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Seneca




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SENECA


Tutto ciò che seneca faceva dipendeva da Nerone.

Nerone non era figlio di Claudio ma era figlio di primo letto di Agrippina, quindi Nerone non era erede legittimo al trono. Ma Agrippina fece in modo che Claudio  adottasse Nerone per garantirgli così il trono.

Quando Claudio morì, Nerone era piccolo ed Agrippina prese il suo posto, facendo educare Nerone da Burro, prefetto del pretorio; e da Seneca. Però Seneca non ebbe successo con Nerone, che inizialmente era un re saggio, ma, successivamente, ebbe una svolta, infatti fece uccidere Burro ed la madre Agrippina.

Nerone, che non voleva fare sapere che aveva ucciso la madre e Burro, inventò delle morti, coinvolgendo Seneca, il quale fece capire a Nerone che non era d'accordo. Così Nerone fa allontanare Seneca e poi lo condannò in occasione della rivolta della famiglia de Visoni, che cospirava contro Nerone; Seneca allora scrisse delle lettere per discolparsi ma non ci riuscì così fu condannato morte.


Seneca era un stoico, formatosi alla scuola di Panenzio; non essendo cittadino romano, Seneca trovò difficoltà ad ambientarsi ma visto che il padre era un cavaliere lo fece istruire.

Una volta trasferito a Roma, Seneca cominciò ad interessarsi di politica, infatti una zia lo presenta alla prima moglie di Claudio che lo fa entrare a Corte. Però la seconda moglie di Claudio viene rifiutata da Seneca e così accusandolo ingiustamente lo fa esiliare in Corsica da Claudio.

Ma quando Claudio sposa Agrippina, Seneca viene coinvolto nuovamente nella vita politica.

Seneca ebbe due mogli di cui una molto giovane.

Seneca scrisse molte opere, soprattutto in esilio.

I DIALOGHI

Seneca scrisse dodici dialoghi in dodici libri, contenuti in una grande opera detta "Dialogorum libri".

I dialoghi furono raccolti dopo la morte di Seneca.

CARATTERISTICHE DEI DIALOGHI:

  • Trattano di argomenti morali;
  • Hanno un interlocutore fittizio; ( Seneca dice sempre " come ti ho detto")
  • Hanno un destinatario;
  • Trattano temi filosofici con riferimenti allo stoicismo.

Nei dialoghi è costantemente presente il saggio stoico che ha un atteggiamento distaccato per valutare la realtà senza esserne coinvolto.

Inoltre alcuni di questi dialoghi sono dedicati a donne che vengono, con delle argomentazioni, consolate per le loro sventure.


OPERE FILOFOFICHE

Le opere filosofiche di Seneca sono:

  • De ira;
  • De costantia sapientis;
  • De brevitatae vitae;
  • De clementia;
  • De beneficis.

DE IRA

Questo trattato filosofico fu iniziato prima dell'esilio e terminato in Corsica, durante l'esilio.

Il terzo libro del De ira è dedicato al fratello; in questo libro Seneca da dei consigli diretti all'interlocutore dandogli anche un modello di moderazione, Alessandro Magno, contrapposto ad uno schiavo che non riesce a moderarsi.

Poi Seneca fa riferimento a Caligola che è il massimo esempio di ira per dimostrare che dal'ira nascono altre sensazioni.

DE BENEFIIS

Questo dialogo è sviluppato in sette libri, infatti è detto trattato.

Seneca scrive questo tratta con amarezza nei confronti di Nerone.

È dedicato ad un amico.

In questo trattato si parla del rapporto tra benefattore e beneficiato e di come s danno e ricevono i benefici.

DE BREVITATAE VITAE

È dedicato a Paolina e si basa sulla contrapposizione tra tempo e saggezza.

Gli occupati, che lottano contro il tempo e vivono una vita frenetica, sono in contrasto con i sapienti (=saggio stoico), che sono i dominatori del tempo.

Gli occupati vivono nel presente sciupando la loro esistenza, facendosi così dominare dal tempo; invece il saggio stoico dedica se stesso al ricordo senza curarsi del presente, anche se guarda al futuro. Il saggio sa riflettere sul presente ripercorrendo il passato e trovando un legame con il futuro. Quindi il saggio domina il tempo.

Seneca dice che mentre per l'occupato la vita è breve, per il saggio è lunga abbastanza, cioè all'occupato non basta il tempo, mentre per il saggio e sufficiente perché gli basta considerare la vita in modo giusto, riflettendo.

Infatti per il saggio la vita è una continuità tra passato, presente e futuro.

Seneca afferma che la vita dell'uomo non è breve in sé ma lo è se sprecata.

Seneca fa una rilettura del "Carpe diem" oraziano.

Tempo di Orazio = egli invita a vivre il presente senza guardare al futuro e al passato

Tempo di Seneca = il saggio non è interessato alla durata dell'esistenza ma alla qualità di essa.

Inoltre per Orazio la vita era breve, mentre per Seneca è l'uomo a renderla tale-

Seneca vede il  presente come frutto del passato e legame con il futuro; Orazio non si preoccupa ne del passato, ne del futuro.

DE CLEMENTIA

Anche questo dialogo è un trattato, fu composto ne 56 a.C.

Questo libro è dedicato a Nerone, al quale Seneca da dei consigli in modo che possa farne tesoro.

Infatti Seneca cerca di persuadere il sovrano alla moderazione, perché per Seneca un sovrano che ha le redini di uno stato, deve governare con autocontrollo; infatti Seneca esorta Nerone alla clemenza.

Seneca illustra anche al princeps, nei minimi dettagli, vantaggi e svantaggi di una condotta moderata:

  • I sudditi se governati con giustizia non avranno motivi per ribellarsi.

EPISTOLA 47

Questa epistola fu scritta a Lucilio, amico di Seneca e personaggio politico; infatti Lucilio era procuratore imperiale in Sicilia dove trattava i suoi servi con moderazione, come uomini.

TRADUZIONE EPISTOLA 47: (= SERVI SUNT, IMMO HOMINES).

  1. Ho appreso con molto piacere  da persone provenienti da costì che tu hai un comportamento molto familiare con i tuoi schiavi: questo si addice alla tua saggezza ed alla tua educazione.

Ma si ripete da più parti "sono schiavi", "no sono uomini".

"sono schiavi", no sono compagni di vita.

"sono schiavi", no sono umili amici.

"sono schiavi", no sono compagni di schiavitù, se pensi che la fortuna ha lo stesso potere su

su di essi e su di noi.

  1. Perciò rido di coloro che stimano disonorevole cenare con il proprio schiavo. E per quale motivo, se non per orgoglio tradizionale, vuole che una folla di schiavi stia in piedi intorno al padrone che pranza?

Egli mangia più di quanto il suo organismo possa ricevere, e con grande avidità appesantisce lo stomaco rigonfio, ormai abituato alle funzioni digestive e affaticato a rigettare il cibo più che ad ingerirlo.

  1. Ma agli schiavi infelici non è permesso muovere le labbra nemmeno per parlare. Ogni mormorio è messo a tacere con il bastone, e non sfuggono alle percosse nemmeno i rumori involontari: un colo di tosse, uno starnuto, un singhiozzo. Guai se il silenzio è rotto da una voce; rimangono tutta la notte digiuni e muti.
  2. Così avviene che costoro sparlino del padrone, poiché non possono parlare in presenza di esso. Ma quelli ai quali era permesso di parlare, non sono davanti al padrone, ma anche con il padrone, che non avevano la bocca cucita, erano pronti a dare la vita per lui e ad allontanare da lui un pericolo, attirandolo su di sé; parlavano si durante il pranzo, ma erano capaci di tacere di fronte ai tormenti.

DE BREVITATAE VITAE ( traduzione 1-4, pag. 68)

  1. La maggior parte degli uomini, o Paolino, si lamenta dell'ingenerosità della natura perché veniamo al mondo per un tempo troppo breve, poiché gli spazi di tempo che ci vengono concessi passano, tanto velocemente, tanto rapidamente a tal punto che, se si fa'eccezione per pochissimi, gli altri muoiono nello stesso preparativo della vita.

Di questo malanno comune, universale, soltanto la massa e il volgo sciocco si lamentano; questo stato d'animo porta le lamentele anche degli uomini illustri.

  1. Per cui l'esclamazione del più grande cultore di medicina, è quella: "la vita è breve, l'arte è lunga". Da qui il discepolo di Aristotele, alle prese con la natura nella controversia per nulla adatta ad un saggio: "la natura ha concesso agli animali tanto tempo da poter vivere, cinque o dieci generazioni l'uno, mentre all'uomo, che è nato per tante e tanto grandi imprese, è fissata una fine ben più vicina".
  2. Non abbiamo poco tempo, ma ne perdiamo molto. La vita è abbastanza lunga e in abbondanza per la realizzazione di grandissime imprese, se fosse tutta spesa bene; ma quando si perde tra il lusso e la trascuratezza, quando si spende in nessuna attività utile, quando arriva la morte, ci accorgiamo che è passata mentre non capivamo che stesse passando.
  3. È così: non abbiamo avuto una vita breve ma la abbiamo resa tale, non siamo poveri di essa ma sperperatori di essa. Così come le grandi ricchezze, quando giungono nelle mani di un cattivo amministratore, vengono dissipate all'istante, mentre quelle se bene modeste, quando vengono date ad un buon amministratore, crescono con l'impiego, così la nostra vita dura molto per chi ne dispone bene.

LE TRAGEDIE

Il contenuto delle tragedie è sempre macabro con finali atroci.

L'intento di Seneca era dimostrare le conseguenze dell'ira in un sovrano, infatti come figura del sovrano utilizza il tiranno.

Le tragedie di Seneca nascono per la sola lettura e non per la rappresentazione, anche se alcune furono rappresentate ed i personaggi che dovevano morire erano rappresentati da condannati a morte che venivano veramente condannati sulla scena.

Seneca si rifà ai miti greci ed ha un gusto per la "stringatezza concettuale", cioè i personaggi parlano poco ma ciò che dicono è pieno di concetti.

STRUTTURA DELLE TRAGEDIE:

  • Prologo = il prologo è simile a quello delle tragedie di Euripide, però quello di Seneca ha un carattere più orientativo, delinea maggiormente il carattere del personaggio. Inoltre è recitato da un essere divino;
  • Coro = arriva al culmine delle azioni. Il coro, in Seneca non ha la funzione di intermezzo lirico, ma è portatore del pensiero filosofico. A volte il coro da un'atmosfera idilliaca per creare un contrasto tra gli spazi chiusi (la corte) e gli spazi aperti (la campagna ecc.);
  • Dialogo = è debole poiché sono presenti, in gran parte, i monologhi. Il dialogo delle tragedie di Seneca è caratterizzato dalle "sticomitie", cioè piccole parti dialogate dove ogni interlocutore ha una battuta di un solo rigo; e dalle "rehseis" 8privilegiate da Seneca), cioè lunghi monologhi che parlano di vicende esterne all'accaduto.
  • Contenuti = le scene sono macabre, Seneca vuole dimostrare dove precipita l'uomo quando non ha "ratio" o "mens bona", così il personaggio precipita in un abisso e in un dramma. Seneca contrappone alla ratio il furor; quando il furor prende il sopravvento sulla ratio:

i valori positivi finiscono sempre per soccombere e prevale il male che si manifesta sotto varie forme ;

il grado di partecipazione dell'autore è fortissimo per esorcizzare il pericolo di perdere la ragione;

prevale l'angoscia e il dramma delle passioni umane;

quella che è la tragedia del singolo poi diventa del mondo (coinvolgimento cosmico del male), l'azione negativa del singolo è una violazione delle sacre leggi del mondo.

  • Stile = il lessico è abbastanza elevato, Seneca si ispira ai classici come Virgilio, Orazio ed Ovidio, ma con un rapporto tradizionale come i verbi composti e gli avverbi. Lo stile delle tragedie di Seneca è uno stile Asiano, frasi brevi ad effetto con un'abbondanza di figure retoriche, la figura dominante è l'antitesi. Inoltre sono presenti le "sententia", cioè frasi ad effetto che devono essere fissate nella mente.

EDIPO RE

Questa tragedia è una "coturnata", cioè di ambientazione greca.

Seneca ricalca il modello greco di Euripide anche se L'Edipo è ripreso da Sofocle.

Infatti Seneca riprende da Sofocle:

la struttura dell'intreccio;

l'inchiesta (recupero conoscitivo del passato);

l'ironia tragica;

la struttura temporale anomala ( archetipo del poliziesco)

Riassunto:

L'Edipo si apre con un lungo monologo di Edipo che parla della pestilenza che ha colpito la sua città, con tono angoscioso. Questo perché Edipo è l'unico sopravvissuto, ma ciò non è un premio perché serve solo a fargli scontare la condanna per quello che ha fatto.

Subito entra Giocasta, la moglie, e dopo di lei il coro che descrive nei dettagli la peste e gli effetti provocati.

Successivamente entra Creonte, indovino, che riferisce il responso dell'Oracolo di Delfi ad Edipo: la peste sparirà solo quando il colpevole dell'uccisione di Laio verrà punito; così Edipo maledice il colpevole e chiama un altro indovino, Tiresia, che attraverso le viscere interpreti il nome del colpevole.

Tiresia fa il sacrificio dei due buoi ma il nome del colpevole non esce. Così Edipo decide di andare a chiederlo direttamente a Laio, nel mondo delle ombre e manda Creonte, che ritorna con il nome.

Creonte non vuole dirlo ma Edipo lo costringe e Creonte dice che il colpevole è Edipo, il quale ne rimane sconvolto. Da qui ha inizio la tragedia: Edipo scopre che Laio era suo padre e che Giocasta , sua moglie, in realtà è sua madre; così dal forte dolore Edipo si acceca e uccide Giocasta per sua volontà.
































TRANQUILLITATE ANIMI: TEADIUM VITAE


Il "tranquillitate animi" è la consapevolezza dell'uomo dei propri limiti, mentre il "teadium vitae" è l'ozio, una vita superficiale.

I temi centrali di quest'opera sono la noia dell'esistenza e il viaggio, che serve all'uomo per sfuggire al tedio e ai problemi della vita.

L'uomo che fugge si rende conto che non risolve il teadium vitae perché l'insoddisfazione umana nasce proprio dall'interno dell'uomo e quindi, secondo il saggio, non si può sconfiggere la noia viaggiando e fuggendo perché ce l'abbiamo dentro.

L'unica soluzione per sconfiggere questa noia, secondo il saggio, è la consapevolezza che l'uomo ha dei limiti, solo essendo consapevoli possiamo superarli.

Infatti l'uomo comune fugge ai problemi e si porta dietro i suoi limiti, vedendo come unica soluzione la morte, mentre il saggio riesce a superarli grazie alla saggezza ed alla consapevolezza.


SPIEGAZIONE SCHEDA

13-14= l'uomo stanco della propria vita viaggia alla ricerca di qualcosa di nuovo ed insolito, ma alla fine del viaggio ritorna al punto di inizio perché è sempre insoddisfatto.

14= l'uomo sfugge a se stesso perché la causa della noia è dentro di lui.

15= l'uomo è debole e ciò lo spinge alla morte.



TEADIUM VITAE vs SPLEEN

Spleen per Baudelaire è la noia esistenziale così come il teadium vitae lo è per Seneca.

Seneca vede nel sapiens, l'uomo, la possibilità di vincere il tedio; mentre Baudelaire dice che il tedio paralizza l'uomo che non ha nessuna speranza di vincerlo.


IL TEMPO PER SENECA

Per Seneca accanto al presente c'è il recupero del passato e l'aspettativa del futuro.

Infatti per il saggio tutto è centrato nel presente, ed invita a viverlo carico del passato e preparatorio per il futuro. Perciò per il saggio la vita non è breve.


LE EPISTOLE

Seneca scrive 124 lettere divise in 20 libri tra il 65 e il 62 nelle quali si parla di filosofia.

Il titolo di alcune delle lettere filosofiche di Seneca è: EPISTOLAE MORALE AD LUCILIUM.

Lucilio era discepolo ed amico di Seneca. Nacque a Pompei ed era più giovane di Seneca. Lucilio era un cavaliere romano, un procuratore in Siciliane un personaggio molto famoso a Roma.

L'intento di Seneca, nello scrivere queste epistolae, era puramente letterario, non voleva pubblicarle. (fu fatto in seguito alla sua morte).

Queste lettere furono dichiarate " testamento spirituale", i temi ed i contenuti che ricorrono in modo ossessivo sono:

  • la pratica della vera filosofia;
  • la virtus = la virtù;
  • la mens bona = la razionalità;
  • la condanna delle ricchezze;
  • il distacco dai falsi beni;
  • la morte stoica.

Il genere della lettera morale non è nuova, infatti Seneca la riprende da Epicureo e la fonde con la diatriba stoica, perché la diatriba aveva una forma più agile ed un tono più discorsivo; poiché voleva insegnare qualcosa a chi leggeva, cioè a Lucilio.

Nelle lettere c'è un invito a Lucilio e sé stesso, a riappropriarsi di sé stesso con la ratio perché Seneca vuole dare un senso alla sua vita.

Seneca, prima di parlare della morte come fine della vita, parla di ciò che ti porta poi alla morte, cioè la vecchiaia, la malattia ecc.

Però quando Seneca parla della morte, lo fa da saggio, e parla di una morte virtuosa.



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