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Alcuni generi letterali




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ALCUNI GENERI LETTERALI








Novellino: raccolta di cento novelle, composta verso la fine del XIII sec. da un unico autore - o raccoglitore, secondo alcuni critici - fiorentino, che dichiara il suo intento nel preambolo dell'opera. Originariamente doveva raccogliere centoventitré novelle, ridotte poi al numero più tradizionale, e aveva probabilmente un altro titolo, forse quello di Libro di novelle e di bel parlar gentile, conservato in un codice. Le novelle, spesso molto brevi, ma di notevole icasticità ed efficacia, sono raccolte "a prode e a piacere di coloro che non sanno e disiderano sapere"; e svolgono diversi temi, che formano blocchi di materia abbastanza riconoscibili. Agli esempi di saggezza, ai fatti magnanimi, alle gesta dei personaggi esemplari e leggendari (Prete Gianni, il Soldano, Salomone) seguono i racconti che celebrano le virtù e bollano i vizi, quelli dedicati al mondo cavalleresco e a quello classico, specialmente romano; né mancano le novelle ispirate al "buon motto", imperniate sulla risposta sottile, saggia o arguta. Lo stile scarno e rapido è il risultato di una notevole padronanza della retorica, e la materia, in cui confluiscono fonti francesi, provenzali, latine, lascia indovinare una cultura non comune.


Novèlla: novella ebbe la sua grande fioritura nella corrente del realismo medievale.

La novella si presenta come un racconto breve, in sé concluso, rivolto a un pubblico nuovo, soprattutto borghese mercantile, con un fine prevalente di diletto. Diminuisce nelle la presenza degli elementi soprannaturali e fantastici e l'interesse si sposta sul mondo reale, nel quale protagonista è l'uomo con la sua intelligenza e la sua capacità di agire.

Dunque la nascita della novella non segna solo l'emergere di un nuovo genere letterario, ma si accompagna con un profondo cambiamento di mentalità , a sua volta giustificato da un processo di trasformazione generale della società.

L'aumento demografico e il miglioramento della produzione agricola, verificatisi intorno al Mille, avevano stimolato una graduale ripresa dei commerci e promosso la rinascita delle città.

Accanto alla nobiltà feudale, al clero e ai contadini, si era sviluppata una nuova classe sociale, la borghesia.

Il potere del borghese dipende invece dal suo successo negli affari e non era fondato sulla ricchezza (il potere di un nobile derivava dall'appartenenza a una famiglia e si trasmetteva per via ereditaria).

A poco a poco si trasforma anche il concetto stesso di cultura: la funzione della cultura non è più solo conservare il sapere rivelato da Dio o tramandato dagli antichi, ma scoprire aspetti nuovi della realtà, progredire nelle conoscenze, tramite le risorse dell'intelletto e dell'esperienza umana.



Fiaba: s.f. (dal lat. fabula). Racconto immaginario, favola per bambini: Le fiabe nordiche. I personaggi delle fiabe. D Che vi voglia raccontare / una fiaba d'oltre mare! (Corazzini). Di, da fiaba, immaginario; splendido, suggestivo come una fiaba, fiabesco: Un palazzo di fiaba. Un bosco di fiaba.

Nonostante alcuni elementi comuni, la fiaba si differenzia dalla favola per il suo carattere di racconto fantastico, legato a credenze e superstizioni popolari. Mentre le letterature orientali posseggono raccolte originali di fiabe, antichissime come il Pañciatantra indiano o più recenti come le Mille e una notte arabe, nelle letterature greca e latina la fiaba appare solo episodicamente e, per lo più, si identifica con racconti di origine e significato religiosi. Caratteristica della fiaba nel mondo europeo fu la lunga trasmissione orale, che consentì, col mutare dei tempi e dei luoghi, trasformazioni assai notevoli del medesimo soggetto. Soltanto in età di cultura avanzata l'interesse dei letterati portò a fissare le fiabe in forme precise: una cospicua raccolta di esse si ebbe in Italia, nel XVI sec., con Le piacevoli notti di Giovan Francesco Straparola. Con ben più smaliziato senso d'arte più tardi Giambattista Basile raccolse fiabe popolari nel Cunto de li cunti; ma la più fortunata raccolta di fiabe si ebbe in Francia con i Racconti di mia madre l'Oca (1697) di Charles Perrault. Dopo Perrault alla fortuna della fiaba in Francia, e di riflesso in tutta Europa, giovò la lettura delle Mille e una notte, note attraverso la traduzione del Galland (1704-1717). Ma l'interesse non più di natura estetica bensì storica ed erudita per le fiabe si manifestò soltanto col Romanticismo. Con acribia di filologi i fratelli Jakob e Wilhelm Grimm diedero al principio del XIX sec. la loro fondamentale raccolta, alla quale ne seguirono altre notevolissime in altri paesi: le Fiabe del danese Hans Christian Andersen, le Antiche fiabe russe di Aleksandr Nikolaevic Afanas'ev, e le numerose raccolte procurate da studiosi positivisti con il fine di documentare la tradizione dei racconti popolari in determinati ambienti: in Italia particolarmente benemerito di queste ricerche fu Giuseppe Pitré. Ancora in tempi recenti uno scrittore di viva sensibilità, Italo Calvino, ha dato una bella raccolta di Fiabe italiane (1956). L'interesse di Calvino per la fiaba come genere è testimoniato dalla raccolta postuma dei suoi studi sull'argomento, Sulla fiaba(1988). Lo studio delle fiabe nelle varie sue fasi, dal Romanticismo ai nostri giorni, ha risentito delle posizioni storiografiche della critica letteraria e, ancor più, degli studi di folclore. L'ultima autorevole teoria è quella dell'etnologo russo  V. Propp, il quale in una serie di lavori (Morfologia della fiaba, Le radici dei racconti di fate, I canti popolari russi, Edipo alla luce del folclore) ha dimostrato che nei racconti popolari, mentre rimangono fisse le strutture, riducibili a un numero relativamente ristretto di schemi, quelli che mutano sono gli attributi dei personaggi.

Un fenomeno a parte è costituito dalla fiaba drammatica. Come spettacolo fantastico essa è già nel teatro di Shakespeare (Sogno di una notte di mezza estate), ma fu con le Fiabe di Carlo Gozzi, composte per dimostrare l'illegittimità del realismo goldoniano, che questo genere teatrale s'impose. In verità le Fiabe del Gozzi erano legate al repertorio della commedia dell'arte e ispirate dal piacere di una satira di costume; sennonché i romantici tedeschi e francesi vollero ravvisare in esse una libera e geniale manifestazione di fantasia e le elessero a loro modelli.


Favola: s.f. (lat. fabula). Racconto immaginario, narrazione fantastica: Raccontare una favola a un bambino. Leggenda, finzione mitologica: Origini avvolte nella favola. Fig. Cosa non vera, illazione, affermazione menzognera: D Fa mestieri credere che vi abbia nella vita umana alcun che di grande e di bello vero, e che il poetico del mondo non sia tutto favola (Leopardi). Oggetto di passatempo (usato oggi solo quasi in senso spreg.): Esser la favola del quartiere, del paese, essere sulla bocca di tutti. Apologo, racconto allegorico da cui si può ricavare una morale: Le favole di Esopo. Disus. Intreccio, insieme di fatti che costituiscono l'azione di un'opera letteraria. Lett. Ciò che è fuggevole e inconsistente: D Contessa, che è mai la vita? / È l'ombra d'un sogno fuggente. / La favola breve è finita(Carducci). La morale della favola, l'insegnamento morale che si ricava da una favola; fig. insegnamento, conclusione che si ricava da un fatto qualsiasi.

Sebbene il termine favola sia spesso usato in luogo di fiaba, ben precisa è la differenza tra i due generi narrativi, mentre non del tutto chiara resta la distinzione tra la favola e l'apologo, essendo propri dell'una e dell'altro gli intendimenti morali. Tuttavia è riconosciuta peculiare della favola la tendenza a trattare i suoi soggetti con minore preoccupazione di dimostrare delle verità d'ordine etico. Si è sempre considerato Esopo il primo autore di favole, ed è certo che le cosiddette favole esopiche furono il primo modello del genere. Scritte in prosa, con la morale introdotta dalla formula "La favola dimostra che ", le favole esopiche vennero in buona parte ridotte in versi da Babria nel II sec. d.C.; ma prima di Babria la favola in versi aveva incontrato grande fortuna nella letteratura latina. Per non dire di quelle molto argute che Orazio introdusse nelle Satire ( II, 6: i due topi) e nelle Epistole ( I, 7: la volpe entrata nel granaio; I, 10: il cavallo e il cervo), la letteratura latina trovò in Fedro un favolista di gusto raffinatissimo, che fu di modello anche agli autori moderni. L'opera di Fedro non fu direttamente conosciuta nel medioevo; nondimeno nella ricca produzione favolistica dell'età di mezzo la materia di Fedro venne accolta per vie indirette. Con vari titoli (Romulus, Isopo) si diffusero in latino e in volgare le favole antiche, alle quali altre si aggiunsero di origine orientale. Ma dalla favola di tipo esopico, che ha per lo più quali personaggi animali in cui sono incarnati vizi e virtù umani, gli uomini del medioevo furono attratti non soltanto per i significati morali, bensì anche per ciò che suggeriva alla loro fantasia quell'epopea degli animali che, nel suo insieme, la favolistica veniva rappresentando. Un originale risultato della fortuna che la favola godette sia per gli elementi pittoreschi e fantastici sia per i significati morali si ha nel Roman de Renart. Ma la passione per le favole portò anche a cercare le raccolte orientali. Nel XIII sec. Giovanni da Capua diede un compendio latino del Pañciatantra, fondandosi su una traduzione araba, e l'intitolò Directorium humanae vitae, alias parabolae antiquorum sapientiae. Tradotto in castigliano nel 1493 col titolo Exemplario contra los engaños y peligros del mundo, il Directorium ebbe in Italia due rifacimenti nel XVI sec.: la Prima veste dei discorsi degli animali del Firenzuola e la Moral filosofia di Anton Francesco Doni, che, insieme con le amare favole introdotte dall'Ariosto nelle sue Satire, sono le sole prove del genere favolistico nella letteratura del Rinascimento. Ancora meno la favola attrasse gli scrittori italiani dell'età barocca, mentre in Francia furono numerose le traduzioni e i rifacimenti di favole esopiche e i letterati non interruppero la consuetudine di introdurre favole nelle loro opere, costituendo così una tradizione alla quale fu in parte legato il più geniale favolista di ogni tempo, La Fontaine.

Questi diede successivamente alle stampe tre raccolte di Favole(1668, 1678, 1694), che nell'insieme costituiscono dodici libri. Per la perfezione dello stile, la sensibilità, lo spirito, la varietà di toni e la naturalezza egli non solo superò di gran lunga gli autori di favole suoi contemporanei e imitatori, ma venne a collocarsi degnamente al livello dei sommi poeti francesi del suo tempo. Sia per influsso di La Fontaine sia per il conto in cui venne allora tenuta ogni manifestazione di arguzia e d'intelligenza, la favola ebbe di nuovo grande successo nel XVIII sec. Fu anzi quella l'epoca in cui, anche in Italia, essa venne coltivata con impegno e con risultati spesso felici, e molti sono gli autori che meritano di essere menzionati: Giambattista Roberti, Tommaso Crudeli, Gasparo Gozzi, Lorenzo Pignotti, Clemente Bondi, Giovanni Meli, Aurelio Bertola, Luigi Fiacchi, detto il Clasio, Gaetano Perego, Antonio Jerocades, Gian Gherardo De Rossi, Francesco Gritti. Fu anzi il Settecento l'ultima stagione felice per i favolisti italiani, sebbene neppure nel Novecento siano mancati scrittori che hanno coltivato con intelligenza questo genere: Trilussa, e Pietro Pancrazi, autore dell'Esopo moderno. Una interpretazione diversa del genere, in chiave attuale e con risentiti intenti moralistici, è data da Il primo libro delle favole di C. E. Gadda (1952).


Ciclo Bretone: Si basa su Artù e i cavalieri della tavola rotonda. È indirizzato ai nobili delle corti feudali e ha come valori fede e lealtà al proprio signore (re Artù), amore e magia (La missione del Santo Gral) (Erec ed Enide).



Ciclo Carolingio: Si basa su Carlo Magno, il paladino della fede cattolica. È rivolto al popolo. Le opere del Ciclo Carolingio vengono cantate nelle piazze. I valori sono la fede e la lealtà alla patria (es. La Chanson de Roland).






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