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Teoria e tecnica delle comunicazione di massa - il sistema fragile di paolo mancini




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Esame: TEORIA E TECNICA DELLE COMUNICAZIONE DI MASSA


IL SISTEMA FRAGILE di Paolo Mancini

INTRODUZIONE: Il libro è un ottima base per avere nozioni elementari sul sistema di comunicazioni di massa, sulle associazioni operanti nel campo, sui veri proprietari della carta stampata, sulle origini di quest'ultima e su chi elegga i vertici dell'emittente pubblica.

Un manuale, quindi, che cerca di disegnare la storia recente della televisione e del giornalismo stampato. Il testo non parlerà però di tv digitale, satellitare o di Internet, perché fenomeni troppo recenti per aver prodotto effetti significativi nel rapporto con la politica, sistema basilare per il mondo dei media. Nel testo la relazione tra media e politica è analizzata tramite la storia imprenditoriale dell'allora re delle televisioni commerciali Silvio Berlusconi, dei suoi rapporti con il governo, della sua ascesa, dello sviluppo delle sue tv private, della commercializzazione dei primi anni 80 e delle conseguenze che le stesse hanno avuto sulla società italiana.

- Una Chiave di lettura lineare dell'intera storia dei media: la comunicazione di massa non ha mai goduto di autonomia per potersi identificare come sistema indipendente dagli altri: ne consegue un SISTEMA FRAGILE, non nel peso economico ma nella sua identità professionale e funzionale, nella sua capacità di incisione sui processi di mutazione sociale.

-La Dipendenza con gli altri sistemi ha provocato un assetto economico delle industrie mediali italiane sulla base di una Editoria Impura, collegata principalmente agli interessi dei partiti, oggi come ieri. In primis con l'intero gruppo mediatico dell'attuale Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che come detto, ha trovato nella televisione, + che nella carta stampata, un canale privilegiato per i suoi interessi.


CAPITOLO I: LA STAMPA TRA PRIMA LETTERARIO E POLITICA

-Il giornalismo italiano, la letteratura ed il commento

Perché gli italiani leggono cosi poco ? Vanno analizzati 2 cause:

1)Origine del giornalismo italiano basata sul Primato letterario (Natura LETTER-ELITARIA)

Partigianeria e parallelismo politico originanti forte spinte interne verso un giornalismo contrario ai modelli anglosassone (informazione) e popolare. (Parallelismo POLITICO)

- Per la prima causa (origine economico/commerciale e letteraria), secondo lo studioso HABERMAS il giornalismo e' un fenomeno che, in simbiosi con altri, ha permesso il passaggio da una fase di controllo e di limiti della monarchia assoluta ad una sviluppante un mercato libero, dove sussisteva la libertà di scambio commerciale e un nuovo ordine culturale e politico: quindi una libera circolazione delle merci correlata a quella delle idee.

- Il moderno giornalismo discende dai fogli di informazione commerciale che circolavano nelle città marinare e portuali nord europee e a Venezia, contenenti informazioni su commerci e navigazione. Diversa l'origine legata alle gazzette letterarie. Nelle società dei salotti dei primi aristocratici e borghesi, circolavano e venivano commentati fogli stampati, riportanti recensione di libri, di opere teatrali, liriche, ecc. Per HABERMAS grazie all'ascesa della nuova classe borghese si cominciò a dibattere sul nuovo assetto politico della società, che dai vincoli di un sistema economico basato sull'agricoltura, sarà orientata adesso verso la liberalizzazione delle merci.

- Le origini letterarie giornalistiche comuni all'Italia così come ad altri paesi europei (vedi anche la Francia, che grande impulso ha fornito al nostro giornalismo a causa delle frequenti invasioni Napoleoniche), diffondono un esercizio letterario ampolloso, finalizzato alla bellezza. Solamente + tardi si affermerà una tendenza all'obiettività e alla neutralità del moderno modello. Primi segnali di mutamento possiamo riferirli grazie all'intervento di Giuseppe Beccaria, sul foglio "Il Caffè", antesignano con "Il Giornale dei Letterari" e" La Frusta Letteraria", delle origini del ns giornalismo. Il Beccaria vedeva come funzione principale del giornale quella di far crescere, dibattere, cercare la verità, formare una coscienza civile rispondendo all'obiettivo educativo e divulgativo.

Le stesse tendenze su cui, anche il moderno quotidiano  "La Repubblica" di Eugenio Scalari, e anche altri odierni quotidiani italiani (La Stampa, Corriere della Sera) fondano i propri orientamenti: una miscela di aristocrazia intellettuale e divertimento, una coscienza nazionale di opinioni.

- Va comunque ricordato, che già nel passato, il giornalismo italiano, deteneva un genere che univa il racconto fattuale al commento: il PASTONE: articolo di I^pag., resoconto della giornata politica correlato ad avvenimenti, costruito su una velina, cioè 2-3 cartelle scritte da un giornalista parlamentare.

- Attualmente alcune motivazioni mantengono inalterate le odierne caratteristiche mediali:

pensiamo al caso di "Omnibus" (1937) giornale-palestra per molti nomi del ns giornalismo: Arrigo Benedetti, Mario Pannunzio in primis, miscela di natura elitaria (per pochi) e quotidiano popolare, rotocalco con approfondimento,  che ha ispirato inizialmente l'Europeo e successivamente L'Espresso, o il Corriere della Sera del direttore Paolo Mieli e il suo Mielismo: attenzione verso aspetti esotici di cronaca rosa societaria.

Si possono anche pensare però a tendenze contrarie, subito placata dal regime fascista:

si pensi a Luigi Albertini con il Corriere della Sera fra il 1900-1925, Luigi Trassati con La Stampa, orientati verso un giornalismo di informazione, neutrale, misurato ed attento ai fatti su modello del Times inglese. Nella epoca attuale è stato "l'Indipendente di R.F.Levi a orientarsi su questa strada, ( poi abbandonata in seguito a fallimento), rilevato da Vittorio Feltri con il suo "Libero", quotidiano orientato all'opposto su toni forti e sensazionalistici.

Nella nostra epoca aumenta l'approfondimento mediatico su carta stampata con il processo di settimanalizzazione dei quotidiani, quindi della notizia. Il quotidiano, per distinguersi da radio e tv che aggiornano in tempo reale l'ascoltatore sui fatti del mondo reale, si arricchisce di inserti, di commenti di esperti del settore, di varie interpretazione.


- LE ORIGINI POLITICHE

Ben presto, in Italia così come nel resto dell'Europa si passò ad un giornalismo politico. Quindi, come già previsto dallo stesso HABERMAS, di un passaggio da una sfera pubblica letteraria ad una pubblica politica. In Italia, e' il centro Nord, dopo le invasioni Napoleoniche a divenire fulcro del nostro giornalismo: Milano fu la vera capitale della stampa. Con la Repubblica Cisalpina si delinearono vere e proprie tradizioni politiche: vedi il foglio di Giuseppe Mazzini "La Giovine Italia". Durante il Risorgimento di Cavour e Balbo, ricordiamo "L'Italia del Popolo" e altri quotidiani, fungenti da mezzi organizzativi per le battaglie degli statisti nazionali. Successivamente si determinò il passaggio ad un giornalismo politico: "Corriere della Sera", La Stampa, Il Secolo, La Nazione, L'Avanti (Mussolini, esempio chiave della sovrapposizione fra giornalismo e politica).

Ma è con la Resistenza e il dopoguerra che nascono le basi dell'attuale parallelismo politico. Per combattere il Fascismo si sviluppò infatti un informazione basata sulla divulgazione di idee di libertà e di organizzazione di lotta. Le stesse forze alleate sbarcate in Italia furono diffusori di modelli anglosassoni di un giornalismo neutrale, di libertà di stampa. Il ritorno alla democrazia in Italia avviene quindi anche grazie al supporto di uomini o gruppi collegati all'Antifascismo: Parri, Nenni, Carlo Levi, Pertini. Gli uomini che hanno liberato il nostro paese quindi sono innanzitutto giornalisti.

- IL PARALLELISMO POLITICO DI OGGI

La partigianeria dei media attuali dipende quindi da tali tradizioni instauratosi durante il periodo del Fascismo e della Liberazione. Ma cosa significa parallelismo politico dei media

Oggi le varie ricerche condotte confermano una propensione dei mass media più verso la vita stessa dei partiti politici e delle loro questioni interne che sulle istituzioni rappresentative e delle volontà cittadine come il Parlamento o governo. Il modello di informazione è quindi centrato essenzialmente sul sistema politico: il giornalismo italiano è soprattutto un giornalismo politico, schierato con i suoi professionisti. Le stesse testate nate durante la post-liberazione (Dall'Unità (PCI), Avanti (PSI), Popolo(DC), al Secolo (MSI)), si sono infatti conservate fino agli anni 90, fine della I^Repubblica. Spesso si è parlato quindi di un giornalista dimezzato, per metà se stesso, per l'altra proprietà dei gruppi economici e politici. Interessanti le confessioni dei giornalisti Pansa e precedentemente di Enzo Forcella sull'evidente parallelismo politico. FORCELLA ha illustrato nel suo saggio "1500 LETTORI", tali teorie: "Un giornalista politico in Italia conta su 1500 lettori: da ministri a sottosegretari, sindacalisti, il resto non conta. Il rapporto è molto stretto: i lettori fanno colazione con il giornale, lo invitano a pranzo.. I fatti per un giornalista politico o dicono troppo, e vanno silenziati o troppo poco e bisogna metterli in + evidenza.". Anche il grande Sandro Viola affermava che: "Andare sotto e sopra per il Transatlantico di Montecitorio (corridoio all'interno del Palazzo sede Camera Deputati a Roma) a braccetto con il politico di turno aveva fatto del giornalista un protagonista del sistema".

Comunque il modello politico non fu univoco ed uniforme: vedi ad esempio le testate con connotazione + specificatamente informativa: La Repubblica, Il Corriere della Sera, La Stampa, Il Foglio, orientati + verso commento. Anche in televisione vanno ricordati episodi di innovazione sperimentale, come per esempio RAI 3 Dgli anni 80.Successivamente la maggiore attenzione ai bisogni competitivi tra reti e testate ha indebolito il parallelismo politico per un nuovo modello informativo basato sul sensazionalismo: nel modo di scrivere, nella selezione delle notizie, nella scelta del linguaggio, in Televisione, vedi i tanti talk show di Costanzo, Vespa e Lerner e nella stampa con V.Feltri con L'Indipendente.


Cap.2: BASI ECONOMICHE-STRUTTURALI DEL PRIMATO LETTERARIO-POLITICO

- Le radici storiche dell'editoria impura.

Oggi in linea di massima, la maggior parte delle testate (anche se in attivo), sono proprietà di gruppi industriali e finanziari. Quindi la nostra stampa è caratterizzata dalla diffusione di una Editoria Impura, ovvero è proprietà di singoli o di gruppi con profitti provenienti da prodotti non editoriali. Una editoria impura derivante da una ristrettezza del mercato della comunicazione di massa a causa di:

1)Lingua poco parlata: molti diedero in merito all'unificazione linguistica grande ruolo alla televisione, che sovvertì la frammentazione di tanti dialetti, che limitava la circolazione dei quotidiani su scala nazionale. 2)Paese poco istruito 3)Distribuzione poco capillare .

Le testate giornalistiche, per non rischiare il fallimento, necessitarono di sovvenzioni che i gruppi industriali non tardarono a far arrivare. Tali gruppi si orientarono principalmente per testate schierate a favore della maggioranza di governo, lasciando i quotidiani delle opposizioni alla ricerca di forme di finanziamento alternativo.

All'inizio del secolo il maggior tasso di alfabetizzazione e delle condizioni vitali generali, consolidò un nuovo mercato della stampa e dei suoi strumenti, ma sempre basato sulla Editoria Impura.Nel 1915 ci fu l'ingresso di gruppi di zuccherifici, in seguito Ilva (società siderurigica). Le testate passano da uno livello locale a nazionale e migliorano i propri tassi di vendita. In seguito le proprietà editoriali passano nelle mani delle banche e nelle industrie manifatturiere. Al riguardo basilare è la comprensione del concetto di LOBBYNG all'italiana di ORTOLEVA: possedere un quotidiano come strumento di consenso per proprietari industriali per i loro interessi: si pensi ad esempio al GIORNO, nato da G.Baldacci e Enrico Mattei, come portavoce dell'interessi dell'industria pubblica contro quella privata (ovvero interessi economici sinistra).



- La diffusione della stampa

I problemi principali della stampa italiana sono essenzialmente da ricercare nella scarsa diffusione. Siamo infatti ultimi fra i paesi industrializzati, con soli 6.800.000.000 copie. Le cause sono da ricercare nella televisione, nella scarsa distribuzione (solo edicole), alla quale si è tentato di ovviare attualmente (dopo legge 108/13.04.99) attraverso la vendita nei Bar, tabacchini e centri commerciali. Scarsissimi gli abbonamenti (base di vendita dei lettori europei); molte aree di utenza del Sud inesistenti; mancanza differenziazione carattere quotidiano. Infatti per paesi come GB, FRA, GER, dove si differenziano quotidiani elitari di politica, cultura, da una parte e tabloid scandalistici da un'altra, in Italia si è invece orientati verso un giornale Omnibus: unione rotocalco e giornale politico, vedi per esempio il quotidiano "melassa" del già citato Paolo Mieli del Corriere della Sera; i nostri quotidiani popolari sono i settimanali: Oggi, Gente. I quotidiani sportivi hanno grande successo in Italia come IL Sole 24 Ore. Il giornale nazionale + diffuso e' il Corriere della Sera.


- La proprietà: oligopolio e concentrazione ?

Situazione economica della stampa italiana: Per molti la struttura della proprietà editoriale è caratterizzata da: 1) Multimedialità ( uno stesso gruppo è riferito a varie attività di diversi campi: libri, cinema, tv. Sinergie tra mezzi diversi indispensabili per la competizione del mercato attuale. Attualmente la Fininvest(Mediaset) è il caso + eclatante.)

2)Oligopolio. Struttura messa in evidenza da Franco Mosconi, esperto di economia giornalistica, che mise in risalto come l'intero campo della stampa sia in mano a poche proprietà e come la quota di mercato delle due principali testate quotidiane abbia maggiori richiami pubblicitari. Ma chi sono gli editori impuri italiani ?

Rcs editori: (proprietario CorSera, CorMezz, GazzSport) Gruppo editoriale Espresso, Sole 24 Ore, Messaggero e altri. In definitiva sono i pochi gruppi che guadagnano lasciando i + piccoli in situazioni precarie. La nostra tradizione giornalistica è quindi elitaria: propensione a privilegiare un pubblico già socializzato, colto, al quale è possibile offrire il più ampio spettro di argomenti e tipologie di cronaca varia: quotidiano omnibus.


CAP.3^; STATO SOCIALE E COMUNICAZIONI DI MASSA

- La comunicazione è un servizio pubblico ?

Gli orientamenti dello stato sociale possono influenzare anche il sistema della comunicazione di massa ? Innanzitutto per Stato Sociale intendiamo "l'insieme di interventi di protezione sociale per riparare e rimuovere i bisogni dei singoli e delle famiglie. Tale principio si è concretizzato nella definizione di Servizio Pubblico, inteso come prestazioni statali orientate verso il generale e l'universale: per assistenza, trasporti, cultura, pensioni, scuola e sanità.

Negli ambiti di intervento culturale rientra anche il sistema della comunicazione di massa, ovvero un sostegno per dar possibilità alle diverse fasce della popolazione sociale di uguale informazione.(vedi Art.21 della Cost.). In Italia l'idea della comunicazione come servizio pubblico prende spunto negli anni 70, per la Televisione invece negli anni 50. Anche il mondo cattolico (evangelizzare equivale anche a comunicare) si è spesso interessato ai fenomeni della comunicazione, per non parlare dei vari movimenti di protesta degli anni 60, e l'intera sinistra italiana, che carpì i grandi mezzi dei media. In questa atmosfera politica degli anni 70 ( in cui la maggior parte delle città italiane sono governate da forze di sinistra), si privilegiò il servizio di comunicazione radio-televisivo come servizio pubblico essenziale, culminante con la legge di Riforma della Rai n.103 del 1975. Nella successiva legge di riforma del 1990 (la cosiddetta legge Mammì) tali principi vengono allargati alle emittenti private, tramite concetti di pluralismo, obiettività, completezza e imparzialità.




-Lo Stato come proprietario, regolare e finanziatore

Lo Stato interviene nell'idea della comunicazione di massa come servizio pubblico come:

Proprietario= Perché proprietario di mezzi della comunicazione attraverso gruppi o imprese. In Italia la maggior parte delle azioni Rai è stata della IRI, controllata dal Ministero del Tesoro, così come alcune testate (Il Giornale- Il Messaggero). Per quanto riguardo la Rai sono almeno 3 le ragioni che configurano lo Stato come proprietario:

I)Come l'antesignana Gran Bretagna, il controllo statale per mezzi di comunicazioni è sempre stato dello Stato: già con il telegrafo senza fili, successivamente quindi con radio e tv.

II)Intervento statale per scarsità delle frequenze (generanti diatribe fra i vari gruppi)

III) La filosofia dello stato sociale che prevede che esso debba farsi carico delle condizioni culturali dei suoi cittadini (diritto di essere informati e informare)

Regolatore= Come approvatore di leggi per assicurare equità, parità di accesso. Considerando che in Italia gli interventi normativi hanno riguardato soprattutto gli obiettivi della programmazione del sistema radio-tv, abbiamo avuto 3 accezioni di servizio pubblico:

I) Funzione Divulgativa/educativa (anni 50-60);

II)Garante di Pluralismo,completezza, imparzialità,informazione (vedi legge Mammì 1990, interventi Corte Costituzionale, Istituzione di una Commissione parlamentare di Vigilanza, Legge della Par Condicio n,28 del 22.02.2000,Convenzioni, nati per evitare il rischio dell'oligopolio (per scarsità frequenze), per una giusta elezione dei membri del Consiglio Amministrazione Rai, per un uguale trattamento e imparzialità dei soggetti politici).

La Rai perse l'applicazione e la difesa della funzione di Pluralismo dopo la concorrenza delle emittenti commerciali che misero in discussione il suo ruolo divulgativo/educativo, e che posero come obiettivo primario l'audience e una programmazione di massa e non elitaria.

Conseguentemente la tv di stato da una parte dovette orientarsi verso la ricerca delle nuove fasce di utenza, da un'altra cercò di alzare la qualità prodotto tv.

3)Finanziatore= Funzione riguardante il sistema dell'informazione stampata, visto che la radio e televisione erano già proprietà statali e ad esso collegate. In Italia le prime agevolazioni fiscali sono introdotte con la legge n.482/49, successivamente n.172/1975, la legge n.416/1981 (per trasparenza delle proprietà e norme anti-trust). In seguito i sussidi economici tramite altri interventi legislativi furono articolati direttamente: contributi a favore giornali di proprietà di cooperative, partiti, minoranze e indirettamente: a favore dell'intero sistema della stampa (vedi legge n.250/1990, in base alle quale tra 1991 e 1998 si sono avuti sussidi per 663 miliardi di lire). I giornali politici sono coloro che + di ogni altro hanno beneficiato di tali sostegni, si pensi all'Unità (89 miliardi di contributi).

- Per concludere la filosofia dell'intervento statale mediante le 3 funzioni elencate ha permesso alle diverse maggioranze di governo di intervenire nel campo della comunicazione, con sostegni economici, anche verso le rappresentanze opposte.


Cap.4: LA TELEVISIONE PRIMA DELLA COMMERCIALIZZAZIONE

-Il Palinsesto pedagogizzante

La storia della televisione italiana può essere ricostruita analizzando la sua evoluzione storica in diversi periodi, sempre ricordando che essa rimane comunque "figlia della radio", avendo da questa assunto la maggior parte dei suoi modelli comunicativi.

Il primo periodo è quello del Palinsesto Pedagogizzante, il secondo quello della Televisione dei Partiti, il terzo del "Sistema Misto".

-PALINSESTO PEDAGOGIZZANTE è una definizione di G.BETTETINI, che nel suo saggio metteva in luce il carattere educativo e pedagogizzante della televisione italiana nei suoi primi anni di vita. Tale carattere discese dalla relazione con la cultura cattolica, principalmente per:

- Filiberto Guala (personaggio dalla spiccata matrice cattolica, influenzante come amministratore delegato della Rai nel 1954 le origini della televisione in tal senso). Nella chiesa cattolica sussisteva una forte ambivalenza verso la figura dei media: paura da una parte ma anche speranza nelle sue potenzialità. Stessa ambivalenza presente anche nelle forze di sinistra politiche. - Ettore Bernabei, direttore generale della Rai, tra 1961 e 1975, in cui prevalsero, nella programmazione del servizio pubblico, orientamenti + educativi che politici.

Entrambi i contributi determinarono questo iniziale periodo di programmazione del servizio pubblico come "Pedagogizzante", cioè come strumento di educazione e veicolo culturale.

Tutti i programmi dei primi anni 50 sono orientanti verso le grandi opere della letteratura e del teatro italiano ed europeo (Mastro Don Gesualdo, I promessi Sposi, I miserabili). Le stesse trasmissioni d'evasione (Lascia o Raddoppia, Campanile Sera, ecc) si basano su erudizioni elementari e tendenza verso le problematiche della vita comunitaria, così come le trasmissioni di carattere scolastico (Telescuola). La maggior parte delle risorse economiche sono quindi investite in attività culturali collaterali, come la pubblicazione di riviste di cultura con grandi nomi della letteratura italiana (vedi Video con Montale), o il "Premio Italia", il "Servizio Opinioni" (connesso alle università italiane). Spesso non mancano caratteri di bigotteria e censura verso ogni forma di tendenza contraria.


-La televisione dei partiti

Anche le comunicazioni radiotelevisive hanno avuto cambiamenti in seguito ai mutamenti sociali dei primi anni 60 in Italia. Sono 2 gli aspetti principali:

La frammentazione del quadro politico, al cui interno si affermarono sempre + prepotentemente le forze di sinistra, che assunsero, dato l'aumento del tempo libero a disposizione, la questione del consumo culturale come priorità delle loro agenda politiche.

Il potere della Democrazia Cristiana, anche in seguito alla perdita alle elezioni amministrative e al referendum sul divorzio, fu ridotto. Ci fu una nuova sensibilità verso i problemi della costruzione del consenso, scuola, morale sessuale, emancipazione delle donne.

Processo di decentramento amministrativo con l'istituzione, nel 1970, delle Regioni, che chiesero in prima persona una emergente riforma del servizio Rai. Riforma che arriverà nell'aprile del 1975, con tali principali punti: I) decentramento interno che porterà istituzione di una 3^ rete in seno alla struttura (Rai 3) per dare voce alle realtà regionali. II) Passaggio del controllo amministrativo dal Governo al Parlamento, che nomina una Commissione Parlamentare (ovvero la rappresentanza politica si trasferisce all'interno della struttura amministrativa della Rai). Una nuova parole d'ordine quindi sostituisce il Palinsesto Pedagogizzante: il PLURALISMO, ovvero il compito per il servizio pubblico di dare spazio alle diverse voci del contesto sociale, politico e culturale. Tali nobili progetti ben presto però furono sostituiti dalle sempre + pressanti richieste delle forze politiche di aver un proprio spazio all'interno della programmazione Rai. Così la + frequente distorsione del termine pluralismo divenne la Lottizzazione, ovvero l'assegnazione di una fetta di potere della Rai ai partiti di maggioranza e anche all'opposizione. Questa regola configurò, nei primi anni 80, tale situazione: Rai 1 alla DC; Rai 2 al Partito Socialista e RAI 3 al Partito Comunista (con il direttore Angelo Guglielmi, nominato per la prima volta da un partito di sinistra (PCI)che vide nella "stipula" avvenuta presso un ristorante romano fra Biagio Agnes, Enrico Manca e Walter Veltroni un momento storico della televisione italiana).

Non mancarono però contrapposizioni ed ambivalenze: da un lato si chiedeva una suddivisione delle forze politiche in diversi canali comunicativi, dall'altro si necessitò in seno alla Rai, una basilare imparzialità e neutralità. Ecco quindi spiegabile la nascita della "Verifica Programmi Trasmessi" dopo la riforma del 1975.


-l'avvento del sistema misto

La sentenza n.202/1976 CC mutò la precedente riforma della Rai dell'aprile 1975, determinando la fine del monopolio statale. Nel febbraio del 1976 si contano 177 impianti radio e 32 televisivi. Piccoli imprenditori alla ricerca del profitto, gruppi politici spontanei, piccole associazioni, spinti anche dai movimenti studenteschi, vogliono avere spazio per le proprie voci. Le nuove emittenti sono però fuori legge. Da un piano locale ben presto ci si sposta su illegalità via etere, con l'affacciarsi di grandi capitali privati: TeleCapodistria e TeleMonteCarlo; molte sentenze dei tribunali finiRono così davanti alla Corte Costituzionale.

La citata sentenza n.202/1976 dichiarando anticostituzionali alcuni articoli della riforma 1975, permise la trasmissione in ambito locale per le emittenti private. Con tale sentenza si inserì in Italia il sistema televisivo misto, sebbene in assenza di qualsiasi norma legislativa, (che arriverà solamente nel 90 con la legge Mammì).



CAP.5: TELEVISIONE E MUTAMENTO SOCIALE NEGLI ANNI 80.

- IL commercial deluge (diluvio commerciale)

Commercial deluge= diluvio commerciale, ovvero il rapido sviluppo, all'inizio degli anni 80, di strumenti di comunicazione di natura commerciale, finalizzati alla produzione di profitto, che sostituiscono i mezzi di proprietà privata.

Dovunque in Europa nacquero nuove stazioni radiofoniche e televisive, nuove testate della stampa, con conseguente sviluppo dei campi connessi a tali nuove realtà: pubblicità, pubbliche relazioni, ricerche di mercato e opinione. Quali le cause di tale sviluppo ? Antonio PILATI (ne "Il nuovo sistema dei Media" 1987) vide come causa fondamentale le modifiche avvenute in seno alla distribuzione commerciale, passata da un livello micro ad uno macro. Il passaggio dal piccolo negozio sotto casa alla grande catena distributiva, determinò una drastica riduzioni di costi. Con la grande distribuzione si affermò la marca, che di conseguenza richiese una necessaria reclame pubblicitaria, in primis la televisione. La domanda pubblicitaria richiesta dai grandi imprenditori,però, non poteva trovare risposta adeguata nelle emittenti pubbliche (ostacolate da norme legislative e di programmazione interna). Ci fu indirettamente il determinarsi di un processo a catena di spazio a favore delle nuove realtà televisive private. La trasformazione avvenne sia a livello quantitativo che qualitativo, con 3 conseguenze basilari: 1) il flusso di comunicazione provenne prevalentemente dalle aziende; 2)Aumento di produttori (nuove tv, radio, testate)= aumento nuovi prodotti ("epoca del Karaoke" come affermò N.Bobbio); 3) tempo delle conoscenze accorciato con nascita di informazioni, immagini, idee sempre nuove.

Da tali basi degli anni 80 si svilupperanno le trasformazioni future avvenute con il sistema dei terminali e la nascita di Internet.


- Le tappe della televisione commerciale

Con la sentenza della Corte costituzionale n.202 del 1976, iniziò ufficialmente la storia della televisione commerciale italiana, che pose fine alle illegalità derivante dall'incostituzionalità degli articoli 1,2 e 45 della riforma del 1975. Approfittando di un prolungato vuoto legislativo che si dilungherà sino al 1990 (con la legge Mammì, che finalmente darà una lineare struttura normativa) si verifica uno sviluppo selvaggio della struttura del sistema dei media italiani, alla ricerca frenetica delle frequenze e senza chiarezza in merito alla interconnessione (ovvero il collegamento fra + stazioni radiotelevisive).

Tappa fondamentale per la storia della tv commerciale è sicuramente l'ascesa dell'imprenditore edile Silvio Berlusconi di Arcore, che dota il nuovo quartiere Milano 2 (da lui costruito) di un sistema televisivo a circuito chiuso per i condomini. Ben presto ci sarà la creazione di TeleLombardia trasformatasi nel 1980 in Canale 5, che si svilupperà sempre di più anche grazie alla fattiva collaborazione di un mostro sacro televisivo come Mike Buongiorno. Successivamente  l'acquisizione del Mundialito di calcio, sottratto alla Rai, segnerà l'inizio dell'avventura commerciale berlusconiana. Elemento di strategia vincente per il Cavaliere sarà costituito dalla concessionaria pubblicitaria Publitalia. In seguito le grandi doti comunicative di Berlusconi unite alle sue amicizie politiche svilupperanno ulteriormente la sua potenza sociale. La relazione tra sistemi di comunicazione di massa e politica questa volta, in forma inedita, è usata in prossimità del raggiungimento di profitti economici e non per supportare idee, strategie, ecc. Alla stessa stregua di Berlusconi anche altri gruppi editoriali agiscono ai limiti della legalità (Rusconi>Italia 1; Mondadori>Rete 4). Aggirando la sentenza n.202 CC i vari gruppi imprenditoriali operanti nel campo delle telecomunicazioni tramite varie stazione televisive installate sull'intero territorio nazionale, trasmetteranno in contemporanea i loro programmi ( la legge consentiva la trasmissione solo in ambito locale). Sicuramente l'espediente non raggirò il problema della diretta, ma fu importante. Sempre Berlusconi capirà negli anni a venire l'importanza degli spazi commerciali che la tv privata poteva offrire all'incessante domanda relativa, rispetto alla Rai.. Questa capacità permetterà al Cavaliere di rilevare dai suoi gruppi concorrenti (non veloci quanto lui nel capire le nuove esigenze del mercato), le tv private Rete 4 e Italia 1.(1982-1984).

Ma come si diceva fu nel rapporto con la politica che si fondò il successo del gruppo Fininvest (odierna Mediaset). L'interlocutore privilegiato fu il Partito Socialista, con Craxi profondo amico del Silvio nazionale. Per stringere rapporti con il mondo politico romano Berlusconi, nominò vice presidente del proprio gruppo, Gianni Letta, ex direttore del "Tempo".

La fitta reti di rapporti svilupperà il Decreto Berlusconi del 1984, che consentirà all'imprenditore milanese di riattivare le sue trasmissioni, spente dall'accuse di pretori nazionali ( a causa dell'infrazione del divieto di interconnessione), ma soprattutto la Legge Mammì del 1990, che permetterà al Cavaliere di mantenere intatto il suo patrimonio televisivo, costringendolo a cedere solamente la testata stampata de "Il Giornale". La legge Mammì mutava lo scenario televisivo commerciale italiano: finalmente vi era la possibilità per le tv private di usufruire della diretta tv ( e conseguentemente cominceranno le trasmissione dei vari telegiornali).

Di certo l'avventura televisiva di Berlusconi e il suo successivo sfociare nella fatidica discesa in campo politica, la sua rete di rapporti non vanno considerate strane anomalie sociali, ma come  una normale conseguenza del potere del sistema dei comunicatori di massa come accessori rispetto ad altri poteri sociali. La televisione, in poche parole, servì a Berlusconi per conquistare posizioni politiche, così come la politica servì allo stesso per rafforzare il suo mercato televisivo.

Anche questo determinò il carattere da sempre originario del sistema di comunicazione di massa italiano: una struttura dipendente da altri sistemi sociali.


5.3. La logica della televisione commerciale.

Il terzo periodo della televisione va quindi denominato periodo del "Mercato Televisivo".

I caratteri del mercato televisivo sono molteplici: innanzitutto si assiste ad un aumento dell'offerta e del consumo di televisione. Gli inserzionisti pubblicitari pagano il tempo che acquistano in relazione al numero di telespettatori raggiunti. Si cerca quindi di avvicinare nuovi pubblici prima non interessanti; questo sarà equivalente alla nascita di nuove emittenti, di nuove fasce orarie prima non prese in considerazione (tarda mattinata, per un pubblico di casalinghe e non solo: vedi Pronto Raffaella?) o prima mattinata (pensionati, studenti e sempre casalinghe: Uno Mattina (1986).

La rivoluzione in seno alla Rai sarà di portata immensa. Verrà messo in discussione l'idea del servizio pubblico, non + funzione educativa, pedagogizzante, né dei partiti.

Le innovazioni derivanti dalla nuova situazione di mercato riguardano due campi principali:

1)Settorializzazione dei pubblici; 2) innovazione dei contenuti e dei linguaggi.

1)Settorializzazione: ogni produttore cerca di individuare un proprio prodotto ed una fetta di pubblico specifico a cui destinarlo; questo originerà una differenziazione delle reti e indebolimento di quelle generaliste (RAI 1 e Canale 5: si orienteranno verso l'intero nucleo familiare; Rai 2, a metà tra cultura e intrattenimento, Rai 3 per le reti regionali, Rete 4 verso un pubblico anziano e femminile. Italia 1 per un pubblico giovanile).

2)Innovazione dei contenuti e dei linguaggi: Umberto Eco ha coniato il termine "Neo televisione" per indicare il carattere innovativo della programmazione televisiva, derivato dalla scomparsa di alcuni generi storici (come teatro, classici letterali) per nuovi (soap opera, situation comedy, ecc) e per la sovrapposizione di + generi televisivi: la politica sull'intrattenimento, lo sport in grandi contenitori talk-show serali, la pubblicità con la videomusica, il giornalismo di seguito si affiderà alla regole dello spettacolo e del sensazionalismo. Lo zapping diventa il nuovo modo del consumo televisivo e l'uso del videoregistratore sempre + frequente (a discapito delle sale cinematografiche).

Tutta la gerarchia delle scelte tematiche è quindi orientata verso le esigenze della competizione: film, quiz, spettacoli, a vincere sarà sempre la pluralità dell'offerta.





5.4 : I mutamenti socio-politici degli anni 90 e il sistema dei mass media.

La legge Mammì non diede soluzione stabile e definitiva al sistema radiotelevisivo italiano per limiti derivanti dai mutamenti delle innovazioni tecnologiche e per un sistema concentrato sul monopolio di Rai e Mediaset, che minacciò il corretto sviluppo della democrazia italiana.

Con Tangentopoli e la scomparsa dei tradizionali partiti del dopoguerra (DC,PSI,PC e nascita di FORZA ITALIA) si instaura una nuova strumentazione di massa.

Il sistema di nomina del Consiglio d'Amministrazione Rai è soggetto a critiche continue a riguardo della lottizzazione. La legge n.206/25.06.93 stabilisce in 5 il numero dei membri ed affida la loro nomina ai presidenti della Camera e del Senato. Altre leggi in seguito alla vittoria politica di Forza Italia cercarono di impedire la possibilità per il gruppo di Berlusconi di detenere il possesso delle 3 reti televisive. Si cercò di rendere incostituzionali gli articoli della legge Mammì.

Ci fu la richiesta di un Par Condicio, per regolarizzare il conflitto d'interessi creatosi dopo la vittoria di un Presidente del Consiglio (Berlusconi) possessore di tanti emittenti tv; ma l'affermazione di tale legge poteva equivalere ad una forzatura del pluralismo e della libertà.

Dopo varie leggi, nel febbraio del 2000 si stabilì con la legge n.28 che nel periodo elettorale andavano vietati gli spot sulle reti nazionali, la possibilità con limitazioni per le reti locali e la concessione a partiti di spazi autonomi gratuiti.


5.5 la televisione italiana in ottica globalizzazione

Sono varie le direttive quali devono ispirarsi i paesi membri europei in merito al campo televisivo:

Direttiva televisione senza frontiere (10/1989): sviluppo di un mercato sopranazionale

Quote di produzione europea da rispettare

Tetti massimi per il tempo e il numero di spot e modalità per interruzioni

Difesa dei minori

Le maggior parte delle direttive vanno intraviste, oltre che derivanti dall'integrazione europea anche dai processi di innovazione tecnologica (digitalizzazione-satellite) che consentirono al telespettatore una possibilità di scelta prima negata. Con l'arrivo di Internet c'e' l'affermazione di un nuovo scenario comunicativo ben presto vigilato dalla legge 249/31.07.97: Autorità per le garanzie comunicative.







CAPITOLO 6: I PROCESSI DI ISTITUZIONALIZZAZIONE

6.1 Le professioni dei mass media

Cos'è una professione ? In genere va intesa come un'attività lavorativa qualificata e riconosciuta come utile, svolta da individui competenti grazie ad appropriata formazione. Di solito è contraddistinta da una serie di regole e norme, sistema di premi e gerarchie interne.

In generale può essere ogni attività lavorativa dietro corrispondenza di salario.

Nel giornalismo italiano molte di queste componenti appaiono deboli. Per il modello anglosassone incentrato sulle regole di separazione di fatti e commenti, obiettività e neutralità, il giornalismo ha sua funzione principale nel watch-dog, ovvero cane da guardia nei confronti degli altri sistemi politici. Esercizio possibile solo se il sistema rimane autonomo e disciplinato da un proprio statuto.

L'autonomia è sicuramente problematica nella costruzione di una identità professionale come quella del giornalismo dove poche sono le regole specifiche che ogni professionista deve conoscere.

Il campo delle conoscenze e del sapere è sicuramente vastissimo (sia tecnico che politico-Bechelloni), ma sono conoscenze comuni anche ad altri mestieri. Gli assetti che determinano le caratteristiche peculiari del giornalismo sono: Livello di strutturazione elevato e Centralità.

In nessun altro sistema esiste, infatti, un così elevato livello di istituzionalizzazione, un insieme codificato di norme di comportamento e vincoli associativi. Tale istituzionalizzazione che comunque non è riuscita a creare processi di autoregolamentazione o processi formativi di contenuti professionali. Si sono quindi resi necessari interventi esterni.


6.2 Istituzionalizzazione formale e autoregolamentazione

L'elevata istituzionalizzazione giornalistica italiana ruota intorno all'Ordine dei Giornalisti creato nel 1963 ad opera del DC Guido Gonnella. L'idea di un ordine nacque già nel 1948 con il FNSI (Feder.Naz.Stampa Italiana); precedentemente durante il fascismo e negli anni 20 esisteva una sorte di ordine interno ma era possibile accedervi solo se non si era contrari al regime politico interno.

La legge n.69 del 03.02.1963 assegna all'Ordine due compiti principali: avere ed aggiornare un Albo degli iscritti per scongiurare l'esercizio abusivo della professione ed esercizio del controllo deontologico verso gli iscritti.

La legge prevede 2 figure professionali: il giornalista professionista (che esercita la professione in maniera continua ed esclusiva) e il pubblicista (professione continua ma alternata con altre). Attraverso l'esame professionale (dopo 2 anni di praticantato presso una testata giornalistica), l'Ordine regola i flussi di accesso alla professione. Non sono mancate critiche all'Ordine (in primis Paolo Murialdi). La diffusione del free-lance, la sovrapposizione di operatore televisivo e giornalista, personale part-time impiegato dalle tv e radio, lo sviluppo di Internet, cambiano lo stereotipo del giornalista medio, professionista a tempo pieno. Il partito Radicale ha addirittura proclamato l'abolizione dell'ordine (non avvenuta).

La critica principale e' la mancanza di interventi deontologici verso la professione.

Altro polo dell'istituzionalizzazione giornalistica è il FSNI, ovvero un sindacato (senza valenza legislativa) avente 24000 iscritti nel 2000 a fronte dei 60000 dell'Ordine.

Principale carattere del sindacato (nato ad inizio del secolo) è il suo carattere unitario, ovvero l'iscrizione allo stesso di giornalisti di destra, sinistra e centro. Altro sindacato unitario è l'USIGRAI. A partire degli anni 70 la FSNI si e' interessata a svariate tematiche riferite al giornalismo: potere delle redazioni, modalità lavorative, etica deontologica, in un contesto sociale dove il nuovo altera il vecchio sistema. Grazie a tali interventi, sopperenti a quelli mancati dell'Ordine, si è creato una giusta autoregolamentazione interna. Esempi sono le norme dei giornalisti del Sole 24 ore; il Codice Rai (carta concordata da giornalisti Rai e Usigrai) su norme per la tutela dei minori, sulla pubblicità, per la nomina di direttori e caporedattori; il Codice Mondadori; C.Repubblica; Codice di Treviso (accordo tra ordine e Telefono Azzurro).

Dalle trasformazioni degli anni 90 ( e con la caduta dei tradizionali partiti politici e del loro potere di influenza sui media) si stabilirono quindi nuove regolamentazioni affinché si stabilisse un autonomia per dare fiducia anche ai lettori e al pubblico che segue i media, come un sistema non + vincolato ad altri sistemi sociali. I problemi però rimangono inalterati per diversi motivi: innanzitutto i codici non sono correlati a giuste sanzioni, ma rappresentato solo norme ideali di riferimento, quindi facilmente generanti sfiducia e scetticismo verso gli strumenti deontologici esistenti della professione.


6.3 L'accesso e la formazione

La debolezza dell'identità professionale del giornalismo e' frutto di diversi processi: assenza di regole professionali, modalità organizzative, statuto professionale. Il problema va ricercato facendo riferimento alle origini del giornalismo italiano: tale professione e' sempre stata essenzialmente intellettuale, difficilmente incasellabile in regole, addirittura per anni ci si è chiesti se rappresentasse una vera e propria attività lavorativa. Bisogna pensare che solo a partire dagli anni novanta sono nati in Italia i primi corsi di Laurea in Comunicazione. Il prof. Giovanni Bechelloni scrive che l'accesso al giornalismo avvenne per anni per casualità, ovvero per affidabilità di tipo affiliativi: non partitica, ma parentale, familiare, amicale.

Quattro furono i principali dibattiti in merito alle aperture di scuole di giornalismo:

1)Quello di coloro che sono contrari alla formazione professionale al giornalismo, in base ai quali per il fare il giornalista è sufficiente avere naturale predisposizione, quindi saper scrivere bene, e successivamente fare pratica in redazione. Posizione emergente nella vita di redazione.

2)Quello di coloro che vedono nella formazione giornalistica dei rischi per livello di occupazione e quindi l'avvio di percorsi formativi universitari come produttori di una massa di professionisti troppo alta per le capacità di assorbimento del mercato; la formazione professionale potrebbe determinare disparità di trattamento con quelli che hanno solo pratica di redazione.

3)Poi ci sono quelli favorevoli: gli stessi giornalisti, impegnati nell'Ordine stesso.

4)Sempre favorevoli sono i formatori universitari sostenenti il giornalismo come professione.

La vittoria della parte favore alla formazione di istituzioni scolastiche avviene a seguito delle modifiche della struttura stessa del sistema delle comunicazione di massa. Basti pensare che tra il 1978 e il 1983 il numero dei giornalisti aumenta di 2400 unità, aumento per sviluppare un giornalismo migliore. L'Istituto di formazione al giornalismo promosso dall'Ordine di Milano inaugura nel 1978 l'esperienza delle scuole di giornalismo, seguito da altre 7 scuole negli anni successivi. Così a partire dall'inizio degli anni 90, alcune università italiane (Torino, Siena, Roma, Salerno) iniziano ad istituire i primi corsi in Scienza delle Comunicazioni. Successivamente nel 2002 un parere del Consiglio di Stato stabilisce che l'esame professionale è uno esame di stato de deve tenere conto dei titoli di laurea esistenti.


6.4 Etero-regolamentazione della professione

I mutamenti che intervengono nella struttura del sistema delle comunicazioni di massa negli anni 80 influiscono su molti aspetti del giornalismo italiano. Molto più importanti degli interventi interni passati, con il nuovo assetto, sono le modifiche apportate da interventi di etero-regolamentazione: ovvero di organi esterni alla professione per regolare comportamenti e procedure.

L'etero-regolamentazione è importantissima per la televisione, vedi per esempio:

- Commissione parlamentare di Vigilanza; la citata sentenza n.225 del 1974 della C.Cost., che imponeva al sistema tv principi base come imparzialità e pluralismo; La relazione di maggioranza approvata nel giugno 1989 riconoscente la gravità della situazione di spartizione dei canali Rai tra le forze politiche (documento suscitante moltissime critiche); La sentenza della Corte di Cassazione emessa nel 1984, emessa a seguito del ricorso presentato dalla Europrogramme Service contro un periodico del settore per diffamazione, che rappresentò un vero e proprio decalogo dei giornalisti.

Certamente la ragione della frequenza di questi interventi va ricercata nella debolezza della professione giornalistica italiana, nella sua incapacità di autoregolamentarsi e nella mancata conoscenza da parte degli addetti ai lavori delle stesse norme esistenti: si pensi alla "Carta di Treviso" sconosciuta al 34 %, o l'Ordine mal visto dal 44%.




CAPITOLO 7: LA PUBBILICITA'

7.1 Prima dello scossone

La pubblicità costituisce un capitolo importante nella storia del sistema dei media. La sentenza della Corte Costituzionale del 1976 rappresenta un punto di svolta fondamentale.

Analizziamo i diversi periodi: l'avvento della televisione del 1954 ( con l'introduzione della pubblicità del 1957) non muta la struttura iniziale. Gran parte del settore dei media utilizza mezzi tradizionali come la cartellonistica, il cinematografo, ecc. Queste modalità sono originate dai pochi canali a disposizione della Rai ( solo negli anni 80 Rai 3 comincerà a trasmettere spot pubblicitari) e per la funzione pedagogizzante del servizio pubblico che mal si relazionava alle forme pubblicitarie.

La pubblicità è quindi vista come un genere minore, addirittura con punte di pregiudizio morale.

Per questo essa fu ghettizzata in un contenitore che diventò però presto un grande successo di linguaggi e personaggi: "Carosello", pezzo importante della storia della televisione italiana, contenente 4 o 5 messaggi pubblicitari lunghissimi ( vere e proprie storie, come Calimero, Carmencita). Nonostante le cautele pedagogiche esso non scomparse, nel 1977, per queste critiche, ma perché l'intero sistema pubblicitario mutò sensibilmente e con esso i relativi investimenti.




7.2 Il mutamento degli anni 80

Alla fine degli anni 70, la Rai non fu + in grado di soddisfare le esigenze delle domande pubblicitarie. La radio e le tv private che nascono in tutta Italia sono una prima inconsapevole risposta a tale mancanza del servizio pubblico. Anche in tutta Europa si va ad affermare il sistema misto, sostituendo il monopolio pubblico. Si pensi, per il caso italiano, che nel 1979 la spesa pubblicitaria per le imprese era di 266 miliardi, nel 1990 di 8069 miliardi. Quindi la pubblicità diventa il principale finanziatore dei media e della tv in particolare. La Rai su un totale di ricavi di 4467 miliardi del 1997 ha proventi pubblicitari per 1700 miliardi ( il resto dal canone); Mediaset 3000 su 3358 totali (87 %). Sicuramente il commercial deluge (diluvio commerciale) deriva anche dalla professionalizzazione dell'intero settore. Viene richiesto personale qualificato, con conoscenze (skill) specifiche, come creativi, account, media buyer. Nascono nuovi bisogni di conoscenze per i nuovi consumatori nati. Ecco spiegabile la nascita dell'Auditel, originato dall'affermarsi di un mercato sempre + competitivo che vede nella continua misurazione di ascolto la questione centrale e discriminante per gli investimenti da effettuare; ecco perché si affermano riviste specialistiche, o corsi di Scienza delle Comunicazioni. Tutti questi processi sono orientati verso l'istituzionalizzazione dell'intero settore. Settore che comunque continuerà (per l'Italia) a interessare soprattutto la televisione ( in Nord Europa invece la stampa). I motivi ? gli alti ascolti televisivi ma soprattutto il monopolio originario di Publitalia. Ricordiamo che Publitalia era la concessionaria che permetteva la raccolta pubblicitaria delle reti di Berlusconi (gruppo Fininvest). L'abilità dei venditori della concessionaria era nella veloce ricerca di possibili clienti e nella sollecitudine con la quale venivano avvicinati mediante offerte personalizzate con sconti e combinazioni differenti. Tale strategia consentirà al "Cavaliere" di vincere la concorrenza di Rusconi e Mondadori, e di intaccare il monopolio della SIPRA, che assieme alla Rai era interessata anche alle esigenze di sopravvivenza della stampa. Tutta la storia nazionale di Berlusconi, (l'avventura politica, vittoria nelle elezione del 1994,) sono costruite maggiormente sul consolidamento della concessionaria Publitalia: da tale settore provengono anche molti dei professionisti che hanno aiuto il Silvio nazionale a costruire il suo successo: vedi Marcello dell'Utri, ex amministratore delegato della ditta.


7.3 La stagnazione degli anni novanta

Sul finire degli anni 80 inizia una lunga fase di stagnazione che durerà 4-5 anni derivante da:

- Sovraffollamento pubblicitario televisivo che genera rifiuto spontaneo nell'utente tv.

- Arresto nelle capacità di spese degli italiani e consumi, quindi di risorse.

- Una quota di comunicazione sempre + maggiore viene investita direttamente sugli scaffali della grande distribuzione a discapito dei media ed inoltre si affermano gli hard discount che necessitano di pubblicità inferiore.

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