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Canto viii




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Canto VIII


Il mondo antico, l'umanità pagana era convinta che Venere infondesse con i suoi raggi l'amore sensuale, girando nell'epiciclo del terzo cielo. con altro, esplicito rimando al canto V dell'Inferno. Dante aggiunge che da questa Venere, nel nome del quale avvia il suo canto, le genti antiche prendevano il nome della stella che il sole guarda ora avendola alle spalle, ora avendola di fronte.


Dante, ormai uscito dal cielo di Mercurio, si rende conto di essere salito nel cielo di Venere solo per il fatto che Beatrice ha aumentato il suo splendore:..

L'immagine si amplifica nei versi successivi perché Dante ci riferisce come davanti a lui, nella luce uniforme e diffusa del nuovo cielo cui è approdato, appaiano altre entità luminose che girano in tondo con velocità maggiore o minore a seconda che  più o meno intensa sia la loro visione di Dio.

Sottolinea poi questo apparire di anime con due similitudini: la sensazione è simile a quella che ci fa vedere anche nella fiamma più intensa la maggior intensità luminosa delle faville. Ed è anche simile a quella di chi sa distinguere in un canto a due voci, l'una voce e l'altra quando la prima resta ferma ad una nota  e l'altra si innalza.   Dalle anime più vicine si sente cantare Osanna in modo così toccante e soave che da allora in poi Dante non è più stato abbandonato dal desiderio di risentirlo.

Prende la parola,a nome di tutte, una di queste anime. Quello che dice ci appare connotato da una inflessione particolarmente affettuosa, da una calda corrente di simpatia. Capiremo poi quando l'anima rivelerà a Dante della loro consuetudine di un tempo. 

Come al solito Dante si rivolge a Beatrice per riceverne incoraggiamento e autorizzazione. Poi i suoi occhi tornano a incrociare quelli dell'anima.



Aumenta ancora la luminosità dell'anima per l'accresciuta letizia che le deriva dall'essere stata scelta da Dante a parlare.


A presentarsi è l'angioino Carlo Martello, figlio di Carlo II lo Zoppo e di Maria di Ungheria, costei a sua volta figlia di Stefano V re di Ungheria. Nacque nel 1271 e la sua prematura morte avvenne nel 1295. Prima della morte era stato incoronato re di Ungheria. Nel 1294 si era trovato, abbastanza casualmente a Firenze, dove si era dato appuntamento con i genitori per un incontro.

Il suo arrivo destò grande entusiasmo e simpatia, e fu proprio qui che incontrò Dante e tra i due fiorì subito una bella amicizia

 a questo punto inizia la storia di un progetto politico che non si è mai realizzato, del male che a questa mancata realizzazione è seguito. Alla corona di Ungheria, avrebbe aggiunto anche quella di Provenza e dell'Italia meridionale. E avrebbe governato anche sulla Sicilia se questa, nel 1282, non si fosse ribellata al cattivo governo.  

È questo il momento di più esplicita polemica. Carlo Martello porta il discorso sul fratello,Roberto D'angiò il quale, se potesse vedere bene le conseguenze di un atteggiamento fiscalista nei riguardi del popolo, certo allontanerebbe da sé i ministri e funzionari  i quali con la loro rapacità stanno per appesantire di nuovi pesi la barca del suo regno già tanto gravato da tasse e balzelli.

Roberto è un avido, pur essendo disceso da una stirpe generosa e liberale, e avrebbe bisogno di funzionari e collaboratori che non pensassero solo ad accumulare tesori nei loro forzieri.

Dante risponde esprimendo la sua felicità per aver ricevuto informazioni tanto preziose e utili. Con atteggiamento e procedimento consueti mescola la captatio benevolentiae al disagio e all'ansia per un nuovo dubbio che lo assale:


Come è possibile, chiede Dante, che inclinazioni, tendenze, comportamenti siano tanto differenti tra genitori e figli?


il punto di partenza è il Bene sommo, Dio.

Dio che muove i cieli realizza il suo disegno provvidenziale servendosi dei corpi celesti e, per così dire, impregnandoli della sua positività. Caricandoli anche delle potenzialità utili a influenzare il mondo. Tutto ciò che la virtù di questi cieli effonde sulla terra, coglie il bersaglio esattamente come una freccia ben indirizzata.

se le influenze celesti non fossero preordinate da Dio potrebbero rivelarsi addirittura rovinose per l'uomo, ma ciò non è possibile perché vorrebbe dire che le Intelligenze motrici e Dio stesso sono imperfetti 

Carlo parla delle diverse attitudini :

Non può esserci ordine sociale, non può esserci organizzazione civile, se per ognuna delle attività che vengono svolte all'interno dello stesso contesto sociale non ci sono uffici diversi e uomini predisposti a tali diversità.

Così uno nasce per fare il legislatore (Solone), un altro per fare il generale (Serse), un altro con la vocazione sacerdotale (Melchisedech), un altro, infine, con attitudini tecniche (Dedalo).


I cieli, nel loro movimento circolare attorno alla terra, imprimono le loro influenze sugli uomini diverse fra loro, ma non stanno a scegliere tra famiglia e famiglia.

Carlo si avvale di una potente e decisiva similitudine, che ha la sua matrice in una nota parabola evangelica: come il seme che non cade su un terreno a lui adatto dà cattivi frutti, così la disposizione naturale che caratterizza ogni uomo, se si trova in disaccordo o contrapposizione con le condizioni esterne in cui è collocata, produce effetti rovinosi.

Ma gli uomini proprio ignorano questa realtà e ciò origina tanti disordini.

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