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Gioberti e il Risorgimento italiano




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Gioberti e il Risorgimento italiano


Margotti osteggiò il Risorgimento combattendo l'idea di un'unità statale, poiché il progetto politico liberale mirava a disfarsi del Pontefice Romano, considerato il nemico d'Italia. Tuttavia molti cattolici erano convinti che bisognasse persuadere il clero a mettersi egli stesso alla testa del movimento liberale, andando così contro alla parola d'ordine papale Non expedit. Ci voleva però un uomo adatto al grande tradimento; questo fu presto trovato: Vincenzo Gioberti.


Vincenzo GIOBERTI nasce a Torino il 5 aprile del 1801 e si dedica fin da giovane agli studi e alla vita religiosa. Laureatosi in Teologia nel 1823, sarà ordinato prete due anni dopo.

A partire dal 1830 ha intensi rapporti con la società segreta di stampo liberal-moderato dei Cavalieri della Libertà, e collabora alla rivista mazziniana La Giovine Italia Nonostante l'entusiasmo col quale aderisce alle idee di Mazzini, egli non si iscriverà mai al partito, in quanto rifiuta la violenza e i vani tentativi insurrezionali della setta mazziniana.

Caduto in sospetto dell'autorità di polizia per la sua condotta politica, sarà arrestato nel 1833 e costretto a prendere la via dell'esilio, che trascorre a Parigi e poi a Bruxelles dedicandosi agli studi filosofici e politici. Tornerà in Italia solamente quindici anni dopo.

Il fallimento dei moti mazziniani lo induce a maturare un diverso programma politico, il neoguelfismo, mirante alla costituzione di una confederazione di Stati italiani con a capo il papa. I presupposti di tale linea politica sono delineati nel suo scritto più celebre, Del primato morale e civile degli Italiani, pubblicato nel 1843: Gioberti è convinto, in accordo con le idee della Giovine Italia, che il Paese abbia una missione da portare a termine, ma a differenza di Mazzini è certo che questa missione debba essere di stampo religioso. E' proprio in questo progetto politico neoguelfo che trovano pienamente applicazione i precetti della sua filosofia.

Gioberti considera la filosofia nient'altro che "la religione nuda, spogliata del suo velo poetico, e ridotta alle sole idee razionali". La filosofia è quindi l'esplicazione razionale dei contenuti rivelati dalla religione. Il pensiero umano poggia su una rivelazione primitiva data nel linguaggio, il quale ha origine divina e infonde nella mente umana i principi che le permettono di conoscere la realtà.

Gioberti ritiene quindi che l'uomo abbia un rapporto originario ed immediato con la verità: esiste un vero primitivo e assoluto che non è il prodotto della ragione umana, ma si manifesta con evidenza immediata all'intuito dell'uomo. Egli chiama Idea l'oggetto di questa rivelazione, nel significato di idea come ciò che realmente è; l'Idea, infatti, non è un essere possibile o ideale, ma è l'essere reale ed assoluto, ossia Dio stesso che prende il nome di Ente. Proprio in quanto assume come punto di partenza l'essere reale, questa posizione filosofica viene definita ontologismo.

Per l'uomo pensare equivale a formulare giudizi, ossia proposizioni formate da soggetto, copula e predicato; Gioberti chiama formula ideale il giudizio che esprime l'Idea in modo chiaro e preciso. A questo punto il primo termine contenuto nella formula non può che essere l'Ente, ossia l'essere stesso, cioè Dio.

Gioberti può così affermare che Dio è il "primo filosofo", al punto che la filosofia umana appare soltanto ripetizione e continuazione di quella divina. Dio è pertanto il principio primo della formula ideale, che però, essendo un giudizio, deve obbligatoriamente contemplare un secondo termine: l'Esistente, che indica il "venir fuori da" e può essere prodotto esclusivamente dall'Ente.

In questo modo risulta articolata nella sua completezza la formula ideale: "l'Ente crea l'Esistente", la quale mette in evidenza come il nodo di tutte le cose sia la creazione, unico mezzo per arrivare alla piena conoscenza della realtà. Tale creazione, però, non si conclude con la nascita dell'Esistente, ma con il ritorno di tutte le cose alla perfezione dell'Ente, ossia a Dio. La formula ideale può quindi essere completata con una seconda parte: "l'Esistente ritorna all'Ente".

Tali considerazioni filosofiche, come già detto in precedenza, trovano piena applicazione nel progetto politico neoguelfo espresso nello scritto giobertiano Del primato morale e civile degli Italiani, nel quale Gioberti considera il cristianesimo l'unica religione che è stata in grado di conservare integro il contenuto dell'Idea espresso nella formula ideale, grazie alla sua organizzazione in forma di Chiesa.

In Gioberti l'elaborazione filosofica va a saldarsi strettamente con un progetto di rigenerazione politica. Infatti se alla base della sua filosofia vi è l'Ente che crea l'Esistente, alla base della sua politica vi è il papa rigeneratore d'Italia, nel quale ha riscontro lo stesso Dio. Il papa ha avuto da Dio la missione di conservare in terra l'idea divina, e poi la missione di restituire all'Italia il suo Primato.

Ma in che modo egli dovrà rigenerare l'Italia?

Prima di tutto mediante un moto intellettuale, cercando di allontanare gli Italiani dalle dottrine straniere ed unendoli tutti sotto la formula dell'Ente creatore. Solamente in seguito potrà avvenire un moto politico: il papa si metterà alla testa di un'Italia che crederà in lui, raccogliendo tutti i principi in una lega di cui egli sarà il capo.

Quello di Gioberti si presenta come un programma apparentemente attuabile in quanto esso si ispira ad idee molte diffuse all'epoca sia in Francia che in Italia, miranti a conciliare religione e patria, cattolicesimo e liberismo, ma con il merito di associare il papa alla causa del Risorgimento. In fondo Gioberti, che ha tendenza prettamente democratica, si vuol servire del papa per raggiungere proprio quell'unità nazionale che in seguito Margotti osteggerà con tanta foga. E' sicuramente in questo desiderio d'unità italiana che le aspirazioni giobertiane vanno completamente ad identificarsi con quelle di Cavour.

Le tesi del neoguelfismo appaiono convincenti: Gioberti ha azione sulla parte liberale del popolo, giunge a convertire molti mazziniani, e lo stesso papa Pio IX pare scosso da questo suo sistema. La stessa rivoluzione del 1848, che pure è contraria alle idee di Gioberti, sembra l'attuazione delle profezie di un ingegno superiore e sembra gridare: "Viva Gioberti!"

Dopo un'intensa attività politica, nel 1849 Gioberti decide di ritirarsi a vita privata a Parigi, in un volontario esilio; è proprio in Francia che morirà, nel 1852, a causa di un attacco cardiaco. Ecco come Margotti parla di lui in Vittorie della Chiesa:

"L'esecuzione del progetto venne commessa all'abate Gioberti sia per la destrezza del suo ingegno, sia per il carattere di sacerdote che rivestiva".



La rivoluzione sognata da Gioberti appare oggi molto utopistica: tutto doveva svolgersi senza difficoltà, senza un contributo d'azione, con la benedizione papale e con la condiscendenza benevola dell'Austria. In realtà molti problemi si prospettavano: il papato non voleva combattere la cattolica Austria, la Chiesa non era disposta ad accettare il liberismo e gli stessi liberisti non avrebbero mai approvato uno Stato a guida religiosa.

Inoltre il neoguelfismo non fu esente da critiche: esso venne fortemente osteggiato dai Gesuiti e da alcuni scrittori cattolici. I primi lo accusavano di volersi servire della Chiesa per un fine politico ad essa estraneo; i secondi, come Capponi o Lambruschini, avvertivano i pericoli di confusione fra l'ordine politico e l'ordine religioso.

Per tutti questi motivi il neoguelfismo fallì; non ce ne rimangono che delle aspirazioni indefinite di un cattolicesimo liberale.

"Pellegrino avventuriere della libertà, egli si pose in cammino per piantare la bandiera tricolore sul duomo di San Pietro!"

(Montanelli)



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