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Il genocidio armeno - 24 aprile 1915




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Il genocidio armeno

-24 aprile 1915-









Introduzione


Il tema che ho deciso di affrontare nell'approfondimento per l'esame è stato il genocidio armeno perpetrato dall'impero ottomano a partire dal 1915. Avevo deciso di affrontare un tema che non fosse troppo lontano dai temi di attualità, ma che consentisse di comprendere meglio il mondo contemporaneo. Era una sorta di pregiudizio perché, poi, nel corso dell'anno mi sono resa conto che più comprendiamo il passato meglio possiamo affrontare l'analisi del presente.

La mia ricerca è stata soddisfatta, quando ho affrontato in classe la questione armena. Il tema aveva una sua angosciante attualità come ha dimostrato l'assassinio di Hrant Dink, giornalista armeno. Infatti, questo evento tragico ha risollevato la questione armena, dato che Dink era di origine armena e lavorava in Turchia.

Inizialmente mi sono dedicata all'aspetto storico inquadrando l'Armenia e ricercando le origini del genocidio. Successivamente le mie professoresse mi hanno proposto la lettura del libro "La masseria delle allodole" della scrittrice di origine armena Antonia Arslan al quale ho potuto associare l'omonimo film dei fratelli Taviani uscito proprio quest'anno.

Naturalmente, ho voluto trattare il tema nelle lingue straniere che studio. Nell'ambito della lingua inglese ho trovato il libro dell'ambasciatore Morgenthau che ha vissuto proprio il periodo dal 1913 al 1916 all'ambasciata americana a Costantinopoli. Su internet ho trovato un'intervista ai fratelli Taviani di una giornalista tedesca, e altri documenti riguardanti la politica e l'assetto odierno dell'Armenia in tedesco. Per quanto riguarda francese, invece, in Francia da settembre 2006 è partita un'iniziativa che prende il nome di "Anno dell'Armenia" e, inoltre il giornalista francese Bernard Henry Lévy ha scritto un articolo circa il negazionismo accusando l'attitudine turca.

Gli aspetti che mi hanno colpito in primo luogo, sono stati l'atteggiamento negazionista turco che, ancora persiste legittimato dal governo, ma soprattutto il fatto che questo genocidio sia stato quasi nascosto, "insabbiato" per decenni.

Sui libri di storia il genocidio viene solamente menzionato e, per saperne di più, il solo modo  è la ricerca. A mio avviso bisognerebbe sensibilizzare maggiormente le persone circa questo soggetto perché mi sono accorta, parlando con amici, ma anche all'interno della mia famiglia, che non si sa pressoché nulla di quello che è realmente successo.

Per ricordare la Shoah abbiamo un giorno della memoria, numerosi convegni e gite vengono organizzate proprio nei luoghi che hanno ospitato queste tragedie, molti monumenti sono stati eretti, uno proprio nel giardino della scuola; inoltre sono state proposte borse di studio per sensibilizzare i giovani e comunque troviamo moltissimi libri che possono testimoniare quanto accaduto.

Per quanto riguarda l'Armenia, invece, esistono pochissimi riferimenti al genocidio, e anzi chi ne parla in Turchia rischia la prigione, o peggio ancora la vita a causa di gruppi estremisti che inneggiano alla violenza.

Nel 2007 trovo inaccettabile questa realtà e penso fortemente che sia necessario attivarsi per diffondere la verità storica.

Con questo mio approfondimento non penso assolutamente di compiere chissà quale gesto, vorrei soltanto suscitare l'interesse soprattutto di coloro che non hanno mai affrontato queste pagine della storia.



Prefazione


Prima di approfondire questa pagina nera della prima storia del'900, trovo necessario chiarire il termine genocidio, e inquadrare lo stato dell'Armenia nell'ambito storico, geografico, religioso e d'attualità.



Genocidio


In Diritto internazionale il termine genocidio denota il crimine commesso da chiunque partecipi alla distruzione di un gruppo nazionale, etnico, religioso o razziale, come definito dalla Convenzione sulla prevenzione e la punizione del reato di genocidio, adottata dall'Assemblea generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite nel 1948.


Il primo genocidio di cui si ha traccia nel XX secolo è proprio quello armeno, mentre il più noto del secolo è stato quello perpetrato contro gli ebrei, gli omosessuali, gli zingari e tutti gli oppositori del regime nazista ad opera della Germania.


Nel 1946 con l'adozione della Convenzione delle Nazioni Unite contro il reato di genocidio, fu stabilito che fosse considerato genocidio qualunque sterminio commesso in tempo di guerra o di pace e che dovessero essere perseguiti tutti i responsabili (dai governanti ai semplici cittadini).


Fu inoltre stabilito che le nazioni firmatarie della Convenzione stessa, si impegnassero a non indicare il genocidio fra i delitti politici e quindi a negargli ogni forma di immunità.

Purtroppo altre forme di sterminio furono perpetrate anche dopo il 1948: nel 1969 vediamo la Guerra del Biafra ai danni di nigeriani e biafrani; nel 1975 parliamo del genocidio cambogiano da parte del regime dispotico dei kmer rossi. Tra il 1992 e il 1996 parliamo della Guerra Civile Iugoslava, che vide il massacro di serbi, croati e musulmani di Bosnia nell'ex Iugoslavia. Nel 1995 assistiamo al conflitto in Ruanda: più di 500.000 uomini di etnia tutsi vennero sterminati dagli hutu. Uno dei più recenti è quello del Darfur, regione dell'Africa nel Sudan occidentale.



Storia e geografia


L'Armenia è una regione montuosa d'origine vulcanica a sud del Caucaso. Nel I secolo a.c. costituiva un impero regionale che si estendeva dalle coste del Mar Nero al Mar Caspio e al Mar Mediterraneo.

Tuttora è confinante con la Turchia, la Georgia, l'Azerbaijan, l'Iran e con l'exclave in territorio azero del Nakhchivan, ma a causa delle continue guerre, i confini non sono definiti perfettamente.


Il nome ufficiale dello stato è Repubblica di Armenia, mentre il nome originario del paese era Haya, diventato poi Hayastan in onore di Haik. Quest'ultimo era, secondo la leggenda, un discendente di Noé e secondo la tradizione cristiana, l'antenato di tutti gli armeni.

Il termine Armenia fu coniato dai popoli confinanti a partire dal nome della più potente tribù presente nel territorio (gli armeni appunto) e deriva da Aramun, discendente di Haik.

Fonti pre-cristiane riportano la derivazione, invece, dal termine nairi, "terra dei fiumi".



Religione


Nel 301 il re Tiridate III proclamò il cristianesimo religione ufficiale del suo popolo precedendo anche l'impero romano; ciò contribuì notevolmente alla disgregazione dell'impero bizantino. La conversione era stata favorita da Gregorio Loosavorich (detto l'Illuminatore dal fatto che unì due liturgie: quella di Giovanni Crisostomo e di Giacomo).


Nel 303 Gregorio fondò Etchmiadzin ancora oggi sede del catholics, il principale capo della chiesa armena.


La religione rappresenta un'importante fonte di cultura nelle sue espressioni letterarie, artistiche e architettoniche. Il 95% degli armeni appartiene alla Chiesa Apostolica Armena (cristianesimo ortodosso), mentre il restante 5% appartiene a diverse minoranze di protestanti (evangelici, cattolici).



Attualità


La popolazione armena è fortemente in declino a causa dell'emigrazione e del tasso di natalità molto basso.


L'emigrazione cominciò nel 1375 con la caduta del Regno d'Armenia di Cilicia "Piccola Armenia", fondato dal principe Ruben, occupato poi dai mameluchi d'Egitto, e proseguì a causa del genocidio.


8 milioni di Armeni vivono all'estero in Francia, Russia, Iran, Libano e negli Stati Uniti.


Dal 1989 è scoppiata la guerra con il vicino Azerbaijan per il controllo dell' enclave armena in territorio azero (Nagorno-Karabach dell'Artzak) conclusosi con la conquista dell'indipendenza della provincia armena.

I rapporti, però, sono ancora tesi a causa delle rivendicazioni azere del neonato stato di Artzak e per le rivendicazione armene su una provincia affidata all'Azerbaijan dal Trattato russo-turco del 1921.

Oggigiorno, oltre a questi problemi, troviamo il dibattito storiografico sul genocidio.





-Il genocidio armeno


Il genocidio armeno trova le sue fondamenta nei sentimenti revanchisti dell'impero ottomano che, impreparato, venne presto sbaragliato nel gennaio 1915 dalle forze russe.

La Turchia, infatti, si era posta nelle mani dell'imperialismo tedesco nella prima guerra mondiale, alla conquista dei territori azeri.

Gli armeni russi, inoltre, si arruolarono nei corpi volontari che servivano da esploratori all'esercito zarista. I turchi considerarono questa scelta una forma di tradimento nei loro confronti, l'espressione di un potenziale tradimento, che sarà una costante della propaganda anti-armena. Gli armeni assunsero il ruolo di capro espiatorio, colpevoli delle disfatte turche.


Il movente fondamentale, era da riscontrarsi in ogni modo, all'interno dell'ideologia panturchista che ispirò l'azione di governo dei Giovani Turchi (triumvirato formato da Enver Pasha, Talaat Pasha e Ahmed Jemal, che dopo aver stabilito un sistema costituzionale, si dimenticarono ben presto degli ideali liberali e parlamentari) determinati a riformare lo stato su base nazionalista e quindi sull'omogeneità etnica e religiosa.


Il partito avviò un capillare processo di "turchizzazione" dell'impero ottomano e fu allora che emersero atteggiamenti di grave intolleranza contro le minoranze etniche che vivevano in Turchia ,soprattutto nella regione orientale.


La popolazione armena, di origine cristiana, aveva assorbito gli ideali dello stato di diritto di stampo occidentale, e con le richieste di autonomia avrebbe potuto costituire un ostacolo ed opporsi al progetto governativo. La motivazione principale del genocidio è stata, quindi, di tipo politico.


Nella primavera del 1914 la giunta dei Giovani turchi iniziò a programmare quello che fu definito il "primo genocidio" del secolo.

La persecuzione non scaturì soltanto dall'ideologia scopertamente razzista del partito, ma trasse origine dall'innata diffidenza e insofferenza dei musulmani ottomani e curdi di Anatolia nei confronti di una minoranza cristiana portatrice di valori religiosi e culturali semplicemente diversi.


Tra il dicembre 1914 e il febbraio 1915, il comitato centrale del partito Unione e Progresso ( ala più intransigente del comitato centrale), con l'aiuto di consiglieri tedeschi, decise la totale soppressione degli armeni, attraverso una struttura paramilitare, l'Organizzazione Speciale (O. S.), diretta da due medici Nazim e Chakir.

L' O. S. dipendeva dal Ministero della Guerra e attuò il genocidio con la supervisione del Ministero dell'Interno e la collaborazione del Ministero della Giustizia.


Il genocidio si articolò in varie fasi:

l'avvio del progetto si ebbe la notte del 24 aprile 1915 ad Istanbul con la cattura sistematica di tutti gli intellettuali e dell'élite armena della città (circa 500 esponenti del Movimento Armeno vennero incarcerarti e poi strangolati con filo di ferro nelle prigioni);

con un decreto di gennaio fu stabilito il disarmo di tutti i militari armeni che vennero riuniti in gruppi da 500 a 1.000 uomini in battaglioni di lavoro e progressivamente giustiziati in luoghi isolati;

in ogni città e villaggio l'ordine di deportazione era annunciato o affisso, e le famiglie disponevano di due giorni per radunare gli effetti personali.


I beni furono sequestrati o venduti. Gli uomini furono arrestati o costretti a firmare testimonianze false e poi giustiziati di nascosto. Talvolta venivano decapitati di fronte all'intera famiglia. I convogli di deportati erano composti esclusivamente da donne, bambini e anziani. La destinazione apparente era la Mesopotamia: in realtà, gli armeni furono costretti a marciare per chilometri su altopiani desertici senza cibo, né acqua, subendo violenze di ogni genere.

Anche coloro che raggiunsero le mete, furono in seguito convogliati e probabilmente lasciati morire di stenti o epidemie.

O. S. volle, inoltre, la liberazione di bande di malfattori, gli tchété,che usciti dal carcere avevano l'ordine assalire i deportati.


La popolazione morì, quindi, o uccisa direttamente nelle loro abitazioni, o durante la deportazione, o nei campi di concentramento, o ancora a causa di malattie. Molti morirono di fame nel deserto, altri furono bruciati e altri rinchiusi nelle caverne o annegati.

Chi sopravvisse soffrì doppiamente: le ragazze venivano spedite nei bordelli; i bambini, invece, venivano inviati o in bordelli per omosessuali, o in speciali orfanotrofi per essere rieducati come turchi.

Su 1.800.000 solo 600.000 riuscirono a salvarsi, perché vivevano nell'Anatolia occidentale oppure perché fuggirono in Russia. Tanti fortunatamente vennero salvati da ambasciate o famiglie turche, loro amiche.

Al termine della guerra l'Armenia era spopolata.


Il 18.05.1918 gli armeni sopravvissuti dichiararono la propria indipendenza dando vita alla Repubblica Armena indipendente.

Il 2.12.1920 fu proclamata la Repubblica socialista sovietica d'Armenia con capitale Erevan.

Il Trattato di Sèvres riconobbe l'indipendenza, che verrà annullata con il successivo Trattato di Losanna (1923) che negherà il riconoscimento della sua stessa esistenza.


Grazie ad una forte espansione e crescita economica, l'Armenia proclamerà la sua indipendenza solo nel 1991.








Processi


I risvolti dei processi furono minimi perché non vennero mai presentate richieste di estradizione e i verdetti furono successivamente annullati.

A seguito della riluttanza delle autorità turche ad eseguire le sentenze da loro stesse emesse, venne creata un'organizzazione di giustizieri armeni che freddò i maggiori responsabili del genocidio. Con la morte d'Enver Pasha, da parte di un grosso reparto bolscevico guidato da un ufficiale armeno, tramontò per sempre il progetto revanchista.



Turchia oggi


La Turchia, però, non ha ancora riconosciuto il genocidio e per gli armeni ciò rappresenta una seconda morte e viene definita "il crimine del silenzio".

Il genocidio fu riconosciuto dal Tribunale permanente dei popoli, dalla sotto commissione dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite, e dal Parlamento Europeo.

L'unica è la Turchia che non lo confessa e che, anzi, condanna fino a tre anni di reclusione come atto anti-patriottico, chi lo menziona.

Anche per questo motivo l'ingresso della Turchia nell'UE è molto contestato.



Il 24 aprile in Armenia si celebra il giorno della memoria del genocidio, il cui riconoscimento da parte della Turchia rappresenta un atto indispensabile di giustizia atteso dagli armeni.























Henry Morgenthau was one of the witnesses of the Young Turks' period , who experienced the birth and the evolution of the project for annihilation.

In this part I will deal with his life and two chapters of his book "Ambassador Morgenthau's story" that represents a real historical document.



-Henry Morgenthau


Morgenthau was a businessman as well as United States ambassador; he was very famous as the American ambassador to the Ottoman Empire during the First World War.


He was born in Mannheim, Germany in 1856, the son of a Bavarian Jewish family. In 1866 the family emigrated to the US and he graduated from Columbia Law School.

Henry Morgenthau


He was appointed as US Ambassador to the Ottoman Empire from 1913 to 1916. After the outbreak of the war, Morgenthau represented many of the Allies in Constantinople as they had withdrawn their diplomatic missions due to the hostilities.


After the war he attended the Paris Peace Conference as an advisor regarding Eastern Europe and the Middle East.


He published several books most notably Ambassador Morgenthau's story (1919) on the Armenian Genocide, drawing on his experiences as the Ambassador.


He died in New York in 1946.



-Ambassador Morgenthau's story


It represents a major work on the Armenian Genocide in the West, and it is still an important primary source.


First published in 1918, the book has been reprinted numerous times over the years.


The book is like a personal diary in which Morgenthau added conversations with the leading Young Turk officials such as Talaat and Enver Pasha, who confess their plans to annihilate the Armenians.


Even though this book is considered a precious source on the Armenian question, few think it has strong racist contents.

Morgenthau wrote the following about the Turks:

they were

- "inarticulate, ignorant and poverty-ridden slaves" (p.13);

- "psychologically primitive" (p.236).


On the contrary he exalts the Armenians concerning

- "their intelligence, their decent and orderly lives" (p.282).


Surely he did not accept the Turkish people's project to build a "Great Turkey" and to kill the minorities and I do not think he was a racist.

When events like those happen and you do not approve of them, pain, compassion and also rage grow. As a consequence you may write heartless sentences, which in this case are not racist, but simply true.


Morgenthau collected many conversations, evidences and recollections of that period.

While reading the book we are surprised and shocked by the cruelty and the clear headedness of the genocide's promoters.


The book is made up of twenty-nine chapters.

I have decided to analyse Chapter XXV and Chapter XXVII.

In XXV Talaat tells why he is deporting the Armenians;

In XXVII "I shall do nothing for the Armenians", says the German Ambassador.



-Chapter XXV


In this chapter Morgenthau was willing to find out about the aim and the justification of killing an entire population and he asks Talaat Pasha, Minister of the Interior questions.

Morgenthau realised that the Turkish people's intention was to hide the annihilation of the Armenian race to Europe and America, and to confess it only after accomplishing it.

About two hundred Armenians (educational and social leaders, businessmen) were arrested in Constantinople and sent inland.

When Morgenthau spoke to Talaat about their expulsion, he replied Talaat Pasha that"the Government was acting in self-defence" and that "the Armenians

masses in Constantinople would not be disturbed".


But something was changing, because the using of the cipher was forbidden, rigorous censorship was applied to letters. The authorities wanted to conceal the annihilation, to keep anyone under control but also to avoid spreading the news, but they did not succeed in it.


A lot of people were witnesses to what they had seen at the American consulate. Morgenthau was not to interfere, but he wanted to know why it was happening.

As he wrote, he could not restrain himself. He saw at once Talaat who was in one of his most ferocious mood, because some of his closest friends were being held prisoners by the English at Malta.


When Morgenthau asked about the Armenians, Tallat said "The Armenians are not to be trust, besides what we do with them does not concern the United States".

Morgenthau explained that he considered himself to be a friend of the Armenians and, that he could not accept the treatment they were getting.

He talked about humanitarianism and he said that the Turks would face a new situation after the war.

Talaat asked him to discuss that matter when they were alone because the member of the embassy staff who was doing the interpreting was himself an Armenian.

Talaat explained that the annihilation of the Armenians was due to the fact that:

"They have enriched themselves at the expense of the Turks";

"They are determined to domineer over us and to establish a separate state";

"They have openly encouraged our enemies".

The minister thought it was necessary to kill the whole population because "who was innocent to-day, might be guilty to-morrow".

In my opinion the cruellest sentence ha said was:

-"Yes, we may make mistakes, but we never regret", that shows no pity.


-Chapter XXVII


This chapter deals with the German responsibility for the Armenian massacre.

Morgenthau said that the new conception of deportation had been recommended by the Germans (as Admiral Usedom, one of the greatest German naval experts in Turkey told him).

Morgenthau wanted to know something else and he approached Baron von Wangenheim, the German Ambassador whose "antipathy to the Armenians became apparent: he began denouncing them in unmeasured terms".

Wangenheim said he could do nothing to help the Armenians until the US did not stop selling ammunition to Germany's enemies.  Baron von Wangenheim


Fortunately there were influential Germans in Constantinople who opposed Wangenheim's point of view. Among them M. wrote about Paul Weitz, a journalist of the Frankfurter Zeitung, and Neurath, the adviser at the German Embassy.

Both tried to influence Wangenheim and the Turkish Government, but they were not successful, and they were sent away. It meant that W. had no desire to stop the deportations.

In fact, he said that "the Armenians have shown themselves in this war to be enemies of the Turks".

M. also approached the German naval attaché in Constantinople, Humann. He was a friend of Enver and he "was generally looked upon as an important connecting link between the German Embassy and the Turkish military authorities."

He said he did not blame the Turks for what they were doing to the Armenians, and that they were entirely justified. As a matter of fact, according to him, the Committee of the Young Turks had to do everything in its power to protect itself.

Among diplomatic circles people were convinced that M. was a sort of spy. He was threatened, but he soon discovered that the rumour had been hatched at the German Embassy.

When Baron von Wangenheim came back to Constantinople, they met again. Morgenthau accused Germany of being responsible "in the sense that she had the power to stop them and did not use it".

Germany and W. had no interest in stopping such crimes, because their aim was to win the war in any way they could.








































-La scrittura per non dimenticare


Da sempre la scrittura si è fatta interprete e custode delle memorie di un popolo; la memoria è uno dei beni più preziosi dell'intera umanità. Ricordare, infatti, vuol dire svegliarsi dall'indifferenza, dall'oblio, aver la capacità di far tesoro delle proprie esperienze negative o positive che siano, sfruttare le proprie specificità come punti di forza e vincere le proprie debolezze e le proprie negatività. Senza la memoria non si può analizzare un comportamento né tanto meno modificarlo. Ricordare è, talvolta, un' operazione dolorosa perché ci costringe a ricordare eventi drammatici o a fare i conti con atteggiamenti contrari ad ogni moralità e umanità, come accade nella ricostruzione degli olocausti del Novecento.

Talvolta un inconscio desiderio d'oblio, da parte degli stessi sopravvissuti e della collettività, perdura a lungo perché troppo vivida e angosciante è la memoria. Quando, infatti, si parla del silenzio da parte degli armeni scampati al Metz Yeghérh (giorno del grande dolore), Antonia Arslan risponde dicendo che si tratta di persone traumatizzate due volte: la prima per le terribili vicende vissute e la seconda perché essi subirono, con il Trattato di Losanna del 1923, una seconda deportazione e persecuzione. Il trattato di pace, infatti, li ignorava, non essendovi traccia nello stesso neppure della parola "armeni".

Di fronte a tutto ciò, i sopravvissuti si sentirono persone non esistenti, fuori posto ovunque, convinti tra l'altro che nessuno avrebbe creduto al racconto delle loro tragedie. L'eccessiva sofferenza fa sì che i ricordi vengano temporaneamente rimossi. Il dolore non è in ogni modo l'unica causa dell'oblio: vi sono motivi politici, economici, etnico - religiosi. Il genocidio armeno è un crimine che è stato "rimosso" troppo spesso da considerazioni politiche (evitare conflitti tra cristiani e musulmani in un paese come la Turchia schierato con la Nato e 'laico'), da calcoli economici (la Turchia è il passaggio obbligato dei grandi oleodotti, l'Occidente non può permettersi interruzioni in questa grande via del petrolio), da considerazioni etniche e religiose (la popolazione turca è multietnica e multi religiosa, ogni ricordo può essere in realtà l'occasione per far scoppiare nuovi conflitti [1]).

Le diverse guerre e i conflitti di varia natura del  XX secolo hanno fatto scoprire, in ogni modo, alla comunità internazionale, una sensibilità nei confronti del diritto penale internazionale e un interesse crescente affinché tutti i colpevoli di crimini contro l'umanità siano giudicati e puniti.

La memoria permane nel sentire collettivo e Antonia Arslan ha portato la sua testimonianza scritta, scaturita da un'urgenza spirituale ed etica su fatti e vicende tragiche del nostro passato che ancora oggi scuotono e dividono le coscienze.

Nella sua produzione possiamo identificare precipui momenti d'identità tra scrittura e memoria, coscienza e verità.


La scrittrice Antonia Arslan nel 2004 ha pubblicato il suo primo romanzo "La masseria delle allodole".


-Antonia Arslan





Italiana d'origine, armena da parte paterna, Antonia Arslan è laureata in archeologia, è stata docente di letteratura italiana moderna e contemporanea dell'Università di Padova. E' autrice di saggi pionieristici sulla narrativa popolare e d'appendice e sulla "galassia sommersa" delle scrittrici italiane.

Con il suo primo romanzo ha vinto il "Premio Campiello" 2004, il "Premio letterario della poesia religiosa" in Campania ed il "Premio del libraio, città di Padova" 2005.

Attraverso la traduzione di opere del poeta Daniel Varujan, Antonia Arslan ha riscoperto la sua profonda e inespressa identità armena.

Il prologo iniziale del romanzo era già uscito in veste di racconto nel 1998 con il titolo "Il nido e il sogno d'oriente". Il rivedersi nel racconto, diede all'autrice una nuova dimensione della questione armena. La scrittrice prese coscienza del fatto che il suo dovere "speciale" era quello di riscattare dall'oblio la tragedia del popolo armeno e lottare per poter dare giusto riconoscimento a milioni di armeni uccisi.

Antonia Arslan


-"La masseria delle allodole"


In questo romanzo Antonia Arslan narra le vicissitudini di una famiglia armena (la sua) che nel maggio 1915 viene distrutta. È la tragedia di un popolo "mite e fantasticante" e la struggente nostalgia per una terra e una felicità perdute. Gli uomini e i bambini maschi sono trucidati, mentre per le donne inizia un'odissea segnata da marce forzate, umiliazioni e crudeltà. Si tratta di una storia che esemplifica l'inizio della diaspora che porterà gli armeni ad abbandonare la loro terra e a disperdersi nel mondo. La masseria delle allodole è la casa sulle colline dell'Anatolia , un luogo ideale che porta con sé una fallace forma di sicurezza destinata ad essere spazzata via dalla violenza. E' qui che ha inizio lo sterminio, ma fra massacri, morte e disperazione tre bambine e un "maschietto vestito da donna" salperanno per l'Italia. Lì, li accoglierà lo zio Yerwant, nonno dell'autrice, "colpevole" di essere sopravvissuto perché emigrato giovanissimo a Venezia. La Repubblica di Venezia (e poi la città) vanta contatti con l'Armenia dal 1100, tanto che i primi libri di lingua armena furono stampati proprio a Venezia. Qui si trovano tracce linguistiche, artistiche e architettoniche della cultura armena.



Il racconto


Per il lungo rapporto tra il Veneto e l'Armenia, il giovane Yerwant, appena tredicenne, decide di abbandonare la sua famiglia, in netto contrasto con il padre Hamparzum, per andare a studiare al Liceo Armeno di Venezia "Moorat Raphel". Studia medicina all'università e lavora di notte come infermiere rifiutando il denaro inviatoli dalla famiglia. Specializzatosi a Parigi, aiutato da un prestito sull'onore, diviene uno dei migliori chirurghi dell'epoca in Italia.

In Armenia si trovano il fratello Sempad sposato con Shushanig e i loro sei figli, i quattro fratellastri due maschi (Zareh e Rupen) e due femmine (Veron e Azniv) nati dalla seconda moglie del patriarca dopo la morte della prima, la principessa Iskuhi e Ismene, una lamentatrice greca.

Cominciato il rapporto epistolare con Sempad, programmano di rivedersi poco tempo dopo la dolorosa morte del patriarca. Entrambi si gettano nei preparativi: Sempad inaugura i lavori di ristrutturazione alla vecchia masseria e Yerwant fa preparare due macchine per il lungo viaggio, studia con cura il tragitto e compra regali. Nessuno aveva percepito, fino a quel momento l'inganno, anzi l'intera famiglia era fiduciosa nei confronti dei turchi.

Dietro di loro incombe inevitabilmente la grande storia: la Turchia entra in guerra contro la Francia, l'Inghilterra e la Russia, mentre già dal novembre 1914 insegue il mito della Grande Turchia in cui non ci sarà posto per le minoranze etniche. Anche l'Italia entra in guerra (il 24 maggio 1915) e chiude le frontiere, per cui al medico armeno è reso impossibile un aiuto concreto ai parenti.

I due fratelli non si incontreranno mai e anzi da quel momento incomincerà l'orrore e la morte. La tragedia si consumerà il pomeriggio del 25 maggio 1915 un giorno dopo l'entrata in guerra dell'Italia. Gli zaptié (soldati turchi) faranno irruzione nella masseria sotto indicazione di Nazim, il mendicante. Gli uomini verranno massacrati, mentre per le donne incomincerà la marcia della morte.

Sara grazie alla tenacia, al sacrificio, alla speranza delle donne, ma anche grazie all'aiuto del piano di Ismene e Nazim (pentito), che i quattro bambini si salveranno



Considerazioni


Shushanig, la moglie di Sempad, il capo clan, è sicuramente il personaggio più amato dall'autrice, perché nonostante il dolore la devasti, essa riesce ad agire, a far fronte a ciò che accade perché è lei che ha il compito di portare in salvo i figli. Le donne tutte dimostrano comunque coraggio nel dolore.

Nazim, d'altro canto, è un personaggio ambiguo in quanto spia e parassita, il quale però, dinanzi all'orrore del massacro, si pentirà e vorrà aiutare la famiglia (quella di Sempad) che lo ha sempre accolto. Per Antonia Arslan, Nazim è la testimonianza che non tutti i turchi erano d'accordo con il fanatismo della classe dirigente, che aveva progettato il massacro di un intero popolo. Nel libro, inoltre, non emerge neppure una parola d'odio verso il popolo turco perché anch'esso è stato maltrattato e continua ad esserlo e perché qualcuno tra i turchi si è schierato dalla parte del bene.

Del resto non sono i turchi in quanto tali i colpevoli dell'olocausto armeno. Nella ferocia dell'eccidio vi è tutta la rabbia e l'odio di una casta militare e politica che avvertiva inconsciamente la propria inevitabile sconfitta. Si era alla vigilia del crollo degli imperi ottocenteschi, alla fine dell'impero ottomano e dei suoi militari, ad una svolta della storia. Riscattandosi Nazim cerca di alleviare, almeno in parte, anche al suo popolo la responsabilità di una colpa e di un peso altrimenti insostenibili.



Da "La masseria delle allodole", "l'uccisione degli uomini", pagine 100-105:


-"In quel preciso momento il drappello di cavalieri si arresta davanti alla Masseria. Il cancello è aperto. Per un attimo luci, suoni, colori li bloccano, e un disagio imprevisto li prende.«Domani, domani» bofonchia uno dei due soldati che hanno denunciato il passaggio delle carrozze, e si strofina le mani sui pantaloni, incerto e intimidito.

Ma l'ufficiale sceglie un opportuno furore: «Fanno festa, i cani, sulle nostre sconfitte» esclama. «Aspettano i russi.» E poi, ecco, nel crepuscolo che si sta infittendo, compare la stella della sera.[.]si sente Hrant che accorda il duduk sul piccolo palco per i suonatori [.] Ma la nota si spegne con un sordo singhiozzo. Silenziosi, gli uomini si sono sparpagliati all'interno, nel giardino: e un coltello ben maneggiato ha tagliato la gola di Hrant da un orecchio all'altro. [.] In pochi istanti il gruppo si è trasformato in una banda da preda, e con felina scioltezza si è avvicinato a tutte le porte[.] La casa si offre all'ospite, senza difese, innocente come Sempad, il suo padrone.

Sempad e Shushanig sono ancora in cucina[.] I soldati con le lame scintillanti compaiono su tute le porte come demoni troppo reali; il tenente dietro di loro entra in casa, attraversa il salotto, si fa sulla porta della cucina, guarda in giro con un odio così netto che tutti lo sentono come uno schiaffo, e ordina:

« Voi traditori, cani, rinnegati. Avete disubbidito all'ordine del kaymakam, ma io vi ho trovato, e ora sarete puniti».[.] « Prendete tutti i maschi, e portateli nell'altra stanza».

Come pesci nella rete, incapaci di uscirne, Sempad e l'attonito Krikor vengono spinti in salotto.[.] Anche gli altri bambini maschi vengono condotti nel salotto, allineati in piedi sotto la festosa decorazione della tappezzeria a motivi floreali appena completata.

Le donne, e le bambine, vengono spinte brutalmente a ridosso della parete di fronte. Shushanig è immobile, e guarda i suoi cari. I suoi occhi dilatati non esprimono niente, le mani sono sprofondate nelle tasche e tengono stretto il piccolo tesoro.[.]

E così si compì il destino di Sempad e dei suoi. Lame balenarono, urla si alzarono, sangue scoppiò dappertutto, un fiore rosso sulla gonna di Shushanig: è la testa del marito decapitata, che le viene lanciata in grembo.

Nella sua gonna, sotto il grembiuleda cucina a crocette con motivi pasquali di cui Shushanig è assurdamente orgogliosa, si nasconde Henriette che solo da qualche mese ha cominciato a parlare veramente, e chiacchera sempre, raccontandoci storie e nascondendosi dappertutto, come un topolino canoro. Ora un getto di sangue caldo schizzato fuori dalla testa del padre la bagna tutta, attraverso il grembiule, inondando la calda oscurità del rifugio materno. Un odore fortissimo cancella tutti gli altri, la bocca aperta della piccola si riempie di liquido, più caldo della mamma, come un fiume orrendo che circonda nero il suo piccolo cuore, e lo travolge.

Henriette non parlerà più la sua lingua materna, e in ogni altra lingua, in ogni paese del mondo, si sentirà per sempre straniera: qualcuno che ruba il pane, fuori posto dovunque, senza famiglia, invidiando i figli degli altri. Arrotolata su se stessa nel buio, piangerà la notte, ogni notte, sopravvivendo: finché si rifugerà in una quiete ebetudine, tronco vivente che attende passivo il ritorno della patria perduta, con la luce di Dio e lo sguardo innocente del padre.[.]

Il tenente sorridendo dice: «Fate sedere la signora della casa, e toglietele quella testa dal grembiule». (Lei nel frattempo ha chiuso delicatamente gli innocenti occhi spalancati di Sempad). «Non siamo selvaggi, le abbiamo liberate. Ora ci sbarazziamo dei corpi e poi potremo cenare. I maschi della vostra infame razza sono colpevoli e vanno eliminati perché se ne sopravvivesse anche uno solo, poi vorrebbe vendicarsi. Ma voi siete donne.».[.]

La banda pregustava la violenza che seguirà, occhieggia imparzialmente donne, ragazze e bambine, pensando che ce n'è per tutti. E poi, le butteranno via, alla fine. La notte è lunga. Intanto, cominciano con lo sfasciare imparzialmente i vetri del bovindo e le cristalliere."



"Il pentimento di Nazim", pagine 123,124:


-"«Nazim, che Dio sia con te, eccoti del pane» dice Shushanig appena lo vede; e il cuore disseccato di Nazim dà un balzo improvviso, gli pare che Dio sia davvero vicino a lui in quel momento; prende la mano fredda di lei e se la porta alla fronte, alle labbra, al cuore, e scandisce lentamente: «Da ora in poi sono il tuo servo, Validè Hanum. Io sono polvere della strada, ma spero di essere su quella strada che tu dovrai percorrere, e di renderla più lieve».



"Devozione di Shushanig ai bambini", pagine  125,126:


-" E Shushanig, amorevolmente scortata da Azniv, vigile, un passo dietro di lei, fa fronte. Verifica i carri, conta le persone, distribuisce i vecchi, le capre,i bambini. Le scorte d'acqua, lo zucchero, le coperte, perfino le gabbiette con gli uccellini.[.]

Shushanig per mamme e bambini, e per le sue stesse figlie superstiti, ricompone un gentile sorriso, batte le mani, prepara le tavole,[.] e bruscamente apre la grande credenza e tira fuori le fini stoviglie filettate d'oro di porcellana di Parigi, le posatine d'argento inglese, la teiera di Sheffield .«Che i bambini abbiano questo ricordo» pensa. «La vostra festa, bambini» risponde Shushanig «per prepararvi al viaggio avventuroso che faremo, per incontrarci con i vostri papà».





"La deportazione", pagine 126-135:


- "Nessuno, nella piccola città, tranne le donne della famiglia, sospetta che ci sia dell'altro, percepisce il gigantesco inganno, la trappola mortale, l'andare verso il nulla che sarà la vera meta del viaggio. [.]

«Ci faremo ammirare dai nostri alleati, per l'impeccabile precisione con cui gestiamo la Questione armena» pensa Enver; e una soddisfazione puntata gli cresce dentro, a ogni telegramma che gli annuncia l'avvio di un'altra carovana. Le segue nel suo studiolo foderato di cuoio bulgaro, come lunghe righe, colle matite colorate, fissando piccoli segnacoli rossi su una privata carta dell'Impero disegnata in blu e verde, finché le tante linee, assottigliandosi, convergeranno in una, che si perderà infine - indistinguibile- nel deserto siriano.

L'idea della deportazione nel deserto appare dunque agli ideologi del partito come un rito di purificazione, un sacrificio propiziatorio di animali macellati per l'onore e la gloria di un Dio laico. Impassibile e geloso. Così, questa volta, perfino gli zaptié riescono a dissimulare; la fiduciosa cecità delle armene, lasciate sole, fa il resto. Ed è così che partono in pace.


*"La casa in collina" di Cesare Pavese. P. 123 "Ogni guerra è una guerra civile".


Possiamo considerare in qualche modo vicina allo spirito della Arslan la pagina di Pavese tratta da La casa in collina. Il protagonista del romanzo, infatti, si rende conto, all'improvviso, come gli armeni perseguitati, del non senso della guerra. Ogni guerra non porta altro che stragi, dolore e vergogna ai vinti come ai vincitori, la situazione dopo è peggiore, le possibilità di risolvere i conflitti sono ancora più limitate. Quindi ogni guerra è inutile. Ogni guerra è una guerra civile, come è una guerra civile lo sterminio degli armeni o degli ebrei: l'umanità non riconosce in se stessa la fraternità e l'uguaglianza, ma vede al proprio interno differenze inesistenti, matura odi fratricidi, distrugge e uccide i propri simili come nessun altro animale fa.



-"La masseria delle allodole". Film dei fratelli Taviani


I fratelli Taviani, che da tempo si occupano del rapporto uomo-storia, continuano quest'anno, adottando liberamente l'omonimo romanzo di Antonia Arslan, occupandosi quindi della ferita armena ancora aperta.

Prima dell'uscita nelle sale, i fratelli Taviani già sapevano che il film sarebbe stato destinato a suscitare polemiche e, forse, anche per questo, hanno voluto costruire una struttura narrativa in grado di arrivare al grande pubblico. Con questo film i Taviani non smettono la loro determinata ricerca nei lati oscuri della storia, che qualcuno continua a voler mantenere segreti.

E' un film che affronta a viso aperto il tema del genocidio; affermano gli stessi registi: -"Noi conviviamo con l'orrore e abbiamo finito per farci l'abitudine. Il terrore può verificarsi sempre e dovunque. Perché tacere allora la tragedia armena?" -.

Come il romanzo, non si tratta di un film antiturco, perchè c'è spazio anche per la speranza: ne testimoniano la disponibilità sia il mendicante Nazim, sia il soldato turco innamorato di Azniv (Nunik nel film), sorella di Sempad, che al processo testimonierà le brutture commesse da lui e dagli altri soldati.

Il film ha subito, comunque, una critica per quanto riguarda il linguaggio considerato approssimativo, televisivo e privo di senso epico. Tuttavia, personalmente penso che, se il film avesse avuto un carattere ancor più vicino alla realtà storica dei fatti e immagini più crude, sarebbe diventato molto simile a un documentario e avrebbe mancato l'obiettivo degli autori: far arrivare al grande pubblico la memoria e l'ammonimento di quel massacro.

Ciò nonostante, i fratelli Taviani, sono rimasti particolarmente fedeli al libro e sono riusciti a non trasformarlo in uno straziante seppur veritiero racconto. Hanno saputo alternare momenti di intensa gioia vissuta dalla famiglia durante la preparazione all'incontro tra i due fratelli e momenti emozionanti nei quali lo spettatore prova compassione autentica per la tragedia armena. Il film mi ha indotto a una riflessione profonda rispetto al male che l'uomo è in grado di causare non solo al singolo, ma a un'intera popolazione, senza motivi non dico per giustificare ma almeno vagamente spiegare l'origine dell'orrore.



Caratteristiche


Il ruolo mediatore della musica è stato essenziale: nei momenti salienti la musica è riuscita ad esaltare le emozioni tanto da far quasi percepire allo spettatore un minimo della sofferenza che hanno vissuto gli stessi armeni.

Oltre alla musica, i flashback hanno enfatizzato il cambiamento repentino nella vita di un popolo che fino a quando non ha vissuto in prima persona il genocidio, era ben distante da immaginarsi un tale destino.

I due assi narrativi iniziali, inoltre, congiungono l'Armenia all'Italia (dal fratello Yerwant). Dopo il 25 maggio 1915, ai due assi narrativi, se ne aggiunge un terzo che vede il progetto di Nazim e di Ismene che cercano disperatamente di aiutare la famiglia Arslanian.

Sicuramente la loro "corsa contro il tempo", la rabbia di Yerwant e l'atroce sofferenza delle donne sono riusciti a coinvolgere completamente lo spettatore nella visione.

E' la prima volta che un film riesce a colpirmi più del libro da cui è tratto. Infatti, nel libro, non ho apprezzato le lunghe descrizioni dei personaggi, mentre ho trovato più interessante la seconda parte, quella che tratta l'uccisione e la deportazione, proprio perché caratterizzata dall'azione, parola chiave del film.








- Die Journalist Christina Tilmann hat Paolo und Vittorio Taviani für den Tagesspiegel befragt. Der Film wurde bei der letzten Berlinale vorgestellt. Natürlich ging es in der Unterhaltung um den Film und Christina hat interessante Fragen gestellt.

Auf die erste Frage -" Was war ihr Motiv, sich als Italiener dieser Geschichte zu widmen?"-, haben die Taviani geantwortet, dass sie keinen Historienfilm drehen wollten. Sie wollten nur eine der schlimmsten Tragödie des 20. Jahrhundert erzählen. Mit diesem Film hoffen sie ein Tabu gebrochen zu haben, weil dieses Thema         gründlich befasst Die Tavianis Brüder           sein sollte.

Durch die Antworten, erfinden wir, dass die Regisseure ein wichtiges Zeugnis von einer Armenierin, die in Rom wohnt, gesammelt haben.

Sie wussten kaum was über das Genozid und am Anfang waren sie verwundert über ihre  Geschichten.

Der Verdienst ist vor allem der Figuren, die sehr beruflich gearbeitet haben. Sie haben auch verschiedene Haltungen: man denke nur an Nazim, oder an den Soldaten.

Beide Brüder denken, dass ein Teil des türkischen Volks bereit ist, der Geschichte entgegen zu kommen, aber vielleicht haben sie noch nicht den Mut es zu sagen.

Die Taviani sind für den Eintritt der Türkei in die Europäische Union, aber sie glauben, dass, nach einem Jahrhundert, es Zeit den Mythos zu verhaften ist.

Sie glauben auch, dass Menschen ihr Schicksal zum Guten andern können und sie erwarten  das vom türkischen Volk.

Die Taviani wollten diese Geschichte erzählen und sie fürchten keine Bedrohung; sie möchten gern Interesse und Überlegung stimulieren.


Aus dem Internet habe ich auch drei interessante Dokumente über Armenien gefunden.

- Das erste ist ein Reisebericht von Volker Willschrey, der acht Tage bei seinem armenischen Freund Vakhtang Abrahamyan in Armenien verbracht hat.

Zuerst hat Volker einige Informationen aus dem Internet und aus Prospektmaterial gesammelt, weil kein Reiseführer genug unterrichtet war. Volker erfuhr, dass Yerevan eine der ältesten Städte der Welt sowie die armenische Hauptstadt ist, aber auch dass sie, in den dreißiger Jahren, abgerissen wurde. Er erfuhr auch, dass an klaren tage, man die beide Gipfel des Bergs Ararat sehen kann, wo angeblich die Arche Noah nach der Sintflut strandete.

Sehr berühmt sind die Kunst und die Historischen Museen, die Einblicke in die turbulente Geschichte von Stadt und Land gewähren.

Nachdem er die Einladung von seinem Freund bekommen hatte, buchte er im April 2002 den Flug und deshalb hatte er genügend Zeit, die Reise vorzubereiten und das armenische Visum zu besorgen.

Am Mittwoch 18. September fuhr er vom Flughafen in Dillingen in Richtung London ab und dort wartete er auf den Weiterflug mit British Airways. Während er auf dem Flug wartete, begannen einige Amerikanern von armenischer Herkunft, religiöse armenische Lieder zu singen. Am 19. September am früheren Morgen kam er auf dem Yerevaner Flughafen an.

Sein Freund wohnte mit seiner Frau Inga, seiner vierjährigen Tochter Mane und seiner Mutter im Nordwesten der Stadt Yerevan.

Zusammen mit Vakhtang machte Volker einen Spaziergang ins Zentrum und mit Micro-Bussen fuhren sie durch die Stadt um das Opernhaus und die größte Kirche (St. Georg) zu besuchen.

Volker bekam auch Zeit, die Familie  kennen zulernen: die Gastfreundschaft war überwältigend und er hatte viel Spaß.

Mit seinem Freund besuchte er die Wasserfälle, wo von dem Hügel( wo man das Siegesdenkmal findet) man einen imposanten Blick auf den über 5100 hohen Berg Ararat hat.

In der Nähe von der Universität wohnte, mit seiner Mutter, eine junge Armenierin Hegine Davtian, die seit drei Jahren in Brieffreundschaft mit einem Freund Volkers aus Wiesbaden stand. Sie nimmt Volker als, und sie plauderten ein bisschen über ihre Brieffreundschaft aber auch über Volkers Eindrücke von Yerevan.

Am 21. September war Nationalfeiertag in Armenien und Volker besuchte den Flohmarkt, er bewunderte die überwiegend armenischen Motive und am Abend fuhr er mit der Familie auf dem Platz der Republik, wo eine große Veranstaltung stattfand.

Armenische Popsängerinnen und Sänger feierten mit dem Präsident und dem Volks die 11 Jahre Unabhängigkeit.  

Nach drei Tagen, bekam Volker die Einladung der deutschen Redaktion des Rundfunksenders "Nationales Radio Armenien" um eine Unterhaltung zu führen.

Am 27. September musste Volker abfahren um nach Hause zurückzukommen.

Diese Reise wird im seinem Gedächtnis bleiben, er würdigte den Freundlichkeit, die Landschaften, die Ausblicke aber vor allem die Küche!


- Das zweite Dokument ist eine Tagesschau vom 13.05.2007

Das Thema ist die Parlamentswahl: der Oppositionsführer beklagte Unregelmäßigkeiten bei der Wahl, er behauptete auch, dass der Ministerpräsident Sergej Sarkisjan die Parlamentswahl klar für sich entschieden hat. Sarkisjan widerlegt, dass die Wahl  ein Stimmungstest vor der Präsidentenwahl im Januar 2008 war.

Auch der Beobachter der Organisation für Sicherheit und Zusammenarbeit in Europa (OSZE) sprach über weitgehend fairen Verlauf.

Auf jeden Fall machte die prekäre Wirtschaftslage Sorgen und macht Sorgen noch jetzt. Nämlich leidet das christliche Armenien seit Jahren unter einer Blockade der islamischen Nachbarn Türkei und Aserbaidschan. Seit Anfang der 1990er Jahre hält das armenische Militär das Gebiet Berg-Karabach, zu Aserbaidschan gehörende, besetzt. Trotz des Waffenstillstands von 1994, führte der Konflikt zu einem der blutigsten Kriege der nachsowjetischen Zeit und heute gibt es noch Spannungen.

Armenien ist wirtschaftlich isoliert und die Kluft zwischen Arm und Reich im Lande wächst.


- Das dritte Dokument stellt Armeniens Geschichte und Kultur dar.

Obwohl Armenien erscheint wie ein Synonym für Katastrophen, Völkermord, Erdbeben, Bürgerkrieg, Wirtschaftsruin, Massenexodus darf man überhaupt nicht vergessen, dass Armenien sich am Schnittpunkt des asiatischen und europäischen Kontinents findet und dass dieses Land eine große Geschichte und ein bedeutendes kulturelles Erbe verwahrt.

Auf dem Berg "Ararat" entstand eine der wichtigsten Handelsrouten des Mittelalters, die Seidenstrasse. Die Armenier sind stolz auf ihren sprachlichen und ethnischen Zusammenhängen.

Zu Erinnerung an seiner historischen Entwicklung, finden wir über 4.000 Baudenkmäler aber auch Kulturdenkmäler die, mit den schönen Landschaften, wie der Sewansee (der großen Hochgebirgsseen der Welt), viele Besucher locken.

In Yerevan, die Hauptstadt, findet man die typischen Bauten aus rotem, rosa und gelbem Tuffstein und grauem Basalt. Die Kunstbegeisterten sollten den einzigen hellenistischen Tempel östlich von Yerevan besuchen.



































-L'Année de l'Arménie en France 21.09.2006 - 14.07.2007


L'initiative française ouvre les portes à une culture très loin de la notre européenne. Le fait qu'on est loin ne concerne pas les préjugées ou la peur, mais seulement l'ignorance, parce qu'on ne sait presque rien du peuple arménien.


Ces « pas parvenues » informations ne nous permettent pas de comprendre leur culture, leur histoire.

Le message caché derrière « L'Année de l'Arménie » est justement une invitation à apprendre ce que ce peuple a vécu et combien il a souffert. Tout le monde devrait se poser des questions et essayer de réfléchir et de vouloir apprendre.


Pourquoi l'année de l'Arménie? Pour répondre il est nécessaire de prendre en considération la période actuelle. La Turquie se bat pour entrer dans la communauté européenne et l'Europe n'est pas tout au fait d'accord. Un des gros problèmes est justement la négation du génocide du peuple arménien.


On parle, ainsi, d'un message politique : c'est comme si la France disait -« je suis pour l'Arménie ». C'est une sorte de stratégie : une grosse fête pour affirmer une importante position.


L'initiative, quand même, a aussi le but de découvrir le peuple arménien et ainsi d'apprécier sa culture dans les plusieurs aspects.

La programmation se déploie exclusivement en France jusqu'à juillet 2007, après l'ouverture qu'a eu lieu fin Septembre à Erevan en présence du président Jacques Chirac.

Au cours de cette année plus de 500 manifestations sont organisées dans toute la France.


Les sujets des programmations sont :

la production écrite ;

la musique ;

l'image ;

la mode,

tout mêles à la vitalité arménienne d'aujourd'hui.


-Pour ce qui concerne l'écrit, à Strasbourg on peut trouver la présentation d'une trentaine de documents vieux de plusieurs siècles. A Marseille est proposée l'histoire de l' alphabet arménien.


-Les amantes de la musique peuvent égalent découvrir la musique classique et traditionnelle arménienne, discipline artistique considérée la reine de touts les arts.


-A Orsay, Jean Carzou propose une exposition de ses huiles, aquarelles, dessins, sculptures ainsi que de costumes de scène qu'il avait dessiné pour les plus grands théatres parisiens.

A Paris, au Musée de la marine sont présentés deux timbres postaux qui ont été émis contemporainement en Arménie et en France le 22 Mai 2007 pour souligner le rapport d'amitié entre les deux pays. L'un représente une miniature du XVème siècle sur le thème de la Nativité conservée à Erevan. L'autre est illustré par un chef d'oeuvre gotique du XIIIème siècle « L'Ange du sourire » de la cathédrale de Reims.


A Evreux, les Archives départementales de l'Eure vont présenter une exposition de photographies qui ont été prises entre 1918 et 1922 dans le territoire de la Cilicie et de la ville d'Antioche par un abbé normand. Cet abbé était parti sur les traces des croisés.


-A propos de la mode, le musée de la Mode de Marseille invite la couturière Karine Arabian à présenter les créatures de mode, designs et parfums arméniens





L'Année de l'Arménie propose également une plongée dans la littérature arménienne.


On parle de l'actualité  éditoriale et aussi de la parution d'une anthologie bilingue de la poésie arménienne contemporaine. On organise aussi de rencontre et des colloques avec les spécialistes arméniens et français.


L'initiative la plus intéressante concerne les enfants qui apprennent la langue française en Arménie. Ils feront un voyage jusqu'en France dans le cadre de l'opération « 1000 ambassadeurs pour l'Arménie ». Ce voyage vise à renforcer les liens d'amitié entre les deux peuples pour les générations à venir.


Des rencontres à caractère politique, économiques seront organisées telles que le voyage de découverte de Erevan et de son environ, pour une centaine de journalistes et tour-opérateurs français.


Pour les français c'est une opportunité précieuse et unique de découvrir le monde arménien chez eux. Je pense que l'Italie aussi devrait imiter ces initiatives pour divulguer des cultures étrangères dans le but d'enrichir nos connaissances ; mais surtout de s'ouvrir aux problèmes internationaux et de prendre une position qui puisse , pacifiquement, aider à établir des liens, mais aussi des moments de libre confrontation avec la Turquie.




La France, aussi dans le domaine de la presse, s'engage à faveur de l'Arménie.


L'article mis à jour le 01.02.07 sur le monde « Arménie : loi contre le génocide » par Bernard-Henry Lévy, le nous confirme.

-Bernard-Henry Lévy


Surnommé BHL, c'est un écrivain cinéaste et éditorialiste engagé sur la scène publique internationale.


Né en Algérie en 1948 il est considéré philosophe et intellectuel médiatique, mais aussi « intellectuel négatif » appuyant sa légitimité sur son statut contesté de philosophe de l'autre.

Bernard-Henry Lévy


Victime de sept entartages en Belgique et en France il a été engagé dans la politique internationale. Sa première expérience concernait la guerre de                 libération du Bangladesh contre le Pakistan.


Il s'est occupé aussi de grands thèmes de l'histoire tant que le totalitarisme, le fascisme.


Il continue, même aujourd'hui, à s'occuper des problèmes internationaux comme le négationnisme turc envers le génocide.


Le thème de l'article est justement l'accuse au négationnisme.


Dans l'article on peut individuer trois séquences :

Le génocide a été reconnu, mais les turcs continuent leur négationnisme;

La Shoah et le génocide arménien ;

Négationnisme d'Etat.



-Arménie : loi contre génocide, par Bernard-Henri Lévy

[.].Que les Arméniens aient été victimes, au sens précis du terme, d'une tentative de génocide, c'est-à-dire d'une entreprise planifiée d'annihilation, Churchill l'a dit. Jaurès l'a crié. [.]. Les Turcs eux-mêmes l'admettent. Oui, c'est une chose que l'on ne sait pas assez. [.] Pour tous les savants à l'exception de Bernard Lewis, la question de savoir s'il y a eu, ou non, génocide ne s'est jamais posée et ne se pose pas.

Il ne s'agit pas de 'dire l'Histoire', donc. L'Histoire a été dite. Elle a été redite et archi-dite. Ce dont il est question, c'est d'empêcher sa négation. [.]

On dit : 'Oui, d'accord ; mais la loi n'a pas à se mêler, si peu que ce soit, de l'établissement de la vérité car elle empêche, lorsqu'elle le fait, les historiens de travailler.' Faux. C'est le contraire. Ce sont les négationnistes qui empêchent les historiens de travailler. Ce sont les négationnistes qui, avec leurs truquages, brouillent les pistes. [.]

Il est question de négationnisme, seulement de négationnisme, c'est-à-dire de ce tour d'esprit très particulier qui consiste non pas à avoir une certaine opinion quant aux raisons de la victoire d'Hitler ou des Jeunes-turcs, mais qui consiste à dire que le réel n'a pas eu lieu. []

Ce n'est peut-être pas 'pareil', mais le moins que l'on puisse dire est que la Shoah et le génocide arménien se ressemble. Et le premier à le savoir, le premier à en prendre acte, fut un certain Adolf Hitler, dont on ne dira jamais assez combien le génocide antiarménien l'a frappé, fait réfléchir et, si j'ose dire, inspiré. Ce génocide arménien, ce premier génocide, le fut - 'premier' - à tous les sens du terme : un génocide exemplaire et presque séminal ; un génocide banc d'essai ; un laboratoire du génocide considéré comme tel par les nazis.

Et puis lorsque je me suis plongé dans la littérature négationniste touchant les Arméniens, quelle ne fut pas ma surprise de découvrir que c'est la même littérature, littéralement la même, que celle que je connaissais et qui vise la destruction des juifs. Même rhétorique. Mêmes arguments. Même façon, tantôt de minimiser (des morts, d'accord, mais pas tant qu'on nous le dit), tantôt de rationaliser (des massacres qui s'inscrivent dans une logique de guerre), tantôt de renverser les rôles (de même que Céline faisait des juifs les vrais responsables de la guerre, de même les négationnistes turcs expliquent que ce sont les Arméniens qui, par leur double jeu, leur alliance avec les Russes, ont fait leur propre martyre), tantôt, enfin, de relativiser (quelle différence entre Auschwitz et Dresde ? quelle différence entre les génocides et les victimes turques des 'bandes armées' arméniennes ?)

Bref. A ceux qui seraient tentés de jouer au jeu de la guerre des mémoires, je veux répondre en plaidant pour la fraternité des génocides. [.]C'était la position des pionniers d'Israël, qui, tous, se sentaient un destin commun avec les Arméniens naufragés. La lutte contre le négationnisme ne se divise pas. Laisser une chance à l'un équivaudrait à ouvrir une brèche à l'autre

On dit enfin - et cela se veut l'argument définitif : 'Pourquoi ne pas laisser la vérité se défendre seule ? N'est-elle pas assez forte pour s'imposer et faire mentir les négationnistes ?' Eh bien non, justement ! Parce que ce négationnisme anti-arménien a une particularité que l'on ne trouve pas, pour le coup, dans le négationnisme judéocide : c'est un négationnisme d'Etat ; c'est un négationnisme qui s'appuie sur les ressources, la diplomatie, la capacité de chantage, d'un grand Etat.

Imaginez un instant ce qu'eût été la situation des survivants de la Shoah si l'Etat allemand avait été, après la guerre, un Etat négationniste ! Imaginez leur surcroit de détresse s'ils avaient eu, face à eux, une Allemagne non repentante menaçant ses partenaires de rétorsions s'ils qualifiaient de génocide la tragédie des hommes, femmes et enfants triés sur la rampe d'Auschwitz ! C'est votre situation, amis arméniens ; et il y a là une adversité qui n'a, cette fois, pas d'équivalent et à laquelle je ne suis pas sûr que la vérité, dans sa belle nudité, ait assez de force pour s'opposer.[.]

Eh bien, cette loi qui est celle de la Shoah, ce théorème que j'appelle le théorème de Claude Lanzmann et qui veut que le crime parfait soit un crime sans trace et que l'effacement de la trace soit partie intégrante du crime lui-même, cette évidence d'un négationnisme qui n'est pas la suite mais un moment du génocide et qui lui est consubstantiel, tout cela vaut pour tous les génocides et donc aussi, naturellement, pour le génocide du peuple arménien. On croit que ces gens expriment une opinion : ils perpétuent le crime. Ils se veulent libres-penseurs, apôtres du doute et du soupçon : ils parachèvent l'oeuvre de mort.

Il faut une loi contre le négationnisme parce que le négationnisme est, au sens strict, le stade suprême du génocide.

Dans la première séquence Lévy affirme que le génocide a été largement reconnu. Pourtant  Lévy dénonce les savants qui n'ont jamais voulu savoir et qui ont voulu nier la réalité du génocide. L'auteur souligne le fait que, aujourd'hui, on doit lutter contre la négation. En effet l'histoire a été racontée et ce n'est pas possible de la nier.

Ce sont les négationnistes qui empêchent les historiens de travailler, parce qu'ils brouillent les pistes.


Dans la seconde séquence BHL compare le génocide arménien et la Shoah. Les plans destructives de Hitler sont été inspirés de la stratégie turque. Si on analyse la littérature qui visait à la destruction des juifs, on peut trouver aussi beaucoup de liens en commun.


Probablement l'aspect le plus choquant est exprimé dans la troisième séquence.


Le négationnisme arménien n'est pas circonscrit seulement à une partie de la population turque, mais, au contraire, il est diffusé n'importe où. On parle d'un négationnisme d'Etat, légitimé de la loi. La vérité de l'histoire, ainsi, n'aurait jamais la force de s'imposer et de s'opposer. C'est pour cette raison que Lévy conclut en affirmant qu'il faut une loi contre le négationnisme, parce qu'il est vraiment ' le stade suprême du génocide'.




L'article de Lévy est paru un mois après l'assassinat du journaliste turc Hrant Dink.



-Hrant Dink, ' l'arménien de Turquie '(comme il avait affirmé)


Firat Hrant Dink était un journaliste et un écrivain turc d'origine arménienne, qui a été assassiné à Istanbul devant les locaux de son journal bilingue 'Agos'.


Il a été fondateur et directeur de publication de cet hebdomadaire édité en turc et en arménien.


Firat Hrant Dink

A l'age de sept ans il est arrivé à Istanbul ou il a étudié dans les écoles  arméniens et ou il s'est diplômé en zoologie.


En octobre 2005 il a été condamné à 6 mois de prison avec sursis à cause d'un article affirmant que les arméniens auraient du se libérer de l'obsession turque. Sa thèse disait que l'identité arménienne devait se reconstruire autour du jeune Etat arménien et non uniquement sur l'exigence de la reconnaissance du génocide par les turcs.


Selon les tribunaux ses articles représentaient un affront à l'identité turque au nom de l'article 301 du code pénal turc.


En effet une partie de la presse l'avait interprété comme une thèse raciste.

Hrant Dink a toujours défendu le « vivre ensemble » et sa citoyenneté turque. Il soulignait le besoin de démocratisation de la Turquie et il se focalisait sur les questions de droits des minorités. Pour ces raisons on ne pouvait pas penser à lui comme à un raciste. Il voulait améliorer les rapports entre la Turquie et l'Arménie ; il était seulement un activiste pour la paix.


La communauté européenne avait critiqué cette condamnation, mais il continuait à être victime des menaces de mort. Son engagement, pour la vérité sur le génocide arménien, lui avait valu l'hostilité du gouvernement turc et des milieux nationalistes.


Pendant les dernières années, Hrant Dink avait compris que ce que ses concitoyens éprouvaient envers son action, était de l'haine. Il aurait voulu s'en fuir de celle réalité, mais il avait compris que s'il avait fait, il aurait trahi tout ce que il avait fait jusqu'a ce moment.


Quand il avait été condamné, il avait perdu son espoir, mais le procès lui avait donné une force nouvelle.


Malheureusement, la presse divulguait des affirmations fausses. Par exemple on disait que Dink avait affirmé que le sang turc était empoisonné. Il recevait des lettres de menaces, de insultes et tout cela lui faisait très mal.


Pourtant il se disait que sa dernière arme était l'honnêteté, mais quand il avait su la décision du tribunal il avait complètement perdu sa confiance en l'Etat et en la justice.


Il souffrait pour la « torture psychologique » à la quelle il était soumis. Il se sentait à la limite entre vie et mort.


Le 19 Janvier 2007 sa liberté a été supprimé par son meurtrier:un jeun turc de 17 ans, Ogun Samast.

Le jeun a affirmé  qu'il n'éprouvait aucun remords, mais seulement que Dink avait offensé son peuple.

L'assassinat a bouleversé l'opinion publique:tout le monde a été choqué.


Erdogan, le chef de la gouverne turc avait affirmé que Hrant Dink était fils de la Turquie et que  avec lui on avait assassiné la Turquie entière.

Cette nation, ainsi, se trouve à un point crucial, parce que si elle réussit à suffoquer les nationalistes, on pourra parler de nouveaux changements vers la liberté.









Webgrafia


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Bibliografia

Enciclopedia Encarta

www.ilmanifesto.it

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I Turchi, costituiscono circa il 90% della popolazione della Turchia.

Numerose minoranze etniche popolano la Turchia: Curdi, Armeni, Arabi, Circassi, Georgiani, Greci, Albanesi, ecc. Bisogna far attenzione a non incorrere nella gaffe imperdonabile di assimilare i Turchi agli Arabi: si tratta infatti di due gruppi etnici assolutamente differenti, e sia i Turchi che gli Arabi ci tengono moltissimo a sottolinearlo. La più grande minoranza è rappresentata dai curdi (musulmani), in via di costante aumento demografico a causa dell'alto tasso di natalità, stanziati soprattutto nelle zone sud-orientali del paese mentre lungo la zona di confine con la Siria abitano gruppi di arabi (1-2%). Fino alla prima guerra mondiale risiedevano in Turchia forti minoranze di armeni e di greci (ortodossi) ma dei primi, dopo il loro sterminio, ne restano circa 40.000 mentre i greci-turchi furono scambiati con turchi abitanti in Grecia; i circa 10.000 greci rimasti oggi vivono soprattutto a Istanbul. La comunità ebrea turca è il risultato di un grande afflusso che ebbe luogo nei 1500, quando gli ebrei abbandonarono forzatamente la Spagna e l'impero Ottomano diede loro asilo. Essi portarono la conoscenza di molte recenti scoperte scientifiche europee e provocarono un notevole avanzamento economico. Poche migliaia di individui contano anche le minoranze dei Laz (popolo del Mar Nero), Circassi, Georgiani e Bulgari islamici.


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