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Inchiesta sui rapporti familiari in carcere




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Inchiesta sui rapporti familiari in carcere


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Inchiesta sui rapporti familiari in carcere


In Italia, si esalta da sempre la centralità della famiglia, argomento forte di molte parti politiche che tuttavia, il più delle volte, sembrano dimenticarsi proprio delle famiglie maggiormente colpite dal disagio e soprattutto dalla marchiatura del carcere.

Chi sono gli affetti familiari del recluso? Dove si trovano? In che condizioni sono costretti a sopportare la lontananza forzata? Povertà, difficoltà economiche, emulazione, lo stesso stato di abbandono in cui versano, trascinano troppo spesso molte di queste famiglie in carcere.

Tra il 28 aprile e l'11 maggio 2001, è stata organizzata un'inchiesta dal titolo "Famiglie in carcere" sulla base di un questionario anonimo distribuito ai detenuti nelle carceri di San Vittore (Milano), al Due Palazzi e all'Istituto di Pena femminile della Giudecca (Padova-Venezia), e a Rebibbia (Roma); un periodo volutamente breve per evitare che i dati raccolti fossero falsati da eventuali nuovi ingressi o scarcerazioni.

I promotori sono stati "Terre di Mezzo", giornale di strada di Milano; "Magazine 2", giornale di San Vittore; "Ristretti Orizzonti", periodico del carcere Due Palazzi ; il "PID" (Pronto Intervento Detenuti), agenzia promossa dall'associazione "Ora d'Aria", che lavora in particolare nel campo della formazione professionale nel carcere di Rebibbia.

Dai risultati sono emerse le storie dei rapporti affettivi spezzati dalla detenzione, i viaggi estenuanti dei familiari per far visita ai reclusi, il destino carcerario che troppe volte finisce per coinvolgere più membri di una stessa famiglia.

La ricerca - la prima di questo genere in Italia - ha voluto dare visibilità ad un fenomeno su cui vi era una totale assenza di dati specifici: lo stesso Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria ha chiesto di poter acquisire i risultati raccolti.

Ecco di seguito il testo del questionario distribuito ai detenuti:

Sei Italiano

Straniero / di che nazionalità?


Sei - uomo

- donna

- trans


Da quando sei detenuto?

Hai ancora molto?


1) In questo momento hai parenti detenuti? NO

* Se sì: - padre/madre

fratello/sorella

figli

coniuge/convivente

altri parenti

* In questo carcere? NO

* Con questi che contatti hai?

colloqui regolari

telefonate

lettere

nessuno


* Con loro che tipo di rapporti hai?

buoni

discreti

indifferenti

ostili


2) Hai mai chiesto di scontare la pena nello stesso carcere       

di uno o più dei tuoi familiari?                                                         NO


* Se la domanda è stata respinta, con che motivazione?


3) Se sei straniero, puoi telefonare?            NO

* Se no, perché?


4) Hai mai avuto parenti detenuti in precedenza?         NO

* Se sì: - padre/madre

fratello/sorella

figli

coniuge/convivente

altro (cioè non congiunti)


* Erano in questo carcere?


* Con questi intrattieni ancora dei rapporti?


* Se sì, di che tipo?


Percentuali di partecipazione per Istituto

A Milano, su 1966 detenuti (1840 uomini/136 donne), hanno risposto al questionario in 850 (43,2% tot), di cui: - 88 donne (10,3%);

- 745 uomini (87,6%);

- 11 trans (1,2%);

l'adesione, in tal caso, è stata molto elevata soprattutto perché i detenuti hanno partecipato materialmente alla raccolta dei dati, discutendo, cercando testimonianze significative, facendo circolare il questionario di cella in cella.

A Padova, diversamente, quest'ultimo è stato distribuito di sezione in sezione, motivo della minor percentuale di interventi: su 750 detenuti (650 uomini/100 donne), hanno risposto al questionario in 182 (24,2%tot), di cui:

- 130 su 650 (20%) nella Casa di Reclusione maschile Due Palazzi;

- 52 su 100 (52%) nell'Istituto di Pena Femminile della Giudecca (Venezia).

A Roma, hanno risposto soltanto 80 persone: 60 uomini nell' Istituito Rebibbia Nuovo Complesso e 20 donne nell'Istituto Rebibbia Femminile; l'esiguità dei dati dipende, in questo caso, dall'aver coinvolto nell'inchiesta soltanto quei detenuti con cui il PID era in contatto in quel periodo.

Per esporre i risultati dell'inchiesta, si è scelto di far riferimento ai dati raccolti nel carcere di

San Vittore sia per l'alta partecipazione, sia per la sua particolare rappresentatività; chi ha risposto, infatti, rappresenta in modo fedele la situazione dell'Istituto con riferimento alla popolazione carceraria: un decimo le donne detenute, la metà i detenuti italiani.

Il quadro generale che emerge dall'inchiesta è allarmante. Il 34,5%, ossia un terzo dei detenuti dichiara di avere, o di aver avuto in passato, un familiare dietro le sbarre; per un detenuto su quattro, si tratta di un congiunto (genitore, fratello, figlio, coniuge).

Su un totale di 850 detenuti:

190 (22%) hanno, oggi, almeno un parente in carcere; in 148 casi (17%) si tratta di un congiunto;

301 (35,4%) hanno oggi e/o hanno avuto in passato un parente in carcere; in 222 casi (26%), si tratta di un congiunto;

219 (25,7%) hanno avuto in passato un parente in carcere;

108 (12,7%) hanno avuto in passato e hanno tuttora un parente in carcere; in 92 casi (10,8%) si tratta di un congiunto.


La percentuale di detenute che hanno un parente recluso è sorprendente: a San Vittore tocca il 40,9% del totale (36 donne su 88), ovvero il doppio dei reparti maschili, dove "solo" il 19,8% (148 uomini su 745) dichiara di avere un familiare in carcere. Simili i dati di Padova: nella sezione femminile della Giudecca le donne che dichiarano tale realtà sono il 32,6% del totale (17 su 52); nella sezione maschie "solo" il 18% (23 su 130).

In particolare oltre alle differenze quantitative, ciò che colpisce è il tipo di parentela che lega queste persone:

tra le donne , il parente congiunto con cui, più comunemente, si condivide la pena, è il coniuge; questo si verifica in ben 27 casi su 36 (75%), mentre in 4 casi si tratta di figli e fratelli (11%) e solo in 3 del padre (8%).

Tra gli uomini, invece, il parente congiunto con cui, più comunemente, si condivide la pena è il fratello; questo si verifica in ben 73 casi su 148 (49,3%); in 28 casi si tratta del padre (18,9%), in 21 casi della moglie (14%), in 11 casi del figlio (7%).


Uno dei maggiori problemi che le famiglie dei detenuti devono affrontare sono i continui viaggi per poter visitare i congiunti reclusi in carceri diverse, spesso molto lontane. "Terre di Mezzo" li definisce i globetrotter delle galere, perché in una settimana percorrono anche migliaia di chilometri, per tutta l'Italia, pur di non mancare ai colloqui con i propri cari.

La normativa penitenziaria prevede l'assistenza alle famiglie dei reclusi, "senza trascurare i problemi pratici e materiali eventualmente causati dall'allontanamento del congiunto" (art.94,c.1 Reg.Esec.); secondo l'art.30,c.1 Reg.Esec., all'inizio dell'esecuzione della pena o della misura di sicurezza, condannati ed internati "sono provvisoriamente assegnati in un istituto.situato nell'ambito della regione di residenza", o comunque in località prossima qualora ciò non sia possibile; il colloquio è inoltre prolungato sino a due ore quando congiunti e conviventi "risiedono in un comune diverso da quello in cui ha sede l'istituto, se nella settimana precedente il detenuto o l'internato non ha fruito di alcun colloquio e se le esigenze e l'organizzazione dell'istituto lo consentono" (art.37,c.10 Reg.Esec.). In realtà l'ordinamento non garantisce la vicinanza tra il luogo di detenzione e quello di residenza della famiglia, né riconosce il diritto dei coniugi o conviventi detenuti di poter scontare la pena nello stesso carcere.

"E' un autentico pellegrinaggio - dice un detenuto di Padova -: dal '90 al '95, eravamo detenuti in cinque, tre fratelli e due cugini. Io mi trovavo a Bologna; un fratello era a Belluno, l'altro a Prato. Immaginate cosa significasse per mia madre fare i colloqui!".

Dei 190 detenuti che hanno parenti detenuti, 83 dichiarano di avere familiari reclusi con loro a San Vittore (43,1%); ma ben 80 detenuti (42,1%), dichiarano di averli in altre carceri; in 27 (14,2%) non rispondono.

Tra coloro che vivono questa lontananza, 24 (30%) hanno fatto richiesta di avvicinamento senza aver ottenuto ancora una risposta; se la stessa richiesta viene rigettata, la motivazione più comune dell'atto di rigetto è: "sovraffollamento" del carcere di destinazione.


A San Vittore, il numero dei detenuti stranieri è molto elevato: su 850 reclusi che hanno risposto al questionario, 362 (42,6%) sono extracomunitari; di questi dicono di avere un parente in carcere in 61 (16,8%).

Queste persone devono affrontare ulteriori difficoltà per il mantenimento dei legami affettivi: non possono infatti contare su una famiglia che li vada a trovare, a causa della lontananza del paese d'origine; inoltre telefonare a casa è spesso impossibile. Il 48,8% dei detenuti stranieri (177 su 362) sostiene di non poter telefonare alla famiglia; a Padova la percentuale è anche più alta, arrivando al 53,4% (31 su 58). La situazione dipende da vari fattori tra cui la mancanza di soldi e l'impossibilità di definire, da parte dell'Amministrazione penitenziaria, se il numero dato corrisponda al domicilio della famiglia.


Il questionario distribuito a Padova si è arricchito di due ulteriori domande:

la prima ha richiesto l'indicazione della regione o del paese di provenienza, considerando l'influenza che l'immigrazione e la precarietà che l'accompagna, hanno sul destino carcerario di molte persone;

la seconda, ha invece richiesto l'indicazione dei motivi che possono portare più membri di una stessa famiglia in carcere.

Il contesto sociale risulta essere la causa preminente, sia per le donne che per gli uomini; seguono i problemi di droga e le difficoltà delle famiglie emigrate.

Alla richiesta di specificare altri possibili motivi, queste sono state le risposte:

A) Donne

Italiane senza parenti detenuti:           difficoltà di inserimento sociale

Italiane con parenti detenuti:              per tanta fame; innamoramento accecante

Straniere con parenti detenuti:           dipende dagli incontri di ogni singolo individuo

Straniere con parenti detenuti:           problemi di soldi



B) Uomini

Italiani senza parenti detenuti:

Motivi economici.

Ritengo che tutti i motivi abbiano una loro validità, credo inoltre non sia da sottovalutare il fatto che un ragazzo ha la tendenza ad emulare il familiare o l'amico più grande nei comportamenti e nel modo di vivere, che è impostato alla ricerca di una immediata "bella vita" e non ad una "vita bella".

L'arroganza, la presunzione di poter risolvere problemi economici (dei quali ci si vergogna di svelare la gravità) scegliendo il rischio del delinquere, con la consapevolezza della futura compassione e comprensione al momento di dover pagare il debito con la giustizia.

Non sono stati dovutamente valutati i motivi probatori della difesa e del libero convincimento del Giudice e del PM.

Emulazione. Ignoranza dei genitori, aventi esperienze detentive, nell'educare i propri figli. Mancanza negli stessi di un reale interesse al reinserimento. Avversità sociale nei confronti dei pochi ex detenuti realmente convertiti. Totale assenza di supporto psicosociale nei confronti delle persone più deboli. In generale eccesso di prevenzione, ma anche mancanza di rigore e onestà di uno Stato venduto.

I politici, perché sono degli zanza , e per farli mangiare io "devo" essere "criminale".


Italiani con parenti detenuti:

E'impossibile individuare un'unica causa, spesso sono molto legate tra loro, quindi è       

soggettivo.

Chiamata in correità.

A causa della droga ci sono furti, rapine etc.

Lo Stato deve legalizzare la droga leggera e dare agli italiani un lavoro sicuro, stabile.

Chiamate in correità, per sentito dire.


Stranieri con parenti detenuti:

Problemi legati all'alcool e alla droga.

Povertà.


Stranieri senza parenti detenuti:

Problemi di disoccupazione.

La povertà.

La difficoltà di mantenersi per vivere onestamente in questa società.

Bisogno di lavoro.

Difficoltà economiche.

Le difficoltà che si trovano nel mantenere la famiglia.





Note:

(1) N. SANSONNA, Sono molti i casi di persone, appartenenti alla stessa famiglia che hanno avuto esperienze di carcere. Io purtroppo ne so qualcosa, https://www.ristretti.it/.


(2) "Truffatore in genere in senso dispregiativo. Nell'ambiente carcerario è poco stimato, è ritenuto comunque inaffidabile e sempre pronto a trarre tornaconti personali da tutte le situazioni", in AA.VV., I pugni nel muro. Linguaggi e frammenti di vita dei detenuti del carcere di San Vittore, Berti, Piacenza, 2001.

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