree dove avviene la rifrazione della luce.



Fig. 5.4. Carrello da sala operatoria con apparecchiature base per chirurgia laparoscopica. Monitor da 20 e 14 pollici, fonte di luce, insufflatore di CO2, sistema di lavaggio-aspirazione e videoregistratore.



Fig. 5.5. Ottica laparoscopica da 10 mm con minitelecamera e cavo a fibre ottiche per illuminazione.

Questo sistema permette di trasmettere immagini di qualità elevata ad un oculare posto alla sua estremità terminale e dotato di lente di ingrandimento.

Le ottiche possono essere classificate a seconda del calibro e dell´angolo di visione.

Il calibro dell´ottica può variare dai 10 ai 2 mm ed è inversamente proporzionale alla qualità dell´immagine, soprattutto in termini di luminosità.

Le ottiche possono avere una visione diretta ovvero a 0°, oppure obliqua: a 30°, 45o fino a 90°. Maggiore è l´angolo di visione, maggiore sarà l´assorbimento della luce che dovrà, quindi, essere compensato da un aumento dell´intensità della fontana luminosa e della qualità della telecamera.

Cavi a fibre ottiche

Permettono la trasmissione, senza dispersioni, della luce dalla fonte luminosa all´ottica. Ciascun cavo è formato da numerose fibre ottiche a loro volta formate da un nucleo centrale in vetro e da un involucro più esterno a bassissima diffrazione. La luce attraversa ciascuna fibra ottica e viene rifratta dalla parete esterna sino a raggiungere l´ottica con una minima attenuazione.

Videocamere

Le caratteristiche di una telecamera ad uso endoscopico devono essere: maneggevolezza ed elevata qualità delle immagini riprodotte.

Per rispettare queste caratteristiche tutte le telecamere disponibili sul mercato sono basate sul sistema CCD (Charge Coupled Device), comunemente chiamato 'chip'.

Questo sistema è formato da una base di silicio ricoperta da materiali fotosensibili dai quali si originano i pixel (elementi base di una immagine) ciascuno con dimensioni di 17 × 13 mmm: maggiore è il numero dei pixel, più elevata è la qualità dell´immagine.

Esistono videocamere a singolo CCD e a 3 CCD, alle quali si sono di recente affiancate le rispettive forme 'digitalizzate' dove grazie a complessi sistemi di compressione, vengono riprodotte immagini di elevata qualità.

Nelle telecamere a 3 CCD, la luce viene scomposta da un prisma nei 3 canali RGB (rosso, verde e blu), ciascuno dei quali viene analizzato da uno specifico chip.

Mentre le telecamere a CCD singolo possono raggiungere una risoluzione intorno alle 450 linee orizzontali, quelle a 3 CCD arrivano anche alle 600-700 linee.

Nelle apparecchiature più recenti sono presenti sistemi di zoom e di messa a fuoco automatica.

La maggior parte delle telecamere è sterilizzabile, tuttavia per ridurre al minimo l´usura è preferibile l´impiego di involucri sterili di materiale plastico che prevengono il contatto tra la telecamera e il campo operatorio.

Insufflatori di gas

Uno dei problemi principali della chirurgia mininvasiva è rappresentato dalla necessità di creare uno spazio 'operatorio' che permetta l´introduzione dell´ottica e dei vari strumenti. L´insufflazione di CO2 o altri gas come NO o argon costituisce la metodica più comunemente utilizzata (vedi oltre).

Le apparecchiature impiegate sono dotate di indicatori di flusso e di pressione, nonché di valvole di sicurezza che interrompono automaticamente l´insufflazione del gas allorché vengono raggiunti i valori pressori massimi impostati.

Poiché il gas insufflato comporta una riduzione, anche importante, della temperatura corporea, gli strumenti più recenti sono dotati di sistemi di preriscaldamento, particolarmente utili in corso di chirurgia laparoscopica 'avanzata' con tempi operatori superiori alle 2 ore.

Sistemi di sospensione
della parete addominale

I problemi legati all´induzione e al mantenimento dello pneumoperitoneo (vedi oltre) hanno portato allo sviluppo di tecniche alternative per la creazione di uno spazio operatorio intraperitoneale (gasless laparoscopy).

I vari sistemi proposti si basano sul comune principio del sollevamento della parete addominale attuato mediante bracci meccanici bloccati al tavolo operatorio e fissati o all´interno o all´esterno (sottocute) della cavità peritoneale (Fig. 5.6



Fig. 5.6. Sistema di sospensione di parete idropneumatico.

Nessuno di questi sistemi è tuttavia in grado di evitare che si determini il cosiddetto 'effetto tenda' che non permette di creare uno spazio operatorio omogeneo e paragonabile a quello ottenuto con l´insufflazione di gas.

Inoltre la presenza di un´apparecchiatura piuttosto ingombrante e di bracci di sospensione obbliga spesso il chirurgo a posizionare i trocar in una sede non ottimale rendendo difficoltose le manovre chirurgiche.

Strumenti chirurgici

Lo strumentario riveste un ruolo centrale in chirurgia mininvasiva, poiché la possibilità di eseguire un particolare tipo di intervento è in buona parte legata alla disponibilità e alla qualità degli strumenti.

In generale, facilità d´uso, biocompatibilità, radiotrasparenza, ridotta capacità di riflessione della luce, affidabilità e costi di manutenzione contenuti sono le caratteristiche che devono essere prese in considerazione all´atto della scelta dello strumentario per chirurgia mininvasiva.

Esistono sul mercato strumenti mono e poliuso. I primi hanno il vantaggio di assicurare standard di elevata qualità in termini di sterilità e funzionamento (Fig. 5.7

Gli strumenti poliuso, sebbene presentino alcuni limiti (sterilità, conducibilità elettrica, usura, radiopacità, ecc.), permettono, tuttavia, di contenere i già elevati costi della chirurgia endoscopica e, per questo motivo, sono indicati soprattutto per centri dove vengono eseguiti numerosi interventi.

Applicatori di clip e suturatrici meccaniche

Come in chirurgia tradizionale gli applicatori di clip vengono utilizzati per la chiusura di vasi di piccolo calibro, vie biliari e vasi linfatici.

Anche in questo caso si trovano in commercio versioni mono e poliuso. Le prime sono multi fire, cioè sono dotate di una carica intercambiabile contente una decina di clip. Al contrario, la più economica versione poliuso richiede la ricarica manuale delle singole clip dopo ogni applicazione.

Le clip, solitamente in titanio, possono scivolare e staccarsi a causa della retrazione dei tessuti dopo la sezione. Per questo motivo sono state messe in commercio clip dallo speciale design ad elevata tenuta. Tuttavia, nel caso si intendano sezionare vasi o dotti di grosso calibro, è preferibile l´impiego di lacci intracorporei.

Mentre in chirurgia tradizionale l´avvento delle suturatrici meccaniche ha essenzialmente permesso di ridurre i tempi operatori, in chirurgia mininvasiva, per l´elevata difficoltà di esecuzione delle suture endoscopiche 'manuali', questi strumenti hanno determinato un significativo ampliamento delle indicazioni.

L´intera gamma di suturatrici meccaniche da tempo utilizzate per la chirurgia tradizionale è disponibile in versione endoscopica (Fig. 5.8

Poiché la massima affidabilità deve costituire la loro proprietà più importante, si tratta per lo più di strumenti monouso con caratteristiche e dimensioni varie a seconda del tessuto su cui debbono essere utilizzate.

Le suturatrici endoscopiche sono strumenti relativamente grandi per la chirurgia mininvasiva, e il loro utilizzo all´interno della cavità addominale può essere difficoltoso: per questo motivo sono state messe in commercio le versioni dotate di estremità terminale angolabile.

Fili di sutura, aghi, lacci e portasuture

In chirurgia mininvasiva è ormai disponibile l´intera gamma di fili di sutura e lacci utilizzata in chirurgia tradizionale. Essi hanno colori brillanti, di facile identificazione anche in situazioni di non perfetta visibilità, che evitano di incorrere in errori ed inutili perdite di tempo.



Fig. 5.7. Strumenti chirurgici da 10 e 5 mm per laparoscopia; dall´alto: applicatore ricaricabile di clip al titanio, forbice curva, pinze da presa con morso atraumatico.



Fig. 5.8. Suturatrice meccanica lineare endoscopica con terminale angolabile a 45°.

I fili di sutura endoscopici vengono prodotti già montati su ago e hanno una lunghezza piuttosto limitata (circa 7 cm) per facilitare le varie manovre intracorporee; al contrario i lacci hanno una lunghezza maggiore rispetto al normale (20 cm).

Gli aghi sono costruiti con gli stessi materiali utilizzati per la chirurgia tradizionale; anche in questo caso il colore (bronzo scuro o cromato nero) può favorire il loro reperimento nel campo operatorio e il loro corretto posizionamento sul porta-aghi, riducendo i fenomeni di riflessione della luce dell´ottica.

Possono essere impiegati i comuni aghi retti o semicircolari da chirurgia tradizionale. L´utilizzo dei cosiddetti endo-ski needle, caratterizzati da una estremità prossimale rettilinea e una terminale a semicerchio, rende le varie fasi della sutura intracorporea più semplici.

Come è stato precedentemente accennato, quando sia richiesto di sezionare una struttura vascolare di grosso calibro, è preferibile evitare l´impiego delle clip a causa della loro tendenza a scivolare e staccarsi. In queste situazioni, così come accade in chirurgia open, è preferibile l´utilizzo di lacci.

Esistono sul mercato lacci endoscopici dotati di nodi preconfezionati (endo-loop) con il filo montato sul relativo spinginodo. In alternativa è possibile utilizzare comuni lacci chirurgici e, una volta circondata la struttura da legare, eseguire il nodo extracorporeo più adeguato (vedi oltre).

Non essendo possibile afferrare la sutura con le mani e, poiché le comuni pinze da presa danneggiano il materiale di sutura compromettendone la tenuta, sono stati messi in commercio degli specifici strumenti denominati 'portasuture'.

Apparecchiature speciali

La possibilità di impiegare apparecchiature speciali anche nel campo della chirurgia mininvasiva ha ampliato notevolmente le sue indicazioni diagnostiche e terapeutiche.

Dissettore a ultrasuoni

Questo tipo di apparecchiatura è in grado di generare frequenze elevatissime (superiori ai 20 kHz) che a contatto con tessuti parenchimatosi comportano l´emulsione delle cellule particolarmente ricche di acqua (effetto di cavitazione) mentre vengono risparmiate le strutture vascolari, nervose, biliari e linfatiche, poiché prevalentemente costituite da tessuto connettivale. A questa azione si associa la capacità di irrigazione del campo operatorio e l´aspirazione di detriti cellulari e sangue.

Il dissettore ad ultrasuoni ha trovato un notevole campo di applicazione nella chirurgia resettiva di organi parenchimatosi ricchi di strutture vascolari (fegato, milza, rene, tiroide, pancreas, cervello e midollo spinale).

Sono attualmente disponibili sul mercato speciali manipoli per chirurgia mininvasiva; tuttavia l´emulsione delle cellule e l´irrigazione del campo operatorio possono sporcare ripetutamente la superficie dell´ottica, rendendo l´utilizzo di questa apparecchiatura piuttosto laboriosa.

Bisturi a ultrasuoni (bisturi armonico)

I problemi legati all´impiego dell´elettrobisturi in chirurgia endoscopica hanno portato alla ricerca di sistemi alternativi di dissezione/coagulazione.

Il bisturi armonico è costituito da un corpo macchina e da un manipolo: quest´ultimo può avere una forma a pinza o ad uncino (Fig. 5.9) alla cui estremità si trova una lama in titanio, capace di oscillare con un breve movimento longitudinale (circa 80 mm) ad elevatissima frequenza (circa 55.000 volte al secondo). Questa oscillazione provoca sul tessuto con il quale viene in contatto due effetti: l´esplosione delle cellule per la vaporizzazione delle molecole di acqua in esse contenute (effetto di cavitazione) e un effetto meccanico, determinato dall´oscillazione della lama che provoca la distruzione anche dei tessuti fibrosi più resistenti.

Il bisturi ad ultrasuoni permette di ottenere un effetto di coagulazione/dissezione, in quasi totale assenza di fumo, limitando al minimo il rischio di danno termico a carico dei tessuti adiacenti, non essendo presente alcun passaggio di corrente elettrica. L´effetto di coagulazione/dissezione può essere incrementato aumentando la frequenza di oscillazione della lama.

Si tratta di uno strumento estremamente utile in corso di interventi di chirurgia laparoscopica maggiore, soprattutto in quei casi in cui sia necessario procedere a dissezione di strutture fibroadipose (omento, briglie aderenziali, mesi ileali e colici), contenenti vasi di un diametro fino a 5 mm.

Studi recenti hanno dimostrato che la temperatura della punta dello strumento raggiunge, e mantiene per qualche secondo, temperature elevate, superiori a 150 °C. Inoltre, esami microscopici di strutture prossime all´estremità terminale del manipolo hanno evidenziato la presenza di microlesioni di grado diverso, a dimostrazione di una certa diffusibilità dell´effetto lesivo.



Fig. 5.9. Particolare della porzione terminale del bisturi armonico.

È opportuno, quindi, impiegare il bisturi armonico con estrema cautela, utilizzando basse frequenze e mantenendo sempre sotto visione la punta dello strumento stesso.

Coagulatore a radiofrequenza

Di recente introduzione sul mercato, il coagulatore a radiofrequenza è una sorta di coagulatore bipolare: mediante la generazione di onde elettromagnetiche ad altissima frequenza, questo strumento provoca la rapida oscillazione degli ioni cellulari e quindi elevatissime temperature, che permettono la coagulazione di vasi di calibro sino a 7 mm.

I manipoli specificatamente designati alla laparoscopia sono dotati di una lama centrale per permettere la sezione del vaso dopo la sua coagulazione.

A differenza del bisturi ad ultrasuoni, il coagulatore a radiofrequenza è dotato di maggiori capacità emostatiche ed il calore generato dallo strumento risulta interamente compreso tra le due branche del manipolo.

Ecoendoscopia

La mancanza di sensazione tattile costituisce uno dei limiti principali della chirurgia mininvasiva. L´impiego della endoecografia intraoperatoria può in parte ovviare a questo problema. Tale metodica è di particolare efficacia soprattutto in corso di interventi esplorativi, a scopo di staging, per poter valutare con relativa certezza l´estensione di una malattia neoplastica.

Sono disponibili sul mercato sonde di calibro e lunghezza tali da permettere il loro passaggio attraverso trocar da 10 mm. È fondamentale che esse siano dotate di estremità terminale angolabile così da permettere un continuo contatto tra la sonda e la superficie dell´organo che si sta esplorando, garantendo immagini nitide.

Ancor più che in chirurgia tradizionale, l´impiego dell´ecocolor Doppler in chirurgia endoscopica risulta fondamentale per valutare i rapporti di organi e/o neoplasie con le strutture vascolari adiacenti.

Legature

Quando sia necessario sezionare un vaso o una struttura di dimensioni rilevanti, così come in chirurgia tradizionale, anche in chirurgia mininvasiva l´impiego di una legatura mediante laccio chirurgico è preferibile alla semplice elettrocoagulazione e all´applicazione di clip.

Come abbiamo già sottolineato sono presenti in commercio lacci dotati di nodi preconfezionati (endo-loop).

Disposti all´interno dell´apposito riduttore, vengono introdotti in cavità addominale e/o toracica; una pinza da presa viene fatta passare attraverso l´anello di filo preformato, afferrando il tessuto da legare. Il nodo viene, quindi, serrato mediante l´apposito spinginodo. L´impiego dell´endo-loop riduce i tempi operatori e risulta particolarmente utile quando si deve afferrare un penduncolo libero.

In alternativa agli endo-loop si possono utilizzare i comuni lacci da chirurgia open, che, una volta introdotti in cavità addominale e/o toracica e dopo aver circondato la struttura da legare, con una tecnica del tutto simile a quella impiegata in chirurgia tradizionale, vengono riportati all´esterno dove viene confezionato il nodo extracorporeo.

Nodi extracorporei

Per nodo extracorporeo si intende l´esecuzione di un nodo all´esterno della cavità addominale o toracica, la spinta all´interno e la sua definitiva chiusura in modo stabile e sicuro, mediante spinginodo. Descriveremo le tecniche per eseguire i principali nodi extracorporei. Per semplicità chiameremo capo distale (D) l´estremità del filo che entra nella cavità e prossimale (P) il restante capo.


  • Nodo di Roeder: senza dubbio uno dei nodi extracorporei più utilizzati, per la sua facile esecuzione e la buona tenuta. Fatto uscire dalla cavità il capo distale, l´aiuto posizionerà il dito indice tra i due capi, così da mantenerli separati e facilitare le manovre. Si confeziona una semichiave destra (Fig. 5.10a Il capo distale viene avvolto 3 volte attorno all´anello formatosi sotto la semichiave (Fig. 5.10b) e ritorna verso il capo prossimale, passando all´interno dell´ultima e della prima asola (Fig. 5.10c Il nodo viene serrato dolcemente (Fig. 5.10d) e spinto all´interno della cavità. Il nodo Roeder è estremamente valido per la legatura di vasi fino a 5 mm di diametro (dotto cistico, appendice cecale, ecc.). La sua tenuta aumenta se viene utilizzato catgut deidratato o seta poiché la reidratazione che si verifica all´interno del corpo provoca un´espansione del materiale e, quindi, una maggiore tenuta.
  • Nodo di Meltzer: si tratta di una variante del nodo di Roeder descritta per la prima volta da Meltzer nel 1991 e può essere eseguita anche con fili a lento riassorbimento (per es. PDS). Il primo tempo prevede l´esecuzione di un doppio nodo, invece di una semichiave, mentre i restanti passi sono identici a quelli descritti per il nodo di Roeder.
  • Nodo di Fisher: il capo distale del filo passa sotto a quello prossimale per 3 volte e viene fatto passare all´interno dell´anello formatosi. Il nodo viene, quindi, serrato.


Fig. 5.10. Tempi di realizzazione del nodo extracorporeo secondo Roeder. (P) capo prossimale; (D) capo distale.

Suture 'manuali' intracorporee

In chirurgia endoscopica l´approssimazione dei tessuti avviene con le medesime modalità utilizzate in chirurgia aperta, sostituendo alla gestualità manuale quella 'strumentale'. Si tratta di manovre non sempre facili, soprattutto perché si opera con strumenti i cui movimenti sono vincolati dalla posizione dei trocar. La chiusura del punto di sutura avviene con una tecnica del tutto identica a quella utilizzata in microchirurgia, e consiste nel confezionamento di un primo nodo chirurgico, bloccato da due seminodi.

L´esecuzione di una sutura endoscopica prevede diverse fasi.


  • Introduzione e posizionamento intracorporeo del filo di sutura. Il filo di sutura del materiale prescelto viene afferrato da un porta-aghi ed introdotto nella cavità addominale o toracica, attraverso uno dei trocar.
    Una volta all´interno, il filo viene disteso e l´ago posizionato su una superficie piana, orizzontale e relativamente stabile (per es. stomaco).
  • Posizionamento sul porta-aghi. Se viene utilizzato un ago tipo endo-ski, questo viene montato sul porta-aghi destro circa a metà della sua porzione rettilinea, con la punta disposta verso l´alto.
  • Passaggio dell´ago nei tessuti. Il porta-aghi sinistro solleva il margine destro della linea di sutura, mentre il destro ruota sino a disporre la punta dell´ago perpendicolarmente al tessuto. L´ago viene spinto verso il basso e, una volta trafitto il tessuto, fatto ruotare verso l´alto. Il porta-aghi sinistro afferra l´ago completando il passaggio attraverso il primo lembo. Montato nuovamente l´ago sullo strumento di destra con le stesse manovre, si completa il passaggio attraverso il secondo lembo. In alcuni casi può essere più semplice eseguire i due passaggi in un unico tempo.
    In questa fase è importante che l´attraversamento dei tessuti avvenga in modo perfettamente simmetrico e che i punti abbiamo una distanza tra loro di circa 0,5 cm.
  • Esecuzione del nodo intracorporeo. Con l´aiuto dei due strumenti si forma, con il filo di sutura, un´ampia 'C' aperta verso destra, lasciando circa 2 cm di coda libera.
    Il porta-aghi destro afferra il filo a circa 2 cm dall´ago e, con dei movimenti combinati di rotazione, avanzamento e retrazione, avvolge per due volte il filo attorno alla punta del porta-aghi sinistro (Fig. 5.11a) che in questa fase deve rimanere pressoché fermo. Lo strumento di sinistra afferra la coda del filo e, facendola passare all´interno della parte avvolta attorno alla propria punta, completa il primo nodo (Fig. 5.11b) che viene serrato, esercitando una trazione tangenziale al tessuto (Fig. 5.11c
    A questo punto il porta-aghi di sinistra afferra il filo in prossimità dell´ago, lo avvolge attorno allo strumento di destra con modalità identiche ma speculari a quelle sopra descritte, e confeziona il primo seminodo di bloccaggio (Fig. 5.11d Il secondo seminodo viene eseguito nello stesso modo ma con lo strumento di destra.

Le fasi sopra descritte vengono utilizzate per l´esecuzione di una sutura a punti staccati, oppure con partenza e conclusione di una sutura in continua.



Fig. 5.11. Tempi di realizzazione di nodo intracorporeo.



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