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"Ultime lettere di Jacopo Ortis"




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"Ultime lettere di Jacopo Ortis"


Data

Tema


11 Ottobre 1797

"Il sacrificio della patria nostra è consumato" politica, patriottismo, amore per la vita e per i propri cari, ma anche solitudine, miseria della vita, morte, desiderio della sepoltura in patria.


26 Ottobre 1797

"Teresa": bellezza, valore della famiglia e degli affetti, campagna gioiosa, ma anche percezione della miseria umana e compiacimento per una vita burrascosa.


4 dicembre 1797

"Il colloquio con Parini": la delusione storica": amicizia, bellezza, valore della famiglia, patria ma anche gusto per il dolore, ammirazione per il ribelle e disgusto per l'indolente, miseria della vita umana, desiderio di morte.


17 Marzo 1798


"Il problema di una classe dirigente in Italia" patriottismo, libertà, rifiuto della mentalità capitalistica e recupero del contatto uomo-natura (per avvicinarlo al culto della propria terra desiderio di una patria) ma constatazione dell'utopia, desiderio di morte. Attacco a Napoleone. Attacco alla nobiltà indolente e alla Chiesa corrotta.


17 Marzo 1798


"Napoleone e i patrioti" fratellanza, desiderio di patria, libertà, vita passionale e sentimento amoroso ma anche odio per il tradimento(piuttosto la morte), attacco all Francia e a Napoleone coraggioso ma traditore, odio per il tiranno e pianto per la libertà perduta.




13 Maggio 1798


"La natura" bello e amore che per un po' mitigano i dolori, concezione del sublime, natura solitaria, natura lavorata dell'uomo, impossibilità di esprimere il sublime sublime eleva lo spirito, tendenza all'infinito presenza della morte, caducità della vita, visione materialistica del mondo(cimitero di campagna e tombe), permanenza delle passioni in vita, pessimismo vitale. Richiamo ai classici che cantano le passioni(Omero, Dante, Shakespeare), natura specchio dell'uomo romantico.(giorno del bacio con Teresa).



15 Maggio 1798


"Illusione e mondo classico" funzione sublimante della donna angelo, natura ridente e partecipe della gioia del poeta, poesia sacra e mezzo per raggiungere l'eterno nonostante la caducità umana, impossibilità di esprimere la bellezza, pietà e compassione come vere virtù, amore(bellezza) è momentanea cura per il dolore, natura idilliaca e gioiosa. Consapevolezza dell'illusione ma anche consapevolezza che solo in lei si può vivere, mondo classico aveva trovato il vero e il bello nella perfezione artistica. Se l'amore cesserà nel cuore, l'unica via di scampo sarà strappare via il cuore(morire).




25 Maggio 1798


"La natura" ci sono pochi elementi positivi: la natura idilliaca che protegge gli uomini e il desiderio di una vita serena. Ma : paesaggio burrascoso che rispecchia e quieta per un po' l'anima, concezione del sublime e della miseria umana, solitudine, malinconia e desiderio d'infinito, vita di illusioni e desiderio di purezza puerile, fugacità del tempo e desiderio di morte, morte in patria e compianto dei propri cari in cui la caducità del tempo si trasforma in eternità del ricordo, morte come fatto naturale, nobiltà delle passioni controverse dell'anima.




25 Settembre 1798


"Patria" poesia come mezzo di esaltazione del sentimento, sacralità della natura. Lotte fratricide e mancanza di una concezione nazionale, ignoranza della storia passata come maestra di vita, divisione tra "italiani" e Italia come campo di conquista per gli stranieri, odio per lo straniero conquistatore, esilio in patria, tendenza all'infinito, desiderio di morte perché dare una patria agli Italiani è utopia!(perde le speranze che davano ancora ragione alla sua vita travagliata).


12 Novembre 1798

"La sepoltura lacrimata" compresenza della vita e della morte: pini e cipressi, sole e nebbia morente, natura felice e trascorrere del tempo; vecchiaia in famiglia, morte in patria e ricordo da parte dei cari e dei compaesani ma tutto questo è fantasia perché lui morirà giovane e senza patria.




19 e 20 Febbraio 1799

"Natura e morte": pace coincide con la morte, natura minacciosa e grandiosa vs piccolezza dell'uomo, Italia senza gli Italiani e patriota come stupido titano(perde la speranza nella patria),ricordo degli antichi come uomini magnanimi ma odio per il titano che è tiranno per l'altro popolo(politica vs morale), destino di morte per tutto ciò che vive. Pessimismo riguardo agli uomini(come Machiavelli), prevalenza della fortuna sulla virtù( ), compassione e pudore sono le uniche virtù non usuraie. Inutile tendenza all'infinito, luogo natio e l'unica patria che ci rimane, compianto degli uomini buoni e amore per Teresa.


20 Marzo 1799

"Pessimismo": l'uomo non sa, non può conoscere non può vedere nulla se non la consapevolezza della propria miseria e della sua nullità rispetto all'infinito.



25 Marzo 1799

"Ultima lettera, Teresa" molti temi petrarcheschi: natura partecipe del dolore umano; donna angelicata, divina, con funzione salvifica, sacra; amore-morte, più è forte l'amore più avvicina alla morte(Cavalcanti). Tutto si conclude nell'infinito, desiderio del compianto di Teresa, suicidio non come atto inconsapevole ma ben meditato e unica soluzione ad una vita senza più ideali(la vita dopotutto non era che dovere nei confronti di chi ci ama).




Preludio:             

Questa lettera è scritta 6 giorni prima del trattato di Campoformio. Jacopo dapprima esprime il dolore per le sventure della patria, il cui sacrificio è ormai compiuto, sicché ai patrioti non rimane altro che piangere per le loro sciagure e per la vergogna di non aver saputo difendere l'indipendenza della patria. Poi risponde risentito al consiglio dell'amico di sottrarsi alle persecuzioni con la fuga; egli non lo farà mai, perché, per sottrarsi agli Austriaci dovrebbe consegnarsi ai Francesi, a coloro cioè che avevano tradito e venduto la sua patria. Jacopo sa di essere nella lista di proscrizione, ma per ora, su consiglio della madre si trova in un vecchio podere sui colli Euganei, dove non intende fuggire, perché nella sua solitudine trova almeno il conforto di poter vedere di lontano Venezia. Egli si duole delle persecuzioni subite dai patrioti, non tanto ad opera degli Austriaci, quanto ad opera degli stessi italiani, e non se ne meraviglia perché purtroppo - egli dice - noi stessi Italiani ci laviamo le mani nel sangue degli Italiani, cioè combattiamo sempre tra di noi invece di essere unti contro gli stranieri. Quanto alla sua sorte egli ormai non se ne cura, perché ha perduto ogni speranza nella patria ed in sé e la vita non gli appare più degna di essere vissuta. Pertanto egli si affida al destino, aspettando tranquillamente la prigione e la morte, col solo conforto che il suo cadavere non riposerà in terra straniera, ma nella terra dei padri ed il suo nome, per evitare le persecuzioni degli oppressori, sarà sommessamente compianto da pochi uomini, compagni di sventure.

In questa lettera troviamo alcuni dei motivi fondamentali della poesia foscoliana e precisamente quello della libertà della patria sentita come la ragione stessa della vita e quella della sepoltura confortata dal pianto degli amici: solo questo costituisce per il Foscolo il solo modo per sopravvivere idealmente oltre la morte. Quanto allo stile, nella prima parte ha un tono declamatorio e concitato, nella seconda è più sommesso ed elegiaco.


La lettera di Ventimiglia

Jacopo riflette prima sulla storia d'Italia, un tempo dominatrice, ora serva dello straniero; poi sull'eterna onnipotenza delle umane sorti (cfr. Sepolcri, vv 153-154), ossia sul destino che tocca alternativamente ai popoli, ora di dominare sugli altri, ora di essere dominati; infine sulla generale infelicità degli uomini. Nella prima parte della lettera, Jacopo, preso dallo sconforto per la sua condizione di esule, si sforza di giustificare razionalmente il suicidio, ribattendo alle obiezioni che si possono sollevare contro di esso. Egli riconosce che ormai la sua esistenza, crollati tutti gli ideali in cui credeva, non giova più a nessuno, né alla patria né alle persone amate, anzi queste per causa sua possono subire anch'esse le persecuzioni. Perciò da Ventimiglia, dove è giunto per passare in Francia su consiglio della madre e dell'amico, decide di rinunziare ad emigrare e di tornare in patria sui colli Euganei e di morire. Questa decisione gli dà un senso di pace, ma più che di pace - dice all'inizio della seconda parte - si tratta di un tipo di stanchezza simile al sonno della morte. Come si vede, di tutto il paesaggio Jacopo rileva solo gli aspetti più orridi e selvaggi, cari allo spirito romantico, perché conformi allo stato d'animo di chi è sconvolto dalle passioni. La vista dei monti intorno a Nizza offre lo spunto a Jacopo di meditare sulla storia d'Italia e dalla conseguente dominazione straniera. A questo punto la concezione meccanicista e deterministica della storia che ispira fatalismo e pessimismo, in quanto appare come una serie di violenze e di sciagure, fatalmente ineludibili, sembra incrinarsi e aprire la speranza di un domani migliore. Quando Jacopo dice che la sterilità di un campo prepara la prosperità dell'anno seguente, intende dire che le sciagure d'oggi forse preparano una vita diversa, più bella e finalmente conforme ai desideri umani.

La lettera è importante perché svolge la prima fase del pensiero del Foscolo, caratterizzata da un pessimismo totale che lo porta a vagheggiare il suicidio come solo rimedio alla vita infelice, un suicidio che è insieme liberazione e protesta: liberazione dall'infelicità e dal dolore, e protesta contro il capriccio del destino che incombe sugli uomini con le sue fatalità incomprensibili ed ineluttabili. E' parimenti importante perché il Foscolo, che proprio dall'Illuminismo ha ricavato la concezione meccanicistica e deterministica della realtà, qui concepisce la ragione, tanto esaltata dagli Illuministi, un dono funesto della natura, perché, mentre ci apre gli occhi sulla tragica condizione umana di miseria e di dolore sulla terra, ridotta ad una foreste di belve, non ci ha fornito alcun mezzo per rimediarvi. Ma se disprezza la ragione, in compenso il Foscolo già romanticamente esalta il sentimento, quando fa dire a Jacopo di provare piacere al pensiero del compianto dopo la morte e al pensiero dell'illusione, secondo la quale, se le passioni vivono dopo il sepolcro, il suo spirito doloroso sarà confortato dai sospiri di quella celeste fanciulla, che egli credeva nata per lui e il destino feroce gli ha strappato dal petto.

Il pessimismo sarà poi superato mediante la fede nelle "illusioni" (la bellezza, l'amore, l'armonia del creato, la poesia, la patria, la gloria) che con la loro forza e dolcezza riescono a dare, negli spiriti più sensibili, uno scopo ed un significato alla vita.


Il Parini       

Ortis, nel suo peregrinare per l'Italia, giunge a Milano, capitale della Repubblica Cisalpina, dove incontra il Parini. Anche in questa lettera troviamo anticipata la parte dei Sepolcri (vv. 53-77), dove Foscolo parla di Parini

Il colloquio tra Parini e Ortis ha carattere politico e morale. Il dialogo si apre con la descrizione e l'analisi delle conseguenze che l'avvento di Napoleone ha causato:

Il dominio francese non ha fatto altro che ridurre l'Italia a Stato sottomesso, così come le "antiche tirannidi" spagnole del Cinque e Seicento hanno fatto a loro tempo;

Gli uomini di lettere si sono "prostituiti" alla tirannia, mettendo al servizio del nuovo regime la propria arte tornando ad incarnare la figura dell'intellettuale cortigiano che post-pone la propria arte all'esaltazione e alla propaganda degli ideali del regime;

Tra i cittadini Italiani si è ormai spento quello spirito eroico che portava gli uomini a compiere azioni valorose ed ha lasciato posto all'indifferenza, alla corruzione e alla mancanza di ideali da perseguire e per i quali lottare, ad una condizione in cui neppure la presenza di "eroi politici", come lo stesso Ortis, può essere d'aiuto ed in cui è inevitabile giungere ad una condizione hobbesiana di bellum omnium contra omnes.

La situazione si configura come tragica ed irreversibile, ma ad essa si oppone uno Jacopo smanioso di lottare per la propria patria, di tentare il tutto per tutto e pronto a sacrificare la sua stessa vita per i propri ideali. Jacopo afferma che per liberarsi dalla tirannide è necessario lottare. Nonostante tutta la forza interiore e l'impetuosità del "giovane degno di patria più grata", il Parini, forte della propria esperienza, si vede costretto a contrastare le forze del giovane e a consigliargli di indirizzarle verso altre passioni, mostrandogli l'impossibilità di un'azione politica sulla base della passata rivoluzione francese, amaro evento causa della delusione storica avvertita dall'autore e che, oltre ad aver causato il fallimento d'ideali come l'uguaglianza, la libertà e la fratellanza restaurando la dittatura, ha portato verso il dominio personale di Napoleone e l'asservimento dell'Italia.

L'unica via d'uscita da considerare è la morte. Ma al suicidio(inteso come un gesto di protesta contro un mondo di violenza, di viltà, di miseria in cui tocca vivere) può pensare Jacopo che è un laico e non crede nell'altro mondo, non il Parini che è un sacerdote e ha riposto in cielo le sue speranze. Balza così in primo piano il conflitto tra individuo e società che è un tema tipicamente romantico.

Nella lettera sia Jacopo che il Parini sono due figure in cui idealmente si rispecchia lo stesso Foscolo: Jacopo, perché il Foscolo l'ha modellato infondendo in lui i propri ideali ed il suo temperamento romantico; il Parini, perché il Foscolo ne ha alterato la figura storica, che era di carattere moderatamente sdegnoso, presentandolo come uno spirito fiero, anelante a un mondo nuovo di libertà, di giustizia, di virtù magnanime ed eroiche, impossibili però da realizzare, in un mondo dominato dalla violenza dei tiranni e dalla viltà dei sudditi.


Nell'età napoleonica viene a ripresentarsi la figura dell'intellettuale cortigiano. Il Parini, che come Foscolo, conserva la propria individualità, può in un certo senso essere visto come alter ego dell'autore. Attraverso l'attenta analisi che conduce riguardo agli esiti della rivoluzione francese, rispecchia il pessimismo foscoliano dell'impossibilità di un'azione rivoluzionaria contro la dittatura che abbia conseguenze positive.

Così come il Parini non esita ad analizzare sarcasticamente la società nobile del suo tempo, nemmeno il Foscolo-Ortis non tace i propri propositi rivoluzionari né tanto meno l'insofferenza causata dalla "delusione storica" e dalla stipulazione del trattato di Campoformio.

Sia il Parini che il Foscolo-Ortis incarnano la figura del libero intellettuale, colui che non lascia che la propria arte venga soggiogata da potere, ma che attraverso essa esprime i propri dissensi e gli ideali che lo guidano e analizza in chiave critica la società a lui contemporanea.

Il Foscolo assunse sempre un atteggiamento da "liber'uomo", ispirato dai propri maestri, Alfieri e Parini, e fu disposto a vivere poveramente piuttosto che asservirsi al regime, autodelegandosi, data l'impossibilità di esprimere il proprio pensiero liberamente, come "vate", rivolgendosi alle generazione future.


Il tono della narrazione è elevato ed il lessico, sia quello usato nelle parti narrative che in quelle discorsive, è aulico e si avvale della presenza di numerosi latinismi (salute = salvezza, venerando = da venerare, ecc.). La sintassi è per lo più paratattica, ricca di proposizioni coordinate, e poiché la conversazione è accesa e sentita, al fine di far trasparire le emozioni sono spesso usate proposizioni interrogative ed esclamative.

Molte sono, inoltre, le reminescenze classiche, indizi dell'impianto retorico del linguaggio di Jacopo. Sono citati ad esempio, Silla e Catilina, è fatto riferimento ai libri IV e VI dell'Eneide di Virgilio (Discorso di Didone contro Enea che l' ha abbandonata e catabasi di Enea) e agli Annali di Tacito (storia di Cocceo Nerva che, pur di sottrarsi al governo di Tiberio, si suicida).

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