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Il crollo dello Stato liberale; il Fascismo




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Il crollo dello Stato liberale; il Fascismo




Il dopoguerra dal 1918 al settembre 1920

Situazione economica:

L'Italia del dopoguerra era caratterizzata da una gravissima situazione economico-finanziaria, connessa a problemi (inflazione, disoccupazione, necessità della riconversione industriale) analoghi a quelli che riguardavano tutta l'Europa, ma aggravati per l'Italia dalla mancanza di risorse minerarie. Inoltre la guerra, togliendo braccia alla terra, aveva provocato una diminuzione della produzione agricola. Nel 1920 la crisi si acuì, in concomitanza con una gravissima recessione economica europea; si intensificarono le agitazioni del "biennio rosso" .

Mutamenti del quadro politico-sociale:

profonde trasformazioni sociali (declassamento della piccola borghesia e dei ceti medi, maturazione e rivendicazioni del proletariato operaio e contadino);

crisi della classe dirigente liberale, accusata ora di aver voluto una guerra ingiustificata, ora di non aver saputo trarre vantaggi adeguati dai sacrifici compiuti;

crescita del socialismo, in seguito agli avvenimenti verificatisi in Russia; ma il Partito era travagliato da un insanabile dissidio tra i massimalisti rivoluzionari e i riformisti; nell'impossibilità di una collaborazione dei massimalisti con le forze democratico-borghesi, il Partito rimase isolato;

nascita del Partito Popolare Italiano ad opera del sacerdote siciliano don Sturzo, Partito che si dichiarava aconfessionale e democratico e che chiedeva una radicale riforma agraria, una riforma elettorale (che garantisse l'adozione del sistema proporzionale e l'estensione del diritto di voto alle donne) e un ordine amministrativo decentrato; ma il Partito nasceva con "due anime", una democratica e l'altra conservatrice, per cui non poté allearsi né con le forze socialiste né con i liberali;

le masse piccolo-borghesi rovinate dalla guerra e prive di difese sindacali, nazionaliste per mentalità e per cultura, esprimevano il loro disagio in un atteggiamento di rivolta sia contro i "pescecani", sia contro i proletari, coi quali temevano ora di confondersi a dispetto delle tradizionali gerarchie sociali; alla fine del 1918 sorse l'Associazione Nazionale Combattenti che rivendicava il valore supremo della patria e della guerra e al tempo stesso richiedeva una Costituente che desse nuove basi al Regno d'Italia;

le associazioni combattentistiche e la piccola borghesia nazionalistica formarono la base naturale del movimento dei Fasci Italiani di Combattimento, movimento che nel suo programma accoglieva le rivendicazioni più diverse (sosteneva la necessità di istituzioni repubblicane e di riforme sociali, e contemporaneamente prospettava posizioni di tipo nazionalistico).




L'occupazione delle fabbriche (settembre 1920) fu l'episodio più grave del biennio rosso. Fu iniziata dalla F.I.O.M. (Federazione Italiana Operai Metallurgici), aderente alla C.G.L., per reagire all'intransigenza del padronato. Al di fuori dei sindacati, i Consigli di fabbrica eletti dai lavoratori intendevano invece, configurandosi come una sorta di soviet, sostituirsi ai padroni nella gestione delle aziende, dare origine a un potere rivoluzionario che avrebbe dovuto estendersi anche aldilà delle fabbriche. Circa trecento stabilimenti del triangolo industriale furono occupati dagli operai, che continuarono autonomamente la produzione. Ma, a causa del conflitto tra la linea della C.G.L., che mirava essenzialmente a miglioramenti salariali, e quella dei gruppi più rivoluzionari, gli operai rimasero senza una guida coerente. Con la mediazione di Giolitti e della C.G.L. si venne ad un accordo, che prevedeva miglioramenti sindacali. La conclusione dell'episodio segnò il declino del movimento operaio; dall'altra parte s'ingigantì la paura della borghesia per il "pericolo rosso": dopo il settembre 1920 si moltiplicarono i fasci, con l'appoggio della borghesia capitalistica.




Dal settembre 1920 alla marcia su Roma

L'occupazione delle fabbriche e un grande sciopero agrario nel bolognese indussero Mussolini a puntare sulla paura della borghesia di fronte alla minaccia del bolscevismo e sull'irritazione del padronato nei confronti di Giolitti, che non era intervenuto militarmente durante i fatti di settembre. Mussolini si diede a organizzare una "controrivoluzione preventiva" fondata su strutture paramilitari, le "squadre d'azione"; queste si spostavano sui camion dalla città alle campagne, e si diedero ad uccidere dirigenti sindacali, a distruggere ovunque Camere del Lavoro, Leghe rosse e bianche, Cooperative, cioè le organizzazioni che avevano permesso la partecipazione popolare al potere locale; lo squadrismo si estese in varie regioni.

Da Giolitti, che intervenne debolmente, agli organi periferici (i prefetti), alla polizia, all'esercito, tutti gli apparati statali collaborarono in modo più o meno aperto coi fascisti, nemici dichiarati dei "rossi" e difensori della proprietà.

Le elezioni del maggio 1921 non registrarono un significativo successo dei blocchi nazionali, che Giolitti aveva formato con l'intento di controbilanciare i partiti di massa. Giolitti si dimise; si era intanto verificato l'ingresso alla Camera di 35 deputati fascisti.

Nel novembre 1921 Mussolini trasformò i Fasci di combattimento in Partito Nazionale Fascista (P.N.F.), con un programma che prevedeva uno "Stato fortissimo", il rifiuto dell'internazionalismo, una politica estera imperialistica, una politica economica liberistica, e ossequio alla Chiesa in materia religiosa.

I disaccordi sempre più gravi all'interno del Partito socialista portarono all'espulsione dei riformisti, alcuni dei quali formarono il Partito Unitario Socialista (P.U.S.), mentre la C.G.L., dominata dai riformisti, rompeva ogni legame con i massimalisti.

Nel Congresso di Napoli dell'ottobre 1922, Mussolini definì il progetto di una "marcia su Roma", cioè di una presa del potere centrale mediante un colpo di stato che voleva configurarsi come <<rivoluzione fascista>>. Si formò un <<quadrumvirato>> col compito di preparare la spedizione; il 28 ottobre le bande fasciste occuparono la città; il 30 ottobre Mussolini chiese e ottenne dal re l'incarico di Presidente del Consiglio.


Dal ministero di coalizione alla dittatura di fatto (ottobre '22 - gennaio '25)

A capo del ministero di coalizione, Mussolini promise la "normalizzazione", cioè il rientro nella normalità e nella legge dopo il colpo di stato: ma in realtà percorse a marce forzate la via di una dittatura di fatto, attraverso vari provvedimenti, abili manovre politiche e il ricorso alla violenza:

istituì nel dicembre '22 il Gran Consiglio del Fascismo che, privo all'inizio di veste giuridica, decideva sulle principali questioni di politica interna ed estera;

inquadrò le squadre fasciste nella Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale;

fece approvare una nuova legge elettorale maggioritaria (legge Acerbo, 1923), in virtù della quale la lista che avesse conseguito la maggioranza relativa dei voti avrebbe avuto i 2/3 dei seggi;

fece assassinare il deputato socialista Giacomo Matteotti, che all'indomani delle elezioni aveva denunciato le violenze e i brogli elettorali.

Nel gennaio 1925 in un discorso alla Camera Mussolini dichiarò di assumersi "la responsabilità politica, morale e storica di tutto quanto era avvenuto", preannunciando così la fine di ogni libertà costituzionale e la propria dittatura. Seguirono arresti di antifascisti, violenze, sequestri di giornali di opposizione.







Dalla dittatura di fatto al regime totalitario ('25 - '28)

Tra il 1925 e il 1928 la dittatura di fatto ebbe la sanzione di un'attività legislativa che portò a compimento la trasformazione dello Stato liberale in Stato fascista. Le "leggi fascistissime" promulgate tra il '25 e il '26 eliminavano la distinzione dei poteri, trasferendo il potere legislativo all'esecutivo; eliminavano inoltre ogni residua libertà politica, civile, sindacale. Fu soppresso il sistema elettivo per le amministrazioni comunali e provinciali (i sindaci democraticamente eletti furono sostituiti da Podestà di nomina governativa); fu rafforzato il potere dei prefetti; fu proibito lo sciopero; furono sciolti tutti i partiti, ripristinata la pena di morte, istituiti un Tribunale speciale per la difesa dello Stato (formato da autorità fasciste) e una potente organizzazione poliziesca, l'OVRA (Organizzazione per la vigilanza e la repressione dell'antifascismo).

Nel '28 il Gran Consiglio del Fascismo divenne un organo costituzionale e fu introdotto il sistema elettorale della lista unica, costituita da 400 candidati scelti dal Gran Consiglio del Fascismo.




Caratteristiche dello Stato totalitario fascista



Era uno Stato fondato su una dittatura personale e un partito unico, che intendeva riorganizzare il Paese e l'intero corpo sociale inquadrando le masse nella struttura del regime, condizionandole in modo totale sia nei comportamenti che nella mentalità, e facendo leva su una massiccia propaganda e su una spietata repressione poliziesca.

La presenza del partito fascista nella società civile divenne sempre più incombente (l'iscrizione al Partito era necessaria per ottenere impieghi statali); numerose erano le organizzazioni collaterali, con compiti propagandistici, assistenziali, educativi.

La persecuzione degli oppositori determinò l'intensificazione del fenomeno del fuoriuscitismo (dopo il '25, circa 10.000 antifascisti trovarono rifiugio all'estero).

















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