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L'età Giolittiana




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L'età Giolittiana


Per età giolittiana s'intende quel periodo della storia italiana che va dal 1901 al 1914, un quindicennio circa che a buon diritto prese il nome dai governi di Giovanni Giolitti caratterizzando la vita politica italiana sino alla vigilia della Prima guerra mondiale. Giolitti si può definire un liberale progressista dotato di un liberalismo empirico che sapeva adattarsi alla variegata realtà politica italiana. La sua attenzione si rivolse al partito socialista, per trasformarlo da avversario a sostegno delle istituzioni ed allargare nello stesso tempo le basi dello stato insieme ai cattolici, che volle fare rientrare nel suo sistema politico. Giolitti era convinto che lo stato liberale doveva tener conto delle nuove classi emergenti e realizzare tempestive riforme solo in caso di stretta necessità per prevenire le agitazioni socialiste ed evitare possibili 'commozioni rivoluzionarie'. Per la riuscita di questo suo progetto occorrevano due condizioni: i socialisti non dovevano prospettare azioni rivoluzionarie e la borghesia italiana doveva rinunciare ai suoi privilegi di classe per una politica di moderate riforme. La situazione storica che attraversava il partito socialista, spaccato tra massimalisti rivoluzionari e turatiani riformisti favorì il programma giolittiano di coinvolgerlo nella guida del paese ma venne condizionato dai continui spostamenti a destra o a sinistra che subì il suo governo. Giolitti ripropose la politica del trasformismo nel tentativo di isolare l'estrema sinistra e dividere i socialisti associandoli al governo. Ma Filippo Turati, non soddisfò a pieno le aspettative di Giolitti rifiutando la partecipazione diretta al suo governo.

Il grande sviluppo economico

Anche la borghesia del resto favorì il piano politico giolittiano grazie anche agli ingenti profitti realizzati per il grande slancio economico italiano di quegli anni e gli imprenditori si sentirono ben disposti ad accettare varie leggi sociali e a concedere aumenti salariali agli operai. Eccezionale fu il 'decollo industriale' che riguardò il settore elettrico, metallurgico, meccanico e tessile. Le aree privilegiate furono quelle del famoso triangolo (Milano, Torino e Genova) ma anche in Toscana ed a Napoli. Giolitti si preoccupò anche di risanare il bilancio dello stato con una più equa ripartizione degli oneri sociali e la lira godeva di una stabilità mai raggiunta prima, al punto che sui mercati internazionali era quotata al di sopra dell'oro e addirittura era preferita alla sterlina inglese. Lo sviluppo economico si estese anche al settore agricolo che incrementò le esportazioni dei prodotti nel resto dell'Europa.


L'emigrazione

In questo quadro idilliaco non mancano però le note discordanti. Il malessere continuava ad essere diffuso soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia dove, anche a causa dell' aumento demografico, aumentava l'emigrazione che divenne un fenomeno crudele e doloroso ma anche in un certo senso benefico poiché intere popolazioni ebbero modo d'uscire dal loro isolamento medioevale ed entrare in contatto con le moderne società occidentali.


Le agitazioni sociali

Gli scioperi che si susseguirono negli anni 1901 e 1902 dimostravano che tutta la floridezza economica e le riforme giolittiane non arrivavano ad incidere la precaria situazione della società italiana soprattutto di quella meridionale abbandonata a se stessa. Gli intellettuali meridionali, come Gaetano Salvemini, non si stancavano di accusare Giolitti, il 'ministro della malavita', e di denunciare al paese il pactum sceleris, il patto scellerato, che legava i ceti parassitari e privilegiati meridionali con il socialismo riformista alleato con il governo nel Nord dell'Italia. Le moderate riforme non bastavano più: il paese aveva bisogno di riforme radicali, strutturali che se non soddisfatte causavano quella estremizzazione delle classi sociali. Non a caso il 1904 fu l'anno del primo sciopero generale della storia italiana voluto per motivi politici dai sindacalisti rivoluzionari di Arturo Labriola nella speranza che questo fosse lo stimolo per una rivoluzione proletaria. Ma il calcolo politico fallì dinanzi alla tattica giolittiana di lasciare esaurire e sfogare lo sciopero limitandosi a garantire l'ordine pubblico.


La guerra di Libia

Giolitti aveva comunque capito la pressione che saliva dall'inaffidabile e contraddittorio movimento socialista e andò quindi a ricercare quei naturali alleati che gli offriva la Chiesa di papa Pio X che, preoccupato del pericolo sovversivo, aveva attenuato il non expedit consentendo ai conservatori cattolici di partecipare alle elezioni del 1904. L'immediato rafforzamento del governo Giolitti avviò il suo cammino verso la destra conservatrice, che celebrerà nel 1910 a Firenze la nascita del partito nazionalista.

Nel frattempo, il successo avuto nella guerra di Libia, si rivelò inutile e sanguinoso dato che non soddisfò le aspettative del paese e rappresentò l'inizio della fine dell'età giolittiana. A seguito di tali delusioni si aggiunse la preoccupazione per la ricomparsa, dopo dieci anni di pareggio, del passivo nel bilancio dello stato che rianimò la lotta politica tra l'estremismo di sinistra e una borghesia passata alle tesi dell'imperialismo. La successiva espulsione dell'ala moderata e il prevalere della corrente massimalista guidata da Benito Mussolini, evidenziò la crisi della politica giolittiana che inseguì la preoccupata ricerca di un più vasto consenso di massa con l'istituzione del suffragio universale maschile e con il patto Gentiloni.

I risultati elettorali, che premiarono Giolitti, non ostacolarono l'imminente scontro tra destra e sinistra che sfociò in vari disordini nelle strade cittadine raggiungendo il culmine durante la famosa 'Settimana Rossa' nel giugno del 1914.

Inoltre Giolitti, con il trattato di Rapallo, dichiarò Fiume città stato indipendente e tentò di risanare il penoso bilancio dello stato aumentando il carico fiscale sui ceti più abbienti. Con tale riforma introdusse delle imposte straordinarie sui profitti di guerra e adottò uno strategico sistema di "non intervento" dello stato durante le occupazioni delle terre e delle fabbriche. Ciò però non fece diminuire la paura del ceto medio che si affidò allo squadrismo fascista. L'ultimo errore politico di Giolitti fu quello di allearsi nelle elezioni del maggio del 1921 coi nazionalisti e coi fascisti nella speranza di ridurre i due blocchi contrapposti socialisti e cattolici che impedivano la formazione di qualsiasi governo efficiente. Egli si illudeva, secondo il suo credo politico, di poter portare nell'alveo del moderatismo liberale il fascismo; così non fu, anzi la sua manovra elettorale mentre aveva lasciata inalterata la forza contrapposta di socialisti e cattolici, aveva contribuito a dare una patina di rispettabilità al movimento fascista che, con i 35 deputati eletti al Parlamento italiano, iniziava la sua marcia verso la conquista del potere.



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