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Arte e letteratura inglese




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ARTE E LETTERATURA INGLESE


Una svolta nel gusto letterario e artistico in senso estetizzante si ebbe già nell'Inghilterra vittoriana, dove la confraternita preraffaellita, fondata nel 1848 da Dante Gabriel Rossetti (1828-1882), assorbendo le idee di John Ruskin (1819-1900), predicava un ritorno alla natura inteso in forma quasi mistica, rifiutando in blocco il materialismo e il realismo convenzionale, che avevano dato forma all'arte in quell'epoca di forte sviluppo industriale.

La fondazione della confraternita risale al 1848. Alcuni giovani artisti e letterati inglesi si riunirono in questa società che rivoluziono` l'arte estendendo la propria influenza sino alla fine del XIX secolo. I membri, di cui i più rilevanti sono Dante Gabriel Rossetti, William Holman Hunt e John Everett Millais, dichiaravano le loro inclinazioni artistiche espressamente modellate sull'arte italiana del XV secolo, sui precedenti, appunto, di Raffaello. Prediligevano la produzione di quell'epoca perché era espressamente anticlassicista, semplice, naturalista.

I dipinti di questi giovani destarono scandalo nel tranquillo pubblico vittoriano, sollevando una furiosa polemica e un'ondata di proteste. Essi avevano infatti il gusto di trattare temi religiosi, come la vita di Cristo e dei santi, calandoli in panni indecentemente dimessi e quotidiani, abbandonando ogni decoro di forme e ogni magniloquenza. Per quanto riguarda i soggetti soggetti storici, assunsero un atteggiamento vicino a quello romantico, rifiutando la mitologia greca e romana e prediligendo il periodo medievale, di cui accentuarono i toni romanzi. Esaltavano la natura paesaggistica, contro ogni accademismo e manierismo, ma anche differentemente rispetto ai naturalisti francesi. Vi erano notevoli ambiguità nella loro arte: curavano gli elementi pittorici con meticolosità e pulizia; lodavano la semplicità d'animo ma ogni loro scena si caricava di eleganza e di raffinatezza. Fecero, a detta di critici come M. Vinciguerra, degli errori di valutazione: interpretarono le ingenuità tecniche dei "primitivi", quali la deficienza di prospettiva o la pittura "per sezioni", come delle geniali intuizioni; trasportarono delle tecniche di pittura di affreschi sulla tela; rifiutarono gli sfondi scuri comuni nel diciottesimo secolo e scelsero le tinte fondamentali, cosicché il quadro preraffaellita si presentava come una giustapposizione di tinte elementari.

Il movimento preraffaellita si appellava alla categoria di un "dover essere" ideale nel tentativo di ridefinire il volto di una rigenerata società moderna dove possano convivere una componente quotidiana, naturalistica, e un'altra idealizzante-nobilitante. Bisognava, dunque, accettare lo stato sociale circostante senza sottoporlo a verifiche, ma piuttosto procedendo ad idealizzarlo, riflettendone un'immagine particolarmente decorosa. Si trattava, allora, di curare l'aspetto esteriore della realtà, correggendolo laddove presentava dei difetti o dei tratti esteticamente non belli.

La figura di Ruskin e` essenziale per comprendere soprattutto il background dal quale origino` la confraternita.

"John Ruskin e` il padre del Preraffaellismo perché egli inondo` l'Inghilterra del suo spirito rivoluzionario in arte, additando nuovi e più vasti orizzonti.[] Egli non provoco` , ma corroborò l'opera dei Preraffaelliti. Anch'egli, in quell'inesauribile pozzo dell'arte che e` l'Italia, attinse, e fucino` quelle teorie che costruirono la base della nuova Critica Estetica Inglese"(L. Luxardo).

Egli, a differenza dei giovani che successivamente lo presero a modello, sentiva un parallelismo indissolubile tra la vita artistica e quella morale. "La sua idea dominante era che ogni arte elevata e` il prodotto di un'epoca virtuosa e fedele alla sua religione e alla sua patria; che la religione, la giustizia, l'ordine e la grandezza morale sono le radici di un albero maestoso, di cui le arti belle sono il fiore"(A. Guidetti).

Questa sua maniera di intendere il rapporto arte - vita lo porto` alla polemica con James Whistler, il quale propugnava delle teorie che esaltavano il fattore estetico rispetto a quello etico.

Tuttavia i Preraffaelliti non erano che gli iniziatori di una corrente che avrebbe avuto in seguito uno sviluppo davvero di grande portata. I massimi esponenti dell'estetismo decadente inglese si spinsero ben oltre di loro. Non bisogna inoltre scordare l'apporto fornito in questo periodo proprio da James Abbott MacNeill Whistler (1834-1903), incisore e pittore nordamericano, che seguì un altro percorso verso la realizzazione di un'arte di notevole gusto estetico.

Nella sua vita trascorsa tra Londra e Parigi, Whistler, in stretto contatto con gli impressionisti, persegui` degli ideali artistici che mai, prima di allora, nessuno aveva osato concepire. Egli voleva, infatti,  che i suoi quadri fossero apprezzati solo in virtù delle loro qualità formali. Si fece accanito sostenitore del motto "Art for Art's sake"(l'arte per l'arte), che lo differenziava sostanzialmente dagli impressionisti e dai preraffaelliti, rispetto ai quali dimostro` un gusto più marcatamente esotico ed estetico. Ripudiava ogni pittura ufficiale, accademica e romantica, ammirando Manet ed appassionandosi alla nuova esotica impaginazione delle stampe giapponesi. Egli considerava i suoi quadri, scarsamente figurativi, opere simili a brani musicali, e perciò li definiva "notturni" o "sinfonie". Si dedico` essenzialmente all'estrema raffinatezza del colore e all'abile variazione dei rapporti tonali, che divenivano i veri soggetti. I suoi dipinti, sempre di preziosa impaginazione, mirano a farsi "invitanti" da contemplare, melodiosi, armonici. Old Battersea Bridge presenta giochi cromatici in blu e oro, The White Girl e` una sinfonia totale in bianco. La tela Notturno in nero o oro: il razzo cadente e` probabilmente la piu`significativa dell'osmosi concettuale tra pittura e musica, e fu proprio questo dipinto a fare scaturire la polemica di Ruskin, che rinfaccio` apertamente all'americano di aver "scagliato un vaso di colori in faccia al pubblico". La reazione di Whistler non si fece attendere, e lo statunitense inoltro` una causa per diffamazione contro l'autorevole critico, mostrando la sua proverbiale propensione allo scandalo e alla polemica.


E` Algernon Charles Swinburne (1837-1909) il primo poeta a raccogliere il messaggio dei Preraffaelliti e ad elaborarlo, realizzando ad un'estesissima produzione che si gravita al di fuori delle limitazioni imposte dai tabù del tempo. Forte della sua concezione dell' "arte per l'arte", fondamento teorico comune a tutti gli estetizzanti e decadenti, suscito` scandalo con la raccolta Poems and Ballads (1866), in cui si esaltavano sadismo, maledettismo alla Baudelaire e una sensualità perversa. Difendendosi dalle accuse lanciategli, Swinburne rispose che l'arte, per essere tale, deve sentirsi indipendente. Riprendendo questa teoria dai francesi Gautier e Baudelaire, egli si affermo` come primo caposcuola dell'estetismo inglese. La trasgressione diviene regola nella vita di Swinburne, la cui giovinezza e` costellata di episodi che danno saggio del suo temperamento ribelle ed insofferente. Il poeta, che in sede politica nutriva un'ammirazione sconfinata per Whitman e Mazzini, trovo` che il modo migliore per imporre le proprie idee era quello di provocare il moralismo borghese, di far tremare i capisaldi della puritana e falsa societa` vittoriana. Basti citare, come esempio, la sua decisione di affidare una sua opera, dopo che era stata rifiutata dall'editore Moxon, ad un editore di testi pornografici.

Egli usava assumere gli attteggiamenti del tempo e riprodurli nel gusto e nello stile, ma deviandoli quel tanto che bastava per intravvederne alcune caratteristiche inattese e sorprendenti. Egli attinse al mondo quotidiano preraffaellita per esprimere la molteplicità delle sensazioni che animavano il suo intimo, condividendo esperienze con gli artisti della confraternita. Le sue appassionate frequentazioni furono motivo di scandalo: modelle, mogli, amanti, bellissime donne come Lizzie Siddall o Jane Morris, che egli impiegherà per indagare le profondità dell'eros.

In questo ambito vengono alla luce la maggior parte delle sue opere, che, tuttavia, vanno ben oltre la provocatorietà e la semplice "rhythmical creation of beauty" di Edgar Allan Poe. L'inglese fa coincidere la bellezza con la vita dei sensi e con la passione, che non e` mai priva di una certa componente di perversione. Senza esitazioni Swinburne si getta nell'esplorazione di "zone proibite", dei misteri del sesso, il quale e` spesso per lui un'esperienza lacerante, che gli crea una serie di sensazioni dolorose. Piacere e dolore divengono due volti dello stesso modo di sentire, che e` portato al limite delle possibilità umane. Egli sa benissimo che dietro alla facciata di perbenismo dell'alta società e della borghesia dell'epoca si celano omosessualità, algolagnia e pedofilia, e descrive senza scrupoli i modi in cui la passione sconvolge i percorsi del desiderio in maniera atroce e paradossale. Swinburne scopre il lato oscuro della bellezza, il male nel bello. Ciò deriva, appunto, dall'esasperazione della percezione sensoriale al punto che diviene tutt'una col dolore. Il poeta oppone la dimensione dell'eros a quella dell'ethos, ovvero la mortificazione della carne: il Paganesimo e` opposto al Cristianesimo. E` opportuno citare alcuni versi dell'Hymn to Proserpine, dove un pagano esalta la felicita` mortale della vita dei sensi, dopo l'editto di Milano del 313, che ammetteva l'uguaglianza della religione cristiana alle altre fedi di fronte alla legge:


Vuoi dunque prenderti tutto, Galileo? Ma queste cose non ti prenderai,

Il lauro, le palme, il peana, i seni delle ninfe del boschetto;

Seni più teneri di quelli di una colomba, tremanti per un più tenero respiro;

E tutte le ali degli amoretti, e tutte le gioie prima della morte;

Tutti i piedi delle ore che risuonano come una sola lira,

Caduta nel folto dei fiori, le corde tremule come lingue di fuoco.

E tu darai più di queste, cose più belle di queste?


Swinburne tenta in ogni poesia di possedere la bellezza, che sempre e` irraggiungibile. Questa lontananza produce dei vagheggiamenti sensuali e desiderio di possesso quasi ossessivo, trattenuto dolorosamente. L'esplorazione artistica del bello ha luogo con la creazione di un linguaggio consono all'intensità delle situazioni. Vi e` un'estrema attenzione alla qualità della parola, al suo suono, alla sua pesantezza, alla sua potenzialità visiva. Addirittura spesso la parola sfuma di significato per realizzare col suono la massima chiarezza espressiva. Il saggio più significante ci e`  fornito dall'"Itylus", dove la materia, tratta dalle "Metamorfosi" di Ovidio, non e` altro che cornice all'imponente impalcatura musicale:


Swallow, my sister, o sister swallow,

How can thine heart be full of the spring?

A thousand summers are over and dead.

What hast thou found in the spring to follow?

What hast thou found in thine heart to sing?

What wilt thou do when the summer is shed?


La musicalità del verso è per Swinburne più che un semplice ornamento: e` un mezzo per acquietare il tumulto dei sentimenti che lo pervade, il pensiero della morte da cui e` spesso attratto. Nella "Ballata della Morte" leggiamo:


Ora, ballata mia, []

Va', trova la morte prima che muti la luce,

E di': "Il mio padrone che già fu schiavo d'Amore

E` divenuto schiavo della Morte".

Inchinati dinanzi a lei, ballata, sospira e gemi,

Ma non soffermarti nel tornare;

Pio che può forse accadere

Che quando il tuo piede fa ritorno a sera

con te la Morte si accompagni.



Questa stessa concezione trova una felice formulazione nelle opere di Walter Pater (1839-1894), che nelle conclusioni del saggio critico Il Rinascimento (1873) teorizzo` la figura dell'esteta raffinato, che persegue il culto della bellezza, la cui filosofia di vita e` comprensibile solo agli animi eletti. Pater sembra aver qui raggiunto la suprema verità dell'esistenza, ed esorta il lettore a liberarsi dagli schematismi mentali al fine di raggiungere il perfetto equilibrio vitale. L'impegno principale sta nel discernere l'originale dal feticcio, nel cogliere l'aspetto nobile e puro di ogni istante di vita. L'animo eletto sarà quello che saprà, in nome dell'arte, eliminare il rozzo e il volgare, ricercando ovunque la bellezza.


"Arder sempre di questa salda fiamma gemmea, mantener quest'estasi, e` il successo della vita. In un certo senso potrebbe dirsi anche che il nostro fallimento sta nel formare abitudini: poiché, dopotutto, l'abitudine corrisponde a un mondo stereotipato, e intanto e` solo la grossolanità dell'occhio che fa che due persone, cose, situazioni sembrino simili. Mentre tutto si scioglie sotto i nostri piedi, ben possiamo cercar d'afferrare qualunque passione squisita, qualunque contributo alla conoscenza che collo schiarirsi d'un orizzonte sembri mettere lo spirito in libertà per un momento, o qualunque eccitazione dei sensi, strane tinte, strani colori e odori curiosi, o opera di mano d'artista, o il volto della persona amica.  Rinunziare a discriminare ad ogni istante qualche atteggiamento appassionato in coloro che ci stanno intorno, [], significa dormire innanzi sera in questo breve giorno di gelo e di sole". []


"Taluni spendono quest'intervallo nel languore, taluni in ardenti passioni, i più saggi, almeno tra i "figli di questo mondo", nell'arte e nel canto. Che` l'unica nostra opportunità sta nell'ampliare quell'intervallo; nel far entrare il maggior numero di pulsazioni possibile nel dato tempo. Grandi passioni possono darci questo accelerato senso della vita, l'estasi e l'affanno d'amore, le vane forme dell'attività entusiastica, disinteressata o meno, che prendono naturalmente molti di noi. Assicuratevi solo che si tratta di passione che effetti­vamente vi da' questo frutto d' una coscienza accele­rata, moltiplicata. Di tale saggezza, la passione poetica, il desiderio della bellezza, l'amore dell'arte per l'arte, ha il massimo. Poiché l'arte viene a voi proponendovi francamente di non dare altro che la quantità più eletta al vostri momenti mentre passano, e non avendo di mira che quei momenti".


In opere di raffinata elaborazione stilistica come i Ritratti Immaginari(1887), Mario l'Epicureo(1885) e Il fanciullo nella casa(1894), si sofferma compiaciuto sullo sfiorire delle cose belle, degli oggetti, degli edifici, ma anche dei personaggi, che egli ritrae pervasi da un senso di languore, ambigui, enigmatici.

Mario l'epicureo si presenta più sotto forma di saggio storico - filosofico che romanzo. Ambientato nell'epoca del regno di Marco Aurelio, il racconto descrive il peregrinare del complesso spirito di Mario attraverso le più note filosofie greche del tempo. Dall'antica religione romana Mario non trae sufficiente conforto quando la morte dei suoi cari lo pone di fronte alle incertezze e alle difficoltà della vita, e si dedica allora all'epicureismo. Questa dottrina limita l'orizzonte del suo credere a vane speculazioni metafisiche, e perciò per un periodo fa propria la dottrina del nuovo cirenaismo, che lo spinge a concentrarsi esclusivamente al godimento che si può trarre dalle sensazioni, dal presente. Né Eraclito né Aristippo riescono ad appagare le sue esigenze spirituali, né tanto meno può seguire le rinunce e l'autocontrollo dello stoicismo, a cui è iniziato da Marco Aurelio. L'atarassia e l'accettazione passiva del dolore non lo aiutano a spiegare i problemi a lui fondamentali e a consolarlo di fronte al male. È cosi che giunge ad intraprendere la via della semplicità cristiana. Il cristianesimo lo sorprende perché propone un tipo di umanità dotata di quelle qualità morali di cui il paganesimo è privo, e perché non rinnega l'amore per la bellezza. A parte l'eco estetizzante del messaggio di Mario, è lo stile a dover essere considerato per la sua estrema cura formale. La forma espressiva è ricca, adorna, ma precisa, minuziosa e raffinata, ricercata, preziosa. Sembrerebbe un lavoro di cesellatura più che uno scritto: opinioni, sfumature di pensiero, immagini sono trattate con un'assidua cura e pazienza, e fu proprio per queste sue proprietà che lo stile di Pater fu preso a modello dagli autori dell'estetismo decadente.


"Nel passato, aveva pen­sato tante volte che morire in una giornata non oscura o piovosa, sarebbe stata una grazia, una dolcezza, un sollievo per lui. Le persone attorno al suo letto pregavano con fer­vore: Abi! Abi! Anima christiana! Nei momenti di estrema prostrazione gli avevano posto il loro pane mistico tra le labbra, ed era disceso come un fiocco di neve dal cielo. Dita delicate avevano imposto, sulle mani, sui piedi, su tut­ti quei veicoli dei sensi attraverso i quali il mondo era en­trato ed era uscito per lui, e che ora erano tanto spenti e ostruiti, un olio balsamico. Furono le stesse persone che al crepuscolo grigio e severo di quel giorno raccolsero i suoi resti e li seppellirono segretamente, con le preghiere con­suete; con un senso di gioia, ritenendo che la sua morte, se­condo la loro generosa credenza, avesse avuto il carattere di un martirio; e il martirio, come la Chiesa ha sempre afferma­to, equivale a un sacramento che conferisce grazia plenaria".


Ne Il Fanciullo nella casa, saggio autobiografico, Pater si sofferma sulla fugacità delle cose belle ed esorta a fruirne finché si è in tempo. Bisogna concentrarsi sul presente, e godere della materialità degli oggetti che amiamo, senza sperare in gioie future. Ecco come viene descritto il maturare di questa consapevolezza nel protagonista Florian, che vive in un'antica casa abbellita da oggetti d'arte:


"Allora, per la prima volta, gli parve pure di provare un sentimento ap­passionato nella sua relazione a begli oggetti este­riori, un'eccitazione inesplicabile alla loro presenza, che lo turbava, e da cui quasi desiderava d'essere libero. Un'ombra di rammarico o di desiderio Si mescolo' tutta la notte con la ricordata presenza del fiori rossi, e col loro profumo nella tenebra intorno a lui, e la brama di possederli interamente, in qual­che modo non pur divinato, fu per lui il principio d'una rivelazione, che si fece più chiara, con l'av­vento della graziosa assisa estiva dei campi, degli al­beri e delle persone, ogni anno che si succedeva, la rivelazione di un certo predominio nel suoi inte­ressi, che talora pareva esclusivo di belle cose fisi­che, una sorta di tirannia che i sensi esercitavano su di lui'.


Il momento del distacco dagli oggetti belli, dai luoghi che sono significativi all'interno della sua vita giunge per Florian, che deve abbandonare l'antica e cara residenza per trasferirsi con la famiglia in una nuova. Si rende conto soltanto allora, quando ritorna nella casa vuota per prendere l'uccellino che si era dimenticato, di come il mondo di sentimenti che aveva lasciato sia andato definitivamente perduto.


"Ma mentr'egli l'andava cercando da una al­l'altra delle stanze che giacevano cosi` pallide, con un'aria di umi1ta` nella loro denudazione, e alla fine attraverso a quella bianca cameretta spoglia, l'aspet­to del luogo lo commosse come la faccia d'un mor­to; e fu assalito da un attaccamento ad esso cosi` in­tenso che egli conobbe che sarebbe durato a lungo, e avrebbe sciupato tutto il piacere del compiersi d'una cosa che egli aveva auspicato cosi ardentemen­te. E cosi`, con l'uccellino ritrovato, ma soffrendo lui stesso l'inferno della nostalgia che gli era nata dentro cosi` capricciosamente, fu portato via in fretta, lontano per la rurale distanza, che tanto aveva accarezzata col pensiero, di quella favorita strada di campagna".



Si percepiscono le tracce del nuovo credo anche in George Moore(1853-1933), scrittore di fama, forse immeritatamente, minore. Nel romanzo autobiografico Confessioni di un giovane(1888) egli, riprendendo gli atteggiamenti di Rossetti e di Swinburne, mostra come egli senta la giovinezza in modo "esteriore e paneggiante"(G. D'Auli), e non riesce a nascondere, nonostante le pagine blande e spregiudicate, la propria tristezza nell'abbandonare una fase cosi` tumultuosa della propria vita. Il decadentismo di Moore e` pregno di quell'ambiente letterario parigino che lo ha formato, ancora cosi` ricco di fermenti. Egli stesso proclama la sua volubilità nell'abbracciare le correnti culturali e i gusti più svariati, che nella capitale francese di certo non erano assenti.

Nelle Confessioni trovano spazio, oltre che la narrazione autobiografica di Moore, numerose dissertazioni in campo artistico e letterario, dove l'autore si erige a critico dei più noti artisti del suo tempo o degli anni immediatamente precedenti e da` dei precetti personali. Il suo gusto raffinato lo porta ad esaltare pittori lontani dal realismo e a stroncare degli scrittori ormai consolidati, a ripudiare ogni accademismo e l'ipocrisia borghese. Tra i pittori predilige, come appare dalle seguenti riflessioni, James Whistler.


"Whistler ha ragione. L'arte non e' la natura. L'arte e` la natura digerita: Un sublime escremento. Dei Zola o dei Goncourt non potranno o non vorranno capire che lo sto­maco artistico deve esser lasciato libero di lavorare alla sua misteriosa maniera. II vero artista si ricorderà del necessario, e oblierà il superfluo: ma se prende degli appunti non può che interrompere l'artistica digestione; e il risultato non sarà che una serie di frammenti sconnessi, senza l'elegante ritmo della sintesi".


Tra gli scrittori, e` evidente il singolare apprezzamento che Moore ha per Walter Pater, che scrisse anche la prefazione a un'edizione delle Confessioni. Costui viene apprezzato soprattutto per forma dello scrivere cosi` brillante e ricca.


"Ma Marius the Epicurean rappresentava per me qualche cosa di più che una pura efficacia emotiva, per quanto rara e preziosa essa fosse: quello era il primo libro di prosa inglese che mi desse un piacere non dubbio, per le qualità stesse dello stile e per le varie combinazioni delle parole: una musica d'argento o d'oro, una cadenza che esce dalle convenzioni e tutti i significati nascosti e sottintesi e quel dissolversi dell'ispirazione come l'odore delle rose morte e quelle parole sapide per qualche antico aroma e come disusate da tempo".


In Moore trovano spazio una molteplicità di stati d'animo apparentemente inconciliabili: malinconia e noncuranza, ardita` sensuale e spirituale, baldanza, disperazione, noia. Lo spirito volubile, la ricerca del piacere smodato, la concezione aristocratica dell'arte e della società e l'anticonformismo fanno di lui un esteta, che tuttavia non raggiunge il grado di depravazione che ci vuole far pensare. ("Io sono effemminato, malaticcio, perverso: soprattutto perverso. Quasi tutto quello che e` perverso mi interessa e m'incanta"). La sensazione e` che egli voglia adeguarsi alla tendenza artistica e alla moda del tempo, e che voglia dare una rappresentazione di se` peggiore di quanto lo sia veramente. In fondo, le trasgressioni che vedono il giovane protagonista non sono altro che episodi, decisamente più accesi e irregolari, di vita mondana. Ecco come viene descritto il tipo di vita condotto a Londra dal giovane Moore:


"Ma la vita io l'amavo quanto i libri, e i miei studi andavano stranamente insieme ai miei piaceri. Quale variopinto pasticcio di letteratura e di libertinaggio! Mentre aspettavo il mio coach per condurre delle cocottes e dei giovinastri al Derby, leggevo un capitolo di Kant: mi capitava di partire col volume in tasca. Coltivavo accuratamente una relazione con un tale che aveva preso in affitto il teatro del Globe per farvi eseguire le opere di Offembach. Fiori, gioielli, palchi di teatro, mi davano gioia. Non ero quello che si dice un dissipato, ma mi dilettavo di cose un po' fuori del normale. Mi piaceva di spendere in profumi e gingilli, una somma sufficiente forse a far star bene una povera famiglia per dieci mesi: sorridevo nella luce di una certa ora alla moda nel Parco, mentre fra la polvere sfilavano i cocchi: mi piaceva anche di scandalizzare i miei amici, salutando le cocottes. Ma quella vita a luce di gas, con vesti sontuose che sfioravano muri bianchi di calce, vita burlescamente lirica, ritmata al ron-ron di valzer e di polche banali, m'interessava al di la' di ogni legittima misura, tanto mi sembrava curiosa e strana! Avevo una mia casa, ma ogni giorno andavo a mangiare in un ristorante alla moda: alle Otto e mezza ero a teatro. Con un famigliare cenno della testa al portiere, traversavo il lungo corridoio che portava in palcoscenico. Poi la cena: Cremorne e Argyle Rooms erano i miei luoghi prediletti.[] Non giocavo e non bevevo: non mi impelagavo in debiti ne' in relazioni segrete e definitive: dal punto di vista mondano, ero proprio un giovane modello. E quando tornavo a casa, verso le quattro del mattino, guardavo il tra­monto della pallida luna, e ripetendo qualche verso di Shelley fantasticavo sul modo di raggiungere Parigi appena fossi maggiorenne e di studiare la`  la pittura".


Ma Le Confessioni sono soprattutto un inno alla giovinezza, tempo di dominio e di splendore, capriccioso ed ironico. Al declino di essa si conquista, senza dubbio, una serenità interiore, che pero` non può essere paragonata a quel liberarsi di forze che non ubbidiscono a nessun comando e a nessuna imposizione.

I toni baldanzosi e spregiudicati del romanzo e i forti accenti di cinismo delle ultime pagine, indirizzate al pubblico giovane e non al "lettore ipocrita", non riescono a nascondere, tuttavia, la profonda tristezza del Moore nell'abbandonare un'età cosi` felice e cosi` breve.


"Addio! Cedo il posto: siate giovani come lo ero io, amate la giovinezza come io l'ho amata, ricordatevi che siete gli esseri più interessanti che vivano sotto il cielo: per voi ogni sacrificio sarà fatto; sarete festeggiati e adorati, a condizione che restiate giovani".



Nel solco tracciato da Ruskin e Pater si colloca anche Oscar Wilde (1854-1900), il più noto dei decadenti anglosassoni. Il dublinese da giovane frequentò  il Magdalen College di Oxford, dove poté seguire le lezioni del Ruskin e le conferenze di Pater. Egli abbraccio` il nuovo credo estetico, e lo interpretò assumendo degli atteggiamenti strani e bizzarri che attraevano l'attenzione generale. Al termine degli studi si recò a Londra, dove la sua fama lo aveva già preceduto. Si presentava in pubblico in insolite pose, con i capelli lunghi, l'orchidea all'occhiello, un fiore di girasole portato in strada, e fu proprio questa sua immagine a procurargli i primi successi letterari. Nella capitale inglese conobbe l'americano Whistler, per il quale provò sempre una particolare ammirazione. Egli ne imitava lo stile di vita e le pose e amava la componente spiritosa e ironica della sua personalità. Nello studio del pittore, inoltre, ebbe l'opportunità di entrare in contatto con Rossetti e Swinburne, che non poca influenza ebbero nella sua arte.

Wilde non solo fu uno dei principali rappresentanti dell'estetismo decadente, ma ebbe lui stesso un ruolo di primo piano nel creare e diffondere quel particolare culto della bellezza. Si eresse ad arbitro di mode e allo stesso tempo riformò l'abbigliamento e lanciò nuovi stili di arredamento; si faceva pubblicità in America ed andava in vacanza nei paesi mediterranei; frequentava il gran mondo e non accettava gli fossero lanciate accuse, seppure fondate, di omosessualità. Dire che fosse eclettico è limitativo: era presente in tutti gli ambienti più in vista della società e amava mettersi in mostra davanti al grande pubblico. L'uso che fece dell'estetismo fu magistralmente programmato al fine di garantirgli la popolarità e il successo personale. Bisogna dunque registrare la contraddittorietà tra le istanze aristocratiche presenti in molte delle sue opere e le proporzioni "di massa" della sua carriera.

Probabilmente fu proprio l'eccessiva popolarità che condusse Wilde in rovina. Egli fu travolto da uno scandalo per la relazione intrecciata con Lord Alfred Douglas, poeta e atleta amatissimo, rampollo di una delle famiglie aristocratiche più note. Rimase preda della trappola tesa dal padre di Lord Douglas, che sfruttò la causa per diffamazione inoltrata dal dandy per demolire la sua immagine pubblica e procurargli due anni di lavori forzati. La reclusione segnerà la fine del periodo estetizzante dell'autore, che d'ora in poi non avrà più la forza di affrontare l'ostilità del pubblico e per imporsi come artista, ne` di fornire agli altri un'immagine rigenerata di sé stesso. Vagabonderà per l'Europa fino all'ultimo, la quale troverà un vecchio uomo lontano da quella presunzione e quella sfrontatezza che avevano reso celebre. Il suo nome, dal punto di vista letterario, e` legato principalmente al romanzo Il ritratto di Dorian Gray (1891), concentrato di motivi ricorrenti dell'estetismo europeo: il vizio, la depravazione, l'eterna giovinezza, l'edonismo, la libertà di costumi.

La trama del Ritratto è notissima: il pittore Basil Hallward ritrae con eccezionale maestria il giovane e bellissimo Dorian Gray, che è sotto l'influenza dell'eccentrico Lord Henry Wotton, il quale lo istruisce con precetti paradossali e amorali. Ossessionato dall'idea di invecchiare e perdere le sue graziose forme, Dorian invoca e ottiene un sortilegio in base al quale ogni segno del tempo comparirà sul ritratto e non sul suo corpo. Intraprende allora una vita di piaceri, crimini ed eccessi, senza che il suo aspetto fisico risenta delle angosce della coscienza. Nel corso degli anni, invece, l'immagine dipinta diventa sempre più ripugnante e impressionante. In un attimo di disperazione, colto dall'ira e, forse, dal rimorso, Dorian squarcia la tela maledetta con un pugnale, credendo di liberarsi dalla maledizione che incombe su di lui, ma è proprio l'esteta a perire. Il ritratto ritorna alle sembianze originali, mentre a terra giace insanguinato un disgustoso vecchio dal volto perverso.

Dorian è l'impersonificazione del contrasto arte - vita, che si risolve col prevalere della prima rispetto alla seconda. La vita, come appare dai frequenti aforismi di Lord Henry, ha senso solo se si realizza in senso estetico, se si persegue il culto della bellezza in moduli raffinati e inimitabili. Bene e male hanno un valore del tutto superfluo. Ecco alcuni esempi disarmanti di riflessioni sulla vita e sull'arte portate fino al paradosso:


"Ogni impulso che cerchiamo di soffocare fermenta nella nostra menta e ci avvelena. Il corpo pecca una sola volta e supera subito il peccato, perché l'azione è un modo per purificarsi. Allora non rimane più nulla, salvo il ricordo del piacere, o il lusso di un rimpianto. L'unico modo per liberarsi di una tentazione è abbandonarvisi".


"Per me la bellezza è la meraviglia delle meraviglie. Solo la gente mediocre non giudica dalle apparenze. Il vero mistero del mondo è ciò che si vede, non l'invisibile.".


"Giovinezza! Giovinezza! Non c'è per me assolutamente nulla al mondo, fuorché la giovinezza".


"Il modo di vestire del diciannovesimo secolo è detestabile. È così scialbo, così deprimente. L'unico elemento di colore che sia rimasto nella vita moderna è il peccato".


"Quando si è innamorati, si incomincia sempre ingannando se stessi e si finisce sempre ingannando gli altri. È quello che il mondo chiama sentimentalismo".


"Temo che le donne apprezzino la crudeltà, la crudeltà brutale, più di ogni altra cosa. Hanno istinti meravigliosamente primitivi. Le abbiamo emancipate, ma loro rimangono egualmente schiave alla ricerca del padrone. Amano essere dominate".


In effetti è Lord Henry il vero colpevole della depravazione di Dorian. Lui è l'elaboratore delle teorie che successivamente vengono attuate dal giovane Gray, che raggiungerà dei vertici di immoralità che superano le previsioni del maestro. Dorian si fa portatore di ideali antidemocratici e atei, accetta il fardello di una moralità infangata come prezzo dell'eterna bellezza, esalta il sensibile e disprezza il volgare. Si ritiene addirittura il messia di un'attesa età di purificazione, perdendo di vista ogni punto di riferimento, ritenendosi al di sopra di comuni legislazioni e convenzioni.


"L'adorazione dei sensi spesso e molto giustamente è caduta in discredito perché gli uomini provano un istintivo terrore verso le sensazioni e le passioni più forti di loro che sanno di dividere con forme di esistenza meno organizzate. Ma a Dorian Gray pareva che nessuno avesse mai compreso la vera natura dei propri sensi e che essi fossero rimasti animaleschi e selvaggi Solo perché l'umanità aveva tentato di soggiogarli o di mortificarli attraverso la sofferenza invece di proporsi di farne elementi di nuova spiritualità, la cui caratteristica dominante avrebbe dovuto essere un raffinato istinto del bello. Quando si voltava a guardare il cammino dell'uomo nella storia, un senso di perdita lo ossessionava. A quante cose si era rinunciato! E per un cosi misero fine! Si erano viste folli rinunce dettate dall'ostinazione, forme mostruose di autopunizione e di abnegazione nate dalla paura e finite in forme di degradazione infinitamente più terribili di tutte quelle presunte degradazioni da cui, nella loro ignoranza, gli nomini avevano cercato di fuggire. La natura, nella sua meravigliosa ironia, spingeva l'anacoreta a nutrirsi insieme agli animali selvaggi del deserto e dava come compagni all'eremita gli animali dei campi.

Sì, come aveva preannunciato Lord Henry, sarebbe sorto un nuovo edonismo che avrebbe creato la vita e l'avrebbe salvata dal duro e sgradevole puritanesimo che ai giorni nostri conosce un singolare risveglio. Questo edonismo avrebbe dovuto certamente appoggiarsi all'intelletto ma non avrebbe mai accettato teorie o sistemi implicanti la rinuncia a qualunque esperienza emotiva. Suo scopo infatti avrebbe dovuto essere l'esperienza stessa e non i suoi frutti dolci o amari che fossero. Avrebbe ignorato sia l'ascetismo che mistifica i sensi, sia la volgare dissolutezza che li assopisce. Avrebbe invece insegnato agli uomini a concentrarsi negli attimi di una vita che e essa stessa solo un attimo".


Nella vita Wilde impersonificò il classico dandy londinese, che ritiene di dover sovvertire lo schema di valori della società borghese, da lui disprezzata, e viceversa esalta le cose più futili. Wilde compendia nelle Intenzioni (1891) le sue concezioni dell'arte e della vita.  Spicca nelle Intenzioni il saggio Il Critico come artista. In un dialogo brillante, tenuto "nella libreria d'una casa in Piccadilly", Gilberto ed Ernesto discutono dell'importanza del ruolo del critico d'arte. Grazie alla conversazione Gilberto riesce a persuadere Ernesto, dapprima refrattario alle tesi dell'amico, che il Critico è addirittura superiore all'artista e che in un certo senso il creatore, limitato dalla sua personale, spesso razionale, concezione dell'arte, è un critico inferiore. Serva a comprendere meglio tutto ciò il seguente scambio di battute tra i due:


"ERNESTO.- Ma mio caro, - scusami per l'interruzione - mi sembra che dalla tua passione per la critica tu ti lasci condurre d'assai troppo lontano. Poiché, dopo tutto, ammetterai che è assai più difficile fare una cosa che parlarne.

GILBERTO.- Più difficile fare una cosa che parlarne? Nient'affatto. Questo è un grossolano errore popolare. È assai più difficile parlare d'una cosa che farla.[]

ERNESTO.- Il vero critico sarà razionale, ad ogni modo, non è vero?

GILBERTO.- Razionale? Vi sono due modi di odiare l'arte, Ernesto. L'uno è, d'odiarla; l'altro, come Platone seppe, e non senza rincrescimento, crea nell'ascoltatore e nello spettatore una forma di divina follia[]"


Da ciò deriva come conseguenza, nella discussione dei due intellettuali, che la forma importa più dell'idea che la sorregge. L'arte nella vita è tutto, ma il perfetto artista non creerà nulla, ma farà, invece, della propria vita un'opera sublime. Egli proverà, inoltre, il massimo godimento estetico in ogni situazione, cercherà il peccato, perché esso è uno stimolo necessario per formare una vita armoniosa. L'arte stessa è, secondo Wilde, che si cela dietro le parole di Gilberto, lontana da ogni legge morale. La società non fa altro che limitare, coi suoi assurdi pregiudizi, l'agire e il pensare umano:


"GILBERTO.- Ogni arte è immorale.

ERNESTO.- Ogni arte?

GILBERTO.- Sì. Poiché l'emozione per amore dell'emozione è lo scopo dell'arte, e l'emozione per amore dell'azione è lo scopo della vita, e di quella organizzazione pratica della vita che chiamiamo società.[] La società spesso perdona al delinquente; non perdona mai al sognatore. Le belle emozioni sterili, che l'arte eccita in noi, sono odiose ai suoi occhi, e la gente è così compiutamente dominata dalla tirannia di questo spaventevole ideale sociale, che sempre si presenta in visite private o in altri luoghi aperti al pubblico a dirti con alta voce stentorea: "Che fai?", mentre: "Che pensi?", è la sola domanda che qualunque essere civile possa permettersi di rivolgere a un altro."


L'ideale estetizzante trova una successiva espressione in alcune commedie, tra le quali L'importanza di chiamarsi Ernesto (1895), che rappresentava il ricapovolgimento dei valori tradizionali, esaltando l'anticonformismo, la frivolezza, la bellezza. The Importance of Being Earnest è ritenuta la più bella commedia di Wilde, la più divertente e briosa. La trama è decisamente poco impegnata e si posa tutta sul gioco di parole tra il nome proprio Ernest e l'aggettivo earnest (serio). Algernon Moncrieff, un giovane gentleman londinese, accoglie per il tè l'amico John Worthing, che viene dalla campagna. In una sagace conversazione emergono i segreti che ciascuno dei due ha sempre celato all'altro: Algernon di tanto in tanto finge di andare a trovare un amico ammalato per mascherare le sue scappatelle, mentre John, che si fa chiamare Ernest in città, nasconde una giovane pupilla diciottenne di campagna, alla quale spiega le sue assenze inventandosi delle visite ad un fantomatico e scapestrato fratello, Ernest, appunto. La scena si anima quando, nella residenza di Cecily, la pupilla di John, si presenta Algy fingendo di essere Ernesto. Gli strali del caso fanno si che John giunga sul posto, e così anche la sua amata Gwendolen, con la quale non si può fidanzare per un severo veto della sua tutrice, Lady Bracknell. Comincia qui la saga dei malintesi, che si risolvono tutti con la comparsa chiarificatrice di Miss Prism, governante di Cecily e una volta di Lady Bracknell: l'incolta nutrice rivela svela il mistero che riguarda i natali di John, che impediva il matrimonio tra gli innamorati. Ernest-John ritira il veto che aveva gettato sul fidanzamento di Cecily con Algernon, che scopre essere suo fratello. Ecco che si capisce quale sia nella vita l'importanza di essere Earnest.

I personaggi che più rappresentano il tipo umano dell'esteta sono senza dubbio Algernon e Lady Bracknell. Il primo è scanzonato, cinico, brillante nella conversazione, ricorda Lord Henry del Ritratto. Stupisce per i suoi aforismi, che hanno l'unico scopo di meravigliare e provocare il pubblico, pur rasentando il nonsense. Algy è pigro, goloso, egoista, dissipatore: assomma in sé, dunque, tutti i vizi possibili, che però, se cosparsi del tipico humour  e aristocratismo anglosassoni, diventano delle virtù.


"Tutte le figlie femmine diventano come la loro madre. Questa è la tragedia delle donne. Nessun maschio lo diventa: e questa è la tragedia degli uomini".


"È un duro lavoro non far niente. Comunque, non è che lavorar duro mi dispiaccia, purché la cosa non abbia nessun scopo pratico".


"Se mi capita a volte di essere ultra - ricercato nel vestire, compenso il fatto con l'essere sempre ultra - raffinato in tutto".


L'anziana Lady si dimostra, invece, smisuratamente interessata al denaro, e non si cura di camuffare la sua materialità con ipocrite finzioni. Ella bada solo a far rispettare l'esteriorità, non le buone maniere, ma quelle che si convengono per le persone di un certo rango, ovvero l'antitesi del moralismo borghese.


"Per dire la verità, io sono contraria ai fidanzamenti troppo lunghi. Danno alla gente l'occasione di scoprire il carattere l'uno dell'altro prima del matrimonio, cosa che non è mai consigliabile".


"[] Algernon è un ottimo partito: e lo è in modo evidente, addirittura ostentato. Non ha niente, ma sembra tutto. Che cosa si può desiderare di più ?".


"[] Centotrentamila sterline! In buoni del tesoro! La signorina Cardew mi sembra veramente deliziosa, ora che la guardo. Non sono molte le ragazze, al giorno d'oggi che possono vantare solide qualità, di quelle qualità durature, che migliorano per giunta col tempo []".


Lo stile di Wilde è efficace e pregevole: il suo merito sta nel far apparire allo spettatore un mondo fondato sui paradossi come qualcosa di assolutamente naturale. La stravaganza, si sa, è con lui all'ordine del giorno, ma il ritmo incalzante degli epigrammi, delle battute e dei colpi di scena è in questo caso straordinario.



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