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La rivoluzione industriale




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LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE


Nella seconda metà del XIX sec. In tutta Europa avviene un profondo mutamento sociale ed economico, grazie a due fattori fondamentali: le scoperte scientifiche e l'avvento del Capitalismo. Infatti dopo la prima Rivoluzione Industriale ci fu un grande avanzamento tecnologico dovuto in larga parte al "sistema industriale americano", che ricorreva alle catene di montaggio ed ai supporti elettromeccanici nelle fasi lavorative della costruzione e dell'assemblaggio. Questo causò una modificazione del ruolo degli operai e quindi un mutamento sociale. Oltre a ciò ci fu l'incremento della produzione aiutato dalla politica economica capitalista.

Lo sviluppo politico ed economico fu favorito dai miglioramenti scientifici e tecnologici che portarono ad un capovolgimento della visione del mondo. Ad esempio la macchina a vapore di Watt e i motori a scoppio ed elettrico di nuova concezione favorirono sia i trasporti che il lavoro in fabbrica. Queste scoperte derivarono dagli studi teorici eseguiti in questo periodo; alcuni gruppi di intellettuali infatti indicarono nella natura e nelle sensazioni, nel ritorno al passato barbarico e guerriero, nei miti della catastrofe e della rigenerazione, il rifugio e la salvezza dell'umanità minacciata dall'avanzata dell'industrializzazione, dai guasti e dai rischi della lotta sociale e politica, dal grigiore della vita quotidiana. Questi diversi inviti alla "liberazione" rappresentano indicazioni e scelte irrazionali e trovano manifestazioni nei messaggi letterari e artistici di d'Annunzio e Nietzsche, ma anche in autori figurativi come Anton Gaudì o medici come Freud. Anche gli studi fisici furono importanti poiché aumentarono la velocità delle scoperte e delle invenzioni scientifiche.

Sorse la cosiddetta questione sociale, che fu la conseguenza del grande sviluppo industriale del secolo, effetto a sua volta delle invenzioni scientifiche (pila di Volta) e dei progressi delle comunicazioni. Questo sviluppo della grande industria, sostituendo alla bottega dell'artigiano (in cui datore di lavoro e lavoratore coincidono) l'organizzazione della fabbrica (in cui datore di lavoro e lavoratore sono separati), pose il lavoratore, costretto a vendere la sua opera, in una condizione di inferiorità rispetto al datore di lavoro, tanto più che per il principio della libertà di lavoro sancito dalla rivoluzione francese, gli era severamente vietata ogni forma di associazione. Ciò portò, specie nei primi tempi, allo sfruttamento operaio (lunghe giornate di lavoro, salari molto scarsi, lavoro delle donne e dei bambini) suscitando l'odio contro gli industriali e le classi ricche; quindi anche al sorgere di movimenti che combattevano la proprietà privata, come il socialismo (che vuole la socializzazione dei mezzi di produzione mediante graduali riforme) e il comunismo (che vuole la socializzazione dei mezzi di produzione mediante la rivoluzione).

Ci fu anche una larghissima emigrazione di masse da un continente all'altro contemporaneamente all'urbanizzazione e quindi allo spostamento di un gran numero di persone dalle campagne alla città.; questo portò conseguenze non solo economiche ma anche sociali e politiche.

Importante fu anche lo sviluppo dei trasporti (con l'espansione in tutto il mondo della rete ferroviaria e l'aumento del numero delle navi a vapore) e delle comunicazioni  (con la diffusione delle reti telegrafiche) che modificarono il senso delle distanze ed introdussero una nuova dimensione nel commercio internazionale: le frontiere fra i singoli stati sembravano destinate a scomparire, invece in questo periodo più che mai le aree di influenza economica si trovarono al centro dei conflitti.

Infatti con il fenomeno dell'Imperialismo iniziò una corsa sfrenata all'accaparramento delle terre africane e asiatiche, ancora lontane dalla civiltà europea. Il pianeta fu distrutto ancora una volta da una serie di conflitti ed imprese militari, nei luoghi in cui confinavano le aree in cui i paesi industrializzati avevano diviso il globo. Questo periodo preparò l'entrata in scena di quello che sarebbe stato il Terzo Mondo, già da allora sottomesso alle grandi potenze economiche come l'Europa. In un'età di crisi economica (la "grande depressione") la dinamica del capitalismo monopolista tentò di arrestare il calo dei profitti con l'affannosa ricerca di nuovi campi d'investimento.

L'industria pesante prevalse su quella leggera e si diffusero nuovi materiali grazie alle scoperte che riducevano tempi e costi della produzione di materiali ferrosi e dell'elettricità. Lo sviluppo dell'industria pesante richiese l'investimento di grandi capitali e portò al concentrarsi della produzione in gruppi ristretti di imprenditori. Crebbe il numero delle grandi imprese che emarginarono molte aziende minori, ormai inadeguate rispetto alle esigenze del mercato. I gruppi di capitalisti riuscivano a porre sotto il proprio controllo una notevole parte della produzione nei settori di rispettiva competenza. I legami di scambio tra le banche ed i capitalisti divennero sempre più stretti, la fusione del capitale bancario con quello industriale creò il capitale finanziario. A differenza del vecchio capitalismo del primo ottocento che esportava soprattutto merci, il nuovo capitalismo finanziario esporta capitali ed investe nelle aree sottosviluppate dell'intero pianeta, là dove i capitali sono scarsi e abbonda invece la manodopera che può essere retribuita con bassi salari.

L'espansione del capitalismo e l'ingigantirsi della produzione determinarono la crescita impetuosa del proletariato industriale, che finì per trovare una propria adeguata espressione politica nei partiti socialisti. La prima fase dell'organizzazione del movimento operaio iniziò, in quasi tutti i paesi europei dopo il 1860 ed ebbe caratteristiche proprie a seconda delle diverse esperienze storiche nazionali. Comunque le basi comuni di questa lotta furono l'abolizione della proprietà privata, trasferimento alla collettività della gestione del capitale industriale. Oltre alla formazione del partito socialista nel 1893 va ricordato il Manifesto del Partito Comunista del 1848 di Marx, il quale cerca di spingere alla rivoluzione il popolo. Il crescente sviluppo organizzativo dei movimenti operai nei vari paesi d'Europa fece sentire la necessità di dar vita ad un organismo internazionale capace di coordinarne l'azione e di definire un comune linea politica. Nacque così a Londra, per opera di Marx, che ne stese la carta costitutiva, l'Associazione internazionale dei Lavoratori, ovvero la Prima Internazionale, che ricercava l'emancipazione dei lavoratori attraverso la loro stessa opera, considerando questo l'unico modo per eliminare in futuro lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. L'avversario più irriducibile di questa visione politica fu il Russo Bakunin, che negava l'utilità dei partiti politici e contestava la validità delle parziali conquiste economiche. Puntava infatti alla distruzione totale di tutte le istituzioni dell'ineguaglianza, rivolgendosi al sottoproletariato miserabile. I contrasti fra gli anarchici di Bakunin e i socialisti veri e propri portarono alla fine della prima internazionale, quando nel congresso dell'Aia del 1872 i primi furono espulsi .

La dissoluzione della Prima Internazionale non segnò la scomparsa dei vari partiti socialisti ed operai che continuarono a sviluppare in modo autonomo la loro attività. Ciò rese possibile, nel 1889, la resurrezione a Parigi dell'Internazionale, questa volta guidata dai socialdemocratici tedeschi, i quali esclusero nuovamente gli anarchici. Due anime, in sostanza, quella rivoluzionaria e quella riformistica, convivevano nell'ambito dei singoli partiti socialisti. In realtà sulla linea rivoluzionaria prese il sopravvento quella legalitaria e si cominciò a ritenere possibile la collaborazione con le correnti progressiste della borghesia, cosa impensabile fino ad allora. I governi combatterono la Seconda Internazionale come avevano combattuto la prima, ma non poterono rifiutarsi di promuovere almeno alcuni dei provvedimenti richiesti dai socialisti: la riduzione della giornata lavorativa ad otto ore e l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Sembrava quindi che in qualche modo, da una parte e dall'altra si accorciassero le distanze, per cui sembrò che ci si stesse avviando sulla via della collaborazione più che su quella dello scontro. Il 1° Marzo 1913, quando le nubi della guerra si facevano minacciose, il francese Jean Jaurès, che si cercava di spingere i socialisti a combattere contro i "fratelli" per il senso patriottico, fu ucciso da un fanatico nazionalista. Ma né i compagni francesi né quelli tedeschi si mossero a vendicarlo innalzando la bandiera dell'internazionalismo pacifista; anzi si disposero, indossata la divisa, a combattere contro i "fratelli" per gli interessi di stato, nonostante la lezione socialista ispirata all'unità degli oppressi. La Seconda Internazionale crollò nel fragore della guerra.

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