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Il mito di orfeo ed euridice




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IL MITO DI ORFEO ED EURIDICE



La figura di Orfeo ha tre fonti

È possibile collegare la figura di Orfeo a tre distinte tipologie di fonti e documenti, spesso utilizzabili solo parzialmente a causa del loro carattere frammentario e tuttavia tale da consentirci di delineare la personalità del personaggio. Orfeo compare anzitutto come iniziatore ed eponimo dei riti orfici che appunto da lui prendono il nome, e della setta, la setta orfica, di cui abbiamo testimonianze   abbastanza certe a partire dal V secolo avanti Cristo. In secondo luogo a Orfeo viene fatto risalire un insieme di produzioni poetiche, dal contenuto spesso oracolare ed enigmatico, che va appunto sotto il nome di poesia orfica, analogamente come accade per i riferimenti ad Omero dell'Iliade e dell'Odissea. La poesia orfica è collegata a sua volta, secondo tradizioni e testimonianze pressoché concordi, ai riti eleusini e quindi è un ulteriore sostegno alla tradizione di un Orfeo connesso con riti di natura misterica ed iniziatica. Infine Orfeo compare come protagonista di due grandi miti dell'antichità: il mito di Orfeo e di Euridice, e poi un altro mito in cui Orfeo è presente come comprimario anziché come protagonista, cioè quello degli Argonauti: il viaggio di Giasone alla ricerca del vello d'oro, questa sorta di impresa di avventura impossibile ai confini del mondo conosciuto.

Aspetti comuni del personaggio

In ognuno degli esempi appena citati notiamo che, sia nelle versioni mitologiche in cui il personaggio discende agli Inferi o si spinge in viaggi ai confini del mondo conosciuto, sia nelle testimonianze relative alle sette e ai riti orfici, sia nella poesia omonima, è rilevante l'esperienza del limite, e più specificamente un'esperienza dell'aldilà, quasi a testimoniare o a confermare questo carattere di figura di confine, tra leggenda e storia. Vi è poi un secondo aspetto che emerge in qualche misura concordemente da questi tre distinti filoni di testimonianze: quello che vede in Orfeo la figura di un'artista: un poeta, un musico, colui che appunto coltiva le Muse. Figura di artista che è decisiva anche per comprendere soprattutto l'epilogo della vicenda che lo vede protagonista, per quanto riguarda il mito di Orfeo e di Euridice; anzi è significativo ricordare che questo dato è un dato ricorrente in tutte le tre tradizioni.

Analisi del mito di Orfeo ed Euridice

Il mito di Orfeo e Euridice è in qualche modo coestensivo alla storia della cultura occidentale, tracciando un percorso che va dagli albori della cultura greca arcaica fino alle testimonianze della cultura contemporanea, sempre in connessione con alcune tematiche particolarmente significative dal punto di vista filosofico: il problema del limite, il problema del rapporto fra amore e morte, l'inesorabilità del destino. La rilevanza strettamente filosofica del mito è in qualche modo implicita già nelle prime versioni più complete e dettagliate del mito, che risalgono rispettivamente a Virgilio, nel IV libro delle 'Georgiche', e a Ovidio, nel X libro delle 'Metamorfosi'. L'antefatto, per così dire, è noto: Orfeo è riuscito ad ottenere dalle divinità infernali, cantando, che esse consentano il ritorno di Euridice, alla condizione, posta da Plutone e Proserpina, che egli non si volti a guardare la sposa prima di essere uscito dall'Ade. I due intraprendono il cammino - ripido, oscuro, difficile, aspro -, e proprio quando sono in prossimità della conclusione di questo viaggio accade l'irreparabile. Virgilio scrive: 'Quando un improvvisa follia' -e, appunto, il termine latino è 'subita dementia' - ' colse l'incauto amante, perdonabile invero se i Mani sapessero perdonare: si fermò, e proprio sulla soglia della luce ahi immemore, vinto nell'animo, si volse a guardare la sua diletta Euridice'. Vi è una sottolineatura che accresce ulteriormente il pathos della narrazione proprio nel momento in cui la vicenda sembra avviarsi ad uno scioglimento del nodo, dell'intreccio in senso lieto, positivo. La trasgressione del patto stipulato con Plutone e Proserpina è dunque un fatto compiuto, e la prima immediata reazione è della stessa sposa che rivolgendosi a Orfeo - immemore, appunto - esclama: 'Chi ha perduto me, sventurata, e te Orfeo? Quale grande follia?' - e qui il termine virgiliano è 'furor'. Sono questi gli interrogativi con i quali Euridice chiede che vengano spiegati i motivi di quello che Virgilio ha definito una 'subita dementia', e cioè appunto una espressione di irrazionalità, una improvvisa follia; di fronte a questa richiesta di motivi la vicenda, senza dare una risposta, si conclude.

Cause dei comportamenti di Orfeo

Sono varie le interpretazioni elaborate circa i moventi che spingono Orfeo ad infrangere il patto stipulato con i guardiani degli Inferi, a perdere, così, definitivamente la sua amata, a compiere un gesto in preda alla 'furor': per lo più si è tentato di individuare le ragioni di ciò che non è ragionevole, di ciò che non è riconducibile a razionalità. Può essere utile spostare l'attenzione dall'analisi delle ragioni irragionevoli del comportamento di Orfeo ad un altro aspetto, che può essere invece particolarmente significativo per comprendere anche la valenza filosofica di questo mito, e cioè spostare l'attenzione all'analisi della natura del patto, e cioè all'analisi delle condizioni poste da Plutone e Proserpina per il rilascio di Euridice. Apparentemente la condizione posta, - che Orfeo non si volti a guardare Euridice prima di averla ricondotta alla luce -, sembra essere tale da potere essere facilmente soddisfatta. Se è vero che ogni patto, prevede una qualche equivalenza delle condizioni, qui si potrebbe perfino osservare che esiste una dissimetria, uno squilibrio tutto a favore di Orfeo: egli può ottenere ciò che nessun essere vivente è mai riuscito ad ottenere, e cioè il ritorno alla luce di chi già era stato accolto nell'Ade, solo a condizione di non guardare per un periodo assai limitato. Quindi l'obbligo posto sembra essere molto facile da soddisfare, anzi talmente facile da sembrare fin troppo squilibrato in favore di Orfeo. Ma forse è proprio questa apparente ovvietà sulla quale occorre esercitare, invece, il rigore della problematizzazione filosofica.

Il patto infrangibile con Plutone e Proserpina

Le leggi che governano e organizzano l'Ade, inviolabili persino da Plutone e Proserpina, i custodi, si rivelano all'apparenza, fin troppo facili da affrontare per Orfeo, il quale, se avesse potuto davvero ricondurre fuori dagli Inferi Euridice, le avrebbe infrante: e proprio quell'Orfeo aveva ottenuto la possibilità di recuperare l'amata all'insegna del rispetto e della soggezione verso la legge. Euridice che ritorna dal mondo delle ombre alla luce compromette un'organizzazione legale: è evidente, dunque, che la condizione posta ad Orfeo doveva essere tale da non poter essere accettata; l'unico modo per evitare che fossero violate le leggi che governano l'Ade, era imporre una condizione che non poteva essere rispettata. Si chiede ad Orfeo di non guardare Euridice in altri termini - visto che, come sappiamo, per tutto il mondo antico esiste una sostanziale equivalenza tra il vedere e il conoscere, s'impone ad Orfeo di amare senza conoscere. Questo comando non è realizzabile: non è possibile scindere l'amore dalla conoscenza. Orfeo amante può essere tale solo a condizioni di conoscere e quindi di guardare Euridice. Formulando una richiesta che non poteva che essere trasgredita, le divinità infernali, tutelano l'immodificabilità di quelle stesse leggi. La scissione tra amore e conoscenza non può avvenire; occorrerebbe che si realizzasse una contraddizione, occorrerebbe che Orfeo, amante, non amasse, allo scopo di poter portare fuori Euridice. Ma è appunto questo il paradosso che segna anche l'esito tragico di questo epilogo. La condizione di amante non è un dato acquisito, bensì uno stato che va confermato concretamente nel proprio modo di vivere, e solo un paradosso avrebbe potuto consentire a Orfeo di riportare alla luce Euridice; quell'Orfeo che spinto dall'amore va fino agli inferi per recuperare la sposa perduta, avrebbe dovuto per poterla portare alla luce non amarla più, avrebbe dovuto "amare ciecamente" una donna.



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