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Dottrina sociale della Chiesa ed Economia di Comunione




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Dalla tesi mc 960325


§ 1 Peculiarità del Movimento dal quale è sorto il progetto Economia di Comunione (Wirtschaft der Gemeinschaft)


Per cercare di dare un significato concreto a quanto fin qui discusso si è scelto di presentare il progetto di Economia di Comunione il quale, più che essere il frutto di un'astratta teoria socio - economica, si configura come lo sbocco di una esperienza spirituale e sociale. Esso rappresenta infatti una tappa nella vita del Movimento dei Focolari (movimento ecclesiale approvato ufficialmente dalla Santa Sede nel 1990) nato in Italia e che ha ormai 50 anni di vita.

Durante la sua breve vita tale Movimento ha varcato le frontiere italiane diffondendosi dapprima in tutte le nazioni europee e, dal 1958 in poi, negli altri continenti. Oggi è conosciuto in 160 nazioni, conta oltre 80.000 membri interni e più di un milione e mezzo di aderenti.[257]

Una cosa importante da notare è come tale Movimento, nato all'interno della Chiesa Cattolica, abbia successivamente coinvolto uomini e donne di varie religioni e di diverse posizioni culturali ; nel corso della sua storia, infatti, esso ha sviluppato un intenso dialogo interreligioso ed interculturale. Nell'ambito di questo Movimento, così, si trovano membri di
molte confessioni cristiane, di altre religioni, soprattutto musulmani e buddisti, ma anche ebrei, protestanti, anglicani e persone che non hanno una fede o un credo religioso e che sono, appunto, di estrazione culturale << laica >>.

Questo Movimento comprende, dunque, persone appartenenti ad ogni vocazione ecclesiale, sacerdoti e religiosi, ma è composto prevalentemente da laici. La sua caratteristica principale è proprio la laicità poiché è nato da persone che non appartengono a vocazioni specifiche e tradizionali della Chiesa quali il sacerdozio o l'ordine religioso. Il carisma spirituale del Movimento dei Focolari consiste nel contribuire a diffondere e a concretizzare il messaggio evangelico nella società ed in particolar modo il desiderio di Cristo "ut omnes unum sint".[258]

Forse sta proprio in questa spiritualità dell'unità, che caratterizza ed anima il Movimento dei Focolari, la spiegazione di come esso sia riuscito ad unire e collegare persone così diverse per convinzioni e cultura. Infatti l'unità è considerata come espressione suprema dell'Amore reciproco. Per tale motivo, tutti i suoi membri sono impegnati e chiamati a rinnovare la società in tutte le sue espressioni civili e religiose, essendo costruttori di unità in tutti gli ambienti in cui si trovano ad operare.

La presentazione di questo Movimento richiederebbe uno spazio amplissimo che qui è impossibile dare per cui si accennerà, in questa sede, solo a quei suoi aspetti indispensabili da conoscere affinché venga compreso meglio il significato del progetto di Economia di Comunione che, ad un certo punto, si è reso manifesto quasi come una conseguenza naturale delle esperienze di vita precedenti.

Il Movimento dei Focolari è nato a Trento nel contesto storico dei massicci bombardamenti della seconda guerra mondiale e le prime protagoniste furono un piccolo gruppo di ragazze la cui "animatrice" era una maestra di un piccolo paese del sobborgo trentino : Chiara Lubich. In risposta al crollo di tutte le aspirazioni e i progetti umani, a causa dalla guerra, esse capirono di dover scegliere Dio, l'Amore, come unico ideale ineliminabile della loro vita e decidono di spendere le loro esistenze per Lui, vivendo il Vangelo.[259] Sulla base di tale scelta, questo piccolo gruppo cominciò a prodigarsi per alleviare le tante situazioni di indigenza e di sofferenza che la guerra aveva contribuito ad aumentare. Il coraggio e la radicalità del loro impegno fecero crescere la stima e la collaborazione di molte persone ed in breve tempo si formò una vera e propria comunità. La personalità spirituale di Chiara Lubich portava questo esteso gruppo di persone ad una progressiva scoperta della dimensione comunitaria del Vangelo che si esprimeva in forme e contenuti nuovi. Al contempo, questa esperienza comunitaria suscitava un'autentica "rivoluzione sociale" tra le persone che vi aderivano. Da questa esperienza si delineava sempre più la nuova spiritualità e prospettiva cristiana fortemente incentrata sull'unità. Alla base dell'unità, come si diceva poc'anzi c'era, appunto, l'amore reciproco. La solida base di questo amore e, di conseguenza, la coscienza di essere fratelli e sorelle fra loro, faceva sì che all'interno della comunità si condividessero le esperienze di vita gioiose e dolorose di ciascuno, come anche i beni materiali. Questa "comunione dei beni" esercitata liberamente, in proporzione e forme differenti, a seconda delle diverse possibilità, da tutti i membri del Movimento, fin dal suo nascere, è stata l'indispensabile premessa da cui è emersa l'esperienza dell'Economia di Comunione. Tale prassi è stata ispirata dall'osservazione della primitiva comunità cristiana. I primi cristiani la praticavano liberamente e, in conseguenza - come raccontano gli Atti degli Apostoli - non c'era fra loro alcun indigente.

Con il diffondersi del Movimento nelle diverse nazioni si sentiva la necessità di dar vita, in luoghi definiti, a comunità che costituissero vere e proprie "cittadelle", con relativi edifici ed attività economiche quasi autonome. Queste "cittadelle" avevano come fondamento, per la convivenza di quanti ne avrebbero preso parte, proprio il comandamento dell'amore che aveva caratterizzato la prima comunità di Trento. Inoltre, la loro presenza voleva e vuole essere la testimonianza di come sarebbe la società se, a fondamento di essa, ci fosse l'unica sola legge dell'amore reciproco fra gli esseri umani. Come afferma Chiara Lubich, infatti, fondatrice e attuale Presidente del Movimento, "l'Opera vorrebbe contribuire a rinnovare la società, vorrebbe mostrare i bozzetti di questa società nuova che sono appunto le città."[261]

La prima cittadella a nascere nel 1964, grazie alla donazione di un terreno e di una villa secondo la tipica prassi della comunione dei beni, è stata quella di Loppiano a Incisa Valdarno, in provincia di Firenze. Loppiano è un centro di formazione e di vita in cui convivono famiglie e persone provenienti da ogni continente. In questa cittadella i rapporti umani sono intessuti da questa legge dell'amore che investe anche i rapporti di lavoro e quelli economici. Loppiano vorrebbe testimoniare, alle migliaia di persone che ogni domenica la visitano, la forza rivoluzionaria del cristianesimo vissuto, capace di legare in unità persone di razze, culture e professioni diverse, contribuendo così a far nascere un tipo di umanità aperta, capace di dialogo universale. Attualmente le cittadelle in attività in tutto il mondo sono 15: oltre a Loppiano (Italia) vi sono Montet (Svizzera), Fontem (Camerun), Luminosa (New York), Tagaytay (Manila), Araceli (Brasile), O'Higgins (Argentina) e altre ancora. Come ogni città ha caratteristiche peculiari rispetto alle altre, così tutte queste cittadelle, pur nell'impostazione generale simile e nell'identico stile di vita, rivelano delle caratteristiche locali che le rendono diverse una dall'altra. Questo contribuisce ad esprimere le realtà molteplici dell'unica famiglia del Movimento e lo sforzo da parte di esso di pervadere la cultura dei diversi popoli con cui viene a contatto. Ad esempio la caratteristica peculiare della cittadella di Tagaytay, nelle Filippine, è di essere un centro di amicizia e di dialogo con i credenti di altre fedi religiose. Oppure quella di Fontem, nel Camerun, è di rispondere all'esigenza del sapersi "inculturare" con la mentalità dei popoli africani e non, e in generale con quelli del cosiddetto Terzo Mondo a cui noi occidentali, attraverso la colonizzazione e anche con un certo modo di evangelizzazione, abbiamo "imposto" le nostre strutture di pensiero. In definitiva si può affermare che il compito specifico di queste cittadelle è di testimoniare, in forme diverse, che è possibile costruire l'unità fra gli uomini in ogni luogo e settore ove si esplichino le varie attività umane.


§ 2 Le radici dell'Economia di Comunione


In Brasile, su un altopiano di 6/7000 metri nei presi di San Paolo sorge la cittadella Araceli. Nel Maggio 1991 Chiara Lubich vi andava per visitare la comunità locale, passando per la città di San Paolo, ella notò la enorme sperequazione sociale ed economica, il contrasto stridente tra il centro, dove si addensano grattacieli enormi, e la periferia che circonda la città, costituita da capanne e baracche, le cosiddette "favelas", ove le condizioni di vita sono di estrema indigenza. Tenendo conto allora della pratica decennale della comunione dei beni nel Movimento, dell'esperienza delle cittadelle e anche dell'Enciclica Centesimus Annus dove il Papa discute del fine sociale e universale della proprietà privata, e della libertà di iniziativa economica, ma, nel contempo, invita alla solidarietà fino a suggerire l'idea di un'economia mondiale, Chiara propone alle comunità del Brasile il progetto di Economia di Comunione indicando come tale proposta, se realizzata, avrebbe potuto fare di quella cittadella un modello per più diffuse future iniziative sociali.[262]

<< Qui, sotto la spinta della comunione dei beni - annuncia - dovrebbero sorgere delle industrie, delle aziende Queste aziende, di vario tipo, dovrebbero essere sostenute da persone di tutto il Brasile; dovrebbero nascere società dove ognuno abbia la possibilità di una propria partecipazione: partecipazioni anche modeste, ma molto diffuse. La gestione di tali imprese dovrebbe essere affidata a elementi capaci e competenti, in grado di far funzionare queste aziende con la massima efficienza e ricavarne degli utili Questi utili, poi, dovrebbero essere messi in comune liberamente. Dovrebbe nascere così una Economia di Comunione (condivisione, corresponsabilità N.d.A.) della quale questa cittadella costituirebbe un modello, una città pilota L'utile lo vogliamo mettere in comune liberamente. E per quali scopi ? Per aiutare quelli che sono nel bisogno, per dar loro da vivere, per aver modo di offrire un posto di lavoro poi, naturalmente, anche per incrementare l'azienda e, infine, per sviluppare le strutture di questa piccola città in vista della formazione di "uomini nuovi", motivati nella loro vita dall'amore, perché senza uomini nuovi non si fa una società nuova Cominciamo da questa cittadella brasiliana per partire da un punto del mondo dove sono particolarmente drammatici i problemi sociali, ma anche lo slancio generoso per affrontarli è più intenso. Sappiamo che, poi, l'esempio trascina >>.

Pienamente consapevole che la proposta di Economia di Comunione è controcorrente e ardua, in quanto coloro che aderiscono al progetto operano nell'ambito di una economia di mercato con regole ferree, nonostante i correttivi politici, e con squilibri all'interno dei popoli e fra i popoli, Chiara Lubich, che l'ha annunciata, richiede, pur nella piena certezza della verità della parola divina e della sua promessa, che nelle persone del Movimento impegnate in operazioni economiche ci sia l'umano più razionale possibile: capacità imprenditoriali e tecniche, preparazione, competenza, serietà, conoscenza delle esigenze e opportunità secondo le culture locali. Chiede che ogni iniziativa sia condotta con la consulenza di esperti nei vari ambiti e con il sostegno morale e pratico della comunità.

Nella fase di avvio il progetto è limitato, ha confini ben precisi. Si rivolge ai membri del Movimento affinché le iniziative dei singoli si colleghino per coordinarsi in una testimonianza globale; intende risolvere il problema sociale all'interno del Movimento sparso nei continenti; si concentra sulle "cittadelle" come cardini intorno a cui far ruotare l'impegno di una nuova economia. E tutto ciò, non già nell'intento di costruire quasi una società parallela, rinchiusa in sé e incurante del contesto sociale : la prospettiva ultima è addirittura l'intera umanità. L'immagine dei cerchi concentrici sempre più ampi è stata usata da Chiara Lubich stessa per rendere plastica la ardita aspirazione all'universale di questo "progetto". Il motivo di questa operatività ristretta iniziale, allora, è giustificato dal desiderio di offrire all'umanità non una vaga teoria o una ideologia, bensì un modello concreto di società già operante, un modello che, iniziato nella cittadella brasiliana, venga proposto in vari punti del pianeta dalle cittadelle ad essa simili. Si pensa che si possano costituire altrettanti esperimenti - pilota, da presentarsi come realizzazioni esemplari, anche se limitate, ma capaci di testimoniare concretamente che la nuova via ha una sua capacità di funzionare.


§ 3 Illustrazione del progetto di Economia di comunione (EdC)

Dalla tesi cs941212 CAPITOLO 5


Il progetto proposto da Chiara Lubich nel maggio del 1991 in Brasile suggerisce un modo per conciliare il diritto alla proprietà privata, all'iniziativa e all'attività personale con la destinazione universale delle risorse e con una produzione economica destinata a produrre beni - merce e beni - servizi per il benessere di tutti. Cerca, quindi, di rendere effettiva la dimensione della solidarietà di cui si è detto in precedenza.

La proposta prevede la costituzione di imprese ed attività economiche, possibilmente sotto forma di società con azionariato diffuso, gestite da persone professionalmente capaci e competenti che liberamente mettano in comune gli utili derivanti da tali attività per i seguenti scopi:

aiutare coloro che vivono in condizioni di miseria per soddisfare in primo luogo i loro bisogni più urgenti ed immediati, cioè dar loro da vivere, ma in vista di immetterli successivamente nel ciclo produttivo e renderli autosufficienti;

aumentare la produttività dell'azienda reinvestendo in essa una parte degli utili;

sviluppare le strutture necessarie per la formazione di "uomini nuovi", educati alla "cultura del dare" di cui si dirà tra breve e quindi capaci di vivere la solidarietà anche in campo economico.

L'EdC, quindi, invita gli imprenditori a trasformarsi, malgrado la cultura imperante, da singoli individui a persone sociali, e a condividere gli utili che superano quelli necessari al consolidamento delle loro aziende non già con i propri collaboratori, i quali dovranno comunque essere trattati con equità, ma con le persone della loro nazione e del resto del mondo che sono nel bisogno. Questa condivisione non è fatta solo di aiuti materiali ma è realizzata nelle forme più libere e varie, anche attraverso la messa in comune della propria esperienza e del proprio "know-how" con imprenditori di altre zone del mondo, oppure attraverso la creazione di nuove attività produttive che mirino a fornire lavoro per i tanti che ne hanno bisogno.





Schema di ripartizione degli utili comuni secondo il progetto EDC.



AZIENDA AZIENDA AZIENDA

EDC EDC EDC




PROFITTI IN

COMUNE






SCOPI SVILUPPO FORMAZIONE

SOCIALI AZIENDE "UOMINI NUOVI"





§ 4 Obiettivi e caratteristiche dell'Economia di comunione


Scopo principale dell'EdC è contribuire a dare una soluzione al problema della povertà, per ora come già spiegato limitatamente all'interno del Movimento, in quanto per vivere tale progetto è indispensabile una forte carica culturale e morale. A questo fine è stato fatto una specie di censimento per individuare chi sono e quanti sono i poveri all'interno del Movimento che non dispongono dei minimi beni necessari.[264] Poi sono state create nelle varie zone del mondo commissioni che raccolgono i contributi che arrivano dalle varie aziende partecipanti al progetto e provvedono così ad incanalarli verso le situazioni più urgenti. Queste commissioni non hanno alcuna autorità sulle imprese, le quali sono completamente autonome.

Le caratteristiche peculiari del progetto sono le seguenti.

1) Un approccio nuovo con l'economia all'interno del sistema economico capitalistico. L'EDC si colloca all'interno dell'attuale sistema di mercato del quale riconosce gli aspetti positivi: la proprietà privata, la libera iniziativa personale, il ruolo essenziale dell'impresa, il mercato, la ricerca del reddito secondo principi di efficienza economica. Tale progetto non si configura dunque come una forma di mero assistenzialismo. Tutto il progetto si fonda infatti sull'attività dell'impresa - cellula base del sistema economico attuale - che deve essere gestita secondo criteri di efficienza e redditività, perseguendo quindi un risultato economico positivo: il profitto. Ma tale progetto si contraddistingue in modo innovativo rispetto alla realtà corrente, in quanto il profitto non è considerato come il fine dell'attività economica intrapresa, ma solo quale mezzo per raggiungere un fine ben più grande che è l'uomo e suoi bisogni reali da soddisfare. E' questa perciò la vera motivazione che spinge i potenziali imprenditori ad attivarsi, e mettere a frutto le loro capacità affrontando il rischio sempre presente quando si intraprende un'attività economica.

2) La "cultura del dare" alla base dell'EdC. Un'importante caratteristica del progetto riguarda la visione antropologica ad esso intrinseca, quella cioè << dell'uomo - persona >>, e la conseguente "cultura del dare" che è il fondamento e la premessa di tutto il progetto. Con questa nuova mentalità anche << l'avere >> ritrova la sua giusta collocazione come parte << dell'essere >>: l'uomo, infatti, ha bisogno dei beni, ma è << l'essere >> che controlla << l'avere >> e non viceversa. Questa cultura comporta, come conseguenza, che sia le persone individualmente che le imprese consumano soltanto ciò che è loro necessario; il "surplus" di risorse è utilizzato per la crescita e lo sviluppo degli strati meno abbienti della società. Vista la rilevanza di questo aspetto è utile anticipare fin d'ora un insegnamento fondamentale della dottrina sociale cristiana che meglio ci aiuterà a comprendere il significato della << cultura del dare >>.

Dopo San Tommaso, la formulazione della dottrina sociale cristiana relativamente all'aspetto del rapporto dei credenti con i beni, ha subito gli influssi della riflessione antropologica tipica del mondo moderno rivendicativa di un'autonomia assoluta della ragione nei confronti della fede, tanto che si è talvolta confusa pure la stessa interpretazione dei testi delle encicliche sociali. Il Concilio Vaticano II si pone come punto di svolta importante poiché fonda l'intero discorso economico sull'antropologia cristiana, suggerendo la corretta chiave di lettura per comprendere il senso dell'appropriazione e dell'uso dei beni materiali da parte del singolo ma anche dell'intero genere umano. Il diritto alla proprietà privata (di cui si dirà in seguito) va contestualizzato alla luce della concezione cristiana della persona per cui il possedere rappresenta solo la possibilità di godere e usare i beni necessari ai propri bisogni e alla propria crescita. I bisogni e la crescita si misurano in profonda connessione con gli altri esseri umani per cui "l'avere" acquista senso nella possibilità di condividere di dare. Come già ricordato ogni uomo è un essere essenzialmente sociale e << dall'indole sociale dell'uomo appare evidente come il perfezionamento della sua persona e lo sviluppo della stessa società siano tra loro interdipendenti. Infatti, principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve essere la persona umana, come quella che di sua natura, ha assolutamente bisogno della vita sociale. Poiché la vita sociale non è qualcosa di esterno all'uomo, l'uomo cresce in tutte le sue doti e può rispondere alla sua vocazione mediante i rapporti con gli altri, i mutui doveri, il colloquio con i fratelli >> (Gaudium et Spes 25). Il Concilio afferma poi come << l'uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé >> (GS 24).[265]

Da questa dottrina discende che se l'essere della persona singola non può prescindere dalla comunione con i fratelli, è gioco forza che pure l'avere trova il suo vero senso in una dimensione sociale. Ciò in quanto la natura dell'uomo richiede la donazione e la natura dei beni è strumentale - per volontà di Dio - al bene dell'intero genere umano. Alla stessa conclusione si giunge tenendo conto che << Ogni rapporto appropriativo corrisponde ad una pulsione di avere e l'avere implica, ad un tempo, una sostanziale correlazione ontologica ; si vuole avere perché si è carenti nell'essere che si è, ma quel che si fa non colma mai questa carenza, non si può dilatare l'essere che non si è ; si ha solo ciò che non si è, ciò che è altro da noi e cui non è possibile identificarsi >>[266]. Ecco allora che << Come la persona realizza pienamente sé stessa nel libero dono di sé, così la proprietà si giustifica moralmente nel fornire, nei modi e nei tempi dovuti, occasioni di lavoro e crescita umana per tutti >> (CA 43). Da ciò ne segue che la dignità della persona esige la proprietà per avere la possibilità di disporre di una certa quantità di beni, di poter acquistare i beni che sono disponibili nel momento in cui se ne percepisce il bisogno. Si rende necessaria qui però una specificazione in merito all'ambito e alla quantità del condividere e del dare in relazione ai bisogni. Esiste infatti una prima sfera di beni << necessari >> di cui tutti debbono usufruire in quanto costituiscono il minimo vitale per sostenere una vita veramente umana. Il contenuto di questa categoria è indicato negli elenchi dei diritti dell'uomo ; si noti comunque che in situazioni di emergenza, è dovere morale condividere anche questo necessario. In successione si trova poi la sfera del << conveniente >>, cioè di quei beni che non sono più strettamente necessari, ma che riguardano e assicurano un benessere proporzionato alla società civile in cui si vive e si espleta la propria attività. Questa categoria non può ovviamente essere uguale per tutti e la sua quantificazione è determinata anche dalla sensibilità di ciascuno verso i bisogni altrui, alla luce del proprio personale amore per Dio. Oltre questo "limite" del conveniente comincia la sfera del dover dare che va inteso non solo in senso morale, ma anche in un contesto di giustizia.

Da quanto appena scritto dovrebbe essere chiaro allora che l'EdC non condanna il possesso dei beni e il perseguimento del profitto, che sono obiettivi necessari per svolgere una qualsiasi attività economica, ma li considera strumenti per conseguire il bene di tutti. In merito ricordiamo anche la nozione tomistica di proprietà già accennata e che forse trova nell'EdC una fra le possibili applicazioni.


3)Libertà di condividere. Un altro aspetto essenziale di questa esperienza economica è che ciascun imprenditore e ciascun socio di un'impresa che aderisce all'EDC, è libero di condividere o meno la sua parte di profitto. L'ideale, secondo alcuni[270], sarebbe quello di lasciare che il socio venga in possesso della sua parte di utili e poi liberamente li metta in comune, salvaguardando così sia la soddisfazione morale del risultato economico sia quella del dono. Questa esigenza di libertà nella donazione si deve, però, conciliare anche con l'esigenza di mostrare a terzi la motivazione "ideale" di queste aziende, motivazione che, a sua volta, è molto importante per poter coinvolgere moralmente nel progetto altre persone di buona volontà (lavoratori, clienti o fornitori). E' stato così suggerito che la destinazione di una parte degli utili a fini altruistici potrebbe essere esplicitamente stabilita nello statuto o in appositi accordi privati tra i soci, mentre per la parte restante i singoli soci potrebbero essere lasciati liberi di scegliere volta per volta sia l'entità del contributo che la sua forma. Bisogna comunque tenere presente che la scelta della modalità di devoluzione degli utili non è indifferente ai fini fiscali. Ad esempio in USA è possibile una completa esenzione dall'IRPEG tramite l'adozione della forma giuridica di "non profit corporation", a patto però di escludere fin dall'inizio qualsiasi distribuzione di utili a fondatori, soci o amministratori. Nella normativa italiana, invece, sono le cooperative a beneficiare delle più ampie esenzioni per i redditi non distribuiti ai soci. Ad ogni modo, non esiste una regola fissa per la condivisione degli utili, e ciascuna impresa, come avremo modo di constatare più avanti, stabilisce le proprie modalità.

L'esperienza dell'EdC, infatti, è ancora in una fase di sperimentazione e il compito di queste prime "aziende pilota" è proprio quello di trovare le migliori vie di attuazione e di concretizzazione del progetto stesso.


4) Coinvolgimento di tutti al processo produttivo. L'EdC prevede la formazione di imprese che assumano, preferibilmente, la forma di società con possibilità di partecipazione molto diffusa. Tale preferenza è nata dalla realtà stessa del Brasile, ove il potere e la ricchezza sono altamente concentrati mentre la maggioranza della popolazione è lasciata ai margini della società, spesso in condizioni di estrema povertà. Queste persone non sono mai state in grado di partecipare al processo produttivo del loro Paese e questa, come si è cercato di evidenziare discutendo delle politiche di sviluppo, è purtroppo una caratteristica comune alla maggioranza dei PMS, ove uno dei principali problemi è proprio l'emarginazione di gran parte della popolazione dalla vita economica, politica e sociale del paese. Il modello ad azionariato diffuso, allora, permette a chiunque lo desideri di entrare a far parte del sistema economico in qualità di piccolo azionista e nel contempo aumenta la capacità dell'impresa di raccogliere il capitale ad essa necessario attraverso le numerose piccole partecipazioni. Questo sistema potrebbe anche contribuire a conciliare l'esigenza di una maggiore equità con adeguati tassi di sviluppo. Infatti, nei paesi ove esiste un'alta concentrazione del reddito, come in Brasile, una eventuale redistribuzione della ricchezza tra i meno agiati verrebbe ad ostacolare il processo di sviluppo del paese, colpendo maggiormente gli stessi poveri. Generalmente si sostiene che la suddetta redistribuzione sottrarrebbe i capitali necessari per gli investimenti, bloccando così lo sviluppo. Una partecipazione più ampia e diffusa alle attività produttive, e quindi alla formazione del capitale, potrebbe - si suggerisce - portare al superamento di questo trade - off.


5) Concetto di impresa e partecipazione al di fuori di essa. Altra caratteristica che emerge dell'EdC è la funzione sociale che viene attribuita all'impresa, la quale si configura come una comunità di persone che partecipano pienamente, nel rispetto delle diverse competenze, alla vita dell'intera attività economica.

L'esistenza dell'impresa è finalizzata a due scopi:

a) essere uno strumento di promozione umana per una crescita integrale dell'uomo;

b) realizzare un uso sociale delle risorse di cui dispone, dei beni che produce e dei profitti che consegue.

I rapporti all'interno dell'impresa, di conseguenza, sono improntati sul rispetto, sulla collaborazione e sull'armonia tra i suoi membri oltre che con chi ha contatti esterni con l'azienda. D'altra parte un'impresa nata con l'intenzione di beneficiare la comunità locale, non può ricevere soddisfazione solo dall'aver conseguito profitti massimi che vengono poi condivisi ; altrettanto importante per essa deve essere il rispetto per l'ambiente umano e per quello naturale, l'offerta di opportunità di lavoro e lo sviluppo economico del territorio.

Una riflessione speciale merita anche il concetto di partecipazione che emerge dal progetto di EdC. La partecipazione agli utili all'interno dell'impresa non è una novità, bensì una realtà già sperimentata con successo da numerose aziende ; c'è, per esempio, anche chi auspica una "economia della partecipazione" come mezzo per fronteggiare e sconfiggere il fenomeno della stagflazione.[272]

L'EdC, però, mentre non esclude la partecipazione agli utili all'interno dell'impresa, richiede una condivisione dei profitti in un ambito sociale che supera le mura dell'azienda per estendersi all'intera società, e in particolare a quella parte di essa che si trova nel bisogno. Questo, come è stato notato, è un nuovo modo di considerare la società come uno dei gruppi d'interesse che sostiene l'impresa e ai quali la stessa deve rendere conto del proprio operato. In pratica, questa condivisione degli utili al di fuori dell'impresa si può considerare come una misura della responsabilità sociale della stessa ; può anche essere considerata come un investimento "intangibile" che stimola i dipendenti ad impegnarsi maggiormente nel proprio lavoro e incoraggia i clienti a sostenere tali iniziative scegliendo i prodotti e i servizi di queste imprese.

In definitiva possiamo riassumere gli obiettivi che un'impresa aderente all'EDC si prefigge con il seguente schema.


OBIETTIVI


- condivisione utili (responsabilità sociale)


- creazione nuovi posti di lavoro.

AZIENDA EDC

- comportamento economico rispettoso

di:

a)legislazione vigente

b)tutela del lavoro

c)qualità del prodotto

d)tutela dell'ambiente

e)concorrenza leale



6) Incremento dell'occupazione. Un'ultima considerazione va fatta in relazione al valore lavoro. Sembra importante sottolineare che, attraverso la creazione delle prime "imprese pilota", l'occupazione ha subito un'influenza positiva, ma non solo. Si è infatti spiegato, che le aziende nascono con l'intenzione di apportare benefici alla comunità locale, con particolare attenzione verso i più poveri. Ne consegue che, se è pur vero che questi bisogni in un primo momento riguarderanno le necessità più immediate, che comporteranno come risposta urgente trasferimenti diretti di reddito o finanziamenti a strutture di servizio, è altresì vero che successivamente il modo migliore per rispondere a questi bisogni passa attraverso un inserimento nel mondo del lavoro. In questo caso l'azienda riorienterà la propria capacità di reddito alla creazione di posti di lavoro, rinunciando - se necessario - a ottenere elevati utili contabili.


7) La centralità dell'uomo e sue ripercussioni sugli aspetti aziendalistici. Per concludere si accenna brevemente a un'altra caratteristica dell'EdC che riassume e comprende un po' tutte le altre: la centralità dell'uomo. Come più volte è stato precedentemente suggerito in modo più o meno esplicito, ci si trova qui di fronte ad un modo di fare economia che riporta l'uomo al centro dell'agire economico quale fine ultimo.

L'EdC richiede, quindi, cambiamenti anche negli aspetti strettamente aziendalistici. Si considerino ad esempio i fattori produttivi essenziali per realizzare un'azienda: lavoro, capitale, capacità imprenditoriali ; per ciascuno di essi l'EdC suggerisce una diversa considerazione rispetto a quella tradizionalmente loro attribuita.



LAVORO.

Molti lavoratori vedono nel lavoro il loro fine, senza accorgersene quasi lo considerano alla stregua di un idolo, talvolta sacrificando ad esso la famiglia, l'amicizia, la stessa salute o altri valori importanti per la vita di una persona. Per l'EdC il lavoro è importante tanto in quanto ci permette di realizzare gli obiettivi umani. Un altro atteggiamento lavorativo consueto è quello di lavorare per sé, per fare carriera, per avere un buon stipendio. Questo è giusto e legittimo, ma anche qui l'EdC propone un cambiamento : lavorare per gli altri e con gli altri. In questo modo il lavoro acquista una solidarietà nuova che non troviamo in molte aziende dove, anzi, talvolta ci sono forti contrasti tra lavoratori.

CAPITALE.

Si pone qui una domanda importante: "Come viene utilizzato in genere il risparmio?"

Sembra di poter affermare serenamente che, nella maggior parte dei casi esso viene impiegato per massimizzare i propri guadagni, per accumulare ulteriore ricchezza. Raramente esso viene usato a beneficio anche degli altri (al di fuori del ristretto ambito familiare) per la produzione di qualcosa di veramente utile che possa avvantaggiare anche la collettività di cui si fa parte.[273]

L'EdC propone una logica diversa: l'uomo occupa una posizione centrale anche rispetto al capitale, per cui quest'ultimo deve essere sempre impiegato per il bene del primo, creando posti di lavoro, garantendo stipendi dignitosi e così via.

CAPACITA' IMPRENDITORIALI.

L'EdC richiede che all'interno dell'azienda ci sia:

efficienza;

competenza amministrativa;

trasparenza.

Quest'ultimo requisito poco "di moda" nel mondo aziendale è molto importante se c'è una realtà imprenditoriale buona e sana in quanto si possono anche instaurare rapporti di solidarietà tra dirigenti e lavoratori, e questo è favorevole per l'ottima conduzione dell'azienda. Ciò, rendendo possibile un sentimento di apertura e di cooperazione, è altresì utile per evitare che la crescita della conflittualità nei comportamenti determini un'apatia di fondo o una sorta di ingovernabilità dell'agire lavorativo. Anche le stesse capacità imprenditoriali sono considerate importanti, in tanto in quanto vengono poste al servizio dell'uomo. Nell'ambito dell'EdC sono nati così, in varie zone, alcuni studi di consulenza professionale per sostenere soprattutto le piccole aziende. In Italia, alcuni imprenditori hanno costituito l'associazione "Crescere Insieme", con il compito di gestire, per i suoi associati, una banca - dati con informazioni che i soci vorranno condividere sulle proprie capacità produttive, sulle particolari tecnologie, professionalità, attrezzature e possibilità di commercializzazione. Gli associati saranno quindi avvantaggiati nel valutare nuove opportunità di sviluppo produttivo e commerciale. In una logica non di brevissimo periodo, si prospetta la nascita di associazioni simili anche in altre parti del mondo, rendendo così possibili collaborazioni internazionali produttive, commerciali e per la condivisione di tecnologie anche in aziende medio - piccole.


SCHEMA RIASSUNTIVO.


CARATTERISTICHE


approccio nuovo con l'economia


la "cultura del dare" alla base dell'EDC


libertà di condividere

PROGETTO

EDC coinvolgimento di tutti al processo

produttivo


incremento dell'occupazione


centralità dell'uomo


concetto di impresa e partecipazione

al di fuori di essa



Dalla tesi pv 960423.tutto

ok fino ad altro riferimento.

§ 5 Valori etici ispiratori dell'Economia di Comunione


Dalla lettura della breve presentazione del progetto Wirtschaft der Gemeinschaft, si comprende facilmente che lo spirito da cui esso fiorisce è lo stesso che ha animato la prima comunità dei Focolari di Trento, ove si profilava l'inizio di un nuovo movimento che, sia sul piano storico quanto nel contesto spirituale proponeva, in misura fortemente innovativa, un particolare uso dei beni terreni.

Ci si trova di fronte ad un nuovo modo di distacco dalla ricchezza, diverso dalla scelta della povertà ascetica vissuta da altre spiritualità della Chiesa, pur avendone le stesse radici. I beni ora diventano disponibili per gli altri grazie alla rinuncia per amore; si rinuncia ad un bene per amore di chi non ce l'ha e subito lo si mette in comunione per costruire l'unità, per vivere una condivisione concreta, che sia attuazione del comandamento dell'amore reciproco e incarnazione della comunione dei Santi, in una accettazione del tutto libera e aggiornata del modello di comunità descritta negli Atti degli Apostoli. La comunione dei beni nel Movimento dei Focolari è stata fin dall'inizio un uso in qualche misura attivo dei beni; non un disfarsene, non un darli e basta, ma una condivisione continuata stimolata dall'ispirazione a vivere il Vangelo in modo non intimistico ma come comunione tra Dio e gli uomini, comunione degli uomini tra loro, spirituale e materiale, ecclesiale e civile.


§ 6 Insegnamenti dall'Antico Testamento


Volendo alle autentiche basi della condivisione di cui si parlava, troviamo già nell'Antico Testamento[274] i primi elementi che ci aiutano a capire la genesi di una Economia di Comunione. Giobbe e Qohelet contestano la convinzione religiosa dei benpensanti che vedono la prosperità come un segno di benedizione divina e la miseria come la prova di una vita di peccato e la meritata punizione di Dio. L'esperienza invece mostra che prosperano ricchi disonesti, mentre uomini giusti vivono e muoiono nell'indigenza. << Chi ama il denaro mai di denaro è sazio ; chi ama la ricchezza mai gli bastano le entrate. Anche questo è vanità ! >> (Qo 5, 9). Dio non interviene direttamente per garantire l'equa distribuzione dei beni, ma chiama l'uomo a gestire responsabilmente i beni della terra.

A partire dall'ottavo secolo a.C. inizia la protesta dei profeti quando le condizioni sociali ed economiche della Palestina cambiano in negativo. La denuncia dei profeti come Amos, Osea e Isaia acquista subito una dimensione sociale. Con forza essi reagiscono contro lo sfruttamento degli sprovveduti, il lusso dei ricchi, il mal funzionamento della giustizia, la corruzione I profeti alzano la voce non per promuovere un calendario di riforme sociali, un programma di ristrutturazione economica, ma per denunciare il tradimento contro l'Alleanza: Dio infatti ha voluto un popolo dove << non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi ; perché il Signore certo ti benedirà nel paese che il Signore tuo Dio ti da in possesso ereditario, purché tu obbedisca fedelmente alla voce del Signore tuo Dio >> (Dt 15, 4,5).

In Israele, al contrario si verifica un doppio fenomeno, - che in parte è forse rilevabile anche ai nostri tempi - :

c'è disuguaglianza a livello economico: ci sono ricchi e poveri e ciò è tanto più grave quanto lo è il fatto che i primi sono diventati ricchi a spese dei secondi

c'è disuguaglianza a livello sociale come conseguenza della prima. I ricchi assumono posizioni di potere, mentre i poveri subiscono uno stato di inferiorità, di dipendenza se non perfino di oppressione.

Situazioni economiche ineguali generano quasi inevitabilmente diseguaglianze sociali, - come si è cercato di illustrare anche nella sezione che presenta alcune tematiche relative allo sviluppo - . Ciò secondo i Profeti si manifesta come un peccato contro la comunione fraterna tra i membri che vivono nell'Alleanza, in quanto falsificando i rapporti sociali, si falsifica la realtà stessa del popolo come tale mettendo quindi, a loro volta in forse gli stessi rapporti di fraternità e giustizia propri dell'Alleanza.[275]

Con le seguenti parole, Michea ricorda all'israelita il suo dovere fondamentale se vuole vivere in comunione con Dio: vivere in comunione con i fratelli, << Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio >> (Mi 6,8).

Anche nel rapporto tra datore di lavoro e dipendente interviene la Sacra Scrittura e precisamente nel libro del Siracide dove nel capitolo 7, versetto 20, l'autore sacro si esprime così: << Non maltrattare un dipendente che lavora con fedeltà, né un salariato che si dedica con passione al lavoro >>, inoltre nel versetto 21 aggiunge: << Tratta con riguardo un dipendente intelligente, non rifiutargli il tempo libero che gli spetta >>. Al capitolo 4, versetto 30 afferma: << Non fare il prepotente nella tua azienda e non essere sospettoso verso i tuoi dipendenti >>. Queste ultime citazioni integrano quanto spiegato nel capitolo precedente a proposito del "valore lavoro" che, come confermano questi scritti, sembra sia considerato degno di attenzione già da qualche secolo prima della venuta di Cristo nell'ambiente giudaico, in quanto l'agire nel mondo economico di un israelita non poteva essere esentato dall'osservanza delle norme morali che regolavano l'intero agire della persona.



§ 7 Insegnamenti dal Nuovo Testamento


Nel Nuovo Testamento, a differenza dei profeti, Gesù non innalza proteste in pubblico contro le ingiustizie sociali che pure erano flagranti anche nella sua epoca in Israele. Egli non si aspetta da riforme sociali il cambiamento risolutivo, ma soltanto da un intervento divino, nella linea della sua proclamazione sulla vicinanza del Regno di Dio. Gesù punta non a cambiare il sistema socio - politico vigente, ma a cambiare il cuore dell'uomo. Egli auspica la conversione della persona che non rimane un fatto confinato nella sfera puramente interiore e spirituale del singolo, ma avrà effetti tangibili sul comportamento concreto dell'uomo. In alcuni sommari della prima parte del libro degli Atti degli Apostoli, Luca presenta la sua visione sulla vita religiosa e sociale della prima comunità cristiana di Gerusalemme: << La moltitudine di coloro che avevano abbracciato la fede aveva un cuore e un'anima sola. Non v'era nessuno che ritenesse cosa propria alcunché di ciò che possedeva, ma tutto era fra loro comune. Non c'era infatti tra loro alcun bisognoso: poiché quanti possedevano campi o case, li vendevano e portavano il ricavato delle vendite mettendolo ai piedi degli apostoli. Veniva poi distribuito a ciascuno secondo il proprio bisogno >>. L'autore sacro vede realizzarsi nella chiesa di Gerusalemme l'utopia sociale dei pitagorici e altri, di una società di amici che mettevano tutto in comune. Alla base della comunione ecclesiale si trova la conversione, non una affinità di sentimenti o di carattere che crea legami di simpatia, anche se, certo, l'amicizia non è esclusa. Luca si esprime con un linguaggio semplice ed evocativo : << Tra amici, nulla appartiene in proprio >> ma << Proiettando così sulla comunità di Gerusalemme l'ideale dell'amicizia, Luca si guarda dal presentare i cristiani come semplici amici. Se essi realizzano l'idea dell'amicizia, è in quanto credenti >> . Il mettere i beni in comune è come l'espressione concreta "dell'unanimità", a sua volta frutto dell'unità profonda che lega In quel tempo e luogo i credenti al Risorto e fra di loro, in modo tale da essere un solo corpo in Cristo.


§ 8 La Dottrina Sociale della Chiesa


In questo, e nell'evoluzione dei duemila anni successivi, va ad incastonarsi, infine, la Dottrina Sociale della Chiesa che, partendo dalla Rerum Novarum si sviluppa soprattutto nel magistero pontificio con le grandi encicliche sociali sino alla recente Centesimus Annus. In modo
particolare è da evidenziare il rapporto tra proprietà privata e destinazione universale dei beni, che costituisce un punto nodale nello sviluppo del pensiero sociale cattolico e del rapporto dei cristiani con i beni materiali. In questo periodo è da notare un costante adeguamento e sensibilizzazione da parte della Chiesa alle esigenze concrete dell'umanità, in quanto, pur riconoscendo la legittimità della proprietà privata, ne evidenzia le innegabili finalità sociali che la vincolano nel suo uso.

La Rerum Novarum si misura con la questione operaia emergente frutto della rivoluzione industriale e alla quale sia il liberismo che il marxismo cercano di dare soluzione. Riguardo al tema suddetto il Papa afferma che << la proprietà privata è pienamente conforme alla natura >>(n. 7. 2) e che lo stato non ha diritto di intervenire in materia << perché l'uomo è anteriore allo stato : così che prima che si formasse la società civile, l'uomo dovette avere da natura il diritto di provvedere a se stesso >> (n. 6. 2). Tali affermazioni vengono poi mitigate e completate dichiarando che << né si opponga alla legittimità della proprietà il fatto che Dio ha dato la terra in uso e godimento a tutto il genere umano (). Essa significa soltanto che Dio non ha assegnato nessuna parte del suolo a nessuno in particolare, ma ha lasciato la delimitazione della proprietà all'industria degli uomini e alle situazioni dei popoli >> (n. 7. 1).

Con la Quadragesimo Anno (1931) si riconduce la proprietà privata nell'ambito del bene comune. Il Papa loda coloro che << si studiano di definire l'intima natura e i limiti di quei doveri, con i quali sia il diritto stesso di proprietà, sia l'uso o esercizio del dominio vengono circoscritti dalle necessità della convivenza sociale >> (n. 53). Papa Giovanni XXIII sia nella Mater et Magistra (1961) che nella Pacem in Terris (1963) oltre a riaffermare la proprietà privata come diritto naturale, aggiunge che ne << va pure insistentemente propugnata l'effettiva diffusione tra le classi sociali >> (MM 113) ; inoltre sottolinea che << al diritto di proprietà privata è intrinsecamente inerente una funzione sociale >> (PT 22).

Il Concilio Vaticano II costituisce una svolta poiché fonda l'intero discorso economico sull'antropologia cristiana, dandoci così la chiave di una interpretazione per comprendere il senso della appropriazione e dell'uso dei beni materiali da parte dei singoli e dell'intero genere umano. << Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene, all'uso di tutti gli uomini e popoli, e pertanto i beni creati debbono secondo un equo criterio affluire a tutti, essendo guida la giustizia e assecondando la carità. Pertanto, quali che siano le forme concrete della proprietà, , si deve sempre tener conto di questa destinazione universale dei beni. Perciò l'uomo, usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede, non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui ma anche agli altri >>. (n 69). Si può notare come non si parli più solo di proprietà privata dei singoli, ma anche dei popoli e, inoltre, l'universale destinazione dei beni è uno << jus >>, un diritto di giustizia che la carità dovrà accompagnare, assecondare e stimolare. Su questa linea si inserisce poi Paolo VI con la Populorum Progressio (1967) il quale ribadisce che << la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario >> (n. 23).

Il successivo Magistero di Giovanni Paolo II compie un ulteriore passo nel chiarire i rapporti tra destinazione universale dei beni proprietà privata. Fin dall'inizio del suo pontificato in occasione della III Conferenza dell'Episcopato Latino - Americano, ha dichiarato ai Vescovi radunati : <<acquista carattere urgente l'insegnamento della Chiesa secondo cui su tutta la proprietà privata grava un'ipoteca sociale >> . Lo stesso concetto è stato ribadito agli indios a Cuilapan : << La Chiesa difende sì il legittimo diritto alla proprietà privata, ma insegna anche con non minor chiarezza che su ogni proprietà privata grava sempre un'ipoteca sociale perché i beni servono alla destinazione generale che Dio ha dato loro >> .

Nella Laborem Exercens, (1981) il diritto alla proprietà privata viene fondato sul lavoro: ".la proprietà privata si acquista prima di tutto mediante il lavoro perché essa serva al lavoro. Ciò riguarda in modo particolare la proprietà dei mezzi di produzione. Essi non possono essere posseduti contro il lavoro, non possono neppure essere posseduti per possedere, perché l'unico titolo legittimo al loro possesso - e ciò sia nella forma della proprietà privata, sia in quelle della proprietà pubblica o collettiva - è che essi servano al lavoro; e che conseguentemente, servendo al lavoro, rendano possibile la realizzazione del primo principio di quell'ordine che è la destinazione universale dei beni e il diritto al loro uso comune" (n.14). Un successivo sviluppo è dato dalla Sollicitudo Rei Socialis (1987) ove si introduce il concetto di solidarietà proprio dei rapporti tra persone e popoli. << L'interdipendenza deve trasformarsi in solidarietà, fondata sul principio che i beni della creazione sono destinati a tutti : ciò che l'industria umana produce con la lavorazione delle materie prime, col contributo del lavoro, deve servire ugualmente al bene di tutti >> (n. 39). Ciò è senza dubbio un insegnamento fondamentale anche per il nascere della "cultura del dare", come mostrato in precedenza.

Nella Centesimus Annus (1991) in fine, troviamo: << Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri , senza escludere né privilegiare nessuno. è qui la radice dell'universale destinazione dei beni della terra >> (n. 31). Applicando questi principi all'attuale economia di mercato, a dimensione internazionale, la Centesimus Annus precisa che << la proprietà privata dei mezzi di produzione sia in campo industriale che agricolo è giusta e legittima, se serve a un lavoro utile; diventa invece illegittima, quando non viene valorizzata o serve a impedire il lavoro di altri, per ottenere un guadagno che non nasce dall'espansione globale del lavoro e della ricchezza sociale, ma piuttosto dalla loro compressione, dall'illecito sfruttamento, dalla speculazione e dalla rottura della solidarietà nel mondo del lavoro. Una tale proprietà non ha nessuna giustificazione e costituisce un abuso al cospetto di Dio e degli uomini >> (n.43) .

La proposta di Economia di Comunione lanciata da Chiara Lubich ha alle spalle questa forte esperienza e poggia dunque su pilastri ben solidi. Le persone erano pronte per un vero cambiamento : passare dalla comunione dei beni fatta singolarmente, alla comunione dei beni fatta globalmente all'interno di un sistema economico. L'EdC si inserisce nell'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa, realizzando alcune sue direttive e aprendo nuovi orizzonti, come quelli sotto proposti, che concludono il capitolo :

la proprietà privata non è un istituto che rischia di portare al mero consumismo, ma concretizza pienamente il suo statuto naturale: quello di realizzare la destinazione universale dei beni, infatti, in questo senso, la proprietà delle aziende non serve ad accumulare, ma a dare, a creare lavoro, a soddisfare i bisogni dei più poveri;

vengono salvaguardate le espressioni tipiche della persona, quali l'iniziativa, la creatività, la competenza, la responsabilità, la partecipazione, la socialità, e ciò perché la spinta interiore che incrementa il lavoro e l'imprenditorialità non è finalizzata al profitto come valore assoluto, ma alla sua distribuzione in beni materiali e alla creazione di posti di lavoro, il profitto diventa così come in Coda un "fine - mezzo" ;

la proposta e l'insegnamento della Chiesa non sono un'utopia, poiché l'impresa viene vista, compresa e realizzata, non solo come una struttura economica che produce beni materiali, ma proprio come richiede la Centesimus Annus, come una comunità di persone, con ruoli diversi sì, ma dove tutti si riconoscono "uguali" nella comune natura umana, nella convivenza dei fratelli, figli dello stesso Padre;

il progetto di Economia di Comunione non è un esperimento angusto e chiuso, perché è nato già in una dimensione planetaria dove le capacità professionali, l'esperienza lavorativa, le doti intellettuali sono messe in comune fra persone addirittura di continenti diversi, pronti a trasferirsi là dove il loro apporto si rende necessario;

infine, la decisione di utilizzare il profitto per il bene comune, è assunta valutando liberamente.



F. Zamboni, "L'avventura dell'unità", Edizioni Paoline 1991, pag. 6.


M. Dal Bello, Una città non basta, in "Città Nuova", Roma, n.21, 10 Novembre 1993, pag. 29.

Per comprendere meglio questo significativo passaggio nella vita di Chiara Lubich e delle prime giovani del movimento si può leggere Chiara Lubich, L'avventura dell'unità, intervista di Franca Zambonini, ed. Paoline, 1991

In seguito, di mano in mano che è stata vissuta, la comunione dei beni è stata arricchita di tutti gli apporti che ha fornito la dottrina sociale cristiana, soprattutto attraverso le encicliche sociali.

P. Pizi, 'Verso una nuova cultura economica', tesi di laurea in Economia e Commercio, Università degli studi di Ancona, Anno accademico 1992-93, pag. 278.


Ibidem, pag. 279; e P. Quartana L'Economia di Comunione nel pensiero di C. Lubich, in "Nuova Umanità", 80 - 81, cit., pag. 16; e C. Lubich, Discorso del 29 Maggio 1991, Araceli, Brasile.

Ibidem.


Si contano 5000 poveri solo tra i membri "interni" al Movimento dei Focolari, cioè quelli più impegnati.

Cfr. Vera Araújo, in "Nuova Umanità", 1982 80/81.

Melchiorre V., Umanità, razionalità e finalità del lavoro, cit in Goffi T. , Piana G. (a cura di), Corso di morale, Koinonia/3, Brescia 1984, pp. 440, 441.

Cfr. PT 11 e Dichiarazione Universale dei Diritti dell'uomo dell'ONU, n. 25.

Cfr. Centesimus Annus 36, e Sollicitudo Rei Socialis 31.

Tale suddivisione è stata proposta da Enrico Chiavacci il quale ne tratta ampiamente in Teologia Morale/3/2, Assisi 1990, pp. 235 - 240.

Gui, B., Impresa ed economia di comunione in "Nuova Umanità", n. 80/81, 1992, Città Nuova, Roma.

Gui, B. 1992.

Weitzman, M.L., "L'economia della partecipazione", Laterza, Bari, 1985.

Per rendersi conto di questo basti pensare alle grandi speculazioni internazionali pilotate da pochissime società o ai meccanismi delle Borse nazionali


Questi spunti sono stati tratti dal N.80/81 Marzo - Giugno 1992 di Nuova Umanità, pag.21 e seguenti.


Per più dettagli e per i testi dei profeti si veda l'articolo Ricchezza - comunione dei beni nella Bibbia, I, in "Nuova Umanità" 74, marzo - aprile 1991,pp. 29 ss.

J. Dupont, Lectio Divina 118 in "Nouvelles Etudes sur les Actes des Apôtres", Cef, Paris 1984, p. 302.

Giovanni Paolo II, Discorso ai rappresentanti di tutti i Vescovi dell'America Latina, 28.1.1979, in "Insegnamenti di Giovanni Paolo II", Libreria editrice Vaticana, II 1979, p. 225.

Ibidem, p. 247.

Pare di poter affermare che l'illegittimità di cui scrive il Pontefice, visto anche lo stesso ruolo ricoperto, forse sia di tipo morale, meno da un punto di vista economico.

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