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Gabriele D'Annunzio




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Gabriele D'Annunzio


L'estetismo e la sua crisi

Opere come l'Intermezzo di rime, Isaotta Guttadauro e la Chimera sono il frutto della fase dell'estetismo dannunziano, che si esprime nella formula <<il Verso è tutto>>. L'arte è il valore supremo, e ad essa devono essere subordinati tutti gli altri valori. La vita si sottrae alle leggi del bene e del male e si sottopone solo alla legge del bello, trasformandosi in opera d'arte. Sul piano letterario, tutto ciò dà vita a un vero e proprio culto della bellezza, in una ricerca di eleganza e di squisiti artifici formali.

Questo personaggio dell'esteta, che si isola dalla realtà meschina della società borghese contemporanea in un mondo sublimato di pura arte e bellezza, è a ben vedere una risposta ideologica ai processi sociali in atto nell'Italia post-unitaria che, in conseguenza dello sviluppo capitalistico in senso moderno, tendevano a declassare e ad emarginare l'artista, togliendogli quella posizione privilegiata e di grande prestigio di cui aveva goduto nelle epoche precedenti, oppure lo costringevano a subordinarsi alle esigenze della produzione e del mercato.  D'Annunzio non si accontenta, inoltre, di sognare rifugiandosi nella letteratura: vuole vivere quel personaggio anche nella realtà. Perciò si preoccupa di produrre libri di successo, e sa utilizzare economicamente la pubblicità che gli deriva dalle sue pose, dagli scandali, dagli amori eleganti, dai duelli, dal lusso sfrenato.

Ben presto però si rende conto dell'intima debolezza di questa figura: l'esteta non ha la forza di opporsi realmente alla borghesia in ascesa che a fine secolo si avvia sulla strada dell'industrialismo, del capitalismo monopolistico, dell'imperialismo aggressivo, colonialista e militarista. Egli avverte tutta la fragilità dell'esteta in un mondo lacerato da forze e conflitti così brutali: il culto della bellezza si trasforma in menzogna, e la costruzione dell'estetismo entra in crisi. Il primo romanzo scritto da D'Annunzio, Il piacere, ne è la testimonianza più esplicita. Al centro del romanzo è la figura di un esteta, Andrea Sperelli, un giovane aristocratico proveniente da una famiglia di artisti, uomo dalla volontà debolissima in cui il principio dell'estetismo "fare della propria vita un'opera d'arte" diviene una forza distruttiva, che lo priva di ogni energia morale e creativa, lo svuota e lo isterilisce (a crisi trova la sua cartina di tornasole nel rapporto con la donna). Nei confronti di questo suo "doppio" letterario D'Annunzio ostenta un atteggiamento impietosamente critico, facendo pronunciare dalla voce narrante duri giudizi nei suoi confronti. Tuttavia l'esteta non cessa di esercitare un sottile fascino sullo scrittore, pertanto il Piacere non rappresenta il definitivo distacco di D'Annunzio dalla figura dell'esteta.

Nel suo impianto narrativo il romanzo risente ancora della lezione del realismo ottocentesco e del verismo: sono evidenti le ambizioni a costruire un quadro sociale, di costume, popolato di figure tipiche di aristocratici oziosi e corrotti. Ma D'Annunzio mira a creare soprattutto un romanzo psicologico, in cui, più che gli eventi esteriori dell'intreccio, contano i processi interiori del personaggio, complessi e tortuosi, indagati con sottile indugio analitico. Nel Piacere compare infine un'altra tendenza fondamentale: quella di costruire al di sotto dei fatti concreti una sottile trama di allusioni simboliche.

La crisi dell'estetismo non approda immediatamente a soluzioni alternative: al Piacere succede un periodo di incerte sperimentazioni, nelle quali si esprime un'esigenza di rigenerazione e di purezza: è la fase che viene usualmente definita <<della bontà>>. Ma questa è solo una soluzione provvisoria.


L'ideologia superomistica

Lo sbocco della crisi dell'estetismo scaturirà dalla lettura del filosofo Nietzsche, del cui pensiero D'Annunzio coglie alcuni aspetti, banalizzandoli e forzandoli entro un proprio sistema di concezioni: innanzitutto il rifiuto del conformismo borghese, dei principi egualitari che schiacciano e livellano la personalità; l'esaltazione dello spirito <<dionisiaco>>, cioè di un vitalismo gioioso e libero dagli impacci della morale comune; l'esaltazione della <<volontà di potenza>>, dello spirito della lotta e dell'affermazione di sé; il mito del superuomo, un nuovo tipo di umanità, liberata e gioiosa. D'Annunzio dà a questi motivi un'accentuata coloritura antiborghese, aristocratica, reazionaria, imperialistica, scagliandosi violentemente contro la realtà borghese del nuovo stato unitario, in cui il trionfo dei principi democratici ed egualitari contamina il senso della bellezza dell'azione eroica e del dominio. Vagheggia perciò l'affermazione di una nuova aristocrazia, che sappia tenere schiava la moltitudine degli esseri comuni ed elevarsi a superiori forme di vita attraverso il culto del bello e l'esercizio della vita attiva ed eroica. Il motivo nietzschiano del superuomo è quindi interpretato da D'Annunzio nel senso del diritto di pochi esseri eccezionali ad affermare se stessi, sprezzando le leggi comuni del bene e del male.

Mentre la figura dell'esteta era in netta opposizione rispetto alla realtà dominante, la figura del superuomo, pur con la sua violenta carica antiborghese, offre soluzioni che possono sostanzialmente accordarsi con le tendenze profonde dell'età dell'imperialismo, del militarismo aggressivo, del colonialismo. Invece di fuggire dinanzi a ciò che lo aggredisce, la grande industria, la macchina, il capitale monopolistico e finanziario, la società di massa, lo scrittore esorcizza la paura e l'orrore autoinvestendosi di un ruolo nuovo, cantare e celebrare, per non rassegnarsi alla scomparsa, proprio quella realtà che minaccia di spazzarlo via. E' un tentativo dell'intellettuale arcaico per fare i conti con la modernità, per lottare contro i processi che tendono ad annientare la sua figura storica, per ritrovare un ruolo. Il prezzo pagato da D'Annunzio però è alto: in primo luogo egli assume la figura pubblica del propagatore dei miti più oscurantisti e reazionari, una funzione storica gravida di nefaste conseguenze per l'Italia successiva; in secondo luogo, sul piano letterario, il prezzo di questo impegno apologetico e propagandistico è un'arte gonfia, retorica, enfatica.





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