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"Il nome della rosa" di U. Eco: note ed appunti




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"Il nome della rosa" di U. Eco: note ed appunti




L'autore: Umberto Eco


Umberto Eco è nato ad Alessandria il 5 gennaio 1932. Saggista, narratore e docente universitario, ha svolto indagini in molteplici direzioni: sulla storia dell'estetica, sulle poetiche d'avanguardia, sulla semiotica, sulle comunicazioni di massa, ecc. Come pubblicista, è noto per le sue brillanti inchieste sulla cultura di consumo; come scrittore, invece, ha ottenuto uno straordinario successo internazionale con due romanzi: "Il nome della rosa" del 1980 e "Il pendolo di Foucault" del 1988.

Fra i suoi volumi di saggi vanno ricordati: "Il problema dell'estetica in Tommaso d'Aquino" (1956), "La definizione dell'arte" (1968), "Lector in fabula" (1979) ed infine "Semiotica e filosofia del linguaggio" (1983).

Sul suo romanzo "Il nome della rosa" è stato prodotto un film (1986) con la regia del francese Jean-Jacques Annaud.



Il romanzo: i fatti, i personaggi, i riferimenti storici


"Il nome della rosa" narra gli eventi accaduti in un'abbazia dell'Italia Settentrionale nell'arco di sette giorni, durante l'anno 1327. Più precisamente è la storia di un giovane novizio, Adso da Melk, e del suo maestro, Guglielmo da Baskerville, i quali devono risalire al colpevole di una serie di omicidi oscuri avvenuti all'interno delle mura abbaziali.

Infatti, giunto all'abbazia con la missione di conciliare ed appianare i contrasti fra diverse fazioni interne alla Chiesa, nella lunga contesa tra i Francescani Spirituali ed il Papa, Guglielmo riceve l'incarico di indagare sui misteriosi omicidi che si susseguono tra i monaci seminando sospetti e terrore. Inizia così la sua acuta opera investigativa, sempre coadiuvata da quella del giovane Adso: i due visitano l'abbazia e conoscono tutti i monaci che vi si trovano: l'Abate, Ubertino da Casale, il bibliotecario Malachia, l'ex bibliotecario Jorge da Burgos, Salvatore, ecc.

Dopo un'attenta analisi, Guglielmo concentra la sua attenzione sullo scriptorium e sulla biblioteca, giungendo così a sapere che nell'abbazia è conservato il II libro della poetica di Aristotele, che tratta del riso e della commedia, dunque un testo vietato a tutti perché all'epoca ritenuto contro la fede cristiana. Egli conclude che le pagine di questo libro sono cosparse di un veleno, e quindi chi lo legge muore avvelenato. Guglielmo capisce anche che quei monaci erano morti perché avevano letto quel manoscritto (essi infatti avevano l'indice della mano e la lingua di colore nero). Mentre Adso e Guglielmo iniziano la ricerca del libro di Aristotele, arriva nell'abbazia l'inquisitore papale Bernardo Gui: egli individua subito il colpevole dei delitti in Remigio, ex eretico, e scopre le segrete pratiche demoniache di Salvatore. I due frati vengono mandati al rogo.

Intanto, Adso e Guglielmo, in una segreta stanza della biblioteca, trovano il vecchio Jorge, e con esso il II libro della poetica di Aristotele. I due monaci sono così giunti alla soluzione del dilemma. Infatti, Jorge, ex bibliotecario oramai divenuto cieco, da sempre ha disprezzato le persone che ridono, perché queste si prendono beffa delle cose divine e si discostano dalla realtà. Questa tesi (tanto perorata dal vecchio Jorge) è in netta contrapposizione con quella di Aristotele, che, nel suo II libro della poetica, giustifica ed apprezza il riso. Jorge, quando era bibliotecario, cosparse le pagine di questo libro greco con dell'arsenico e lo nascose nella biblioteca. I monaci morti erano dunque riusciti a trovare il libro e a leggerlo.

Il vecchio monaco, ormai scoperto, tenta di ingoiare alcune pagine del manoscritto avvelenato e di fuggire, ma nella confusione del momento, una lampada cade sopra un mucchio di libri, innescando così un impressionante incendio. Adso e Guglielmo si salvano uscendo immediatamente dalla biblioteca, anche se tutta l'abbazia brucerà per tre giorni e tre notti.

"Il nome della rosa" (sia nella versione letteraria che in quella cinematografica) costituisce un utile mezzo di studio per l'età medioevale, ed in particolare per il Basso Medioevo. Nel romanzo (e nel film) sono cioè evidenti o deducibili le coordinate storiche che identificano il Medioevo, e soprattutto la vita monastica e religiosa dell'epoca.

La sua collocazione temporale (1327) e spaziale (un'abbazia dell'Italia Settentrionale) circoscrivono un periodo caratterizzato in maniera più che evidente dalla lotta tra eretici ed inquisitori. Ma questo non è il solo aspetto che emerge dalla lettura de "Il nome della rosa": nel romanzo possiamo ritrovare tutte le altre coordinate identificative dell'età medioevale, come ad esempio la vita dei monaci, la loro organizzazione della giornata, le loro attività principali, le credenze e gli usi popolari, ecc.

Nel Medioevo le abbazie ed i monasteri erano i veri fulcri della vita. Difatti, con le invasioni barbariche del V e del VII-VIII secolo d. C., ci fu una frammentazione della società: i barbari erano visti come il nemico da combattere, un pericolo sempre più incombente e difficile da arginare. L'unica apparente soluzione di difesa dalle incursioni barbariche era quella di rifugiarsi nei feudi. Vi erano feudi laici, posseduti da un signore, e feudi ecclesiastici, ovvero abbazie e monasteri. Mentre i primi svolgevano principalmente una funzione di raccolta della gente fuggita dalle città in mano ai barbari, i secondi avevano il compito di conservare e di proteggere la cultura, ricopiando testi teologici, scientifici, letterari, ecc. Più in generale, il vuoto di potere causato dalla caduta dell'Impero Romano d'Occidente e dalle invasioni barbariche venne colmato dalla Chiesa, che per tutto il Medioevo rimase l'unica istituzione universale dell'Europa intera.

Con il tempo, dunque, la Chiesa diventò sempre più ricca e potente, discostandosi in questa maniera da quelli che sono i canoni religiosi cristiani: questo fenomeno fu alla base della nascita dei movimenti ereticali, che imploravano un ritorno alla povertà di Cristo e ai veri valori religiosi. Un esempio di eretici è quello dei dolciniani, seguaci di Fra Dolcino (costui era un discepolo e un continuatore di Gherardo Segarelli da Parma, e si batté per il rinnovamento della Chiesa sostenendo un ritorno alla semplicità della dottrina di Cristo): ne "Il nome della rosa" Salvatore e Remigio sono due dolciniani.

Da parte della Chiesa, che non poteva non reagire a un fenomeno sempre più imponente, ci fu la riduzione dell'eresia ad opera del demonio e la sua identificazione con una calamità da combattere ad ogni costo e con ogni mezzo a disposizione. Comunque, l'eresia era vista non soltanto come un serio pericolo per la fede, ma anche per la vita di tutti i fedeli. Era minacciata la salvezza eterna del singolo uomo e messo in dubbio il cammino dell'intera comunità verso tale meta. L'individuazione della salvezza nella fede e della rovina nell'eresia determinò l'impegno di tutti nella lotta contro gli eretici.

La Chiesa Cattolica, per combattere le eresie, strutturò il Tribunale dell'Inquisizione, intorno all'anno 1200, i cui funzionari avevano la specifica funzione di cercare, trovare e giustiziare gli eretici.

Ne "Il nome della rosa" il rapporto tra fede, eresia e inquisizione è rappresentato in maniera fin troppo chiara ed esaustiva. Si vede subito, ad esempio, che all'interno dell'abbazia vi sono ex eretici come Salvatore, Remigio e Ubaldino da Casale: quest'ultimo era uno Spirituale che predicava incessantemente il ritorno alla povertà del Cristo, con toni secchi ed apocalittici.

La collocazione temporale del romanzo coincide con un periodo di grande fermento per il mondo di tutta la Chiesa. Ne un esempio l'inquisitore papale Bernardo Gui, che arriva nell'abbazia e manda al rogo gli eretici Remigio e Salvatore. Ma, prima di ciò, lo stesso Guglielmo era giunto nell'abbazia per conciliare gli scontri tra la Chiesa ed i Francescani Spirituali, la cosiddetta vexata question il cui oggetto era quello di decidere se la Chiesa dovesse rimanere come era o ritornare alla povertà predicata da Gesù Cristo.

Ma i monaci, pur indossando panni religiosi, non erano estranei al peccato e alle eresie. Nel romanzo ci vengono raccontati episodi di omosessualità all'interno dell'abbazia; frati che approfittavano di giovani donne povere in cambio di qualcosa da mangiare; pratiche demoniache che avvenivano di notte, ed addirittura degli omicidi fra monaci.

Tutto ciò rafforza il concetto secondo cui un monastero, un'abbazia, un feudo in generale, sono strutture autarchiche e monolitiche, al cui interno avveniva di tutto.

Per quanto riguarda le abbazie, possiamo vedere che la vita dei monaci non era esclusivamente dedicata alla preghiera e alla minuziosa opera di ricopiatura dei testi, ma essa era costituita da attività lavorative come la coltivazione dei campi e attività scientifiche come la ricerca farmaceutica: tutto ciò seguendo la regola benedettina "ora et labora".

Un altro aspetto che emerge da "Il nome della rosa" è il contrasto tra la fede cieca e l'attività razionale. Secondo gli eretici, coloro che volevano un ritorno alle forme pure della religione, la ragione e la fede erano due cose incompatibili e nemiche l'una dell'altra ("Il dubbio è nemico della fede, ma è l'elemento della ragione"). Secondo la Chiesa, invece, il discorso era diverso: per esprimere il rapporto fede - ragione con una metafora, potremmo paragonare la fede ad un castello, che sovrasta dall'alto di una collina la città e il contado, i suoi boschi, i campi e le case in esso sparse; da un lato la ragione indica la via per giungere al castello, aiuta ad esplorarne l'interno, a svilupparne il contenuto, d'altro lato, essa dall'alto del castello è a sua volta aiutata dalla fede a vedere quanto è fuori del castello; la fede infatti permette di vedere da una prospettiva nuova e migliore le stesse cose naturali. Dunque è ragionevole che l'uomo si rivolga alla fede, per meglio conoscere lo stesso ambito naturale, che di per sé è oggetto della ragione: la fede non fa conoscere nuovi oggetti, ma fa conoscere meglio quelli che già la ragione conosce; o meglio, abilita la ragione a vedere meglio, a giudicare meglio.

In conclusione, con "Il nome della rosa" si è avuta una conferma di quanto difficile possa essere definire con precisione la struttura e la gerarchia della società medioevale. Una struttura apparentemente semplice e unicamente devota alla preghiera come l'abbazia diventa un mondo a sé, dove avviene veramente di tutto, dalla pura e sacra preghiera al macabro omicidio.


I personaggi


Adso: novizio benedettino;

Frate Guglielmo da Baskerville: alto, magro, intorno ai 50 anni;

Remigio: cellario;

Salvatore: uno dei monaci;

Ubertino: occhi azzurri, pelle chiara

Severino: erborista;

Malachia da Hildsheim: alto e magro, è il bibliotecario;

Jorge da Burgos: monaco cieco di circa 80 anni;

Berengario da Arundel: giovane aiuto bibliotecario;

Nicola da Morimondo: vetraio;

Aymaro da Alessandria: monaco che lavora nello scriptorium;

Alinardo da Grottaferrata: monaco;

Bencio da Upsala: nuovo aiuto bibliotecario;

Michele da Cesena: minorita;

Bernardo Guidoni: domenicano di 70 anni. Fa parte degli inquisitori;

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