L'ETA' DEL REALISMO
Il
Realismo contraddistinse l'indirizzo generale della cultura europea della
seconda metà dell'800. In questo periodo si diede importanza ai fatti concreti,
abbandonando i problemi di ordine metafisico e gli idealismi del primo Romanticismo
e rifiutando i languori del secondo Romanticismo.
Il Realismo assunse il nome di Positivismo in
filosofia, Naturalismo in letteratura francese e Verismo in letteratura
italiana.
Nella nostra letteratura fra il '60 e il '90
fu presente l'aspirazione ad una letteratura "vera" e "sociale",
basata sull'analisi della società contemporanea.
Lo
scrittore di questo periodo studia i fenomeni sociali e vede nell'uomo non
tanto "un individuo", quanto un essere sociale, condizionato dall'ambiente.
Per letteratura "vera" e "reale"
si intese, il più delle volte un accostarsi alla vita "quale essa è", anche nei
suoi aspetti meno elevati, meno nobili, meno poetici.
Secondo il filosofo positivista Hyppolite
Taine, l'uomo è condizionato dall'ereditarietà, dall'ambiente, dal momento
storico. La letteratura che lo rappresenta deve perciò essere, come la scienza,
realistica; deve abbandonare il sentimentale e il fantastico e attenersi al
positivo, al concreto, a ciò che è oggettivo, reale, tangibile, per scoprire le
leggi fisiche e biologiche che determinano il comportamento umano.
Il primo principio della poetica del realismo
è che "l'arte deve rappresentare il reale positivo" e per far ciò gli
scrittori hanno ritratto i comportamenti e gli ambienti delle classi più umili
perché più vicine alla natura e quindi al vero.
Il secondo principio della poetica del
Realismo è "l'impersonalità dell'opera d'arte": l'artista deve ritrarre
il vero in modo distaccato, freddo, impersonale, così come gli scienziati
descrivono un fenomeno della natura.
L'opera
d'arte, disse il Verga, deve dare l'impressione di essersi fatta da sé. Essa è
una "tranche de vie", un aspetto, una fetta di vita studiata con i metodi delle
scienze e il romanzo deve studiare la società in tutte le sue manifestazioni,
dalle più basse alle più alte. Il romanzo di schema naturalista o verista è
sempre di argomento contemporaneo o molto lontano nel tempo. Lo sfondo della
narrazione è un ambiente studiato e descritto con minuzia, per cogliere i
tratti caratteristici che determinano il comportamento degli uomini. I
protagonisti sono inseriti, "calati" in quell'ambiente e ne sono analizzati i
precedenti e le eventuali tare ereditarie, ne sono studiate le condizioni
economiche e i riflessi, non da un punto di vista psicologico generico, ma
scientifico. Abbondano le descrizioni di ambienti naturali o umani (città,
paesi, officine, campagne,.), descrizioni precise che vogliono immettere il
lettore nel mondo in cui i personaggi si muovono.
Ambienti e fatti sono riportati con l'animo e
con gli occhi dei personaggi e sono resi con un lessico e uno stile che tendono
a ricalcare il parlato. L'impersonalità risulta quindi necessaria, lo scrittore
sparisce dal libro, ma lascia parlare le cose, non sollevando al suo stile i
monologhi e i dialoghi dei suoi personaggi, ma ricalcando il loro modo di
esprimersi
VERGA E IL VERISMO
VITA ED OPERE
Il maggiore degli scrittori veristi fu
Giovanni Verga, Nato a Catania nel 1840, da una ricca famiglia di proprietari
terrieri, trascorse la giovinezza anni in Scicilia, scrivendo molto presto per
i giornali catanesi. Abbandonò gli studi giuridici per dedicarsi alla
letteratura: nel 1857 terminò il suo primo romanzo "Amore e Patria". Tra il '61
ed il '63 pubblicò "I Carbonari della montagna" e "Sulle lagune".
Fra il '65 e '71 visse a Firenze, capitale del
regno d'Italia, dove ebbe i primi contati letterari e dove conobbe Luigi
Capuana. Pubblicò nel '86 "Una Peccatrice".
Dal '71 al '93 abitò a Milano e ne frequentò i
salotti mondani letterari. Nel '71 pubblicò "Storia di una Capinera".
Nell'ambiente letterario milanese, ampliò i suoi orizzonti umani e culturali;
conobbe gli scapigliati Boito, Cameroni, Praga, Tarchetti; si legò d'amicizia
con De Roberto, Giacosa, Rovetta, Farina, Masserani; lesse i naturalisti
francesi. Pubblicò nel '73 due romanzi: "Eva" e "Tigre reale". L'anno
successivo scrisse il primo racconto di ambientazione siciliana, Nedda, e,
forse, la commedia "Rose caduche". Nel '75 pubblicò l'ultimo romanzo
scapigliato "Eros" e l'anno successivo la raccolta di racconti "Primavera". In
realtà, stava maturando in Verga una profonda maturazione letteraria; nel 1878
con il Capuana, formulò il programma del verismo italiano e cominciò a lavorare
a "I Malavoglia".
Nel 1880 pubblicò la raccolta di novelle "Vita
dei campi": Cavalleria rusticana, Fantasticheria, Jeli il pastore, Rosso
Malpelo, L'anabte di Gramigna, Guerra di Santi, Pentolaccia.
Nel 1881 pubblicò "I Malavoglia" primo romanzo
del "Ciclo dei vinti", che passò inosservato, ad eccezione di una favorevole
recensione e difesa del Capuana. L'anno successivo ('82) pubblicò "Il marito di
Elena" e si recò in Francia, dove conobbe Zola. Nel 1883 pubblicò due raccolte
di novelle, "Per le vie" (di ambiente milanese) e le "Novelle rusticane" fra
cui sono Don Licciu Papa, Malaria, La roba, Pane nero, Libertà.
Nel 1884 si rappresentò a Torino con vivo
successo il dramma tratto da "Cavalleria rusticana", mentre nel 1885 a Milano il dramma "In
portineria" non ebbe successo. Nel 1888 uscì a puntate su "La nuova antologia",
il romanzo "Mastro Don Gesualdo", rielaborato profondamente l'anno successivo.
Nel 1891 pubblicò "I racconti del Capitano d'Arce" e nel '94 "Don Candeloro e
C.". Dal 1896 al 1902 pubblicò i drammi: "La lupa", "In portineria",
"Cavalleria rusticana", "Dal tuo al mio". L'ultimo dramma nel 1905 fu ridotto a
forma di romanzo. Intanto, dal 1893, visse raramente a Milano, soggiornando per
lo più a Catania, dove si ritirò stabilmente. Nell'ultimo periodo scrisse poco:
il primo capitolo de "La duchessa di Leyra", la novella "La capanna e il tuo
cuore". Nel 1920 fu nominato senatore e due anni dopo morì. L'attività
letteraria del Verga è, all'inizio, caratterizzata da una produzione romanzesca
di carattere tipicamente romantico, incentrata su motivi sentimentali. Verga
racconta le gesta e le avventure di personaggi d'eccezione, che si muovono in
ambienti raffinati ed eleganti e sono vittime di passioni fatali e distruttive:
artisti infelici , donne depravate e nobili corrotti, quali appunto i protagonisti
dei romanzi " Una peccatrice " (1866), "Storia di una capinera" (1871), "Eva"
(1873) , " Tigre reale" (1873), "Eros" (1875). In queste opere, oltre a
raccontare passioni tragiche, vissute dai protagonisti con pieno abbandono,
Verga manifesta la volontà di compiere un' analisi della società contemporanea,
specie delle classi elevata mettendone a nudo le magagne sentimentali e le
menzogne convenzionali. Racconta già storie di "vinti": la donna che si
avvelena per amore; la giovane monaca a forza che muore di disperazione
sacrificata dall'egoismo familiare; il pittore sconfitto nelle sue aspirazioni
ambiziose e nella sua passione per una ballerina; gli ardori devastanti di una
contessa russa, morta di tisi; la cortigiana redenta per amore. Il mondo della passione,
del lusso, dei sentimenti facili e superficiali è già più debole in queste
opere, mentre hanno maggiore forza altre cose semplici , magari ingenue, ma
sane, radicate in un costume sociale secolare e nella coscienza sentimentale e
morale dei personaggi.
In Francia Flaubert, con "Madame Bovary",
distruggeva il mito romantico del "grande amore";Verga anche, a modo suo
distruggeva quei miti:alla baronessa russa dai molti amori contrapponeva Eva,
la ballerina facile ma non abituata a mascherare a se stessa la verità,
consapevole di ciò che era, capace di guardare coraggiosamente in faccia la
vita quando spiega al pittore che l'amore è un "lusso".
Nei primi romanzi,lo scrittore è diviso tra
interessi e motivi diversi non organizzati in modo unitario. Lo stile è incerto
e si alternano parti vive e altre stanche e ovvie e con l'uso, spesso, di una
lingua sciatta e convenzionale.
Verga è il primo nostro grande scrittore
dietro cui non vi siano più i "classici": greci, latni, e italiani, peciò, non
trovando intorno a se una lingua viva di uso corrente, e non essendo capace di
costruirsela, egli procede a tentoni, fra convenzionalità giornalistiche
francesismi, toscanismi, inseriti a forza, dialettismi. Questa serie di romanzi
fu interrotta nel 1874 da una novella, diversa per argomento e in parte per
stile: "Nedda" che segna la conversione di Verga ai modi e ai temi del Verismo
e apre una nuova e originale fase della sua attività di scrittore. Nella
novella si narra la storia triste di Nedda, (diminutivo di Sebastianedda), che
lavora come raccoglitrice di olive, per curare la madre malata. Ella si
innamora di un giovane, Janu, che muore per caduta di un albero; muore, poi,
anche la bambina nata da questa relazione. Con "Nedda", Verga, abbandonati i
personaggi aristocratici e borghesi e le loro passioni, scopre il mondo degli
dei diseredati e degli oppressi e comincia a descrivere le misere vicende di
questa povera umanità in modo "oggettivo" lasciando cioè inalterate le cose e i
fatti stessi, senza interventi e commenti personali e adottando immagini,
frasi, strutture, sintattiche adeguate alla realtà dei nuovi personaggi. C'è,
in "Nedda" un moto polemico contro la società borghese fondato sullo studio di
una precisa situazione sociale. "Nedda"
fu un episodio isolato, nel senso che dopo di essa il verga continuò a scrivere
romanzi mondani, ma tale episodio lo segnò a tal punto che, successivamente, in
poco più di una dozzina di anni, compose due raccolte di novelle (Vita dei
campi del 1880, "Novelle Rusticane", del 1883). Questo mondo "Vero" è poi
oggetto negli anni successivi di tutte le più importanti opere di Verga: "I
Malavoglia" (1881) è "Mastro Don Gesualdo" (1889), i due romanzi che avrebbero
dovuto far parte del ciclo, intitolato "I Vinti" che però non fu mai portato a
termine. I tre romanzi non scritti avrebbero narrato la vanità aristocratica
che può sussistere solo ad un alto livello sociale ed economico ("La Duchessa di Leyra"); la
sconfitta nelle ambizioni politiche tese alla conquista del potere ("L'Onorevole
Scipioni"); La sconfitta nella più alta ambizione possibile, nell'aspirazione
dell'artista alla gloria "L'uomo di lusso".
CONCEZIONE DELLA VITA
Il Verga ebbe una concezione dolorosa e
tragica della vita. Egli pensava che tutti gli uomini fossero sottoposti ad un
destino impietoso e crudele, che li condannava, non solo all'infelicità e al
dolore, ma anche ad una condizione di immobilismo nell'ambiente familiare,
sociale ed economico in cui sono nati. Chi cerca di uscire dalla condizione in
cui il destino lo ha posto, non trova la felicità sognata, anzi, va incontro a
sofferenze maggiori, come succede a N'Toni Malavoglia e a Mastro Don Gesualdo.
Con questa visione pietrificata della società, il Verga rinnova il mito greco
del fato (La credenza, cioè in una potenza oscura e misteriosa, che regola le
vicende degli uomini), senza accompagnarlo col sentimento della ribellione, in
quanto non crede nella possibilità di un qualsiasi riscatto. Per il Verga non
rimane all'uomo che la rassegnazione eroica e dignitosa al suo destino. Questa
concezione fantastica e immobile dell'uomo sembra contraddire la fede nel
progresso propria delle dottrine positivistiche. In verità, il Verga non nega
il progresso, ma lo riduce alle sole forme esteriori. Progredisce l'umanità.
Nel suo complesso, per effetto delle conquiste scientifiche e tecnologiche, ma
l'uomo singolo è sempre dolorante e infelice, costantemente posto nelle mani
del fato. Questa visione è pessimistica perché verga, positivisticamente, non
crede nella Provvidenza, e Dio è assente nei suoi libri, dove su quel mondo di
lavoro, di lotte, di passioni, di morti, non stende mai la presenza del divino.
La visione verghiana del mondo sarebbe la più squallida e desolata di tutta la
letteratura Italiana, se non fosse confortata da tre elementi positivi. Il
primo è quel sentimento della grandezza e dell'egoismo umano che porta il Verga
ad assumere verso i "Vinti" un atteggiamento misto di pietà e di ammirazione:
pietà per le miserie e le avventure che li travagliano, ammirazione per la loro
virile rassegnazione. Figura simbolo della grandezza e dell'eroismo umano, è
Padron 'Ntoni dei Malavoglia. Secondo elemento positivo è la fede in alcuni
valori che sfuggono alle leggi del destino e della società: la religione della
famiglia e della casa, la dedizione al lavoro, il senso dell'onore e della
dignità, la fedeltà alla parola data, lo spirito di sacrificio, l'amore nutrito
dei sentimenti profondi, fatto di silenzi, di sguardi furtivi, di pudore, di
allusioni velate (come quello di Mena e compare Alfio, tra Alessi e la Nunziata, tra Mastro Don
Gesualdo e Diodata). Il terzo elemento positivo è la saggezza che ci viene
dalla coscienza dei nostri limiti, e ci aiuta a sopportare le delusioni. Verga
sembra esortarci a non cercare l'infinito perché troveremo sempre soltanto cose
o addirittura il nulla. Chi non ha questa saggezza va incontro all'infelicità.
Chi invece accetta la vita per quella che è sa attingere da essa le gioie
semplici del lavoro, della famiglia, dell'amore.
CONTENUTO DELLE OPERE PRINCIPALI
- "I Carbonari della montagna",
pubblicato con i denari datigli dal padre per concludere gli studi
di argomento risorgimentale.
- "Sulle lagune", dove in toni melodrammatici, narra le storie di un
intellettuale piccolo borghese di Catania, che conquista il successo e la
ricchezza, ma vede inarridirsi l'amore per la donna sognata ed adorata, e
ne causa il suicidio.
- "Eva" (1873), storia di un giovane pittore siciliano, che, nella
Firenze Capitale, brucia le sue illusioni e i suoi ideali artistici
nell'amore per una ballerina, simbolo della corruzione di una società
"Materialistica" tutta protesa verso i piaceri che disprezza l'arte e la
sottomette al suo bisogno di lusso. La protesta per la nuova condizione
dell'intellettuale, emarginato e declassato nella società borghese,
dominata dal principio del profitto, e molto vicina all'accesa polemica
anticapitalistica che caratterizza la scapigliatura
- "Eros" (1875), Storia del progressivo inaridirsi di un giovane
aristocratico, corrotto da una società raffinata e vuota.
- "Tigre reale" (1873), che analizza il traviamento di un giovane
innamorato, di una donna "Fatale", divoratrice di uomini, e la sua
redenzione segnata dal ritorno alle serene gioie della famiglia.
- Novelle di ambientazione Siciliana. La nuova impostazione
narrativa inaugurata nel '78 con "Rosso Malpelo" è continuata dal Verga in
una serie di altri racconti pubblicati su varie riviste fra il 1879 e il
1880, e raccolte nel volume "Vita dei Campi". In questi racconti spiccano
figure caratteristiche della vita contadina siciliana, e viene applicata
la tecnica narrativa dell'impersonalità. Verga, vive in questo periodo una
contraddizione tra le tendenze romantiche della sua formazione e le nuove
tendenze veristiche, pessimistiche e materialistiche, che lo inducono a
studiare scientificamente le leggi del meccanismo sociale, e a riconoscere
che anche il mondo rurale è dominato dalla stessa legge della lotta per la
vita che regola la società cittadina. È una contraddizione che troverà presto
soluzione nei "Malavoglia". Nel 1883 compaiono le "Novelle Rusticane" che
hanno per argomento centrale la vita economica della popolazione siciliana
il tema della "Roba", negli ultimi tempi della dominazione borbonica e
durante la liberazione sopraggiunta con Garibaldi. In questo senso, esse
si possono considerare l'antecedente storico del romanzo Mastro Don
Gesualdo".
"I Malavoglia" 1881
Aprono il ciclo dei Vinti, di coloro cioè che,
nella lotta per l'esistenza, "la corrente a deposti a riva, dopo averli
travolti e annegati".
I Malavoglia sono una famiglia patriarcale di
pescatori, che vivono ad Aci trezza, villaggio siciliano chiuso tra il mare e
la brulla distesa della "sciara", hanno una vecchia barca, la Provvidenza, è una
casa: la casa del Nespolo. In essa, disposti come le dita di una mano, vivono,
attorno a Padron 'Ntoni, figura biblica di Patriarca, il dito grosso che
comandava le feste e le qurant'ore, altre sette persone, tre generazioni. Il
figlio Bastianazzo, la nuora Maruzza detta la longa, i nipoti Ntoni, Luca,
Mena, (S.Agata perché stava sempre al telaio), Alessi e Lia. La vita si svolge
difficile, ma serena, quando una serie di ostacoli e sciagure si abbatte sulla
casa: Ntoni parte militare e priva la famiglia delle due braccia più robuste;
Padron Ntoni deve prendere a giornata un ragazzo, Menico, ma l'annata scarsa
induce il vecchi a comprare una partita di lupini per rivenderli altrove. Una
notte di tempesta inghiotte Bastianazzo, Menico, i lupini; la barca è gettata
tutta squassata, sugli scogli. Il peggio era che i lupini erano stati presi a
credenza, e lo zio Crocifisso non si accontentava di buone parole e mele
fradice, e per questo lo chiamavano campagna di legno. Coraggiosamente, i
Malavoglia cercano di risollevarsi, facendo ogni sorte di economie e lavorando
duramente dal vecchio a Ntoni, ritornato dal servizio militare per pagare il
debito e rapportare la provvidenza. Quando, dopo tanti sacrifici, la barca può
riprendere il mare, e Mena sta per fidanzarsi con Brasi Cipolla, sacrificando
il suo amore per Compare Alfio il carrettiere, altre sventure arrivano, una
dietro l'altra, nella famiglia. Luca parte per il servizio militare e muore
nella battaglia di Lissa contro nemici che nessuno sapeva nemmeno chi fossero;
Brasi si dilegua, perché a nave rotta ogni vento è contrario: Maruzza consumata
dal dolore per la morte del marito e del figlio muore nel colera del '67; altro
naufragio della provvidenza che costringe Padron Ntoni lungamente al letto,
ormai inabile per sempre al lavoro. Dopo alcuni rinvii di pagamento, che
azzerano ogni risparmio, i Malavoglia lasciano la casa del nespolo per saldare
il debito. I guai disgregano anche la famiglia e traviano i più deboli: Ntoni,
tornato dal servizio militare non si era ri adattato nella vita della famiglia.
Dapprima abbandona il paese in cerca di fortuna, vi ritorna e, nonostante gli
incitamenti del nonno si abbruttisce nell'ozio e nel vizio, passando le
giornate all'osteria, amoreggiando con Santuzza, l'ostessa, infine si da al
contrabbando e finisce in galera per aver ferito un finanziere, il brigadiere
don Michele, anch'egli amante di Santuzza. Nel processo, nel tentativo di
alleggerire la posizione di Ntoni, viene coinvolta l'innocente Lia, come amante
del brigadiere e la ragazza va via di casa perdendosi sui marciapiedi di
Catania. Il vecchio adesso era diventato un uccellaccio da camposanto, è non
facendo altro che andare intorno, rotto in due con quella faccia da pipa, a dir
proverbi senza capo ne coda; Malato, finirà sul carro di Compare Alfio,
nell'ospedale della città senza poter rivedere la casa del nespolo che le
fatiche di Alessi restituiranno alla famiglia. Il povero vecchio stava come
un'anima del purgatorio con gli occhi rivolti alla porta sebbene non ci vedesse
quasi più, ma un giorno quando i Malavoglia vennero a riprenderselo non lo
ritrovarono più. La Mena,
per la vergogna della sorella, deve rinunziare all'amore di compare Alfio e
alleverà i figli di Alessi. Una sera tardi ritorna Ntoni, che ha scontato la
sua pena; capisce che in quella casa non c'è posto per lui e va via
definitivamente. Se ne va; nessuno lo ferma. La trama dei Malavoglia è gia
adombrata nella novella Fantasticheria (1879), in cui il Verga, scrivendo ad
un'amica che era stata con lui ad Aci trezza per qualche giorno, la informa per
lettera della sorte toccata ad alcune povere persone del villaggio con le quali
ella si era intrattenuta, accennando a Mena Malavoglia, la venditrice di
arance, a Padron Ntoni, a Bastianazzo, a Luca, a Lia e a Ntoni. L'ideale di questa
povera gente è quello dell'ostrica, ossia l'attaccamento alla casa, alla
famiglia e al lavoro. Nei Malavoglia si scontrano due concezioni della vita, la
concezione di chi, come Padron Ntoni, si sente legato alla tradizione e
riconosce la saggezza dei valori antichi, come il culto della famiglia, il
senso dell'onore, la dedizione al lavoro, la rassegnazione al proprio stato, e
la concezione di chi, come il nipote Ntoni, si ribella all'immobilismo in cui
vive, ne rifiuta i valori ed aspira ad uscirne con il Miraggio di una vita
diversa. La simpatia, latente del Verga è per Padron Ntoni e per il nipote
Alessi, che ne riproduce il carattere e ricostruisce il focolare andato
distrutto. Attorno alle vicende dei Malavoglia brulica la gente del paese che
partecipa coralmente ad esse con commenti ora comprensivi e pietosi ora ironici
e maligni. Lo stesso Verga narratore sembra essere uno del posto che racconta e
commenta col distacco impassibile del cronista, vale a dire di "un anonimo
narratore orale, il cui orizzonte culturale non è più ampio di quello dei
personaggi narrati. ; da ciò nasce l'impressione di un Verga narratore
camaleontico, che assume di volta in volta la maschera e l'opinione di tutti
coloro che entrano in scena." (C. Sgorlon).
Anche il paesaggio partecipa alla coralità
della narrazione, ora quasi compiangendo, ora restando indifferente alla sorte
degli uomini. Per quanto riguarda la lingua, il Verga accettò, per sua stessa
convinzione, l'ideale manzoniano di una lingua semplice, chiara, antiletteraria.
Egli riusci a creare una prosa parlata, fresca, viva, popolare, con la cadenza
cantilenante delle antiche rapsodie. L'originalità della tecnica del Verga dei
"Malavoglia" consiste nell'uso del discorso indiretto libero, strumento usato
dall'autore che vuole essere per metà presente e per metà assente, cosa che non
potrebbe fare usando il discorso diretto. Altri due artifici propri della
lingua del verga sono la
Regressione e lo straniamento. Mediante la regressione
l'autore vuole mettere il lettore nella condizione di pensare che i fatti si
stiano svolgendo sotto i suoi occhi; perciò inserisce nella scena il
personaggio senza presentarlo preliminarmente, per far in modo che il lettore
per comprenderlo debba necessariamente regredire al suo livello. Straniamento,
invece significa fare apparire strano ciò che è normale per fissare i più
importanti valori (amore paterno, pudore) nell'animo del lettore: es. Rosso
Malpelo era disprezzato per il colore dei suoi capelli, ma Verga dice: "Suo
padre, poveretto, lo amava" perché poveretto? Non è forse vero che un padre ama
il figlio? Ma Verga sapeva che se avesse solo citato questi valori, avrebbe
fatto una letteratura mielosa.
Mastro Don Gesualdo
In questo romanzo, il Verga narra le vicende
di un ex muratore, Gesualdo Motta, che, con la sua tenace laboriosità è
riuscito ad arricchirsi. Non gli basta, però, la potenza economica; mira ad
elevarsi socialmente. Sposa Bianca Trao, una nobile decaduta, che ha avuto una
relazione amorosa col cugino Ninì Rubiera, e da lui non sposata per
l'opposizione al matrimonio riparatore della madre, la Baronessa Rubiera,
ricchissima ed iraconda custode della propria ricchezza. Il matrimonio con
bianca non porta a Mastro Don Gesualdo la sperata soddisfazione, perché, ora
che è diventato "Don", si sente escluso non solo dal popolo, dal quale
proviene, ma anche dal mondo aristocratico che lo considera un intruso e lo
tratta con distacco. Egli porta nei due titoli che precedono il nome, il suo
dramma, e perciò appartiene ad un altro mondo. Per gli aristocratici rimane il
Mastro di sempre, e quindi è un'estraneo al loro mondo. Il dolore maggiore gli
deriva dal non sentirsi amato ne dalla moglie, ne dalla figlia Isabella che,
d'altra parte non è propriamente sua figlia, ma è nata dalla relazione di
Bianca con Ninì Rubiera. Egli, che ignora tutto ciò fa educare la figlia in un
colleggio di Nobili e la vizia accontentandola in tutti i desideri. Ma poi si
scontra con lei quando Isabella si innamora del cugino Corrado La Gurna è scappa con lui.
Mastro Don Gesualdo per evitare lo scandalo, fa sposare Isabella ad un nobile
Palermitano dal nome antisonante: Alvaro Filippo Mario Ferdinando Gargantes,
Duca di Leyra, sottoscrivendo un contratto matrimoniale che lo dissangua.
Mastro Don Gesualdo, che fra tanto ha perduto la moglie, morta di Tisi, e
costretto a lasciare il paese in rivolta per i moti del '48. le malvagità e i
pettegolezzi, l'avidità dei parenti, dei ricattatori, del genero fiaccano la
tempra di combattente del protagonista. Ammalato di Cancro, dopo costose
inutili cure nella casa solitaria, va ad abitare a Palermo nella casa della
Figlia, dove assiste allo scempio delle proprie ricchezze e muore solo,
abbandonato da tutti in una stanza appartata sul cortile. Se si eccettua la
parte finale di Mastro Don Gesualdo a Palermo, le vicende del romanzo si
svolgono a Vizzini, il paese originario di Verga tra il 1820 e 1850 circa. La
figura è il motivo ispiratorio del romanzo che è la religione della Roba, sono
prefigurati nella novella "La
Roba", così come i Malavoglia sono prefigurati in
fantasticheria.