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Il morbo di Parkinson




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Il morbo di Parkinson


Secondo molte autorevoli testimonianze, è probabile che una delle aree della medicina che maggiormente beneficerà della ricerca sulle cellule staminali sarà quella delle malattie del sistema nervoso centrale e periferico.

In questo settore della medicina abbiamo a disposizione, e non da molto, trattamenti solo sintomatici, che cioè si limitano a contrastare i sintomi coi quali la malattia si manifesta, ma non sono in grado di procurare la guarigione.

Inoltre, trattandosi anche di malattie degenerative, che quindi peggiorano progressivamente, a un

certo punto neppure i trattamenti sintomatici hanno più efficacia. C'è dunque un gran bisogno di trovare nuove strategie terapeutiche, anche perché il numero delle persone affette da questo tipo di malattie è in continua crescita.

L'elenco delle malattie annoverabili in quest' area comprende il morbo di Parkinson e le varie forme di demenza l'Alzheimer, la malattia di Huntington, la sclerosi multipla, la sclerosi laterale amiotrofica, varie forme di paralisi cerebrale e le lesioni al midollo spinale, anche dovute a traumi conseguenti a incidenti.

Per spiegare come queste malattie potrebbero giovarsi della ricerca sulle cellule staminali prenderemo in considerazione, in questo paragrafo, il morbo di Parkinson, perché questa è stata la prima malattia neurologica ad essere oggetto di una sperimentazione di innesto di tessuti e quindi le cellule staminali verranno a perfezionare - si spera - una tecnica già collaudata. Il morbo di Parkinson è una malattia nota da almeno 150 anni, ma la ricerca biomedica non è finora riuscita a trovare un trattamento risolutivo. Si stima che colpisca il 2 per cento della popolazione sopra i 70 anni, ma talora comincia a manifestarsi già verso i 40 anni. È causata dal progressivo danneggiamento delle cellule di una regione del cervello, i gangli basali, che governa il tono muscolare e i movimenti attraverso la produzione di dopamina, un composto chimico che trasmette

i segnali tra le cellule nervose (neurotrasmettitore).

Le cause del danneggiamento non sono ancora state individuate. Quando il danno raggiunge 1'80per cento del tessuto cerebrale interessato, non viene prodotta la quantità necessaria di dopamina e la malattia si manifesta con vari sintomi: ipereccitabilità, tremori, movimenti involontari, difficoltà nei movimenti volontari, seguiti poi da una specie di paralisi (viene infatti anche chiamata «paralisi agitante»). I trattamenti farmacologici mirano a tenere sotto controllo questi sintomi e, almeno inizialmente, hanno un'elevata percentuale di successi terapeutici, in particolare da quando è stata introdotta la Levo-dopa, che reintegra la mancata produzione di dopamina. Purtroppo questi miglioramenti sono solo temporanei: come s'è detto, le malattie neurologiche degenerative

sono progressive e quindi sono destinate ad aggravarsi col tempo. A un certo punto, molti

malati non rispondono più, o solo in modo irregolare, ai trattamenti.

Circa venticinque anni fa, nell'Università di Lund, in Svezia, un' équipe guidata dal neurologo Anders Bjork-Ivlund cominciò a sperimentare la tecnica dell'innesto di tessuti neurali prelevati da feti abortiti in alcuni pazienti malati di Parkinson. Da allora circa 200 pazienti sono stati trattati con questa tecnica e i risultati possono considerarsi incoraggianti: i pazienti hanno mostrato una

riduzione dei sintomi di circa il 50 per cento e - sebbene ci sia il timore che la causa, ancora ignota, del danno al cervello possa danneggiare le nuove cellule - dopo dieci anni le immagini elettroniche del cervello dei pazienti trattati mostrano che le nuove cellule funzionano

ancora, anche se in quantità limitata. Perché dunque questa tecnica non è stata applicata in modo più estensivo?

C'è in primo luogo una ragione etica, che ha a che fare col problema dell' aborto: i feti derivano da aborti procurati e, come è noto, esiste un profondo disaccordo sulla legittimità dell'aborto procurato. La ragione fondamentale per cui questa tecnica non è diventata, ed è difficile che diventi, pratica clinica routinaria, è di tipo tecnico. Per ottenere materiale sufficiente per un trattamento sono necessari in media sei feti, mentre le persone affette da Parkinson sono milioni (un milione e mezzo solo negli Stati Uniti): gran parte, circa il 90 percento, dei neuroni trapiantati muore subito dopo il trapianto e i restanti non sempre riescono a raggiungere le aree in cui ci sarebbe bisogno di dopamina.

Si spera che le cellule staminali embrionali possano supplire a queste deficienze dell'attuale tecnologia. La loro altissima capacità proliferativa in vitro promette di risolvere il problema della quantità del materiale impiantabile e, nel caso del cervello, il problema della compatibilità non è così grave come nel caso di altri organi.

Ma ancora molta strada resta da fare per indirizzare le cellule a diventare neuroni capaci di attecchire nella sede giusta (una sezione dei gangli basali chiamata substantia nigra) e di produrre dopamina nella quantità giusta: come ha osservato il neurologo John Sladek dell'Università di Chicago, «è come cambiare 1'alternatore nella vostra macchina: se ne mettete uno disegnato per un altro modello non funzionerà». Nel corso del 2002 due gruppi di ricerca internazionali hanno ottenuto cellule neurali da cellule staminali embrionali e hanno proceduto all'innesto nel cervello di modelli animali di Parkinson (topi). I dati sperimentali sono incoraggianti, soprattutto in relazione all'efficiente produzione di dopamina e alla stabilità dell'innesto nel tempo; ma gli stessi ricercatori non li ritengono ancora soddisfacenti per programmare il passaggio in campo umano.

Anche se non sarà certo una cosa semplice, e sicuramente non rapida, passare dal piano delle ricerche al piano dell' applicazione clinica, gli scienziati sono molto fiduciosi, almeno nel caso del morbo di Parkinson. Il sistema che produce la dopamina - ha osservato il neurorochirurgo Ole

Isacson della Harvard University - è abbastanza semplice, se paragonato al sistema senso motorio

o ad altri sistemi neurali, e ha una limitazione spaziale  che lo rende un candidato ideale per operazioni di innesto. Per altre malattie del sistema nervoso, la ricerca è ancora alle prime fasi: ma quello che impareremo nel caso del morbo di Parkinson sarà in ogni caso di grande utilità per riuscire a contrastare efficacemente anche le altre malattie neurologiche.


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