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Martin heidegger




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MARTIN HEIDEGGER



Il pensiero



A

partire dagli anni '30 il pensiero di Heidegger subisce una svolta - kehre - radicale. Il suo precedente scritto, Essere e Tempo, rimase un'opera incompiuta in quanto mancante della terza e conclusiva sezione. Nella prima parte Heidegger partendo dal centrale problema dell'essere riflette sul problema dell'essere dell'esserci; concludendo che l'esserci si rapporta al mondo o come esistenza inautentica, che ha nel si impersonale l'emblema di questa intercambiabilità dell'esserci e la conseguente spersonalizzazione dello stesso, o come essere-nel-mondo, prendendosi cura di sé, degli altri e delle cose; Il concetto di cura lega quindi l'esserci alla dimensione di temporalità, ripresa poi nella seconda parte dell'opera. Infine l'esserci può abbracciare l'esistenza autentica; quest'ultima esperienza inizia con uno stato di angoscia, dove nella mancanza del soggetto di tale paura l'esserci sperimenta la libertà, riconoscendosi come essere possibile e distinto dagli altri enti. Dalla generalizzazione di questa esperienza l'esserci, per vivere in modo autentico, deve assumere una decisione anticipatrice con la quale ammette la possibilità della morte, intesa come l'opzione più personale e propria del singolo. Con la capacità di crearsi un'alternativa l'esserci si autenticizza, diventando essere-per-la-morte.

Il secondo oggetto della sua riflessione riguarda il problema del senso dell'essere, un problema che Heidegger individua nel rapporto tra essere, esserci e tempo. Essere ed esserci infatti si audeterminano nel rapporto dialettico tra di essi, e la conoscenza dell'essere deriverà quindi dallo scoprire i modi d'essere dell'esserci. Inoltre l'esserci - e di conseguenza l'essere - devono inserirsi nel tempo; tuttavia questa correlazione non deriva dal fatto che l'esserci sia temporale perché è nella storia, ma dal concetto dell'esistenza dell'essere derivante solamente dal suo carattere di temporalità. La Storia quindi non è più un ente dove passato, presente e futuro sono slegati ma un unicum che estrinseca lo storicizzarsi nel tempo dell'esserci esistente, diventando l'unica via possibile della comprensione dell'essere in generale.

Le due precedenti sezioni dovevano essere preparatorie per l'ultima parte, denominata Tempo ed Essere, la quale doveva chiarire il problema del senso dell'essere in generale; ma Heidegger non riesce a concludere la costruzione dell'opera, convinto dell'inadeguatezza del pensiero finora espresso.

Quindi opera una svolta, mosso soprattutto - anche se sulle ragioni della kehre è stato piuttosto ambiguo - dalla non idoneità del linguaggio metafisico tradizionale a risolvere il problema dell'essere e dall'impossibilità di raggiungere l'essere partendo dall'esserci, volta a rovesciare le basi del suo costante ragionamento sull'essere. Il rapporto con esso infatti si sposta verso l'indagine condotta direttamente dal punto di vista dell'essere che secondariamente, in quanto concetti subordinati, chiarificherà i vari enti e l'esserci.


L'ontocentrismo quindi rimane, mentre varia l'ottica con la quale ci si accosta al problema. In questa seconda fase Heidegger inizialmente rivede concetti come la differenza ontologica, il nulla e la verità.

Partendo dalla visione dell'esserci come fondamento da cui tutto deriva ma che non fonda se stesso, il filosofo tedesco individua l'essere come colui che, tramite l'esserci, rende visibile l'ente. Di conseguenza viene chiarita la differenza ontologica tra essere ed ente, secondo la quale l'essere non è l'ente perché ontologicamente diverso da quest'ultimo.

Nello scritto Che cos'è la metafisica? (1919) il pensatore tedesco si sofferma sul problema del nulla, un quesito che riguarda, al contrario delle scienze che si occupano degli enti, soltanto la metafisica. In questo saggio il nulla definito come niente - nel senso etimologico di non-ente - che si concretizza nella negazione e che diviene oggetto d'esperienza attraverso il sentimento d'angoscia. In questa esperienza trascendente si può comprendere che essere e nulla coincidono:


"il niente e l'essere sono la stessa cosa"

(Che cos'è la metafisica?, pag. 71, nota a)


"Da ciò il risultato apparentemente paradossale del discorso di Heidegger: l'esperienza del nulla coincide con l'esperienza dell'essere, inteso come ciò che non è l'ente (differenza ontologica) ma rende visibile l'ente. In sintesi, l'esserci, nella sua trascendenza, può fare l'esperienza del nulla (dell'ente) solo a patto di procedere oltre l'ente, cioè di rapportarsi all'essere, il quale, nei confronti dell'ente finisce per configurarsi con il nulla (dell'ente)."

(N. Abbagnano, G.Fornero, Itinerari di filosofia, pag 706 ,passim)


Infine la verità si delinea come accadere dell'essere stesso. Da proprietà dell'uomo, una facoltà del soggetto riconducibile a concetti che vanno dalla diànoia aristotelica alla volontà di potenza nietzscheana diventa un atto di disvelamento dell'essere, indipendente dall'esserci. Questo atto di disvelamento è parziale e di conseguenza implica dialetticamente la non-verità come alla luce è implicato il buio. La verità, recuperando la sua originaria dimensione eraclitea, diventa quindi a-lètheia, ossia non-nascondimento indicando così il gioco dialettico tra ciò che è stato svelato dell'essere e ciò che deve essere ancora detto.


La riformulazione di questi concetti porta Heidegger a riconsiderare il termine "metafisica" in maniera fortemente negativa: da studio dell'essere in quanto essere diventa una disciplina che da Anassimandro a Nietzsche ha dimenticato la differenza tra essere ed ente, elevando l'intelletto umano - un ente - al piano dell'essere, alterandosi in oblio dell'essere (seinsvergessenheit).

La metafisica per Heidegger non è semplicemente una sezione della filosofia: analizzando la coincidenza delle parole chiave della metafisica - idea, atto, verità, sostanza, soggetto, spirito, volontà etc. - coi quali essere ed ente si sono rapportati, la metafisica da accadimento della storia diviene l'accadere stesso della storia.

Una storia della metafisica che si conclude con Nietzsche, che nella volontà di potenza vede l'essenza dell'ente ed eleva l'oltre-uomo ad essere eliminando così ogni trascendenza ed arrivando a coincidere con il nichilismo. La volontà di potenza, con la sua connotazione soggettivista e nichilista, diventa il punto conclusivo di un percorso iniziato già da Cartesio e nel quale Nietzsche, filosofo del nichilismo viene riconosciuto anche come filosofo della tecnica.

L'uomo, attraverso la tecnica, allargherà, secondo il filosofo di Röcken, la propria influenza sul mondo con l'obiettivo finale di assumerne il dominio incontrastato. La tendenza della tecnica è infatti quella di ottenere un unico consumatore, un unico pensiero, un'unica religione, un unico mercato, un'unica morale, un'unica legislazione e infine - perché no? - l'unica razza del meticcio universale. La tecnica vuole la semplificazione.

Ma questa semplificazione tende ad annullare l'uomo: tutte le ideologie, le fedi, le religioni vengono spazzate via inesorabilmente dall'impianto, ed ogni popolo ne viene coinvolto in un processo di globalizzazione senza scampo.


L'ultimo Heidegger cerca di oltrepassare questa visione di primato della tecnica e della metafisica in quanto disvelamento dell'essere nell'esserci, essa può contenere la possibilità di un disvelamento originario ed alternativo, che individuo una realtà più profonda dell'essere.

La salvezza dal Gestell - ovvero la totalità alienante del porre tecnico - deriverà non dall'uomo, ma dall'attesa di un ulteriore disvelamento dell'essere. In quest'ottica si può comprendere - almeno in parte - l'ultima frase del filosofo tedesco:


"ora soltanto un Dio ci può salvare"



La riflessione Heideggeriana sul linguaggio


L'ultimo Heidegger rivede anche il rapporto tra essere ed esserci, tentando così un oltrepassamento della metafisica : dalla situazione attuale, nella quale il dominio della tecnica ha delineato un rapporto - fallace - dove l'uomo crede di disporre dell'essere, l'uomo si deve ridestare e riconoscersi come pastore dell'essere. La cura dell'uomo sarà quindi il compito di salvaguardare e custodire nel pensiero la verità dell'essere; ma poiché l'atto di svelamento è indipendente dall'esserci, l'uomo potrà solamente ripercorrere la storia della metafisica, specialmente i primi pensatori greci precedenti Platone, per pensare a ciò che è rimasto velato - o non pensato - in essa. Il pensiero si configura come interpretazione storica per riscoprire ciò che è rimasto dimenticato ed occultato nella tradizione metafisica, facendo emergere l'impensato nell'attesa di un ulteriore disvelamento dell'essere. Condizione necessaria per iniziare questa esperienza è quella di porsi di fronte a quel che è già stato pensato considerandolo non come un ente rigido, bensì un elemento allusivo sul quale non si è riflettuto correttamente e facendo così emergere ciò che era degno di essere conosciuto.


A questi concetti Heidegger affianca una costante riflessione sul ruolo del linguaggio: già da Essere e Tempo esso era visto come veicolo della tradizione storico-collettiva, e in questa fase assume un ruolo ancora più importante. Il linguaggio infatti diventa elemento necessario per custodire la verità, il luogo nel quale avviene l'incontro tra l'essere, che si dirada appunto nel linguaggio, ed il pensiero che lo porta a compimento del linguaggio. Con questo ragionamento viene superata la concezione tradizionale del linguaggio, considerato soltanto in termini di comunicazione verbale, come un ente che ha la proprietà di essere segno o strumento per informare sugli enti per diventare l'evento in cui l'essere si manifesta nella storia.

Il linguaggio è sempre stato presente durante tutta la storia: l'esserci quindi è sempre stato inserito nel linguaggio che di conseguenza non viene considerato una creazione dell'uomo. Proprio a causa della predeterminatezza del linguaggio, il parlare dell'uomo poggia sull'ascolto e sull'appropriazione di quel che è detto nel linguaggio: propriamente non è mai l' uomo che parla, ma il linguaggio stesso.

Da questi presupposti deriva la definizione Heideggeriana di linguaggio come casa dell'essere, cioè luogo dove gli enti - e l'essere - si mostrano storicamente all'uomo.

Questo luogo non è un ambito fisso, totalmente disponibile, in cui l'essere si inserisce come semplice presenza; piuttosto il linguaggio è essenzialmente storico e poiché in esso essere e pensiero trovano punti di contatto, il pensiero potrà avvicinarsi all'essere solo se ad esso si rapporta in maniera storica conducendo una costante esegesi sull'essere.

Con questa riflessione il filosofo tedesco salda fra loro Essere-Tempo-Linguaggio: la storia si estrinseca nel linguaggio e le parole chiave della storia, ovvero i diversi modi di manifestarsi dell'essere  - schiavitù, nobiltà, borghesia, proletariato, totalitarismo, globalizzazione, etc. - si concretizzano nella temporalità. Nel linguaggio infatti si prepara una nuova epoca; le diverse manifestazioni dell'essere, coincidenti con il mutamento delle parole essenziali del linguaggio, determinano un diverso modo di accostarsi al mondo ed agli enti, ovvero un nuovo sistema politico, culturale ed economico.

L'essere si concretizza nella dimensione linguistica, in quanto il linguaggio è quell'evento attraverso il quale l'essere si eventualizza; tuttavia esso mostra i suoi limiti proprio confrontandosi con questa impegnativa parola.


"Sebbene la filosofia di Heidegger ruoti tutta quanta intorno all'essere proprio questo termine ha finito, ai suoi occhi, per risultare insoddisfacente, come mostra l'uso nei suoi scritti della grafia arcaica Seyn o la cancellatura cruciforme di Sein (che allude alla necessità di difendersi dal modo di pensare metafisico)".

(N. Abbagnano, G.Fornero, Itinerari di filosofia, pag 710 ,passim)


Questi espedienti mostrano l'insoddisfazione nei confronti della stessa nozione antimetafisica di differenza ontologica che in quanto rappresentazione dello scarto tra essere ed ente sembra pensare l'essere a partire dall'ente, ossia in modo ancora metafisico. Solo se avverrà un totale svelamento dell'essere l'esserci potrà scegliere nel linguaggio - forma di manifestazione dell'essere - una parola che definisca compiutamente il concetto ora indefinibile di essere. Questo evento è pressoché impossibile che si eventualizzi, quindi per ora l'essere non può che essere definito in maniera analogica e parziale.

Nonostante i limiti imposti dal concetto stesso di essere il linguaggio è il luogo dell'accadere della verità, dove l'essere è custodito e protetto nel suo manifestarsi e nascondersi, tracciando così le varie epoche dell'uomo. Ogni accadere dialettico della verità diventa essenzialmente un accadere linguistico: le parole elementari della lingua - greco e tedesco erano, a suo parere, le lingue per eccellenza del pensiero - diventano parole nelle quali l'essere si manifesta e si temporalizza e vanno quindi preservate.

Grazie a questo pensiero, l'esistenza abita la casa dell'essere, ossia il linguaggio, che pertanto si manifesta come la memoria propria dell'uomo: l'uomo quindi abita nel linguaggio con l'essere: un linguaggio che non si riduce a manifestazione del pensiero ma include in sé anche la poesia. Pensiero e poesia sono quindi strettamente collegati: mentre il pensiero riflette storicamente sull'essere il poeta inventa un nuovo linguaggio a partire dalla verità attuale aprendo così un nuovo modo dell'essere all'uomo. La poesia, anche riferendosi al suo significato etimologico, crea con le parole immagini e figure particolarmente suggestive che manifestano il carattere inafferrabile dell'essere, al contrario di una tradizione metafisica che la include in rigide definizioni e concetti.


Il pensiero e la parola poetica sono dunque collegati da una costante ricerca di ciò che è stato dimenticato e perduto durante tutta la storia della metafisica, nell'attesa di una nuova epoca dell'essere e del linguaggio.




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