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Antigone




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Antigone



Notizie sull'autore:

Sofocle (496-406 a.C.), di famiglia benestante, partecipa alla vita politica ateniese nell'età di Pericle e dopo la morte di lui, ricoprendo la carica di stratego. Scrive componimenti lirici, un trattato sul coro (andati perduti), ma soprattutto tragedie e drammi satireschi. Gli sono attribuite non meno di centoventi opere drammatiche. Rimangono, oltre a frammenti di drammi satireschi, sette tragedie: Aiace, Antigone, Le Trachinie, Edipo re, Edipo a Colono, Elettra, Filottete. Apporta nella tragedia alcune innovazioni strutturali: l'introduzione del terzo attore, l'aumento dei corueti da dodici a quindici e, soprattutto, l'indipendenza dei drammi nell'ambito della trilogia, in cui ogni opera costituisce un'unità in sé conclusa. Sofocle concentra l'attenzione soprattutto sul protagonista. I suoi eroi sono individui isolati, intransigenti ed incapaci di compromessi; pur nel loro errore, sono portatori di valori e le loro sofferenze sono in qualche misura provvidenziali (forte è l'ispirazione religiosa della tragedia di Sofocle). Vasta la fortuna già nel mondo greco: Aristotele nella Poetica elogia più volte la struttura dell'Edipo re. Il teatro latino, con Seneca, guarda più a Euripide che a Sofocle, mentre il classicismo cinquecentesco, dopo il silenzio del Medioevo, torna con interesse al tragediografo greco, oggetto di imitazione nel Cinquecento e nel Seicento. Poco apprezzato nel Settecento, diviene nell'Ottocento simbolo dell'arte classica, composta e serena. Nel Novecento, invece, di Sofocle si sono messi in luce - attraverso drammi che hanno reinterpretato miti da lui trattati - gli aspetti più ambigui e inquietanti (si veda ad esempio l'Antigone del drammaturgo francese Jean Anouilh).


Riassunto dell'opera:

Antefatto: I due figli di re Edipo, Etèocle e Polinice, entrambi eredi al trono tebano, per evitare lotte per la successione, fanno un accordo: regneranno un anno a testa. Dopo il primo anno, toccato a Etèocle, questi non vuole cedere il trono al fratello, che attacca la città a capo di un esercito straniero. Nello scontro i due fratelli si uccidono a vicenda, facendo il gioco dello zio Creonte, che si instaura al loro posto come sovrano di Tebe. Il suo primo provvedimento è l'emanazione di un bando per il quale Polinice viene considerato nemico della polis, ed è perciò privato del diritto di ricevere un'adeguata sepoltura e gli onori funebri che gli spetterebbero. Per chiunque venisse colto ad agire contro tale legge la pena sarebbe dovuta essere la morte.

Sviluppo: Una delle due figlie di Edipo, Antigone, prende la decisione di dare ad ogni modo gli onori funebri al fratello Polinice. Colta in flagranza di reato da una guardia, la donna viene rinchiusa con pochi viveri in una grotta, dove si suicida impiccandosi col suo velo. Nel frattempo l'indovino Tiresia ha consigliato a Creonte di annullare il suo provvedimento, se non vuole perdere tutta la sua famiglia, e la sua vita.

Epilogo: Troppo tardi il sovrano agisce seguendo le direttive del saggio cieco, andando a lavare il cadavere del nipote, che era stato esposto su un colle a lungo, per poi cremarlo. Resi gli ultimi saluti allo spirito dell'uomo e pregato per lui, il tiranno ed il suo seguito odono delle grida. Giunti all'antro dov'era stata rinchiusa Antigone la trovano già morta. Allora il figlio di Creonte, Emone, promesso sposo della donna, si toglie la vita trafiggendosi con la propria spada. Ma per il sovrano le sofferenze non sono finite. Giunto, infatti, a palazzo scopre che anche sua moglie Euridice, saputa la disgrazia appena capitata, si è uccisa. Sofferente per le perdite causate dal suo agire dissennato, Creonte invoca vanamente la morte, e viene condotto via dai suoi servi.




Personaggi principali:

Antigone, la protagonista della tragedia, è la figlia maggiore di Edipo. Addolorata per la perdita di entrambi i fratelli, decide di impedire lo scempio del cadavere di uno, causato dal provvedimento di Creonte. Dimostra in tale scelta, e nelle azioni che la seguiranno, una grande tenacia, ed il coraggio di denunciare ciò che c'è di sbagliato nella società in cui vive. È una donna molto emancipata, fatto strano per l'epoca, che combatte per i valori in cui crede.


Ismene, sorella di Antigone, è meno "ribelle" di questa. Dimostra un timore riverenziale maggiore nei confronti delle istituzioni, che le impedirà di prendere parte al crimine della sorella. Nonostante ciò, al momento del confronto tra Antigone e Creonte, si dichiarerà complice, chiedendo di morire con lei. Motiva questa sua scelta col fatto che, morta la sorella, sarebbe rimasta sola al mondo.


Coro dei tebani: rappresenta la volontà popolare, non espressa liberamente perché timorosa delle rappresaglie del sovrano.


Corifeo è la voce del coro. Lui porterà l'opinione del popolo alle orecchie del sovrano, cercando però sempre di appoggiarlo per paura del tiranno.


Creonte, zio di Antigone e cognato di Edipo, alla morte di Etèocle e Polinice è diventato sovrano assoluto di Tebe. Suo è il provvedimento che impedisce al nipote di trovare degna sepoltura, raggiungendo così l'Ade. Troppo tardi si renderà conto della follia insita nel suo gesto, e nel non volerlo annullare a tempo debito, perdendo così il figlio e la morte, come previsto da Tiresia. Creonte è l'esempio dell'ottusità fatta uomo, perché alle ragionevoli ragioni portategli da Antigone e da Emone, opporrà dei  no estremamente sciocchi, dati sneza riflettere sulle conseguenze delle sue azioni. Arriva al punto di non ascoltare più le opinioni contrarie alla propria, imponendo la sua come l'unica giusta.


L'indovino Tiresia, è accompagnato da un giovane, perché cieco. Leggendo nel caotico stormire degli uccelli sul suo seggio augurale un cattivo presagio, cerca di fare delle offerte agli dei per placarne le ire. Ma questi non accettano le carni offerte loro, adirati con Creonte per il suo agire sconsiderato. Porta allora al sovrano tebano queste informazioni, ricevendo però in risposta solo insulti. Arrabbiato, predice al tiranno la fine che faranno i suoi famigliari a causa sua.


Emone, figlio di Creonte, è lo sposo promesso di Antigone, che ama profondamente. Cerca in vano di far desistere il padre dalla sua decisione, dimostrandosi più saggio dell'anziano genitore, e poi si uccide per la perdita della donna amata.


Euridice, moglie di Creonte, ha un ruolo marginale nella vicenda. È infatti la "ciliegina sulla torta" per Creonte, dato che, saputo del suicidio del figlio, perirà sotto i propri colpi, donando così l'ultima sofferenza all'anziano tiranno.


Commento:

Con quest'opera Sofocle da un esempio della sua maestria nell'arte di scrivere tragedie, dimostrando un forte spirito di osservazione per gli elementi caratteristici della sua società.

La tragedia è un'opera di protesta contro gli usi che vogliono l'uomo superiore alla donna. Ci mostra infatti una situazione in cui un uomo, per l'età e la posizione in cui si trova, dovrebbe essere saggio e rispettoso nei confronti delle divinità e delle abitudini popolari, ma si rivela, invece, ottuso, impuntandosi su una decisione errata, per non fare la figura del sovrano disposto a cedere nei confronti della gente comune. Ma soprattutto non vuole cedere nei confronti di una donna, anche se questa si dimostra più saggia e portata al comando di lui (e forse proprio per questo). Ci mostra anche la figura di Antigone, una donna emancipata, che tiene alla sua famiglia, che crede in ciò che fa e che fa ciò che crede. Una donna estremamente "moderna", come caratteristiche, probabilmente troppo "moderna" per il periodo in cui vive. Una donna che si rivela molto intelligente e fredda, non lasciandosi influenzare dai forti sentimenti che la legano al fratello nella discussione con Creonte, e lasciando da parte l'amore verso Emone.

Ma quest'opera è anche una protesta contro la tirannide, che impone il proprio pensiero anche a chi, benché la pensi diversamente, è costretto dal timore a tacere. Contro la tirannide che se non può convincere qualcuno ad abbassare il capo se ne sbarazza, in un modo o nell'altro, eliminando così il problema di doversi confrontare con un'altra creatura dotata d'intelletto ed intenzionata ad esprimerlo. Perché il parere degli altri potrebbe far nascere il dubbio che il tiranno si trovi in errore.

Non è quindi strano, riflettendo su questa protesta, che siano proprio il tiranno ed i suoi famigliari a perdere la vita, per il timore del sovrano di non dimostrare abbastanza pugno di ferro nelle sue decisioni. E non deve stupire nemmeno il fatto che Sofocle ambienti la sua trilogia proprio a Tebe, consapevole probabilmente di voler arrivare all'epilogo dell'Antigone. Se la tragedia fosse stata ambientata in Atene, la città natale del tragediografo, sarebbe stato troppo ovvio il collegamento con un irrealizzato desiderio di democrazia dell'autore, che si sarebbe messo con le sue mani in una posizione scomoda. È lo stesso schema usato dal Manzoni nei Promessi Sposi, in cui si lamenta della dominazione austriaca a Milano, parlando però di quella spagnola, per non incorrere in censure di alcun tipo.

Un altro dei temi dell'opera è il conflitto tra leggi scritte ed usi della popolazione, causa scatenante della vicenda. Probabilmente Sofocle desidererebbe una società democratica in cui le leggi concedono una forte libertà di esprimere i propri costumi ed usi, imponendo sì, dei vincoli, ma non tali da impedire il mantenimento e lo sviluppo dei valori classici. È questa una concezione molto vicina a quella dei moderni governi, che garantiscono la tutela di ogni tipo di minoranza, ponendo come unico limite il rispetto per i diritti delle persone e della collettività, ed il rispetto di essa (proibizione dei riti considerati contrari alla decenza). Nelle società odierne vi è però ancora una forte influenza derivata da pensieri e filosofie molto meno liberali. Vi sono perciò ancora alcuni limiti imposti ad alcuni gruppi di persone che non possono esprimere liberamente ciò che sono (basti pensare, per esempio, alla proibizione dei matrimoni omosessuali). Ma è già un passo avanti rispetto alle dittature passate, di cui si hanno ancora vividi esempi nei governi totalitari di vari parti del mondo, in cui non si ha nemmeno il diritto di avere quanti figli si vogliono (Cina). L'importante ora e non sedersi a crogiolare al sole, perché la strada da compiere per avvicinarsi all'utopia che era, forse, nei sogni di Sofocle è ancora lunga.






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