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Kierkegaard protagonista in "trainspotting"




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Kierkegaard protagonista in "Trainspotting"


Il tema della scelta rappresenta un punto nevralgico all'interno della speculazione filosofica del filosofo danese Søren Kierkegaard. Egli è considerato il padre dell'esistenzialismo, corrente nata in contrapposizione all'idealismo romantico.

Secondo il filosofo esistere significa scegliere. La scelta rappresenta la personalità stessa che sceglie vivendo o vive scegliendo: l'uomo non è quel che è, ma ciò che sceglie di essere.

La scelta è decisiva per il contenuto della personalità; con la scelta essa sprofonda nella cosa scelta e se essa non sceglie, appassisce in consunzione» 

(Aut-Aut, II)

La possibilità terribile.

Kierkegaard ha cercato di spiegare e comprendere l'esistenza umana attraverso la categoria della possibilità. Egli ha messo in evidenza come, qualunque tipo di scelta si effettui, la possibilità di realizzazione dell'evento possibile, è al contempo positiva e negativa (possibilità-che-si, possibilità-che-non). Libertà e possibilità non sono connotati solo da elementi positivi: dietro di essi si cela non solo la riuscita ma anche il fallimento, la minaccia del nulla.           

Il filosofo stesso nel corso della sua vita si è sentito spesso paralizzato dalle varie "alternative terribili" che gli si presentavano davanti. Egli stesso sostiene di essere una "cavia d'esperimento per l'esistenza" e di riunire in sé i punti estremi di ogni opposizione:


Ciò che io sono è un nulla; questo procura a me e al mio genio la soddisfazione di conservare la mia esistenza al punto zero, tra il freddo e il caldo, tra la saggezza e la stupidaggine, tra il qualche cosa e il nulla come un semplice forse»


Kierkegaard si pone al punto zero dell'esistenza e ritiene possa essere occupato soltanto da egli stesso; esso rappresenta l'indecisione permanente, l'equilibrio instabile tra le alternative opposte.


. e la mortale angoscia

Kierkegaard individua un sentimento particolare, una condizione esistenziale prettamente umana che scaturisce dal "possibile": si tratta dell'angoscia. Essa è un sentimento diverso da qualunque altro, quali la paura e il timore, poiché questi sono basati su situazioni ed eventi determinati, mentre l'angoscia è riferita al futuro e alle sue innumerevoli eventualità che possono annientare le nostre speranze e le nostre certezze; è puro sentimento della possibilità. Secondo il filosofo Idealista Hegel tutti gli eventi sono necessari, l'uomo non è mai propriamente libero di scegliere per se stesso; Kierkegaard si oppone radicalmente a questa concezione della realtà come unità processuale e necessaria, affermando che l'uomo non si può paragonare ad un animale, il quale vive lungo i binari della necessità e degli istinti, perché la sua vita è continuamente segnata dal libero arbitrio. Non saremo mai sicuri che la nostra scelta sia la migliore tra tutte le possibilità che si presentano, ed è proprio per questo che incombe il sentimento dell'angoscia, che rende l'uomo insicuro e tormentato, ma al contempo caratterizzando la sua libertà:


 L'angoscia è la vertigine della libertà»

(Il concetto dell'angoscia)


Il Film

Trainspotting è un film del 1996 diretto dal regista Danny Boyle, la trama è interamente ispirata all'omonimo romanzo di Irvine Welsh uscito nel 1993.    

La storia, narrata in prima persona da un ragazzo chiamato Mark (interpretato da Ewan McGregor), parla di un gruppo di ragazzi dipendenti da eroina e mette in luce i loro comportamenti, spesso caratterizzati dall'eccesso e dalla sregolatezza. Dopo varie vicissitudini, alla fine del film troviamo gran parte dei ragazzi liberatisi dalla droga, ma Mark li sente ormai lontani ed ostili e decide di abbandonarli rubando tutti i loro soldi (guadagnati con la vendita dell'eroina) con l'intenzione di cominciare una nuova vita.


Allora perché l'ho fatto? Potrei dare un milione di risposte, tutte false. La verità è che sono cattivo. Ma questo cambierà. Io cambierò. E' l'ultima volta che faccio cose come questa.

Metto la testa a posto, vado avanti, rigo dritto, scelgo la vita.diventerò esattamente come voi.» (Mark Renton)

La vita estetica al suo eccesso

Nel primo libro di Kierkegaard, intitolato "Aut-Aut", il filosofo presenta i vari stadi dell'esistenza (vita estetica, etica e religiosa), ognuno dei quali è una scelta di vita a sé, che esclude le restanti. Non c'è una successione dialettica tra i tre modelli esistenziali, quindi non è detto che una persona li attraversi tutti. Essi, inoltre, non possono coesistere, perché il passaggio da una vita all'altra implica un salto, se non un abisso:  si tratta di un aut aut appunto.

La vita estetica è nella fattispecie la forma di vita di chi vive nell'attimo. L'esteta è colui che aborrisce la monotonia e sa valorizzare a pieno ogni attimo "fuggevolissimo e irripetibile" scegliendo di non scegliere, ovvero non impegnandosi in nulla. La ricerca dell'esteta è volta al piacere ed egli vive in uno stato di ebbrezza intellettuale continua. In particolare la vita di Mark Renton è chiaramente una vita estetica all'insegna della droga, dunque segnata dal piacere e dal rifiuto di un impegno morale e civile nei confronti della società al di fuori dei suoi quattro amici. Come si evince anche dal suo monologo in apertura del film (riportato interamente in copertina) Mark afferma di aver scelto di "non scegliere la vita", e tutto ciò che essa comporta, poiché provando piacere nel dipendere dall'eroina, sentiva di non aver motivo né bisogno di ragioni per giustificare la sua scelta. Ciò che si intende per "non scelta della vita" è l'emarginarsi dalla società, il vivere quasi solamente all'insegna degli istinti, il rifiuto di tutto ciò che le persone "etiche" ritengono importante. Tuttavia analizzando nei particolari la psicologia del personaggio di Mark, si nota che egli è cosciente di ciò che gli accade intorno e da alcune sue riflessioni si capisce che il protagonista vuole semplicemente sfuggire ai problemi e ai pensieri della vita vissuta "lucidamente".


Vita etica ed omologazione

Alla fine Mark abbandona i suoi amici e decide di "scegliere la vita", lasciandosi alle spalle quel mondo che si era reso conto lo stava privando di qualcosa: la vita appunto. Aveva l'ansia di poter vivere in maniera diversa, era  angosciato da un'altra alternativa di vita possibile. Secondo Kierkegaard, il passaggio da una vita estetica ad una etica può essere raggiunto solo se ci si lascia prendere dalla disperazione:


Chiunque viva esteticamente è disperato, che lo sappia o non lo sappia; la disperazione è l'ultimo sbocco della concezione estetica della vita

(Abbagnano-Fornero, Fare filosofia, pp.31)






Scrive il filosofo danese: «Scegli dunque la disperazione, la disperazione stessa è una scelta giacché si può dubitare senza scegliere di dubitare ma non si può disperarsi senza sceglierlo»

(Aut - Aut)


Lasciarsi prendere dalla disperazione vuol dire appunto sceglierla, e scegliendo si passa allo stadio della vita etica. Essa rappresenta "la scelta della scelta". Nella filosofia di Kierkegaard questo stadio esistenziale comporta la responsabilità della libertà e la fedeltà rispetto ai compiti che un uomo si prefissa. La vita etica, dunque, si fonda sulla continuità. La persona si sottopone ad un modello di comportamento "universale", alla morale comune, scegli la routine, l'abitudine, a differenza di quanto faceva l'esteta che inseguiva l'eccezionalità in ogni momento. Il monologo finale di Mark, ormai deciso a "scegliere la vita", fa emergere proprio questo tema della normalità, che nelle sue parole assume, però, un'accezione negativa:


Metto la testa a posto, vado avanti, rigo dritto, scelgo la vita.diventerò esattamente come voi.il lavoro, il maxitelevisore del cavolo, la famiglia, buona salute, bravo a golf, figli.tirando avanti lontano dai guai, in attesa del giorno in cui morirai» (Mark Renton)


In questo messaggio finale del film, dopo aver visto terminare l'esperienza estetica ed averla catalogata come non costruttiva, si intravede una critica anche all'esperienza etica, concepita da Mark come una vita ipocrita, omologata, accompagnata da scarsa o falsa coscienza: si tratta di fare ciò che la società impone di fare, senza comprenderne il perché. Vi è una chiara critica alla condizione di impersonalità che domina nella società di massa.



La soluzione paradossale di Kierkegaard

Nella speculazione del filosofo danese non poteva mancare la teorizzazione di un terzo stadio d'esistenza che si elevasse sopra i due precedenti. Questo è rappresentato dalla vita religiosa.

La vita etica infatti risulta essere incompleta e non definitiva poiché entra in crisi non appena la persona "etica" capisce di non poter prescindere anche dagli aspetti negativi inevitabili della sua esistenza. Ciò fa entrare il soggetto in una situazione di pentimento. Come spiegato precedentemente, l'individuo non riesce a trovare la propria singolarità "genuina" all'interno della vita etica, per questo passa inevitabilmente nel dominio religioso. Esiste in ognuno una forte tensione verso l'infinito e l'assoluto, che non può essere racchiusa all'interno di una tranquilla esistenza di tipo etico, inoltre ogni uomo, solo con la vita religiosa - spiega Kierkegaard - può veramente sperare di vivere un'esperienza profonda e capace di valorizzare a pieno la propria singolarità e realizzarsi nelle proprie ambizioni migliori.

Vivere una vita religiosa vuol dire aver fede, intesa come rapporto privato ed intimo con Dio, con l'assoluto. Kierkegaard spiga come è possibile sapere di essere in grado di aver fede, di essere l'eccezione che può sottrarsi ai principi morali per abbracciare quelli religiosi. Egli dice che la forza angosciosa con cui un uomo si pone la domanda di avere fede o no è l'unica garanzia che si ha per poterne essere certi.

Tuttavia questo stadio di vita è incerto e rischioso, fede e morale tendono a scontrarsi; è inoltre paradossale, pieno di contraddizioni che derivano dalla religione cristiana, che è poi quella che prende in considerazione il filosofo.

Dunque la vita religiosa non è altro che la scelta di non voler scegliere, poiché l'uomo si affida completamente a Dio e ai suoi principi assoluti.






























Seneca: una scelta contemplativa

Lucio Anneo Seneca fu un poeta e filosofo latino vissuto negli anni degli imperatori Caligola, Claudio e Nerone, quest'ultimo suo protetto fino al     59 d.C. Nella sezione successiva verrà analizzato il trattato filosofico "De Otio", facente parte dell'opera senecana "Dialogorum Libri" altrimenti detta "Dialogi".


Il "De Otio" e lo stoicismo

In questo trattato, dedicato ad Anneo Sereno, Seneca spiega le motivazioni della sua scelta di essersi ritirato dalla vita politica e dalle vesti di educatore di Nerone, che ormai si era perso in strade ben lontane dai saggi insegnamenti del maestro. Seneca vuole dimostrare all'amico Sereno, destinatario dell'opera e sostenitore dello stoicismo, che egli nonostante abbia scelto di ritirarsi dall'impegno nella società, non si sia allontanato dai principi stoici che tanto esortavano a tali responsabilità.

Lo spiega confrontando la filosofia epicurea con quella stoica, illustrando le nette differenze:

Alter otium ex proposito petit, alter ex causa

L'uno si volge all'ozio per scelta deliberata, l'altro per causa [di forza maggiore] (Dialogi - De Otio)

Seneca riteneva che la situazione a Roma fosse diventata insostenibile, soprattutto nei riguardi di Nerone, per questo chiese il ritiro a vita privata. Con questa espressione inoltre chiarisce che se le circostanze esterne, tramite appunto compromessi inaccettabili, impediscono una vita politica attiva, allora è bene apprezzare i vantaggi della vita contemplativa, dedicandosi al miglioramento del proprio spirito. Alla luce di tutto ciò l'autore utilizza in questo dialogo un tono pacatamente dimostrativo, volto al ragionamento teorico. Nonostante ciò Seneca lascia trasparire anche una sottile vena ironica che lievemente allude ad una generale interpretazione troppo rigida dei precetti stoici:

« Si quis dicit optimum esse nauigare, deinde negat nauigandum in eo mari in quo naufragia fieri soleant et frequenter subitae tempestates sint quae rectorem in contrarium rapiant, puto hic me uetat nauem soluere, quamquam laudet nauigationem »

Se qualcuno dice che navigare è cosa ottima, poi nega che si debba navigare in un mare in cui i naufragi siano soliti e frequenti le improvvise tempeste che trascinino in rotta contraria il timoniere, costui penso mi vieta di salpare, anche se loda la navigazione (Dialogi - De Otio)


La concezione della libertà

Secondo Seneca la meta della ricerca individuale è la vera libertà: il termine perde ogni connotazione politica e viene a significare libertà interiore, che può essere ottenuta da tutti, anche dagli schiavi.

Per raggiungerla è necessario liberarsi dalle passioni che offuscano la ragione, dominano i nostri comportamenti e le nostre reazioni, ci rendono schiavi degli istinti e dei desideri. Seneca, infatti, in linea con le sue idee innovative e moderne, fu il primo a sostenere che gli schiavi sono persone tali e quali ai cavalieri o agli imperatori. Ciò sta a dimostrare che l'autore non fu mai succube alle ideologie imperanti, ma fece sempre valere il suo pensiero. Infatti affermava che solo colui che è saggio sa scegliere il bene, ed agire per medesimo scopo. Egli  professava infatti l'importanza della virtù, in funzione della quale si poteva raggiungere la libertà e la felicità, concetti in stretta connessione.

In conclusione abbiamo in Seneca un esempio lampante di coerenza nelle proprie scelte, presupposto fondamentale nella ricerca della felicità.


Conclusioni

Volto al termine del mio discorso intendo dare una mia interpretazione riguardo appunto la scelta prendendo in considerazione tutto ciò che ho illustrato fino ad ora.

Come allude Mark Renton, la vita vissuta "eticamente" nella nostra società consiste più nel fare ciò che fanno gli altri, piuttosto che nel comprendere il vero valore dei principi etici e la loro importanza per la convivenza civile.

Infatti in questa epoca Postmoderna ridondante di falsi dei, come il denaro, il sistema societario è facilitato nel controllare ogni individuo che si lascia soggiogare da questa demagogia agente nell'inconscio, dove ogni soggetto è invece convinto di esprimere a pieno la propria libertà comprando una casa in campagna o una bella automobile. La condizione della persona è attualmente puro estetismo, poiché inconsapevolmente "non si sceglie la vita", mascherato da illusoria eticità. Questo rende ogni individuo ancora più succube all'ormai infinito meccanismo di egoismi e prevaricazioni che si è andato creando a causa dell'intrinseca malvagità che risiede in ogni uomo.

Kierkegaard alla fine della sua speculazione filosofica finisce nel trovare una paradossale soluzione nell'affidarsi completamente alle leggi divine scegliendo dunque la "non scelta" personale. Tuttavia la mia ricerca non vuole sfociare nel trascendente, ma rimanere all'interno della sfera della ragione umana. A questo proposito un passo importante lo fece Seneca



«Solo la filosofia può svegliarci, essa soltanto può riscuoterci dal nostro sonno profondo: consacrati tutto a lei»         (Lettere, 53,8)


La mia interpretazione è che ogni uomo dovrebbe guardare dentro se stesso, fermarsi più spesso a riflettere. Occorre volgersi nei confronti della realtà con spirito eclettico e personale, da qui si capisce l'importanza di una buona formazione, senza fossilizzare l'attenzione in qualcosa altrimenti si rischia di cogliere la realtà in modo distorto. I veri beni sono quelli morali, volti alla ricerca della virtù. Con essi sapremo scegliere al meglio.



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