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Schiavi del ventre- SENECA




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Schiavi del ventre


Queror, litigo, irascor. Etiamnunc optas, quod tibi optavit nutrix tua aut paedagogus aut mater? non­dum intellegis, quantum mali optaverint? O quam inimica nobis sunt vota nostrorum !- eo quidem mi­miciora, quo cessere felicius. Iam non admiror, si omnia nos a prima pueritia mala secuntur: inter exe­crationes parentum crevimus. Exaudiant dii nostram quoque pro nobis vocem gratuitam. Quousque posce­mus aliquid deos ita quasi nondum ipsi alere nos possimus? quandiu sationibus implebimus magnarum urbium campos? quamdiu nobis populus metet? quamdiu unius mensae instrumentum multa navigia et quidem non ex uno mari subvehent? Taurus pau­cissimorum iugerum pascuo impletur; una silva ele­phantis pluribus sufficit: homo et terra et mari pa­scitur. Qtud ergo? tam insatiabilem nobis natura al­vum dedit, cum tam modica corpora dedisset, ut va­stissimorum edacissimorumque animalium aviditatem vinceremus? Minime; quantulum est enim, quod na­turae datur? Parvo illa dimittitur: non fames nobis ventris nostri magno constat, sed ambitio. Hos ita­que, ut ait Sallustius, « ventri oboedientes » anima­lium loco numeremus, non hominum, quosdam vero ne animalius quidem, sed mortuorum vivit is, qui muitis usui est, vivit is, qui se utitur; qui vero latitant et torpent, sic in domo sunt, quomodo in conditivo. Horum licet in lìmine ipso nornen marmori in€cribas:

« Mortem suam~ antecesserunt ».


SENECA




Schiavi del ventre


Mi lamento (di te), litigo (con te), mi adiro. E de­sideri ancora ciò che a te augurò la nutrice, o il pe­dagogo o la madre? Non capisci ancora quanto male ti hanno augurato? Oh quanto sono dannosi a noi gli auguri dei nostri (congiunti)! In verità tanto più dan­nosi, quanto più felicemente si sono avverati. Ormai non mi meraviglia se ogni male ci perseguita fin dalla prima infanzia: siamo cresciuti tra le maledizioni dei congiunti. Possano gli dei dare ascolto anche alla no­stra voce disinteressata. Sino a quando chiederemo qualche cosa agli dei, quasi che da noi non riuscissi­mo ad alimentarci? Sino a quando riempiremo di piantagioni i campi d,elle grandi città? Sino a quando le masse popolari semineranno per noi? Sino a quan­do un gran numero di navi, e non da un solo mare, trasporteranno l’approvvigionamento di una sola men­sa? Un toro si sazia del pascolo di pochissimi iugeri (di terreno); una sola selva è sufficiente per più ele­fanti: l’uomo cerca il suo alimento per terra e per mare. E che? Ci diede la natura un ventre così insa­ziabile, pur avendoci dato un corpo così piccolo, da superare l’avidità delle bestie più grosse e più voraci? Nient’affatto; quanto poco, invero, è ciò che ci dà alla natura? Di poco essa si soddisfa: non ci costa molto la fame del nostro ventre, ma l’ambizione (di man­giare molto). Codesti dunque, come dice Sallustio, schiavi del ventre, mettiamoli nel numero delle be­stie, non degli uomini, ed alcuni neanche nel numero delle bestie, .ma in quello dei morti. Vive chi è di uti­lità a molti e vive chi sa far uso di sé; ma coloro che vivono nell’oscurità ed intorpidiscono, stanno in ca­sa, così come in un sepolcro. Nella stessa soglia di questi è concesso incidere sul marmo la seguente epi­grafe: « Hanno predetto la loro morte ».













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