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Brevi appunti e riassunte de " La camera chiara" di R. Barthes




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Brevi appunti e riassunte de " La camera chiara" di R. Barthes




VITA E OPERE

Roland Barthes nacque a Cherbough, in Normandia. Dopo la morte del padre in una battaglia navale nel 1916, la madre, Henriette Binger Barthes, si trasferì a Bayonne, dove Roland trascorse la sua infanzia. Nel 1924 si trasferirono a Parigi.. Nel 1927, Henriette diede alla  luce un figlio illegittimo, Michel Salzado. Quando i nonni di Roland si rifiutarono di aiutare sua madre dal punto di vista economico, questa mantenne la sua famiglia lavorando come rilegatrice di libri. Alla Sorbona, Roland studiò la letteratura classica, le tragedie greche, la grammatica e la filologia, laureandosi in letteratura classica (1939) e grammatica e filologia (1943). Nel 1934 contrasse la tubercolosi e trascorse gli anni dal 1934 al 1935 e dal 1942 al 1946 in dei sanatori. Durante l'Occupazione, si trovava in un sanatorio a Isère. Numerose ricadute gli impedirono di terminare la sua tesi di dottorato, ma egli continuò a leggere avidamente, fondò una compagnia teatrale e incominciò a scrivere. Fu insegnante in vari licei, all'Istituto Francese di Bucarest (1948-49), all'Università di Alessandria d'Egitto (1949-50) e alla Direzione Generale degli Affari Culturali (1950-52). Dal 1952 al 1959 lavorò come ricercatore al Centro Nazionale della Ricerca Scientifica, dal 1960 al 1976 fu direttore degli studi presso l'Ecole Pratique des Hautes Etudes. Negli anni 1967-68 insegnò alla John Hopkins a Baltimore, e dal 1976 al 1980 ebbe la cattedra di semiologia al Collège de France. Nel 1953 pubblicò Il grado zero della scrittura: il libro fu dapprima pubblicato sotto forma di articoli nella rivista di Albert Camus, "Combat". Quest'opera confermò Barthes come uno dei critici di maggior rilievo della letteratura modernista in Francia e introdusse il concetto di écriture in quanto distinto dallo stile, dal linguaggio e dalla scrittura. Quest'opera aveva molte affinità con quelle degli scrittori del nouveau roman. Egli esaminò le condizioni storiche del linguaggio letterario e ribadì la difficoltà di una pratica moderna di scrittura: dedito al linguaggio, lo scrittore è immediatamente assorbito in ordini discorsivi particolari. In una biografia di Jules Michelet, storico del XIX secolo, Barthes si concentrò sulle ossessioni personali di questi e ritenne che esse fossero parte del suo modo di scrivere e che dessero una realtà esistenziale ai momenti storici collegati alla scrittura dello storico. In Mitologie (1957), impiegò dei concetti semiologici nell'analisi dei miti e dei segni nella cultura contemporanea. I suoi materiali di studio erano costituiti da quotidiani, film, spettacoli, mostre, a causa della loro relazione con l'abuso ideologico. Il suo punto di partenza non risiedeva nei giudizi tradizionali e nello studio delle intenzioni dell'autore, ma nel testo stesso giacché sistema di segni, la cui struttura dipendente forma il significato dell'intera opera. Un'agenzia di pubblicità trovò i suoi lavori talmente interessanti che lo persuase a lavorare per un breve periodo come consulente per la Renault.

Lo studio Su Racine (1963) originò qualche controversia a causa del giudizio non ortodosso di Barthes nei riguardi di Racine. Picard, professore della Sorbona e studioso di Racine, criticò nella sua Nuova critica o nuova impostura? (1965) la natura soggettiva dei saggi di Barthes. Per tutta risposta, in Critica e verità (1966), Barthes augurava che una "scienza della critica" potesse sostituire la "critica universitaria" eternata da Picard e dai suoi colleghi. Raccomandava inoltre che il criticismo diventasse una scienza e mostrasse che i termini e gli approcci critici sono connessi all'ideologia della classe dominante. I valori di chiarezza, nobiltà e umanità, considerati come base ovvia per ogni tipo di ricerca, secondo lui costituivano in realtà una censura nei confronti di altri tipi di approcci.

Durante la sua carriera, pubblicò saggi più che studi veri e propri, presentando le sue opinioni sotto forma di aforismi soggettivi e non d'ipotesi teoriche. Ne Il piacere del testo (1973), egli sviluppò ulteriormente le sue idee sulle dimensioni personali in relazione al testo. Analizzò anche il suo desiderio di leggere secondo le sue preferenze, le sue avversioni e le sue motivazioni associate a tale attività. L'impero dei segni (1970) fu scritto dopo che egli visitò il Giappone e tratta dei miti di quel paese.

In Elementi di semiologia (1964), organizzò le sue opinioni a proposito della scienza dei segni, basandosi sul concetto di linguaggio e sull'analisi del mito e del rituale di Ferdinand de Saussure. Barthes fornì poi la sua applicazione più approfondita della linguistica strutturale in S/Z (1970). Analizzando punto per punto una novella di Balzac, Sarrasine, considerò l'esperienza della lettura e le relazioni del lettore in quanto soggetto nei confronti del movimento linguistico all'interno dei testi. Secondo lui, la critica classica non aveva mai considerato debitamente il lettore. Ma il lettore è lo spazio dove tutti i molteplici aspetti del testo s'incontrano. Infatti, l'unità di un testo non risiede nella sua origine, ma nella sua destinazione. Lo studio diventa il punto focale e il modello per una critica letteraria a più livelli, grazie alla sua concentrazione analitica sugli elementi strutturali che costituiscono l'insieme letterario.L'ultimo libro fu La camera chiara (1980), in cui la fotografia viene considerata in quanto mezzo di comunicazione. Fu scritto nel corto periodo tra la morte della madre e la propria. La fotografia, e soprattutto i ritratti, erano per lui "una magia, non un'arte". Durante la sua vita, egli visse sempre con o vicino a sua madre, la quale morì nel 1977, mentre Barthes morì più tardi a Parigi, in seguito a un incidente stradale avvenuto nel marzo del 1980. Pubblicato postumo, il libro Incidenti (1987) rivelò l'omosessualità dell'autore e le sue passioni segrete.


 IL PENSIERO

Tra gli anni 40 e la fine degli anni 50, Barthes pubblicò importanti opere critiche e una moltitudine di saggi sul teatro, il nouveau roman e altri temi. Nel 1960, ottenne un posto più stabile all'Ecole Pratique des Hautes Etudes (EPHE) a Parigi, dove, nel 1962, divenne Direttore degli Studi in "Sociologia dei segni, dei simboli e delle rappresentazioni":ciò corrispose a una seconda fase nella sua carriera. Incominciò da allora a pubblicare lavori di rilievo nell'ambito dello strutturalismo e della semiologia. Gli ultimi saggi trattano soprattutto dei cambiamenti che questi movimenti stavano apportando alle nozioni accademiche e intellettuali della critica, della letteratura e dell'interpretazione. Durante gli anni 60, egli pubblicò anche importanti opere semiologiche che prendevano spunto dallo strutturalismo, come gli Elementi di semiologia, il suo rilevante saggio del 1966 sull'analisi strutturale delle narrative letterarie e infine Il sistema della moda. Gli anni successivi furono caratterizzati da una serie di brillanti articoli e libri che lo videro andare oltre un approccio strettamente semiologico e strutturalista, verso una posizione che divenne conosciuta come post-strutturalista. L'impero dei segni, S/Z, Sade, Fourier, Loyola, Il piacere del testo e Roland Barthes, assieme ad alcuni saggi che ancora oggi sono molto influenti, quali La morte dell'autore, pubblicato per la prima volta nel 1968, confermarono Barthes come forse lo scrittore più importante di un periodo che molti considererebbero il culmine della teoria e della critica letteraria, a partire dalla Seconda Guerra Mondiale. Negli ultimi lavori, egli sviluppò una nuova teoria erotica e fortemente personale di lettura e di scrittura. L'ultima sua opera, infatti, è segnata dall'interesse per l'effetto fisico della letteratura e di altre forme d'arte, per i piaceri edonistici offerti al lettore dai testi letterari, dalla musica e dalla fotografia, e infine per la violenza (la repressione di tali piaceri e reazioni fisiche) insita nel linguaggio stesso. Gli fu assegnata una cattedra di semiologia letteraria al Collège de France nel 1976. Nel suo discorso inaugurale dichiarò che "il linguaggio - la realizzazione concreta di un sistema linguistico - non è né reazionario né progressista; è piuttosto semplicemente fascista". Le sue ultime opere, in modo particolare il suo libro sul discorso dell'innamorato, Frammenti di un discorso d'amore, e la sua analisi della fotografia nel contesto della morte di sua madre, La camera chiara: nota sulla fotografia, incominciarono a condurre tale visione del linguaggio, e quindi anche della scrittura, in un ambito in cui il lavoro teorico veniva sostituito da un genere di discorso che egli denominò "romanzesco".Se alla fine Barthes avrebbe tentato di scrivere un romanzo, o se i suoi ultimi lavori costituiscono già un tipo di scrittura romanzesca, è ancora un punto che viene discusso dagli studiosi, dai teorici e dai critici della sua opera. Dopo essere stato a pranzo dal futuro Presidente della Repubblica, François Mitterand, fu investito mentre stava attraversano la rue des Ecoles, il 25 febbraio 1980. Morì all'incirca un mese dopo. Varie sue opere sono state pubblicate postume, in particolare diversi brevi diari tenuti dal 1969 al 1979. La pubblicazione di questi testi è particolarmente notevole per la descrizione esplicita dell'omosessualità dell'autore. Barthes ha sempre avuto e continua ad avere un'immensa influenza su varie discipline all'interno delle istituzioni accademiche, come le discipline umanistiche. La sua opera sugli studi culturali, esemplificata da Mitologie e Il sistema della moda, ha contribuito a porre le basi per un modo particolare stimolante di studio e di analisi. Concetti quali la testualità e l'intertestualità, la morte dell'autore, il testo di scrittura e il testo di lettura ,svolgono ancora un ruolo cruciale nella maniera in cui gli studenti e gli studiosi di oggi si accostano ai testi letterari. Le sue meditazioni provocative sulla musica, sul cinema e soprattutto sulla fotografia continuano a fornire un fondamento per una grande quantità di opere teoriche contemporanee in queste aree. Recenti innovazioni nella teoria, in modo particolare quelle riguardanti le nuove tecnologie informatiche, continuano a trovare una molteplicità di domande, e a volte anche di risposte, nell'opera di Barthes. Anche se non c'è mai stata e probabilmente mai ci sarà una scuola di critica o di teoria barthiana. Spiega Todorov, nel suo saggio critico su Barthes "ha creato un ruolo per se stesso che consisteva nel rovesciare la padronanza inerente al discorso e nell'assumere quel ruolo che [.] egli stesso ha reso insostituibile". Barthes era un teorico e uno scrittore allo stesso tempo insostituibile e irripetibile. Uno scrittore che non può essere considerato a parte, poiché adottò durante tutta la sua carriera innumerevoli stili e approcci teorici contrastanti e la sua scrittura, dall'inizio alla fine, si confronta con il problema di base dell'avanguardia moderna e del pensiero intellettuale: come produrre una forma di scrittura o di discorso che può resistere all'assorbimento attuato dalla cultura dominante e quindi da ciò che, nelle sue ultime opere, egli chiamò semplicemente "potere". Di rado era ottimista riguardo le probabilità di creare un modo simile di scrittura e di discorso. In tutti i suoi lavori, dal primo libro all'ultimo, è testimone degli irresistibili poteri di assimilazione posseduti dalla cultura dominante e istituzionalizzata. Eppure l'intera sua opera oggi risalta di fronte ai nostri occhi quale testamento di una vita vissuta nella resistenza contro tali poteri. Non esiste una scuola di critica o di teoria barthiana, eppure Roland Barthes resta un modello fondamentale per tutti coloro che oggi vorrebbero impegnarsi nel campo teorico e intellettuale


La camera chiara

Il volume raccoglie una serie di riflessioni, considerazioni, digressioni sul tema della fotografia. 'Medium bizzarro, nuova forma di allucinazione: falsa a livello della percezione, vera a livello del tempo', la fotografia è scrutata non in sé, ma attraverso un certo numero di casi. Siffatta nota sulla fotografia (nota nel senso di riflessioni, considerazioni, anche digressione), scritta da Roland Barthes pochi mesi prima della morte, è il suo testo più penetrante. La fotografia, «medium bizzarro, nuova forma di allucinazione: falsa a livello della percezione, vera a livello del tempo», è osservata attraverso un certo numero di casi, fotografie con le quali si stabilisce una speciale corrente determinata da «attrazione» e «avventura», in un raccordo con la cultura surrealista della foto-descrizione anni Trenta e con una riconsiderazione dell'immaginario sartriano anni Quaranta, e un oggi, un qui e ora, puntualmente vissuto e colto. Passando poi a uno scavo autobiografico obiettivo - «dovevo penetrare maggiormente dentro di me per trovare l'evidenza della Fotografia» - in cui si ricrea il sentire per affetti e sentimenti. Il discorso è interrogazione, è dialogo, ma è anche confessione; al «linguaggio espressivo» e al «linguaggio critico» se ne aggiunge un altro, più inspiegabile e importante, vera e propria premonizione: da qui scaturisce una considerazione della fotografia come «studium» e come «punctum» (i due termini usati da Barthes in un distinguo chiarificatore), ma soprattutto dello storico e dell'effimero in cui viviamo.

Non possiamo dimenticare che egli è un semiologo e, come tale, egli si occupa delle varie relazioni tra i segni, dell'analisi del discorso e della comunicazione, in quella società che diventa essa stessa, tutta, oggetto di analisi .Una di queste sue analisi penetra, incorpora e finisce col farsi penetrare dalla fotografia, in questo breve ma intenso saggio. Attraverso un viaggio, che inizia apparentemente secondo una sorta di modalità ingenua, in cui il viaggiatore-ricercatore si lascia guidare nella sua indagine dal proprio personalissimo soggettivo istinto, Barthes giunge a definire la significatività della immagine fotografica e della fotografia stessa. L'atteggiamento fenomenologico, ci accompagna dentro l'universo emotivo e mentale di colui che guarda, legge e interpreta, passa fluente su colui che compone, e si posa sul soggetto: l'immagine. Immagine che resta impressa, inesorabile, trasmettendo informazioni grazie ad un effetto latente in se stessa, un effetto che si offre a chi guarda, lo scuote e in conclusione lo attrae, per essere assimilato. Ma il viaggio non si esaurisce di fronte allo stupore dell'attrazione, prosegue e persegue la scoperta dell'ineluttabilità della compressione del tempo, sotto la richiesta della realtà. Cerca la non profondità (quindi lucida) dell'evidenza pura, la non esistenza dell'immagine che pure testimonia la sua esistenza stessa, come un'allucinazione, che al contempo non esiste, ma c'è; a rilevare paradossalmente, la follia dell'autenticità non mediata dai codici civilizzati. E infine persegue il pericolo della 'derealizzazione' dell'immagine, che si produce nella società dell'effimero. In questa 'nota sulla fotografia', quasi fosse un appunto, Barthes sembra prendere per mano il lettore per condurlo nelle sue riflessioni, su una forma d'arte che sempre più ci appartiene ed è presente nelle sue diverse forme. Una riflessione che fa riflettere, nel senso di pensare, e nel senso di proiettare e in questo modo ci permette di riprendere possesso di noi, di fronte all'oggetto, e nel frattempo, non solo non far perdere identità al soggetto, la fotografia, ma forse permettergli di acquistarne una propria. Lo scritto è accompagnato da diverse fotografie, che l'autore esamina con noi, parlandoci di esse e di sé, come il soggetto di un esperimento basato sullo sguardo; il vedere, il cogliere, l'elaborare elementi significativi. Una lettura che resta dentro e lavora nella nostra percezione delle cose, e che forse ce le fa guardare (fotografare) con un occhio più attento, più sensibile alla dignità in sé delle stesse. Non so, se per tutti questo libretto compatto, solido, simile a un taccuino 'compagno di viaggio', può diventare uno strumento per il proprio fotografare, anche se io lo credo. E' certo che alcune citazioni del testo, assumono il rigore e la penetranza della poesia:

'Ciò che la fotografia duplica all'infinito ha avuto luogo solo una volta: essa riproduce meccanicamente ciò che non potrà ripetersi esistenzialmente .''Ogni fotografia è un certificato di presenza'

Pro:E' utile in parallelo e oltre la tecnica pura.

Contro: Usa una terminologia settoriale, ma, se non ci si sofferma subito a questo, si scopre la capacità dello scrittore di trasmettere emozioni e nozioni.


La camera chiara di Roland Barthes


Parte prima


Il libro parte da delle domande che l'autore si pone: che cos'è la fotografia, cosa la distingue da altre immagini e se è possibile classificarla. Per dare una risposta Barthes assume come punto di partenza le fotografie che per lui esistono, siccome gli provocano piacere o emozione.

Ciò che la fotografia riproduce all'infinito ha avuto luogo una sola volta, essa replica in modo automatico ciò che in realtà non potrà più ripetersi. La fotografia di solito è identificata col soggetto, essa non si distingue mai da ciò che rappresenta -referente - o non se ne distingue subito; afferrare il significante fotografico richiede una certa riflessione. La fotografia ha qualcosa di ripetitivo, infatti replica in modi diversi lo stesso concetto e porta sempre con sé il suo referente; ciò che noi vediamo realmente non è la foto, ma il referente: questa cosa provoca la difficoltà nel mettere a fuoco la fotografia e anche i libri che trattano questo argomento non ci sono d'aiuto perché o sono troppo tecnici o storici o sociologici. Secondo Barthes una fotografia può essere l'oggetto di tre prassi o intenzioni:

  1. fare = scattare la foto, essere quindi il fotografo (Operator ) che inquadra e pone in prospettiva ciò che vuole cogliere;
  2. subire = essere fotografato, essere il referente: il soggetto guardato ( Spectrum ).
  3. guardare = osservare, consultare con attenzione le foto (Spectator);

Non essendo fotografo, non ha disposizione che due esperienze: quelle del soggetto visto e quello del soggetto che vede.

La fotografia sta nel punto d'incontro di due processi, uno di ordine chimico (l'azione della luce su sostanze chimiche, generante la fotografia, quale è per lo spectator) e di ordine fisico ( la formazione dell'immagine attraverso il dispositivo ottico attraverso il quale il fotografo inquadra l'oggetto e che è ciò che "vede" l'operator).

Il soggetto fotografato, nel momento in cui sa di esserlo, si mette in posa, trasformandosi già in immagine. La fotografia porta così il soggetto ad assumere un'espressione, dando un'immagine all'io rappresentato che talvolta non coincide con l'io vero del fotografato. Barthes afferma che davanti all'obiettivo vi è una dissociazione: un soggetto è simultaneamente quello che crede di essere, quello che vorrebbe che si creda sia, quello che il fotografo è sicuro che egli sia, quello di cui il fotografo si serve per mostrare la sua arte. L 'assumere una posa rappresenta un particolare momento in cui uno è simulatore, inoltre non è né soggetto né oggetto, e vive la micro-esperienza delle morte, diventando uno spettro: esperienza che, pare, viva anche chi fotografa , per cui ricorre a molti espedienti per rendere viva la fotografia.

Barthes asserisce di essersi "riconosciuto", una volta, in una foto scattata da una fotografa che era riuscita a cogliere in lui la tristezza di quel momento, dopo qualche tempo la medesima foto era stata utilizzata da un giornale che per scopi suoi, aveva alterato l'emozione dal suo volto, quindi se utilizzata in circostanze erronee la fotografia perde il significato originario dell'attimo in cui è stata scattata.

Passando nel piano dell'osservatore, Barthes definisce le fotografie come immagini scelte da esperti e osserva che solo alcune di esse sono riuscite a provocare delle sensazioni in lui. In un primo momento aveva pensato che ciò derivasse dallo stile di un determinato fotografo, ma ben presto si accorse che non tutte le fotografie di uno stesso fotografo lo affascinavano, per cui si mise a ragionare su questo fatto. I motivi di tale attrattiva, che nasce dall'intimo, sono vari; partendo dal presupposto che la fotografia sia un'arte poco sicura, egli analizza che l'oggetto rappresentato si può desiderare, desiderare, averlo amato, rimanerne stupiti, ammirare o mettere in discussione l'abilità del fotografo. Barthes vuol capire cosa fa scattare quel non so che in lui, che gli fa venire in mente il termine avventura, quella cosa che fa della fotografia apprezzata una cosa viva, la fa esistere, fa sì che lo Spectator si animi e così lo Spectrum. Da qui il concetto di animazione che coinvolge entrambi.

Ciò che attira Barthes della fotografia non è il generico, la forma della foto, ma quello affettivo. L'essenza della foto non può essere separata dal sentimento di cui essa è fatta. Egli si trovava in una situazione paradossale, strana: da una parte vuole spiegare l'essenza della fotografia (i suoi tratti peculiari e invariati tramite i quali si presenta ), dall'altra ha la convinzione che la fotografia sia solo circostanza, casualità, per cui attraverso una descrizione minuziosa e scientifica del fatto, essa risulta debole, banale nella sua esistenza. Ma non vuole ridurre l'affetto. Consapevolmente nella fotografia individua essenze materiali (fisiche, chimiche, ottiche) e settoriali (appartenenti alla sfera della storia, dell'estetica, della sociologia), ma al momento di arrivare alla sua essenza non riesce a seguire la strada dello studio convenzionale delle strutture fondamentali e s'interessa alla fotografia per sentimento. Nota inoltre che le foto prescelte (" L'esercito pattuglia le strade - Nicaragua 1979"- " Genitori davanti al cadavere del figlio") hanno la co-presenza di due elementi discontinui, a volte incoerenti (vedi soldati e suore) che lo fanno pensare, che lo fanno interessare alle foto e porsi delle domande. L'emozione dello spectator si muove tra la cultura morale e quella politica. L'interesse umano è codificato con la parola studium : l'applicazione a una cosa senza particolare interesse, una partecipazione culturale (storica o politica )a ciò che avviene nella foto che permette allo spectator di capire le intenzioni dell'operator, approvarle o disapprovarle. È il campo del desiderio noncurante, svagato.

Ma accanto allo studium di derivazione culturale, interviene il punctum, il particolare, la macchiolina che punge. Il punctum è l'interesse per un particolare, non di tipo culturale, di una data foto.

Nelle foto che interessano però non sempre però c'è questa co-presenza.

La foto dà all'istante dei particolari che costituiscono il materiale del sapere etnologico."Il 1° maggio a Mosca" di Klein consente a Barthes di accostarsi a un infra - sapere: come vestono i russi, cosa che un dipinto non può fare. Lo scrittore parla anche di biografema: la caratteristica, aspetto di una fotografia che porta a una certa conoscenza di valore empirico di qualcosa.

Il primo uomo che vide una fotografia, a parte Niepce che l'aveva fatta, avrà pensato a un dipinto,ma la fotografia arriva all'arte attraverso il teatro, esattamente dal diorama, un teatro di panorami animati dell'800 che, illuminati da giochi di luce, offrivano agli spettatori nell'oscurità, l'illusione di trovarsi di fronte ad un vasto panorama reale. (Con diorama si indica artisticamente uno spettacolo consistente in vedute illuminate in una particolare maniera dalla luce naturale del giorno. Daguerre e Bouton, artisti, francesi, aprirono il primo diorama a Parigi nel 1822 - La dagherrotipia è un procedimento fotografico per lo sviluppo di immagini non riproducibili. Messo a punto dal francese Louis Jacques Mandé Daguerre da un'idea di Joseph Niépce e del figlio di questi, Isidore, fu presentato al pubblico nel 1839 dallo scienziato François Arago, presso l'Académie des Sciences e dell'Académie des Beaux Arts. Il dagherrotipo si ottiene utilizzando una lastra di rame su cui è stato applicato elettroliticamente uno strato d'argento, quest'ultimo è sensibilizzato alla luce con vapori di iodio. La lastra deve quindi essere esposta entro un'ora e per un periodo variabile tra i 10 e i 15 minuti.

Lo sviluppo avviene mediante vapori di mercurio a circa 60 °C, che rendono biancastre le zone precedentemente esposte alla luce. Il fissaggio conclusivo si ottiene con una soluzione di tiosolfato di sodio, che elimina gli ultimi residui di ioduro d'argento.L'immagine ottenuta, il dagherrotipo, non è riproducibile e deve essere osservata sotto un angolo particolare per riflettere la luce in modo opportuno. Inoltre, a causa del rapido annerimento dell'argento e della fragilità della lastra, il dagherrotipo era racchiuso sotto vetro, all'interno di un cofanetto arricchito da eleganti intarsi in ottone, pelle e velluto, volti anche a sottolineare il valore dell'oggetto e del soggetto raffigurato.)

Barthes asserisce che la foto ha un rapporto con la morte: essa rende immobile ogni soggetto. Egli fa una dissertazione tra teatro o Culto dei morti, spiegando che gli attori dei vari teatri da quello giapponese a quello totemico, usavano imbiancarsi il viso e il corpo, designando quest'ultimo come vivo e morto contemporaneamente e lo rapporta in ciò che lui vede nella foto. Gesto essenziale dell'operator è quello di sorprendere qualcosa o qualcuno, a sua insaputa : da ciò derivano tutte le foto il cui principio è lo " shock". Lo shock fotografico consiste nel rivelare ciò che era così ben nascosto, che il referente stesso ignorava o di cui non era consapevole. Ne conseguono una serie di sorprese:

a    quella del raro , riferita al referente ( es. mostra fotografica sui fenomeni da baraccone);

a    quella del cogliere un gesto - numen- in un punto preciso del suo movimento, cosa che l'occhio non riesce a fare;

a    quella della prodezza ( l'esempio è il ritrarre una goccia che cade);

a    quella della tecnica: sovrimpressioni, sfoca menti,anamorfosi (sistema di rappresentazione prospettica deformata, è un'immagine curva o obliqua, leggibile solo se osservata da un determinato punto di vista, oppure se riflessa mediante uno specchio. L'esempio più noto in pittura è il quadro di Hans Holbein il Giovane intitolato Gli ambasciatori Jean de Dinteville e Georges de Selve (1533, National Gallery, Londra), dove ai piedi dei personaggi ritratti compare un'immagine allungata e deforme che, vista da una posizione particolare, si rivela essere un teschio umano)

Ogni foto è casuale quindi può significare solo assumendo una maschera, facendo di un volto il prodotto di una società e della sua storia. La maschera è il senso, poiché è totalmente puro, in questo contesto i grandi ritrattisti sono anche dei mitologi: vedi Nadar, Sander e Avedon. Quando il senso di una foto però è troppo evidenziato, spesso è distorto, poiché la fotografia della maschera è critica e non tutti hanno inclinazione alla critica. I nazisti censurarono Sander perché i suoi volti del tempo non corrispondevano all'archetipo nazista della razza, "comunicavano" troppo ed erano quindi considerate pericolose.

Per molti sono meglio delle foto che non hanno nessun senso, in modo che non spingano a pensare e quindi non siano sovversive.

Un altro pregio di una vera fotografia, in questo caso quella paesaggistica, per lo scrittore è che le foto di paesaggi devono essere abitabili, devono far venir voglia di andarci o la sensazione di esserci già stato.

Lo studium, anche senza puctum ,dà vita a un  tipo di foto molto diffuso, che Barthes chiama fotografia unaria che si ha quando trasforma grandiosamente la "realtà" senza sdoppiarla , l'enfasi è una forza di coesione; questo tipo di fotografia è banale, è semplice, privo di accessori inutili; le foto di reportage o quelle pornografiche sono unarie; in queste foto non c'è un particolare che ne sospende la lettura, scorrono senza lasciare ricordo.

Solo quando si è stato colpiti da un particolare - punctum-, non sono più unarie. Il particolare (punctum) non è intenzionale, non è una combinazione di natura logico creativa tra punctum e studium. Il punctum è un particolare non fatto di proposito che si trova nella fotografia, è lì all'insaputa del fotografo, è ciò che lo spectator percepisce, una vibrazione che si trasmette dalla foto allo spectator. Mentre lo studium è formalizzato, definito, il punctum non ha cultura o sapere.

Il particolare che colpisce trasforma una foto da generale a particolare, inoltre l'effetto si può manifestare in un secondo tempo e si può scoprire che il vero punctum non sia quello che in un primo tempo ci aveva colpito . Per Barthes non sono più le scarpe col cinturino, ma la collana che egli aveva visto portare da sua zia.

A questo punto nel libro vi è un'altra dissertazione di Barthes riguardo al cinema. Afferma che nel cinema non è possibile aggiungere qualcosa all'immagine, non c'è il tempo per individuare un punctum, nessuna pensosità ed è per questo che lui preferisce il fotogramma (immagine singola). Nel cinema la foto non ha la completezza di una fotografia fotografata, perché è spinta verso altre visioni. Nel cinema vi è sempre un referente fotografico, che non reclama la propria esistenza (passata attraverso le immagini precedenti).

Una cosa che preme allo scrittore ora è scoprire la natura della fotografia .

Parte seconda

Riordinando le foto di sua madre, Barthes si rende conto che non avrebbe mai potuto ricordarsi interamente dei suoi lineamenti, guardando quelle che ritraevano la madre giovane legge la sua inesistenza . Paragona la Storia al tempo in cui la madre aveva vissuto prima di lui. Comunque non riusciva a trovare in tali foto l'essenza della madre, anche se c'era sempre un tema ricorrente: la chiarezza dei suoi occhi , poi riuscì a trovare La Fotografia. Una foto vecchia, color seppia, in cui c'erano sua madre e il fratello di lei bambini , fotografati in mezzo al fogliame della serra della casa della nonna dello scrittore. Aveva scoperto la foto ripercorrendo il tempo: dalla fotografia più recente a quelle più vecchie.

Nella Fotografia del Giardino d'Inverno egli ritrova sua madre, anzi la vera essenza della madre, vista nella sua peculiare bontà e dolcezza; aveva trovato " non l'immagine giusta, ma la giusta immagine". L'autore usa delle parole bellissime, scavando nel suo intimo e mostrando al lettore l'immenso amore per la madre, interrogandosi sulla Morte, sapendo che il tempo può far elaborare un lutto, ma per lui è l'eliminazione dell'emozione della perdita, non la scomparsa dell'essere che qualificava la sua vita. In quella foto percepiva l'essenza della Fotografia. Tutte le foto formavano un Labirinto, al centro del quale c'era quella particolare foto.

La fotografia dà a Barthes ciò che lui stava cercando : chi era stata in vita sua madre. Barthes non voleva ridurre il soggetto (fotografico) di sua madre in socius ovvero la madre nel senso più generale del termine.

Egli riscopre di nuovo che ogni referente è co-naturale alla foto; ognuna può essere banale (ciò che tutti vedono in una foto e sanno) o particolare (ha un'emozione che appartiene solo chi avverte in essa l'essenza). Egli si concentra sulla figura del referente fotografico cioè "ciò che è stato posto davanti all'obiettivo senza cui non vi sarebbe fotografia alcuna". Particolarità unica della fotografia è che la cosa/persona fotografata è stata là, c'era, esisteva. C'è una doppia posizione tra realtà e passato, tra operator e spectator, anche se brevissima

Ciò che costituisce la natura della fotografia è la posa: un'intenzione di lettura , per un istante una cosa reale si è trovata immobile davanti all'occhio della macchina fotografica, non è quindi da confondersi con un atteggiamento della cosa fotografata o una tecnica dell'operator. La posa è l'impressione di sé che si vuol dare a chi esaminerà la foto perché, inevitabilmente, guardando una foto pensiamo all'istante in cui è stata scattata e a chi si è trovato fermo davanti all'obiettivo. Questa sosta costituisce la posa (sospensione passato - presente).

Nella foto qualcosa si è posto davanti all'obiettivo e c'è rimasto per sempre; tratto inimitabile della fotografia (il suo noema: è stato) è che qualcuno ha visto il referente, egli c'era, è innegabile..

Nel cinema qualcosa è passato davanti all'obiettivo, ma la posa è travolta e negata in continuazione dal susseguirsi delle immagini.

Esso è un'altra Arte, anche se nasce dalla Fotografia.

Mentre nel cinema l'esperienza continuerà a scorrere, la fotografia arresta questo flusso d'immagine, in essa nulla può allontanarsi o trasformarsi.

La fotografia può essere testimonianza (il riferimento è alle foto rappresentanti lo schiavo e la schiavitù), può provare qualcosa di storico anche senza la mediazione dello storico , attraverso un ordine nuovo di prove: la presentazione diretta della realtà. Egli non ama il colore nella fotografia perché ha l'impressione che si interponga tra il soggetto e lui.

Barthes sostiene che a inventare la fotografia sono stati sostanzialmente i chimici, il noema ( oggetto intenzionale del pensiero, per la fenomenologia)" è stato" è nato nel momento in cui è stata scoperta la sensibilità alla luce degli alogenuri d'argento. La foto è un'emanazione del referente: "da un corpo reale che era là, sono partiti dei raggi che raggiungono lo spectator .è un'immagine rivelata dall'azione della luce". La fotografia attesta che chi vi è impresso c'era, essa prova il reale allo stato passato; testimonia la presenza in un dato luogo e in un determinato momento; anche la data è importante perché spinge a riflettere sullo scorrere del tempo, a considerare la vita, la morte, l'estinguersi delle generazioni. "Ogni fotografia è un certificato di presenza".

Alla scarsità d'immagine della lettura si contrappone la totalità d'immagine della fotografia un cui niente vi si può aggiungere. Nel romanzo una persona dà delle immagini mentali ai vari oggetti e soggetti che sono scritti, può aggiungervi, con l'immaginazione, elementi nuovi, mentre la foto è piena, non vi si può aggiungere altro. Il cinema non ha questa completezza poiché vi si possono aggiungere altri fotogrammi in qualsiasi momento tramite montaggio, e l'esperienza continuerà a scorrere.

Barthes paragona i giovani fotografi sempre a caccia del "fatto del giorno" ad agenti della Morte. La Morte è collocata nell'immagine che crea " la morte volendo conservare la vita ", : la vita e la morte racchiuse in un semplice scatto. Oltre al particolare (che colpisce) esiste un altro punctum che non è più di forma, ma d'intensità: è il tempo, la sua raffigurazione più pura. La foto di qualcuno che sappiamo dovrà morire, ci dà il passato della posa e il futuro della morte; il punctum ci dice: questo sarà e questo è stato ( Si può parlare di enteléchia, termine che è stato coniato da Aristotele per designare la sua particolare concezione filosofica di una realtà che ha iscritta in sé stessa la meta finale verso cui tende ad evolversi. E' una sorta di 'finalità interiore'.). Questo punctum si legge interamente nella fotografia storica: in essa vi è sempre una compressione di tempo "è morto - sta per morire". La riflessione fatta da Barthes riguarda la fotografia di Alexander Gardner "Ritratto di Levis Payne", che ritrae il soggetto in una cella, dove attende la sua impiccagione per il tentato assassinio del segretario di Stato americano Seward. Barthes afferma di vedere assieme allo studium (ne conosce la sorte) il punctum: sta per morire.

E ciò succede non solo se si guarda un condannato a morte, ma anche guardando la foto di due bambine di tanto tempo fa: in quel momento hanno tutta la vita davanti a sé, ma sostanzialmente sono già morte! Con la fotografia si entra nella morte piatta, all'estremità di questa prima morte è iscritta la morte vera e propria, tra le due morti solo un'attesa. La foto condivide la sorte della carta: è deperibile, l'attimo è fissato su supporti più solidi ma pur sempre mortali; come un organismo vivente tale supporto nasce, fiorisce, invecchia, si attenua e poi svanisce. Le società passate facevano in modo che il ricordo, sostituto della vita, fosse eterno e che almeno la cosa che esprimeva la morte, il monumento, fosse immortale. Ma la società moderna facendo della fotografia testimone principale ha rinunciato al monumento.

Se una foto piace, si scruta attentamente per sapere di più sul referente, componendola, ingrandendola si ha la speranza di scoprire la verità, ma è un' illusione; non si viene a capo ad alcuna verità, se non che la foto è che ciò "è stato" realmente. Barthes ragiona sulla somiglianza vedendola come una concordanza a un'identità, si può arrivare a dire che una foto è somigliante anche se non si conosce il modello poiché è simile a ciò che loro hanno identificato in vita, il valore che hanno espresso nella loro esperienza di vita. Egli trova la somiglianza della madre in una foto che non le assomiglia fisicamente, è una bambina che lui ovviamente non ha conosciuto, tuttavia presenta la virtù che essa ha sempre espresso:la dolcezza.

Il volto ha un'aria, una cosa individuale, non schematica che si trasmette dal corpo all'anima al di fuori della somiglianza. L'aria è l'espressione della verità: esprime il soggetto, la sua essenza, la persona rappresentata non è separata da se stessa, ma coincide. E' un'ombra lucente che accompagna il corpo, e se la foto non la rivela, il corpo va avanti senza ombra, e poiché quest'ultima è stata separata dal corpo, il soggetto muore per sempre. La fotografia è un medium stravagante : falsa a livello percettivo, vera a livello del tempo. Una fotografia può suscitare due sentimenti: amore e pietà.

Un'altra domanda è posta: cos'è lo sguardo? Forse è il guardare vedendo. O forse lo sguardo è trattenere dentro di sé l'amore e la paura (si riferisce a un bambino che tiene in braccio un cagnolino).

Lo sguardo è al tempo stesso risultato di verità ed effetto di follia. Il destino della fotografia sarebbe questo: crea la confusione tra realtà e verità, porta l'immagine (effige) a quel punto di follia in cui l'affetto è garante dell'essere. 

Un paradosso: come si può avere uno sguardo intelligente, senza pensare a niente di intelligente? Certo è una bella domanda. Uno sguardo intelligente avvertito da chi osserva una foto, senza pensare a nulla d'intelligente interpretato dal referente! Noesi (pensiero,conoscenza intuitiva)) senza noema (pensiero,concetto), un atto di pensiero senza pensiero.

La fotografia raggiunge la verità folle (quella veridicità che è per me, non è per nessun altro, la vedo io perché sono vicino a quella data persona o situazione).

Immagine folle velata di reale: falsa a livello di percezione (uno sguardo intelligente percepito da chi osserva la tale foto, senza pensare a nulla d'intelligente interpretato dal referente) vera a livello di tempo (è stato). Le immagini che avevano interessato Barthes lo facevano andare oltre all'irrealtà della cosa raffigurata, facendolo entrare nell'immagine prendendovi parte al punto da provarne pietà per ciò che sta per morire.

La fotografia può essere sensata se il suo realismo resta pertinente, attenuato da abitudini estetiche o materiali (generalizzando, banalizzando la fotografia si ottiene questo, non l'illustrazione del mondo); è pazza se questo realismo è assoluto, eccentrico (personale) se riporta alla coscienza amorosa che investe il corso della cosa, questa è l'estasi fotografica (la vedo solo io che sono vicino sentimentalmente all'immagine). L'estasi fotografica è il realismo assoluto, una foto che suscita amore e pietà descrivendo il tempo. 

Concludendo la follia nasce nella fotografia se si va in estasi davanti a lei: saggia o folle, sono le due vie che Barthes si dà come scelta.

i concetti di vita, il tempo che scorre, le allucinazioni, i ricordi, attraversano le intuizioni di Barthes, il quale osserva le immagini da lui amate, e quelle di famiglia,scavando nei suoi ricordi più intimi, fino a giungere al concetto di fotografia

folle, la sola in grado di riportare "alla coscienza amorosa e spaventata, la lettera stessa del tempo".
















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