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La volontà di resistere al naufragio dello Stato: i Fratelli Rosselli




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La volontà di resistere al naufragio dello Stato: i Fratelli Rosselli
















Dalla fede e dalla decisione di pochi uomini credenti

nascono spesso nella storia i grandi movimenti rivoluzionari.

-Piero Calamandrei[1]-


Esempi concreti della filosofia jaspersiana sono stati i fratelli Rosselli: essi hanno combattuto con tutte le loro forze per impedire il naufragio senza salvezza dello Stato, ma non hanno esitato a sacrificarsi, accettando il peso del loro destino. Uomini "allineati al loro spirito", i quali, consapevoli del proprio esser-se stessi, non hanno tradito la loro essenza più vera per paura, ma sono stati sempre fedeli a loro stessi.

Essi, fra i primi, scorsero i segni del decadimento morale e politico dell'Italia, a seguito dell'asservimento quasi totale della nazione al fascismo:"vedevano da una parte, una minoranza di "forsennati avventurieri che coi pugnali branditi si lanciavano all'assalto di tutti i principi di libertà e di legalità, ma vedevano anche la grande maggioranza degli italiani, che stava a guardare senza reagire: che non sapeva rispondere alla violenza né col rigore della legalità né con altrettanta violenza contrapposta, che si scansava e si toglieva il cappello quando passavano quei gagliardetti, che si spassava, come se si trattasse di scherzi spiritosi, dell'olio di ricino propinato ai "sovversivi" o della verniciatura tricolore inflitta alle barbe dei "bolschevichi": una monarchia che si prestava zelante al tradimento dello statuto giurato, una borghesia che lasciava avvilire le istituzioni parlamentari, (.) una massa di lavoratori attoniti che non riusciva a procedere unita e a valersi del voto per difendere i diritti del lavoro"[2].

E s'interrogarono sul perché di questo "sfaldamento nazionale": era necessario capire, prima di agire.

Così, da loro, e da "pochi altri valorosi" ha preso il via la lotta al fascismo, che non maturò improvvisamente a partire dal 1943(con la formazione del CLN), ma ebbe inizio dal 1920, con le riunioni del Circolo di cultura a Firenze, promosse dai Rosselli.




-Alle radici della "fede religiosa" dei Fratelli Rosselli


Carlo nacque a Roma il 16 novembre 1889, Nello, il 29 novembre 1900, a Firenze da famiglie ebree dell'alta borghesia nelle quali la tradizione liberale e patriottica costituiva titolo di spirituale nobiltà. Il padre, Joe Rosselli, era un musicista, figlio di Sabatino Rosselli e d'Enrichetta Nathan. La madre di quest'ultima, Sara Nathan, conobbe nel 1937 Giuseppe Mazzini, in seguito al matrimonio con l'affarista inglese Meyer Moses Nathan che l'aveva portata con sé in Inghilterra.Fra i due nacque una profonda amicizia e Sara ospitò più volte in casa sua l'amico che chiamava "angelo" e considerava suo primo maestro. A riprova dello stretto rapporto che v'era fra i due, girava voce maliziosa che il padre di Ernesto, uno dei suoi 12 figli, fosse in realtà Mazzini. Ella, acquistò anche l'intera raccolta degli scritti di quest'ultimo, donati successivamente allo Stato. Il grande eroe del Risorgimento, inoltre, trascorse gli ultimi giorni di vita con la famiglia di Pellegrino Rosselli(fratello di Joe) e morì nella sua casa il 10 marzo 1872 sotto il falso nome di Joseph Brown. La religione mazziniana divenne, quindi, un potentissimo vincolo familiare ed ideale.La famiglia conservava, quasi come una sacra reliquia, un biglietto di Mazzini a Sabatino Rosselli, in cui gli chiedeva di acquistare "50 sacchi della solita merce" (armi per il movimento). Figlie e figli di Sara Nathan, si riunivano ogni anno attorno alla sua tomba a Campo Verano, a Roma, il 19 marzo, anniversario della morte di lei. Non meno illustre la famiglia veneta Pincherle, alla quale apparteneva Amelia, che Joe sposò il 3 aprile 1892. Il loro matrimonio non fu però felice. Nell'agosto 1903, i due si separano, forse per presunti tradimenti di lui e si riavvicineranno solo agli inizi del 1911 quando Joe si ammalerà gravemente e Amelia lo assisterà presso la clinica di Capodimonte e al momento della morte a Firenze.

Dal 1903, in poi, Amelia, rimasta sola con i suoi tre bambini di 8, 4 e 3 anni , provvederà personalmente all'educazione dei figli, lei che nelle sue Memorie scrisse: «L'orgoglio della nostra italianità lo imparammo presto, noi giovani d'allora: ma quello di essere ebrei non lo imparammo mai». Solo più tardi, per le persecuzioni nazi-fasciste, «sono stata costretta, attraverso un lungo e doloroso processo mentale, ad ammettere l'esistenza del problema ebraico». Fornì loro una solida preparazione culturale e trasmise l'amore per la musica,insegnando a tutti e tre a suonare uno strumento musicale in modo che potesse servire da consolazione nelle disgrazie della vita. Così Aldo, Carlo e Nello, "baciati da questa luce materna" , svilupparono un "senso di vita alto e austero", dediti, prima di tutto, a servire la patria, fino al dono dalla vita. Lei, "benedisse il sacrificio dei figli" e, pur tremando, non disse mai loro di retrocedere, di trascurare i doveri civili o di lasciar correre dinanzi alle violenze fasciste "seguendo da vicino o da lontano, (..) le tappe del loro destino, da Pal Piccolo, dove Aldo cadde combattendo nel 1916, a Bagnoles de l'Orne, dove Carlo e Nello caddero nel 1937 assassinati " .

Amelia Pincherle, fu,al tempo stesso, educatrice straordinaria dei suoi figli ed esempio di dignità e coraggio per la storia nazionale, «lama d'acciaio in una guaina di velluto», «volontà di ferro in un involucro quasi diafano e trasparente», «grazia femminile su sottile sovrastruttura d'acciaio», come la descrissero gli amici, tra cui Carlo Levi e Piero Calamandrei

Di lei, Calamandrei scrisse: "Le ansie e gli strazi di tanti anni non l'hanno vinta, ma l'hanno resa, via via che gli anni passavano, sempre più incorporea; il suo viso, invecchiando, non ha perduto la sua bellezza, ma sembra essersi spogliato di ogni consistenza terrena, ed essere diventato quasi trasparente allo spirito di coraggiosa bontà che vi arde dentro, come una tenue lampada di alabastro da cui traluce dolcemente una fiamma perenne".



-Carlo e Nello, le due anime della Resistenza


Gaetano Salvemini nella prefazione alla prima edizione de "Oggi in Spagna, domani in Italia"(1938) che raccoglie gli scritti del "Diario di un miliziano" di Carlo, sull'esperienza della guerra spagnola, scriveva che i due fratelli, "associati nella vita e nella morte, simbolizzavano le due Italie antifasciste: l'Italia che tace e l'Italia che lotta, delle quali nessuna delle due si arrendeva ai fatti compiuti. Essi che"avevano entrambi sulla fronte lo stesso segno luminoso degli uomini destinati a spendersi tutti per un ideale" , infatti, pur nella loro diversa personalità, si completavano a vicenda tanto che "in ogni impresa di Carlo,anche nelle più rischiose, pareva d'indovinare nell'ombra la fedeltà e la consapevolezza di Nello, che anche da lontano non cessò mai di esercitare sulla agitata vita del fratello maggiore una tutela consolatrice e quasi paterna" . Anche riguardo alla politica non avevano idee identiche: Carlo "era un socialista di marca nuova e pericolosa", Nello un democratico di tradizione mazziniana e questo anche per i diversi iter di studio e il modo di affrontarli.


Carlo, a causa di problemi di salute durante l'adolescenza (in particolare la flebite, che lo obbligò all'immobilità) e della cesura della guerra, fu costretto ad interrompere gli studi ginnasiali per iscriversi al meno impegnativo Istituto tecnico. In seguito, frequentò l'Istituto superiore di Scienze sociali Cesare Alfieri di Firenze, e dal 1920, conseguito anche il diploma liceale, pur continuando gli studi di economia presso l'Alfieri, si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Ferrara per poi trasferirsi a quella di Siena. L'ambiente, gli ideali e l'acceso clima interventista vissuti in famiglia lo condussero fin da giovanissimo ad avvicinarsi attivamente alla politica. Nel gennaio 1917 fondò a Firenze, insieme al fratello Nello, il giornale per studenti «Noi giovani» sul quale i due fratelli scrissero entrambi, l'uno con lo pseudonimo di Civis, l'altro con quello di Juvenis.


Nello seguì un percorso formativo più lineare. Frequentò il Liceo Classico e conseguì la maturità nel 1917.Dopo un primo approccio alla Facoltà di Giurisprudenza di Pisa, cambiò indirizzo e s'iscrisse nell'ateneo fiorentino (allora Regio Istituto di studi superiori di Firenze), dove seguì i corsi della Sezione di filosofia e filologia e incontrò Gaetano Salvemini, che diverrà figura di riferimento culturale e politico. Nella primavera del 1920 Salvemini, professore di Storia moderna presso l'Ateneo fiorentino, propose a Nello una tesi sull'ultimo periodo di Mazzini tra il 1860 e il 1872 e il primo movimento operaio; tra docente e allievo s'instaurò un rapporto d'amicizia e stima che coinvolse anche il fratello Carlo e Ernesto Rossi.

Carlo, invece, si laureerà Il 9 luglio 1923 in Giurisprudenza presso l'Università di Siena, discutendo la tesi Prime linee di una teoria economica dei sindacati operai.

Di queste tesi, Calamandrei scriverà che "l'uno e l'altro avevano già scelto la loro strada".


L'anno 1920 è fondamentale per entrambi. "In quel periodo in cui la Toscana era corsa ed insanguinata ogni giorno dalle bande scatenate degli squadristi", essi "ancora studenti o laureati appena", parteciparono agli incontri organizzati dall'avvocato Alfredo Niccoli insieme ad altri intellettuali tra cui Nello Niccoli, Ernesto Rossi, Piero Calamandrei.Il gruppo costituì presto un Circolo di Cultura che espressamente non si definì con precisi confini politici, ma che anzi sostiene e favorisce il dibattito e la discussione delle più varie correnti di pensiero. I partecipanti si riunivano la sera a casa dell'avvocato Alfredo Niccoli .Nel 1923 il Circolo di Cultura si trasferì nei locali di Borgo Santi Apostoli grazie alle rendite provenienti dall'eredità del padre dei Rosselli e, a partire da questo anno, si orienterà su posizioni esplicitamente antifasciste .Calamandrei ricorda bene la "gioia quasi infantile" di Carlo " quando riuscirono ad avere questo posto dove tenere le riunioni: " come se mettesse sù casa ci portò da sé la mobilia, gli scaffali, i libri, le riviste straniere" capace di dare un senso spirituale anche alle piccole faccende pratiche. "In ogni riunione le idee si chiarivano, i propositi si rafforzavano" e il circolo durò tre anni, cercando di preservare il pensiero di pochi uomini liberi finchè il 31 dicembre del 1924, una squadra di fascisti ne devastò le sale, gettando dalle finestre che davano su piazza SantaTrinità tutti i mobili, i libri, le riviste. Poi, ai piedi della statua della Giustizia, fu fatto un gran rogo di tutti questi oggetti, mentre un carrozzone della nettezza pubblica attendeva la fine del "falò", per portare via tutti i resti inceneriti. Il Circolo verrà chiuso "ufficialmente" il 5 gennaio 1925 dal Prefetto di Firenze "per motivi di ordine pubblico".



Nel 1923, da luglio ad ottobre, Carlo si stabilì in Inghilterra, dove frequentò la London School of Economics e la Fabian Society e approfondì i temi affrontati nella tesi di laurea.Il contatto con gli ambienti politici inglesi, liberali e laburisti, portò Carlo a sviluppare l'idea di un Socialismo "nuovo da capo a piedi"(egli aveva già appoggiato in Italia la scissione del PSU,al quale in seguito s'inscriverà) che "non si decreta dall'alto, ma si costruisce tutti i giorni dal basso, nelle coscienze, nei sindacati, nella cultura"[8],nè marxista nè classista, ma erede diretto del liberalismo. Nel corso dell'anno, iniziò la carriera universitaria e conobbe anche Marion Cave che sposerà nel 1926.


Nel 1924, Nello aderì all'Unione Nazionale delle forze liberarli e democratiche di Giovanni Amendola, firmandone il manifesto apparso sul giornale "Il Mondo" l'8 novembre nel quale gli aderenti fra i quali anche Corrado Alvaro, Ivanoe Bonomi, Piero Calamandrei e Luigi Einaudi, dichiararono opposizione al fascismo in nome di "idealità politiche, dell'esistenza dello stato legale e dei postulati elementari della convivenza civile".Nello stesso anno conobbe anche Maria Todesco che diventerà sua moglie nel 1926.


Il 1925 è l'anno dell'uscita del primo numero del "Non mollare", sostenuto finanziariamente dai Rosselli e da Salvemini. "Il nostro programma è nel titolo" affermò Nello, ideatore di questo motto. Calamandrei spiega ancor meglio il significato di quest'espressione scrivendo: "Non mollare: cioè non transigere, non rallentare, non fare concessioni, non usare indulgenza, né verso gli altri, né verso se stessi. Non basta avere un'idea, ma bisogna viverla, soffrirla,(..)essere pronti a dare per essa tutte le proprie energie, i propri beni, e occorrendo, anche la VITA" [9]. Il foglio verrà stampato fino alla "strage di San Bartolomeo" di Ottobre in cui vengono uccisi gli antifascisti Pilati, Consolo e Becciolini, e perseguitati molti altri tra i collaboratori del giornale(Amendola era già stato arrestato per questo motivo, a giugno dello stesso anno).

Nella primavera del 1926, a Genova, nell'ambito della campagna contro gli insegnanti ostili al regime, iniziò una persecuzione nei confronti di Carlo, divenuto un punto di riferimento per gli antifascisti genovesi, per ottenerne l'allontanamento dall'Ateneo genovese; il 28 aprile per ordine della segreteria del fascio genovese, subì un'aggressione da parte di alcuni squadristi; il 4 maggio il giornale «Il Littorio» pubblicò una lettera aperta contro Carlo, che a luglio decise di lasciare l'insegnamento. A ottobre si trasferì a Milano, dove con Riccardo Bauer e Ferruccio Parri coordinò e preparò molte fughe clandestine di oppositori al regime, tra le altre anche quelle di Giuseppe Saragat, Claudio Treves e Pietro Nenni, in novembre, e di Alessandro Pertini e Giuseppe Turati in dicembre. Nella notte dell'11 dicembre, sul motoscafo condotto da Italo Oxilia, Rosselli partì da Savona per approdare in Corsica con Filippo Turati, Alessandro Pertini e Ferruccio Parri. Il 13, Turati e Pertini lasciarono l'isola diretti a Nizza e Carlo ritornò con Parri in Italia. Dopo lo sbarco, la mattina del 14, furono arrestati e condotti al carcere del forte di Massa e quindi nel carcere di Carrara. Carlo fu in seguito trasferito nel carcere di Como - dove rimarrà sino al maggio 1927. Il 15 dicembre 1926 la Commissione provinciale di Milano deliberò il provvedimento di confino per 5 anni nei suoi confronti.Nel giugno 1927 iniziò il suo soggiorno a Ustica insieme a Parri e Bauer. Durante la permanenza a Ustica fu formalmente accusato di complicità nella fuga di Turati, imputazione per la quale verrà trasferito a Savona per il processo, che iniziò il 9 settembre. Assunse la sua difesa l'avvocato Erizzo di Genova il cui dibattimento, fondato sulle idee di giustizia e libertà, trasformò il processo in una pubblica accusa al regime e condusse al riconoscimento di una "motivazione morale" per la fuga di Turati indirizzando la giuria verso un risultato più "mite" del previsto. Il 13 venne pronunciata la sentenza: condanna a 10 mesi di arresto per contravvenzione alle leggi di pubblica sicurezza; dovrà scontare ancora 40 giorni di carcere e quindi i 5 anni di confino a Lipari, comminati dalla Commissione di Polizia. A fine dicembre Carlo arrivò a Lipari; durante il confino scrisse Socialismo liberale (pubblicato a Parigi nel 1930),il cui testo nascose nell'incavo del pianoforte, una delle sue poche consolazioni in quel tempo di " inattività forzata".


Nello stesso anno, In quanto "individuo pericoloso all'ordine nazionale dello Stato" il 1 giugno, Nello fu arrestato a Firenze e condotto alle carceri delle Murate; il 3 giugno fu condannato a 5 anni di confino da scontarsi nell'isola di Ustica; dopo aver passato tutto il mese di giugno nelle carceri fiorentine, giiunse ad Ustica il 4 luglio. Il 1 febbraio 1928, per intervento di Gioacchino Volpe e di Enrico Borselli, a nome del Comitato nazionale per la storia del Risorgimento(dati i suoi molteplici studi in quest'ambito), gli fu accordata la libertà condizionale e potè lasciare Ustica e riprendere la sua attività di ricercatore in archivi e biblioteche, prima a Palermo, sin verso la metà di marzo, poi a Roma per qualche mese. Nella seconda metà dell'anno si trasferì con la famiglia a Torino, dove proseguì le ricerche sulla politica inglese in Italia e sulla Destra, e mise mano alla rielaborazione del Pisacane.

Nel 1928 Carlo tentò le prime fughe da Lipari: il 17 novembre, con Gioacchino Dolci, Fausto Nitti e Emilio Lussu, ma le pessime condizioni del mare li costrinsero a desistere; il 23 giugno 1929 progettò un nuovo tentativo di fuga, ma solo il 27 luglio, con Francesco Fausto Nitti e Emilio Lussu, riuscì a fuggire diretto in Francia a bordo di un motoscafo guidato da Italo Oxilia. L'impresa, organizzata da Alberto Tarchiani e Gioacchino Dolci (a sua volta confinato a Lipari sino al 4 dicembre 1928) gli consentì di raggiungere la Tunisia e quindi Marsiglia e Parigi, dove giunse il 1 agosto.

Carlo pubblicherà nel 1931, sull'Almanacco socialista il racconto di quella rocambolesca avventura intitolandolo"Fuga in quattro tempi".

Nel 1929, Marion e Nello furono arrestati nei rispettivi luoghi di villeggiatura, Courmayeur e Fiuggi, con l'accusa di complicità nella fuga di Carlo. Marion, arrestata il 31 luglio, fu condotta nel carcere di Aosta, ma in considerazione delle sue condizioni - era incinta e aveva con sé un bambino piccolo - le fu consentito di alloggiare in albergo con il piccolo John; grazie alle campagne di protesta organizzate dagli esuli a Parigi e tramite la testata inglese «Daily News», comparì davanti alla Commissione per il confino il 12 agosto e il 15 fu liberata per ordine di Mussolini e potè raggiungere il marito a Parigi. Nello, invece, fu incarcerato a frosinone e condannato al confino; sarà inviato a Ustica e successivamente a Ponza, in ottobre gli fu accordata la licenza di tornare a Firenze per la moglie che stava per partorire ed, infine, il 5 novembre fu liberato "per atto di clemenza del duce"

Nell'agosto 1929 nacque a Parigi il movimento Giustizia e Libertà per iniziativa di Carlo e di altri fuoriusciti, tra cui Gaetano Salvemini, Alberto Tarchiani, Alberto Cianca, Cipriano Facchinetti, Emilio Lussu, Francesco Fausto Nitti, Raffaele Rossetti, Vincenzo Nitti, Gioacchino Dolci, con il motto "Insorgere, Risorgere!". Il primo comitato centrale estero fu composto da Carlo, Tarchiani e Lussu, mentre in Italia Ernesto Rossi, Riccardo Bauer e Francesco Facello, che mantennero il collegamento con il gruppo di Parigi, riuscirono a coordinare l'attività di vari gruppi diffusi soprattutto nelle grandi città del Nord con epicentro a Milano. Il"terso programma" di questo movimento rivoluzionario poteva essere così riassunto: "noi vogliamo un'Italia libera, democratica, repubblicana, una Italia cche sia madre equa di tutti i suoi figli, un'Italia pacifica in una Europa pacificata. "[10]A novembre uscì il primo numero del bollettino mensile «Giustizia e Libertà, movimento rivoluzionario antifascista, con il "Primo programma di Giustizia e Libertà" e l'articolo di Rosselli "Non vinceremo in un giorno, ma vinceremo".

Nel giugno 1930 Nello partì per Londra, dove in dicembre lo raggiunse anche la moglie Maria, per un soggiorno di un anno; qui si dedicò alle ricerche d'archivio per lo studio sulle relazioni diplomatiche tra Italia e Gran Bretagna nel secolo XIX, commissionatogli dall'Istituto storico italiano per l'età moderna e contemporanea. Nello stesso anno collaborò con l'Enciclopedia Italiana diretta da Gioacchino Volpe redigendo la voce dedicata a Michail Bakunin.

L'11 luglio 1930, Carlo, con Tarchiani e Bassanesi, organizzò un volo propagandistico con lancio di volantini su Milano, partendo dal Canton Ticino; per violazione dello spazio aereo svizzero il 18 novembre fu processato a Lugano; nel collegio di difesa anche gli avvocati Giovan Battista Rusca e Vincent Moro-Giafferi.

Questo processo rimase memorabile, in quanto Carlo, per la seconda volta, "trasformò la difesa in un'arringa contro il regime liberticida", portando ad esempio la sua esperienza personale come tipica: "Avevo una casa e me l'hanno devastata. Avevo un giornale: me lo hanno soppresso. Avevo una cattedra, l'ho dovuta abbandonare. Avevo, come ho oggi, delle idee, una dignità, un ideale: per difenderli son dovuto andare in galera. Avevo dei maestri, degli amici- Amendola, Matteotti, Gobetti: me li hanno uccisi".[11]Egli, in quel discorso spiegò anche che, essi erano stati costretti ad infrangere la legge, trovandosi di fronte a due alternative: o non agire, o agire violando non coscientemente, ma di fatto, i regolamenti per riconquistare lo Stato di diritto. La Corte assolse gli imputati ma il Governo svizzero, nonostante la sentenza, li espulse dal paese, su pressione del governo italiano. Contro il decreto di espulsione Tarchiani e carlo scrissero su «Libera Stampa» del 2 dicembre una "Lettera aperta all'onorevole Motta" (ministro degli Esteri svizzero).


Luglio 1936: scoppio della guerra civile spagnola. Carlo raccolse fondi e armi e mobilitò le forze antifasciste organizzando una spedizione in aiuto dei


repubblicani spagnoli. Il 16 agosto varcò il confine spagnolo e giunse a Barcellona. Con atto costitutivo firmato il 17 agosto da Rosselli, Mario Angeloni, Umberto Calosso e Camillo Berneri, prese vita la "Colonna italiana", formazione di circa centocinquanta antifascisti italiani di ogni fede politica, impiegata sul fronte d'Aragona. Il comando militare della Colonna fu affidato ad Angeloni e a Rosselli.Riguardo l'inizio di quest'esperienza, scriverà alla moglie in una lettera del 19 agosto 1936: "Un mondo nuovo nasce anche per noi, e il privilegio di poter aiutare in qualche modo l'affermazione è per noi grande. Non ti parlo poi dell'esperienza sociale e soprattutto umana che sto facendo. Ritorno verso quei momenti di bellezza epurezza assoluta che ho goduto due o tre volte già nella vita e a cui è giusto sacrificare i piaceri e anche le gioie calme della vita normale(..).Sono come un uomo trasportato di colpo dalla terra alla luna".

Il 28 agosto nella battaglia di Monte Pelato i franchisti furono respinti ma si registrarono molti caduti fra gli italiani, fra i quali Angeloni, mentre Carlo fu ferito. Recatosi poi a Parigi per cercare finanziamenti, tornò in Spagna nel novembre.
Il 13 novembre, nella sua rubrica a Radio Barcellona, lanciò il famoso "Oggi in Spagna, domani in Italia!", destinato a diventare la parola d'ordine dei combattenti antifascisti; l'intervento sarà poi pubblicato in «Giustizia e Libertà» del 27 novembre:

"un secolo fa l'Italia schiava taceva e fremeva sotto il tallone dell'Austria, del Borbone dei Savoia, dei preti. Ogni sforzo di liberazione veniva spietatamente represso. Coloro che non erano in prigione erano costretti all'esilio. Ma in esilio non rinunciarono alla lotta. (.)Oggi una nuova tirannia, assai più feroce ed umiliante dell'antica, ci opprime. Non è più lo straniero che domina. Siamo noi che ci siamo lasciati mettere il piede sul collo da una minoranza faziosa, che utilizzando tutte le forze del privilegio tiene in ceppi la classe lavoratrice ed il pensiero degli italiani(..) Ma noi non perdiamo la fede. Sappiamo che le dittature passano e che i popoli restano." Dopo la "vittoria mancata" di Almudévar del 20 novembre, iniziò una crisi interna al gruppo che culminò il 16 dicembre quando il leader di Giustizia e libertà fu messo in minoranza dai rappresentanti anarchici della colonna. Il riacutizzarsi di una flebite lo bloccherà per tutto dicembre e lo costringerà a rientrare a Parigi il 7 gennaio 1937. In occasione della vittoria delle Brigate internazionali a Guadalajara del marzo scrive "Per una Guadalajara in terra italiana" in «Giustizia e Libertà» del 23 aprile:"Se vincete in Spagna, vinceremo poi anche noi in Italia. (.) Ma sperare non basta. Se bastassero le speranze o le maledizioni liquidare un regime di forza, il fascismo sarebbe da gran tempo finito.(..) Bisogna che l' Italia si svegli, che la lotta si riaccenda sulla terra di Dante, di Mazzini, di Matteotti, che ai prodigi dei volontari antifascisti emigrati in quel cielo guerriero di Spagna, rispondano iniziative dei volontari della riscossa italiana. Spagna e Italia debbono essere una lotta, l'epopea della libertà deve allargarsi all' Europa".Sul numero del 14 maggio, scrisse,invece, "Dopo le giornate di Barcellona", in ricordo dell'anarchico Camillo Berneri ucciso a Barcellona.

Il 9 giugno 1931, Nello e Maria ritornarono in Italia dall'Inghilterra e si

stabilirono a Ripoli. Egli, in questo periodo, come il resto del tempo trascorso in patria, si assunse la sua parte di lotta e forse non la più facile : "rimanere in italia, respirar del fascismo l'aria senza lasciarsi asfissiare, intessere qui, senza impazienza e senza nausee, le trame silenziose della resistenza clandestina"[12]. Mentre il fratello combatteva a "viso aperto" in Spagna, Nello combatteva il fascismo, vivendoci in mezzo, resistendo all'ondata di falsificazioni fasciste sulla storia, salvare da esse il passato, per preparare l'avvenire, senza abbandonare la patria. Più volte gli amici, fra i quali anche Salvemini, gli consigliarono di stabilirsi all'estero, ma egli era convinto della necessità che qualcuno restasse in Italia a dare l'esempio di non cedere( dato che anche le sue condizioni economiche glielo permettevano).

Di questo periodo, egli organizzava, ogni domenica, con il suo gruppo di amici antifascisti, una gita in vecchi paesi della campagna toscana, per "evadere" dal "rombo della catastrofe" e dall'oppressione fascista. Calamandrei, di queste gite, ricordava la speranza e la gioventù che "il suo volto aperto e sorridente ", affacciato da una loggetta medievale o tra i merli di un'antica torre comunale irraggiava. La consolazione di questi anni, oltre a queste gite, fu per Nello, l'attività incessante di storico. Nei suoi studi,nei quali "si sentiva sempre alitar tra le righe, l'ansito degli stessi problemi nazionali e sociali, lo spasimo della realtà d'oggi", egli cercava di risolvere la contraddizione fra il dovere di servire la patria e l'impossibilità di farlo a causa della dominazione fascista.Egli credeva nelle comuni "radici europee, come dimostra la sua elaborazione, nel 1932, del programma di una "Rivista di storia europea", con collaborazione internazionale", cui aveva iniziato a lavorare e a cercare aderenti già dalla fine del 1930, rivista destinata a non realizzarsi.

Il 17 maggio 1937 Carlo si recò, insieme alla moglie, in convalescenza a Bagnoles-de-l'Orne, dove il 5 giugno lo raggiunse il fratello Nello; lì il 9 giugno Nello e Carlo furono assassinati dal gruppo filofascista della Cagoule, su mandato del regime italiano; i loro corpi saranno trovati l'11 giugno.Il loro assassinio fu freddamente preparato dallo stato maggiore fascista. Due furono le motivazioni principali: essi erano fra i più fieri oppositori al fascismo, ma avrebbero potuto rappresentare anche le più sane e sicure forze di ripresa dopo la caduta del fascismo, il quale, invece voleva annientare con la sua fine, anche tutto il resto dell'Italia. Il 19 giugno si celebrarono a Parigi i funerali solenni dei fratelli Rosselli, che verranno sepolti al cimitero Père-Lachaise; la cerimonia è seguita con larga partecipazione non solo dai fuoriusciti italiani, ma anche da tutti i partiti e gruppi antifascisti e dalla folla parigina.


Il processo ai loro aguzzini si terrà a Roma a partire dal 29 gennaio 1945 presso l'Alta Corte; Amelia, Marion e Maria Rosselli si costituiranno parte civile e nomineranno avvocati difensori Piero Calamandrei e Alberto Carocci, procuratori Alberto Cianca ed Emilio Lussu. Il 12 marzo, verrà pronunciata la sentenza di condanna a morte per Filippo Anfuso, all'ergastolo per il generale Mario Roatta (evaso pochi giorni prima della sentenza) e i colonnelli Emanuele e Navale, a 24 anni di reclusione per Jacomoni e Suvich.




Scritti principali di Carlo Rosselli:


Socialisme libéral, Librairie Valois, Parigi 1930.

Socialismo liberale, prefazione di Aldo Garosci, Edizioni U, Roma-Firenze-Milano 1945

Oggi in Spagna, domani in Italia, prefazione di Gaetano Salvemini, Edizioni di "Giustizia e Libertà", Parigi 1938.

Scritti politici e autobiografici, prefazione di Gaetano Salvemini, Polis editrice, Napoli 1944.


Principali attività giornalistiche:

Noi giovani, gennaio - giugno 1917.
Non mollare, gennaio - ottobre 1925.Il Quarto Stato, marzo - ottobre 1926.
Giustizia e Libertà, mensile, dal novembre 1929

Quaderni di Giustizia e Libertà, gennaio 1932 - gennaio 1935.

Scritti principali di Nello Rosselli:

Michail Bakounine, a cura di Nello Rosselli, V volume dell'Enciclopedia Italiana diretta da Gioacchino Volpe, 1930.

Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, F.lli Bocca, Torino 1932.

Saggi sul Risorgimento e altri scritti, prefazione di Gaetano Salvemini, Einaudi, Torino 1946.

Collaborazioni giornalistiche continuative:

Noi giovani, 1917
Non mollare, 1925
Il Quarto Stato, 1926


Fonti di ricerca:

Piero Calamandrei, Uomini e città della Resistenza, "I Rosselli"

Carlo Rosselli, Oggi in Spagna, domani in Italia, Giulio Einaudi editore s.p..a, 1967

Gaetano Salvemini,Prefazione alla Prima edizione (1938)

Carlo Rosselli, Il diritto dei popoli ad insorgere contro la tirannia, arringa 18 nov. 1930

Carlo Rosselli, I miei conti con il marxismo, in Socialismo liberale e altri scritti (1919-1930)

La biografia dei Rosselli è stata integrata con i profili del sito Internet www.archiviorosselli.it






"P. Calamandrei, Uomini e città della resistenza, I Rosselli, arringa di parte civile pronunciata a Roma nel 1945,cit. pag 55, pag. 57



"P. Calamandrei, Uomini e città della resistenza, I Rosselli, arringa di parte civile pronunciata a Roma nel 1945, ct. pag 56



P. Calamandrei, Uomini e città della resistenza, I Rosselli, arringa di parte civile pronunciata a Roma nel 1945, ct. pag 55, ct. pag 65




. Calamandrei, Uomini e città della resistenza, I Rosselli, arringa di parte civile pronunciata a Roma nel 1945, cit. pag 58

C. Rosselli, "I miei conti col marxismo", "Socialismo liberale ed altri scritti(1919-1930)", Einaudi, Torino 1937

P. Calamandrei, Uomini e città della resistenza, I Rosselli, arringa di parte civile pronunciata a Roma nel 1945, ct. pag 59



C. Rosselli, "Il diritto dei popoli ad insorgere contro la tirannia", arringa pronunciata il 18 novembre 1930

Roma nel 1945


P. Calamandrei, Uomini e città della resistenza, I Rosselli, arringa di parte civile pronunciata a Roma nel 1945, cit.. pag 64

G. Salvemini, Prefazione alla prima edizione di "oggi in Saagna, domani in Italia"( 1939), Einaudi, 1967


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