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Tesina Argomentativa - Pensiero Rivoluzionario nel Primo Dopoguerra del XX Secolo




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Tesina Argomentativa

Pensiero Rivoluzionario

nel Primo Dopoguerra del XX Secolo


LA RIVOLUZIONE

La parola 'rivoluzione' indica un mutamento completo e spesso rapido di una data realtà.

Il termine si estende anche a fenomeni che non riguardano l'ambito specificamente politico.

Si usa, infatti, la parola 'rivoluzione' per indicare trasformazioni nei più svariati campi d'indagine dall'economia alla scienza, dalla cultura ai costumi sociali.

Mi occuperò del significato politico - sociale del termine in questione intendendo la rivoluzione come rottura netta con il passato e nuovo inizio, come radicale mutamento degli assetti politici e di quelli sociali.
Se il termine pone l'accento sullo stravolgimento totale e sulla sua repentinità è perché queste caratteristiche sono le più evidenti. In realtà una rapida disamina di alcuni fatti rivoluzionari dimostrerà che i cambiamenti profondi che avvengono nella storia sono da interpretare all'interno di fasi processuali di medio o lungo periodo. La categoria interpretativa 'rivoluzione' coglie dunque solo un aspetto del processo di trasformazione che si realizza in una data realtà e in un dato momento.

Il termine 'rivoluzione' è essenzialmente moderno.

Non esistono fenomeni politici prima del '700 cui è possibile attribuire il significato di rivoluzione così come lo abbiamo definito e come lo definiremo successivamente. Dobbiamo guardarci perciò dall'errore di leggere eventi del passato attraverso l'uso di categorie storiche emerse in seguito. L'antichità conobbe cambiamenti politici, anche molto drastici ed elaborò diverse teorie per descrivere le dinamiche dei mutamenti. Ma il mutamento non è la rivoluzione.

Il termine di cui mi occupo rimanda, infatti, non solo al sovvertimento radicale ma anche all'inizio di qualcosa di mai visto e destinato a durare.

Vorrei approfondire il pensiero rivoluzionario nei vari campi d'indagine che c'è stato nel XX secolo, che ha stravolto il mondo che abbiamo avuto in eredità oggi.

La rivoluzione cambia le strutture fondamentali, essa si oppone ai vecchi metodi e costruisce nuovi metodi. Ciò che si intende con la parola rivoluzione include opposizione, organizzazione, abolizione e creazione.

Una rivoluzione potrebbe avere un momento o un periodo di cataclisma, ma il cataclisma non rientra nella definizione. Il cataclisma non è richiesto.

Potrebbe esserci violenza in una rivoluzione e certamente ci sarebbe conflitto. Ma questi sono aspetti particolari, non le caratteristiche essenziali.

Il cambiamento rivoluzionario potrebbe essere per il meglio, si dovrebbe aggiungere, come qualcuno considera scontato, ma ridurre l'oppressione o espandere le libertà non rientra ugualmente nella definizione. Il beneficio non è richiesto. Ciò che è richiesto perché un processo sociale sia una rivoluzione, almeno come si definisce la parola, è che le strutture istituzionali basilari in una delle quattro sfere della vita sociale cambino in modo fondamentale.

Ovviamente questa definizione evita di dare priorità ad una sfera della vita su tutte le altre. La rivoluzione non è solo economia o solo politica, o solo cultura, o solo relazioni interpersonali. La rivoluzione può avere a che fare con una o con tutte e quattro le sfere della vita sociale. Questa definizione evita anche, ovviamente, di elevare a feticcio un metodo di cambiamento su tutti gli altri.

LA MIA IDEA DI RIVOLUZIONE

Muovere da un tipo di società all'altro, in qualsiasi direzione, è ciò che io considero una rivoluzione. Molte persone rispondono alla domanda cosa sia la rivoluzione da un'altra direzione. Dicono che la rivoluzione rifiuti le riforme. Questo, preso alla lettera, è privo di senso. Una riforma è un cambio nelle relazioni correnti che evita di superare le strutture fondamentali sottostanti. Una riforma pertanto non è una rivoluzione. Inoltre, il riformismo, che persegue solo riforme e che assume che al più elementare livello non ci sia alternativa alle strutture che al momento sopportiamo, è, di fatto, antitetico alla rivoluzione. Il riformismo accetta lo status quo istituzionale come permanente, ma le riforme stesse non sono riformismo e non sono contrarie al perseguimento di una rivoluzione.

Invece, al contrario, gli sforzi per conseguire un moderno cambio rivoluzionario richiedono la costruzione di movimenti che ispirino un numero sufficiente di persone, e stimolino sufficiente impegno e militanza da parte dei membri, per realizzare il cambiamento fondamentale. Un rivoluzionario lotta per le riforme non solo per rendere la vita della gente migliore nel presente, ma anche per risvegliare nuovi desideri, per prepararsi all'inseguimento di nuove esigenze, per propiziare una migliore organizzazione, per stimolare nuova consapevolezza, e, in generale, per essere parte di un processo volto alla fine ad un cambiamento fondamentale.

Un rivoluzionario potrebbe spesso inseguire le stesse riforme di un riformista, ma un rivoluzionario farà questo con un diverso linguaggio esplicativo, con differenti esortazioni, con una differente organizzazione e, ancora più importante, con un atteggiamento molto diverso riguardo a ciò che verrà dopo. Il riformista lotta per tornarsene a casa e godere i frutti della vittoria. Il rivoluzionario lotta così che la gente possa stare meglio ora, ma anche per lottare ancora, ed ancora, fino a che non ci sia più bisogno di lottare perché il mondo è cambiato.

Il rivoluzionario è colui che quelli che sostengono una rivoluzione, nel momento di massimo impegno e speranza, cercano di impersonare ogni giorno.

Il mondo moderno è così pieno di compromessi e follia che questo non è facile benché ci si provi sinceramente. La rivoluzione non è né uno stile di vita e né una t-shirt.

Non è qualcosa che si accenda o spenga.

Non è qualcosa cui dedicarsi part-time o a periodi, di sicuro, ed io penso, sia una cosa molto, molto buona da fare. Ma, oltre a ciò, diventare davvero un rivoluzionario significa, penso, che tu hai sempre una grossa componente che decida del proprio modo di guardare alle cose, del come pensare e specialmente del cosa si decida da fare, cercando di offrire il proprio migliore contributo alla rivoluzione.

Dunque la rivoluzione è un accumulo di vittorie conquistate da una popolazione risvegliata che porta a cambi fondamentali nelle strutture che definiscono le relazioni sociali, ed anche quei cambiamenti realizzati.

La rivoluzione è inoltre il processo di progettazione di nuove relazioni e del loro implementare, è il processo di popolazioni risvegliate, che si informano, e che si organizzano durante il percorso.

La rivoluzione mette fine a vecchie epoche e ne comincia di nuove. La rivoluzione può sostituire la povertà con l'equità, la derisione con il rispetto, l'egoismo antisociale con la solidarietà, l'alienazione con la comunità, l'autoritarismo con l'autogestione, l'omologazione con la diversità, il patriarcato con il femminismo, il razzismo con l'intercomunitarismo, e l'economia dell'avidità e della competizione con l'economia del sostegno mutuo e della cooperazione.

'Le classi dominanti hanno sempre ricompensato i grandi rivoluzionari, durante la loro vita, con implacabili persecuzioni; la loro dottrina è sempre stata accolta con il più selvaggio furore, con l'odio più accanito e con le più impudenti campagne di menzogne e diffamazioni. Ma dopo morti, si cerca di trasformarli in icone inoffensive, di canonizzarli per così dire, di cingere di una certa aureola di gloria il loro nome, a 'consolazione' e a mistificazione delle classi oppresse. Si svuota di contenuto il loro pensiero rivoluzionario, se ne smussa la punta, lo si svilisce. La borghesia e gli opportunisti in seno al movimento operaio si accordano oggi per sottoporre il marxismo a un tale trattamento'.   V.I.Lenin, Stato e Rivoluzione, 1917

LE RIVOLUZIONI NEL XX SECOLO

Il successo della Rivoluzione russa nell'ottobre del 1917 cambiò il corso della storia mondiale perchè ispirò il movimento operaio internazionale per parecchie generazioni. Il 1917 rivoluzionò la società e trasformò la psicologia delle masse lavoratrici e la vita dei suoi partiti e sindacati. 'Fare come in Russia' era la risposta netta che settori ogni giorno crescenti della classe operaia mondiale sentivano di poter dare alla miseria della guerra e allo sfruttamento del capitale.

La lotta della classe operaia divampò in Germania e Italia, nell'Europa centrale e in Spagna, in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Asia ed ebbe il merito di contribuire in maniera decisiva alla fine della Prima Guerra Mondiale e alla sconfitta dell'offensiva di 21 eserciti che le potenze imperialiste scatenarono contro il neonato stato sovietico. Settant'anni dopo la pubblicazione del Manifesto Comunista di Marx ed Engels, lo spettro del comunismo si aggirava per l'Europa, ma ora era in carne ed ossa e spaventava a morte la borghesia.

La Rivoluzione italiana, meglio conosciuta come Biennio rosso, fu contemporanea all'instaurazione della Repubblica sovietica in Ungheria, allo Sciopero rivoluzionario in Spagna e seguì di poco la prima Rivoluzione tedesca dell'inverno 1918-19. Sappiamo che il Partito Socialista Italiano (PSI) perse un'enorme opportunità storica: durante il Biennio rosso i lavoratori occuparono le fabbriche a più riprese e all'apice del processo (settembre 1920) mezzo milione di operai le difesero per settimane; i braccianti e contadini poveri fecero lo stesso con le terre dei padroni e dei latifondisti. Persino alcuni settori arretrati influenzati dal Partito popolare furono attratti dalla rivoluzione.

La portata del movimento fu tale che praticamente offrì il potere nelle mani della direzione del PSI. Una direzione cosciente dei compiti storici che esigeva la classe operaia avrebbe potuto unificare lo slancio rivoluzionario in tutto il paese e farla finita col capitalismo e le sue miserie. Allora il PSI era un partito ben radicato nella classe operaia industriale e dirigeva il principale sindacato, la CGL, insieme alle principali leghe nelle campagne. Amministrava migliaia di municipi e di cooperative operaie.

La vittoria del Biennio rosso avrebbe potuto spezzare l'isolamento della Rivoluzione russa ed avrebbe cambiato il corso della storia mondiale. L'esperienza invece dimostrò per l'ennesima volta che una organizzazione rivoluzionaria non si può improvvisare: nel pieno della lotta la classe operaia non dispose infatti del tempo necessario a trarre in tutta fretta le conclusioni corrette dagli avvenimenti che si susseguirono durante uno sconvolgimento sociale. Spesso non ebbe neppure il tempo di correggere puntualmente gli inevitabili errori propri e dei propri dirigenti. Il coraggio e l'abnegazione sono necessari ma non sufficienti. La durata di una stagione rivoluzionaria può variare ed assumere un carattere prolungato, ma non è infinita. Le decisioni strategiche e quelle tattiche che si devono adottare giorno dopo giorno, mese dopo mese, esigono una estrema flessibilità nei metodi ed una grande fermezza di principi in ogni momento cruciale. Il partito rivoluzionario sarebbe superfluo se la spontaneità della classe fosse sufficiente a vincere la guerra contro la borghesia. Il partito rivoluzionario deve quindi svolgere il ruolo che i lavoratori non possono inventarsi in pochi mesi.

È per tali motivi che una direzione cosciente e sperimentata si rende necessaria.

Le correnti centriste (semi-rivoluzionarie o rivoluzionarie a parole) che nacquero nel seno dei partiti operai furono un prodotto quasi esclusivo delle stagioni rivoluzionarie e prerivoluzionarie. I loro dirigenti oscillano, dubitano ed a volte persino cincischiano tra il riformismo ed il marxismo.

La maggioranza dei capi del PSI si dichiarava massimalista, partigiana del programma massimo della rivoluzione socialista. Purtroppo non erano che centristi, giacché da anni si limitavano a suonare la tromba della propaganda rivoluzionaria come Giovanni minacciava l'Apocalisse, ma giunsero miseramente impreparati quando il Biennio rosso bussò alla porta.

Come la guerra, la rivoluzione ha in ogni sua fase il fronte decisivo. Torino lo fu per l'Italia durante tutto il 1920, e lì militava Antonio Gramsci. Per le sue posizioni politiche e la qualità della sua militanza durante il Biennio rosso, Gramsci fu l'avanguardia minoritaria del PSI. L'assenza di una frazione nazionale organizzata attorno alle sue idee fu un fattore chiave nell'ora decisiva.

Anni dopo Trotskij scriverà: 'Se alla fine della guerra non c'è stata in Europa alcuna rivoluzione vittoriosa è perché è mancato il partito' e persino il socialista Nenni confermerà nel 1926 che '..il giudizio [di Trotskij] è esatto per ciò che si riferisce all'Italia'.

ANTONIO GRAMSCI

« [] non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione [] vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini»

Antonio Gramsci, lettera alla madre, 10 maggio 1928

IL PENSIERO DI GRAMSCI

Negli anni del carcere, l'autore dei 'Quaderni' rilesse in una prospettiva rigorosamente antimetafisica le pagine marxiane, individuandovi una fonte teorica primaria per l'elaborazione di una scienza politica all'altezza dei tempi.

L'obiettivo polemico di Gramsci è l'interpretazione scientistica di Marx, prossima ad affermarsi come ortodossia filosofica nell'Urss staliniana.

A Gramsci la battaglia del giovane Marx contro il 'vecchio materialismo' fornì un formidabile arsenale filosofico e, in positivo, i materiali per la costruzione di una ontologia pratica che affermasse l'essenza dinamica della realtà materiale (la sua soggettività e storicità) e la radicale materialità del soggetto storico, al tempo stesso interprete e artefice 'critico-pratico' del mondo.

'Lo Stato è concepito sí come organismo proprio di un gruppo, destinato a creare le condizioni favorevoli alla massima espansione del gruppo stesso, ma questi sviluppo ed espansione sono concepiti e presentati come la forza motrice di una espansione universale, di uno sviluppo di tutte le energie nazionali. Cioè il gruppo dominante viene coordinato concretamente con gli interessi generali [dell'insieme] dei gruppi subordinati e la vita statale viene concepita come un continuo formarsi e superarsi di equilibri instabili (nell'ambito della legge) tra gli interessi del gruppo fondamentale e quelli degli altri gruppi [..]'.

Così la parola Stato usata due volte significa nel primo caso 'Stato borghese' e nel secondo 'Stato operaio': in mezzo c'è la rottura rivoluzionaria, ma non possiamo certo pretendere che Gramsci scrivesse chiaramente l'espressione 'abbattimento del sistema capitalista e del suo stato' nelle condizioni in cui si trovava. Stesso discorso vale per l'espressione tra parentesi '(nell'ambito della legge)', in cui la parola 'legge' va intesa come 'dittatura del proletariato'.

Il termine egemonia (del partito della classe lavoratrice) compare chiaramente associato ad un periodo di ascesa rivoluzionaria, quando l'azione indipendente della classe operaia suole ispirare le classi medie e i settori sfruttati. L'abbiamo visto sempre nella storia, anche in quella recentissima tra il 1968 e gli anni '70. È chiaro che l'egemonia delle idee rivoluzionarie non possa affermarsi nella vita quotidiana della società sotto il dominio del capitale. Ma possa farlo in periodi speciali come lo sono i processi rivoluzionari, poiché le masse lavoratrici prendono coscienza della necessità di impegnarsi direttamente nella soluzione dei problemi che il capitalismo impone e non può risolvere.

Il dominio del capitale si giova quotidianamente delle sovrastrutture da esso create o asservite per inibire qualunque sfida all'egemonia che la borghesia esercita attraverso i suoi giornalisti e scrittori, attori e registi, scienziati e divulgatori, preti e professori, avvocati e giudici, ministri e militari etc., ossia gli intellettuali che Gramsci definiva 'commessi della classe dominante', gli animatori delle 'casematte del sistema', i 'funzionari delle sovrastrutture'. Gramsci difendeva la necessità di un lavoro costante per conquistare alla militanza del partito non solo gli operai ma anche gli intellettuali più vicini al marxismo. Ma Gramsci non sosteneva una rivoluzione graduale basata solo sulla 'contesa democratica' dell'egemonia alla classe dominante e non considerava neppure possibile alcuna trasformazione della società che potesse fare a meno della rottura rivoluzionaria.

Comprendeva come l'influenza delle idee rivoluzionarie tra gli operai e le altre classi sfruttate potesse estendersi rapidamente solo nei periodi di crisi sociale e che proprio di questi ultimi si dovesse approfittare per sostituire lo stato borghese con uno stato operaio basato sui consigli di fabbrica e di quartiere, in transizione verso il socialismo.

Gramsci scrisse sulla rivoluzione in occidente: '(..) in Oriente lo Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatinosa; nell'Occidente tra Stato e società civile c'è un giusto rapporto e nel tremolio dello stato si scorge subito una robusta struttura della società civile. Lo Stato è solo una trincea avanzata, dietro cui sta una robusta catena di fortezze e di casematte..' (Note sul Machiavelli).

Questa affermazione viene spesso utilizzata dai riformisti e dagli stalinisti per giustificare l'impossibilità della rivoluzione socialista classica nella società in cui viviamo. Sappiamo che lo stato zarista era una macchina mostruosa ed efficiente di repressione, e proprio in questo modo compensava la debolezza della borghesia russa e manteneva soggiogata la 'prigione dei popoli'. Però è falso pensare che le classi dominanti russe non avessero una loro strategia di controllo sociale ed il loro sistema di casematte. La religione e l'analfabetismo dominavano le campagne, le quali contavano l'80% della popolazione; gli intellettuali che i contadini ammiravano e seguivano erano i figli istruiti dei grandi proprietari di terre, avvocati, preti, magistrati. In due parole, la piccola borghesia dominava intellettualmente la Russia. La piccola borghesia non aveva in mente la rivoluzione. Cos'è questo se non controllo sociale basato sull'ignoranza?

Il ruolo degli intellettuali

Dopo aver demolito le presunzioni di indipendenza e neutralità degli intellettuali nella società capitalistica, Gramsci definisce l'intellettuale del partito come il 'persuasore permanente', lo 'specialista del reclutamento' dei quadri nel seno stesso della classe operaia. 'Che tutti i membri del partito politico debbano essere considerati come intellettuali, ecco un'affermazione che può prestarsi allo scherzo; eppure, se si riflette, niente di più esatto[..]: importa la funzione che è direttiva e organizzativa, cioè educativa, cioè intellettuale' (Quaderno 12, nota 1). Sorpresa! Non una generica egemonia del partito sugli 'intellettuali', o 'persone di cultura' (cosa non disprezzabile quando si verificasse), tutt'al più l'integrazione nel partito di tutti gli elementi esterni alla classe operaia i quali decidessero di passare armi e bagagli alla causa del socialismo. Su queste basi, siamo proprio sicuri che il 'rinnovamento intellettuale e morale' di cui parlava Gramsci fosse un appello alla buona volontà degli intellettuali?

L'unificazione d'Italia e la 'Questione meridionale'

Gramsci fu forse il primo comunista italiano ad analizzare da un punto di vista di classe la questione meridionale italiana, ovvero la incompleta rivoluzione democratico borghese che condusse alla squilibrata unità nazionale sotto il dominio della borghesia settentrionale nel periodo 1860-71.

Nel Risorgimento, che Gramsci definisce come rivoluzione passiva o mancata, egli cerca le radici dello sviluppo ineguale e combinato della società capitalista italiana. La questione meridionale fu analizzata da Gramsci in maniera brillante: egli definì in maniera esemplare i problemi irrisolti della borghesia italiana: quello dell'arretratezza dell'agricoltura al sud e la riforma agraria, gli ostacoli allo sviluppo industriale e infrastrutturale, la proverbiale instabilità dei governi borghesi e la corruzione della burocrazia statale.

Gramsci interpreta correttamente la fase cruciale del Risorgimento quale storia della conquista del sud da parte dal capitalismo settentrionale e del suo stato monarchico dei Savoia "basato" in Piemonte. Dopo aver sconfitto gli austriaci nel nord Italia, i banchieri e capitalisti del nord saccheggiarono i prodotti del primo sviluppo industriale del regno borbonico e tardarono oltre dieci anni nel liquidare la resistenza del potere dello Stato Vaticano.

Il Regno d'Italia, risultato della unificazione ad opera del debole capitalismo settentrionale, continuava a dipendere dal capitale finanziario del nord Europa. Lo sviluppo industriale del nord Italia fino al 1860 era complessivamente superiore rispetto al centro e al sud, ma la differenza non era certo abissale dato che la prima ferrovia la mise in funzione il Regno borbonico delle Due Sicilie tra Napoli e Portici; il Banco di Napoli era addirittura uno dei principali della penisola.

Lo Stato borbonico praticava una politica protezionista per proteggere l'inferiore produttività della propria industria ed il proprio mercato. Nel complesso né il capitalismo settentrionale né tantomeno quello del sud avevano la forza sufficiente per sviluppare in maniera complessiva l'industria e l'agricoltura di tutto il paese. La predominanza relativa della borghesia lombarda e piemontese fu generalmente sufficiente a vincere il confronto, ma il mantenimento della monarchia sabauda e la collaborazione col latifondismo al sud furono il prezzo da pagare per ottenere risultati immediati: appropriarsi delle tasse in cambio di assorbire l'apparato statale borbonico, utilizzare la mano d'opera a basso prezzo, trasferire al nord i macchinari delle migliori industrie meridionali.

I banchieri padani accaparrarono spesso con l'inganno i risparmi degli emigrati meridionali in America e stabilirono su tutta la penisola il dominio finanziario delle piazze di Milano e Torino.

Gramsci analizzò il ruolo dei democratici Mazzini e Garibaldi durante il Risorgimento, facendone un'analisi spietata e smascherando la codardia dei liberali di Cavour di fronte alla monarchia.

La borghesia italiana era incapace di liberarsi dell'aristocrazia e dei privilegi feudali nel meridione e preferì collaborare al prezzo di condannare per sempre il sud all'arretratezza. Quando i contadini poveri al sud iniziarono il movimento d'occupazione delle terre e le rivolte spontanee per liberarsi dalla miseria, furono proprio gli 'eroi' Bixio e Garibaldi a reprimerli. L'esperienza che meglio sintetizza la fase di tensione attraversata dal movimento operaio italiano tra gli anni '80 e '90, nel suo passaggio dalla dimensione agraria a quella urbana-industriale e dalla spontaneità all'organizzazione, è quella dei Fasci dei lavoratori (i Fasci siciliani, leghe operaie e contadine).

In essa si espresse per la prima volta una solida struttura organizzativa di massa, diretta da uomini di orientamento socialista, in cui accanto alla massa dei lavoratori agricoli comparivano già i primi nuclei di salariati industriali. I fasci interpretavano soprattutto la protesta popolare contro le tasse troppo pesanti e contro il malgoverno locale e chiedevano per i contadini terre da coltivare a patti agrari più vantaggiosi. Lo sviluppo dei Fasci siciliani suscitò forti preoccupazioni nella classe dirigente locale e fra i conservatori di tutta Italia, che intensificarono le loro pressioni sul governo Giolitti perché adottasse nell'isola misure eccezionali. Il motivo era che i fasci univano rivendicazioni di carattere sindacale come la rinegoziazione dei patti agrari, e altre politiche come il suffragio universale e l'esproprio dei latifondi. La loro forza crebbe impetuosamente fino a raggiungere nel 1893, in coincidenza dell'estensione della protesta ai lavoratori delle miniere di zolfo, dove il lavoro si svolgeva in maniera primitiva sfruttando largamente la manodopera dei ragazzi e bambini, il massimo di 162 sedi, con circa 300-350.000 iscritti (100.000 operai e artigiani e 250.000 contadini). La ribellione delle solfatare fu soffocata nel sangue dal nuovo stato italiano alleato coi padroni siciliani. Ciò avvenne ancor prima della fondazione del PSI.

È molto facile, come fece costantemente Gramsci sia da libero che in prigione, smontare i luoghi comuni diffusi dall'egemonia borghese settentrionale secondo cui il sud sarebbe 'la palla al piede del paese civile'.

Si tratta di argomenti usati da sempre dalla cinica borghesia per dividere i lavoratori.

L'incapacità dei capitalisti di sviluppare armonicamente l'Italia è dimostrata proprio dalle molte ondate migratorie dei contadini italiani verso l'America ed il nord Europa. La realtà degli anni venti come quella attuale confermano ancora una volta la teoria della rivoluzione permanente di Trotsky, che considera lo sviluppo ineguale e combinato (es: nord industrializzato e sud sottosviluppato) quale frutto normale delle contraddizioni del capitalismo. La borghesia settentrionale si era presentata sulla scena europea con molto ritardo rispetto alla Francia, all'Inghilterra, alla Germania e da questi paesi dipendeva finanziariamente e tecnologicamente. Figuriamoci quella meridionale. Per dominare l'Italia dovette scendere a patti col latifondismo e sviluppare il nord a prezzo di saccheggiare il sud.

Gramsci tendeva a suggerire che lo sviluppo capitalistico autonomo del sud fosse stato interrotto dall'unificazione e in questo caso credo si sbagliasse. Il sud dipendeva, ancor più del nord, dal capitale finanziario francese ed inglese e la sua borghesia non avrebbe avuto la forza (capitali e tecnologia) di liberarsi dell'aristocrazia e del feudalesimo. Concordo con Gramsci sul fatto che solo la rivoluzione socialista sotto la guida della classe operaia possa socializzare i mezzi di produzione, finanziari e la terra per porre le basi di una pianificazione armonica dell'economia. Solo la classe operaia al potere può assicurare il miglioramento permanente delle condizioni di vita della classe operaia sia al sud che al nord. Lo avevano capito un secolo fa gli operai dei Consigli di fabbrica torinesi e un giorno lo capiranno gli operai dei consigli di fabbrica del nuovo millennio.

Gramsci prestò sempre grande attenzione al movimento contadino e bracciantile. Per chiudere, cito l'articolo più bello di Antonio Gramsci tra quelli scritti sulla riforma agraria. Fu pubblicato su L'Ordine Nuovo all'inizio degli anni venti:

'Cosa ottiene un contadino povero invadendo una terra incolta o mal coltivata? Senza macchine, senza abitazione sul luogo di lavoro, senza credito per attendere il tempo del raccolto, senza istituzioni cooperative che acquistino il raccolto stesso (se arriva al raccolto senza essersi impiccato..) e lo salvino dalle grinfie degli usurai, cosa può ottenere un contadino povero dall'invasione delle terre?[..] La borghesia settentrionale ha soggiogato l'Italia meridionale e le isole e le ha ridotte a colonie di sfruttamento; il proletariato settentrionale, emancipando se stesso dalla schiavitù capitalistica, emanciperà le masse contadine meridionali asservite alla banca e all'industrialismo parassitario del settentrione. La rigenerazione economica e politica dei contadini non deve essere ricercata in una divisione delle terre incolte e mal coltivate, ma nella solidarietà del proletariato industriale che ha bisogno, a sua volta, della solidarietà dei contadini. Che ha interesse che il capitalismo non rinasca economicamente dalla proprietà della terra e ha interesse che l'Italia meridionale e le isole non diventino la base militare della controrivoluzione. Imponendo il controllo operaio sull'industria, il proletariato rivolgerà l'industria alla produzione di macchine agricole per i contadini, di stoffe e calzature per i contadini, di energia elettrica per i contadini; impedirà che più oltre l'industria e la banca sfruttino i contadini e li soggioghino come schiavi alle loro casseforti. [..] Instaurando la dittatura operaia, avendo in mano l'industria e le banche, il proletariato rivolgerà l'enorme potenza dell'organizzazione statale per sostenere i contadini nella loro lotta contro i proprietari, contro la natura, contro la miseria; darà il credito ai contadini, istituirà le cooperative, farà le opere pubbliche di risanamento ed irrigazione. Farà ciò perché è suo interesse dare incremento alla produzione agricola, conservare la solidarietà delle masse contadine, rivolgere la produzione industriale a lavoro utile di pace e fratellanza fra città e campagna, tra Settentrione e Mezzogiorno'.

Opere di Antonio Gramsci

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L'Ordine Nuovo

Lettere dal carcere

Quaderni del carcere

LA RIVISTA "L'ORDINE NUOVO"

Programma di rinnovamento sociale e proletario

'Questo foglio esce per rispondere a un bisogno profondamente sentito dai gruppi socialisti di una palestra di discussioni, studi e ricerche intorno ai problemi della vita nazionale ed internazionale ().

OCCORRE alla propaganda parolaia, che ripete stancamente, con sfiducia mal celata dalla sonorità e dall'audacia tutta esteriore delle frasi, SOSTITUIRE LA PROPAGANDA DEL PROGRAMMA SOCIALISTA, di quel complesso cioè di soluzioni ai grandi problemi sociali che solo possono conciliarsi e vivificarsi in un tutto armonico e compatto nell'ideologia socialista. VOGLIAMO che in tutta la propaganda socialista cioè si faccia seguire sempre la critica della società capitalistica, del falso ordine borghese coll'ordine nuovo comunista ().

La borghesia e con essa l'organismo sociale rassodatosi dopo la rivoluzione francese sono esausti, nell'impossibilità di trovare in sé sia i materiali che le capacità direttive della ricostruzione (). OCCORRE LAVORARE SU UN TERRENO NUOVO, vergine, in cui i germi dell'avvenire trovino l'humus propizio, in cui l'umanità possa rinnovarsi e risorgere; OCCORRE che una classe nuova al potere, provata duramente ma nello stesso tempo rafforzata dalla guerra, sappia per impulso proprio assumersi l'eroica impresa di portare sulle sue spalle il torbido e suggestivo domani.

In questa classe, IL PROLETARIATO, è riposto l'avvenire del mondo; tutte le speranze, tutte le possibilità. La visione profetica di Marx, che aveva annunciato ai lavoratori la loro missione, si attua ora, giorno per giorno, man mano che la borghesia si dimostra inetta a salvare l'umanità dall'incendio ch'essa stessa ha appiccato, e man mano che la vita sociale gravita sempre più attorno al suo centro naturale e stabile: il proletariato'.

Il settimanale L'Ordine Nuovo - fondato il 1° maggio 1919 da Antonio Gramsci (1891-1937), insieme ad alcuni giovani intellettuali socialisti dell'ambiente torinese, Palmiro Togliatti (amico fin dall'università), Angelo Tasca e Umberto Terracini (dirigenti della federazione giovanile socialista) - dichiarava il suo programma di rinnovamento sociale e proletario nelle Battute di preludio scritte dallo stesso Tasca.

I primi numeri de L'Ordine Nuovo pur presentando caratteri di 'disciplina permanente di cultura russa', mantenevano una composizione piuttosto antologica nelle brillanti recensioni ancora crociane e gentiliane di Togliatti per la rubrica La battaglia delle idee, negli studi che Tasca dedica ai maestri socialisti del passato come Luis Blanc e Fournière, negli articoli stranieri di Roman Rolland (La via che sale) e di Henri Barbusse (Il gruppo 'Clarté').

Ma presto la tematica interpretativa gramsciana della rivoluzione bolscevica in rapporto storico con lo sviluppo della società italiana produsse un colpo di mano redazionale all'interno de L'Ordine Nuovo, cioè la pubblicazione, il 21 giugno 1919, dell'articolo Democrazia operaia:

«Complici Togliatti e Terracini, all'insaputa di Tasca, anzi contro l'orientamento astratto e la 'vaga passione' culturale rivendicata da Tasca (conforme 'alle buone tradizioni della famigliola italiana'), Democrazia operaia propone di 'scavare il filone del reale spirito rivoluzionario italiano', trasformando la rivista in organo di propulsione, in centro rivoluzionario di nuove forme organizzative, di nuovi istituti da creare anche in Italia sul modello dei soviet. Emerge la grande idea-forza de L'Ordine Nuovo, quella dei consigli di fabbrica, organi dell'autogoverno operaio, che dovranno potenziare politicamente le commissioni interne al livello 'soviettista' di altrettanti istituti di democrazia proletaria eletti da tutte le maestranze delle officine torinesi. 'oggi le commissioni interne limitano il potere del capitalismo nella fabbrica e svolgono funzioni di arbitrato e di disciplina. Sviluppate e arricchite dovranno essere domani gli organi del potere proletario che sostituisce il capitalista in tutte le sue funzioni utili di direzione e di amministrazione. Già fin d'oggi gli operai dovrebbero procedere alle elezioni di vaste assemblee di delegati, scelti tra i migliori e più consapevoli, sulla parola d'ordine: Tutto il potere dell'officina ai comitati di fabbrica, coordinata all'altra: Tutto il potere dello Stato ai consigli operai e contadini.»

Da questo momento, dal n. 7 del 21 giugno 1919, L'Ordine Nuovo diventa 'il giornale dei consigli di fabbrica'. In pochi mesi l'idea-forza dei consigli di fabbrica si allarga e si realizza in decine di stabilimenti metallurgici, dalla FIAT alla Diatro, dalla Savigliano alla Lancia.

Gli articoli de 'L'Ordine Nuovo' prendono atto dell'avvenimento suscitando dibattiti in tutto il movimento operaio, politico e sindacale, nonostante le opposizioni di riformisti e di massimalisti.

La piattaforma rivoluzionaria de L'Ordine Nuovo opera il proprio collaudo nel 1920.

A Torino gli industriali nel corso delle trattative per il rinnovo del contratto di lavoro rifiutano la richiesta degli aumenti salariali e, allo sciopero bianco degli operai rispondono con la serrata. I metallurgici reagiscono occupando le fabbriche nel triangolo industriale Torino-Milano-Genova.

Il movimento d'occupazione viene tenuto nei limiti delle officine e fallisce.

Gramsci, Togliatti e Terracini conducono un'intensa campagna che culmina a Livorno il 21 gennaio 1921 con la fondazione del Partito Comunista d'Italia.

Cessate le pubblicazioni come rivista il 24 dicembre 1920, L'Ordine Nuovo diventa, il 1° gennaio 1921 quotidiano; il 21 gennaio, con la formazione del Partito Comunista d'Italia a Livorno, diventa organo del nuovo partito 'secondo la linea tracciata dal Congresso dell'Internazionale e secondo la tradizione della classe operaia torinese'.

VLADIMIR VLADIMIROVIC MAJAKOVSKIJ

In Russia, dalla volontà di rinnovamento dei poeti Nikolaj Gumilèv (1886-1921) e Sergej Gorodeckij (1884-1967), nasce nel 1912 il movimento acmeista, che trae il suo nome dall'obiettivo di raggiungere nei versi l'"acme" dell'oggetto rappresentato, cioè la sua essenza più vera, ritraendolo attraverso una scrittura che persegue un'architettura razionale del testo e una scelta lessicale puntuale e precisa.

Ancora più dirompente dell'acmeismo, sulla scena letteraria russa, è l'incontro tra la poesia e la pittura cubista e futurista, da cui deriva la volontà di potenziare l'energia creativa ed evocativa che le parole producono quando sono liberamente accostate fra loro.

Dei movimenti pre-rivoluzionari resta attivo dopo il 1917 praticamente solo il cubofuturismo che esercita il monopolio letterario identificando la portata innovatrice delle proprie idee estetiche con il concetto stesso di rivoluzione.

Vladimir Majakovskij (1893-1930) rappresenta il più interessante sviluppo del cubofuturismo nella poesia russa.

Nel 1913 Majakovskij collabora alla pubblicazione del manifesto dell'avanguardia cubofuturista, intitolato, provocatoriamente, "Schiaffo al gusto corrente". Con la Rivoluzione russa del 1917, i progetti artistici e letterari del cubofuturismo si intrecciano a ragioni di tipo politico: Majakovskij è in prima linea sia come grafico pubblicitario addetto alla realizzazione dei manifesti di propaganda sia come poeta (La guerra e l'universo, 1917).

Nel 1918 esce «Il giornale dei futuristi», e subito dopo «L'arte della Comune» organo ufficiale degli artisti d'avanguardia che sostenevano il legame tra arte e produzione industriale. Nel 1923 Majakovskij fonda la rivista «LEF». I futuristi operano, in questi anni, in stretto contatto con i critici della scuola formale. Il formalismo critico, rifiutando ogni approccio contenutistico e ideologico all'opera letteraria, getta le basi di una fondamentale riforma che darà origine a importanti movimenti, come lo strutturalismo e il 'new criticism' nordamericano.

Nel corso degli anni venti egli si scontra, però, con le rigide posizioni culturali assunte dai dirigenti fedeli a Stalin, che esaltano "l'arte proletaria" condannando ogni ricerca formale, soprattutto se avanguardistica. Majakovskij subisce violente accuse di antisovietismo, sotto il peso delle quali, nel 1930, si tolse la vita con un colpo di pistola al cuore.

Con la sua drammatica fine sembrò sottolineare la drammatica incomponibilità del dissidio tra la durata rivoluzionaria della poesia e il decomporsi delle rivoluzioni storiche.

La prima lirica di Majakovskij esercita coerentemente quei diritti dei poeti 'a aumentare il volume del vocabolario con parole arbitrarie e derivate; a odiare senza remissione la lingua esistita prima' che i futuristi avevano rivendicato nel loro manifesto Schiaffo al gusto corrente (1912). In versi densi di squillanti oggetti pittorici, sottesi da una visualità esuberante e stravolta, Majakovskij forza il tessuto poetico tradizionale con l'inserzione massiccia di vocaboli 'plebei' e con una fitta serie di funambolistiche dissociazioni e dislocazioni di senso. Con l'orizzonte lessicale si allarga anche quello tematico: la lirica scende dalle lontananze metafisiche in cui l'avevano proiettate le speculazioni simboliste per scrutare la periferia, dell'umanità 'in carne e ossa', oltre che della città.

La massa dei diseredati e degli uomini ai margini della società che compare nei versi di Majakovskij è la vera platea di fronte alla quale si esalta la vocazione declamatoria della sua scrittura. In lui è non solo una generica istanza di rivolta contro moduli di vita piccolo-borghesi, soprattutto l'amore che Majakovskij, in armonia con l'iperbolismo che pervade la sua poesia, concepisce come slancio smisurato e senza restrizioni, sentimento 'terreno' per una donna reale, Lil'ja Brik moglie di O. Brik. C'è la necessità quasi fisiologica di sovversione postulata dai suoi versi, dove anche le cose insorgono per ridarsi un nuovo ordine, non più antropocentrico.

Sotto la spinta degli avvenimenti rivoluzionari i due elementi si convogliano in una più articolata tematica rivoluzionaria e proletaria.

Dopo il 1917, nel nuovo clima di fervidi rapporti tra artista e pubblico, Majakovskij trova lo stimolo più autentico per la sua lirica politica, mai volgarmente panegiristica o didascalica ma sempre rabbiosamente concreta e realistica.

Così il poema teatrale Mistero buffo (1918) riprende il mito dell'arca per narrare il 'diluvio operaio', rappresentato all'indomani dell'ottobre. Le strofette di agitazione politica, le agitki.

Lo splendido poema Vladimir Il'ic Lenin (1925) dove l'esaltazione eroica di un personaggio ormai mitico diviene lo spunto per una rievocazione solenne e severamente materialistica del movimento operaio.

L'esperienza nel LEF, che coltivava il progetto di un'arte 'funzionale', spoglia di ogni psicologismo estetizzante, spinge Majakovskij ad accentuare il lato 'fattografico' della sua poesia: Bene! (1927) è un poema-documentario sui fatti del 1917, in cui spunti personali si intrecciano organicamente nell'articolata descrizione di avvenimenti storici.

Cantore della rivolta trionfante, Majakovskij ha anche squarci di angoscia e insicurezza che incrinano la balda veemenza del poeta-vate offrendogli l'immagine della propria morte, riscattata da una puntigliosa fede nella resurrezione, uno dei tanti temi religiosi che attraversano l'opera di Majakovskij a conferma della sua estrema ricchezza tematica.

Il gioco/arbitrio verbale, la girandola di immagini e di parole in libertà, la polemica contro il passato esercitano una profonda suggestione su un temperamento come quello di Majakovskij, ma egli li considera mezzi e non fini; accoglie con entusiasmo questi mezzi espressivi, ma come strumenti che permettano di realizzare una poesia che più efficacemente morda la realtà e che trovi la sua ragion d'essere proprio nella rispondenza con le esigenze e i problemi concreti della società russa. Nella rivoluzione vede l'evento che modifica nel senso da lui auspicato la realtà, considera il suo lavoro di poeta come un'attività che contribuisca alla rivoluzione; Majakovskij usa stravolgimenti del dato reale, accostamenti e urti tra toni differenti e situazioni e realtà diverse, ma con l'intento di rendere, attraverso questa tecnica, il senso di una precisa realtà storica.

Aderire o non aderire? La questione non
si pone per me []. E' la mia rivoluzione.
Vladimir Majakovskij

L'esaltazione del progresso e della tecnica, il desiderio di affermare la capacità dell'arte di descrivere il fatto, di essere giornalisticamente in grado di farsi cronaca, spingono Majakovskij a polemizzare con altri gruppi o con singoli poeti e giornalisti in un alternarsi di alleanze e dissidi che dimostrano, certo, anche il limite di queste contrapposizioni, ma che non possono non muovere a un nostalgico rimpianto pensando che nel 1932, solo due anni dopo la morte di Majakovskij, la creazione della Sojuz pisatelej (Unione degli scrittori), porrà fine, come d'incanto, a ogni discussione.
Per Majakovskij i problemi della costruzione di una nuova arte sono i problemi reali, quotidiani della vita della giovane Repubblica sovietica. Majakovskij rivendica sempre la coerenza delle sue posizioni, si scaglia contro le semplificazioni degli avversari, riconosce la necessità di un'arte proletaria, capace di avvicinare le masse alla poesia, ma senza compromessi, senza per questo abbassare il livello della produzione poetica. Majakovskij lega il problema dell'arte al problema dell'istruzione, dell'alfabetizzazione delle masse. Rimane sempre vivo in lui il desiderio di una prospettiva ambiziosa che non sia il frutto dell'improvvisazione, ma rappresenti un vero e proprio progetto culturale.
Il Majakovskij politico, pertanto, non può essere disgiunto dal Majakovskij poeta e drammaturgo. E va saldata anche la cesura tra lo scrittore cubo-futurista e l'aedo della Rivoluzione. Per Majakovskij questa separazione non esisteva, semplicemente perché non si sognò mai di essere il poeta ufficiale dell'Unione Sovietica, almeno nel senso dispregiativo che a questo ruolo può essere dato. La sua aspirazione non e' diversa da quella di un'intera generazione poetica che visse la Rivoluzione come l'evento capace di creare una società in cui la poesia potesse vivere nei gesti di ogni giorno e fosse possibile sconfiggere la morte.
La delusione, personale e storica, non può e non deve, però, cancellare il significato particolare dell'adesione di Majakovskij alla Rivoluzione, vissuta in prima persona come la vera occasione di riscatto per un intero popolo. Gli interventi a pubblici dibattiti si affiancano alla sua produzione poetica in un continuum che sarebbe ingiusto spezzare.

Quasi a volerci fornire un'interpretazione della sua produzione quale migliore testimonianza della sua attività politica, scriverà nel suo ultimo poema, dal titolo A piena voce, pure così ricco di accenti polemici:

«Dinanzi

alla C.C.C.10

dei futuri

anni radiosi,

sopra la banda

dei poetici

profittatori e scrocconi

io leverò

come una tessera bolscevica

tutti i cento tomi

dei miei

libri di partito».

10) Commissione Centrale di Controllo.

E' vero che rileggendo oggi i suoi interventi si ha la sensazione del tempo passato, di una storia ormai lontana, di categorie del pensiero che sembrano definitivamente archiviate da eventi politici, ormai nemmeno troppo recenti. La vitalità delle prese di posizione di Majakovskij e', però, riscontrabile, ancora una volta, nel gioco ardito della lingua, nell'uso moderno della comunicazione, nella volontà di non accettare schemi rigidi e imposti.

Per definizione, contrario a qualsiasi possibile ingabbiamento ideologico, Majakovskij ci appare oggi ancor di più come il cantore di una Rivoluzione in cui aveva fortemente creduto e al tempo stesso come un inguaribile sognatore, vinto da un inestinguibile bisogno di tenerezza.

GEORGE ORWELL and the Politics of ANIMAL FARM

Introduction

At the age of eight, George Orwell, then known as Eric Blair, was sent to a preparatory boarding school on the South Coast of England. He called this school 'Crossgates' in his autobiographical essay Such, Such Were the Joys; Crossgates, an expensive and snobbish school, was presided over by a husband-and-wife team of schoolmasters, nicknamed Sim and Bingo, respectively. Though Such, Such Were the Joys is by no means a political piece of writing, it nevertheless contains references to victims, oppressors, and a highly systematized form of tyranny. In this atmosphere of constant taunting and endless competition for scholarships, Orwell developed a contempt for any type of authority.

Not yet twenty years old, Orwell enlisted in the Indian Imperial Police and served in Burma for five years. During these years, Orwell witnessed Imperialism at its worst; saw hangings, floggings, and filthy prisons, and he 'was forced to assert a superiority over the Burmese which he never really felt'. Little economic or cultural progress was made and Orwell left this situation with the conviction that Imperialism was too evil to risk one's life for.

In 1936, Orwell joined the Republican side and fought in the Spanish Civil War. Through first-hand experience, Orwell saw propaganda and the perversion of history used for the first time as instruments of war. The deliberate distortion of facts by both Left and Right seemed to Orwell to be even more terrible than 'the roar of bombs.' Orwell believed the unchecked distortion of objective truth would create far worse situations for mankind than any ideological war ever could. For power, Orwell realized, had become an end in itself.

Animal Farm

The first of Orwell's great cries of despair was Animal Farm, his satirical beast fable, often heralded as his lightest, gayest work. Though it resembles the Russian Revolution and the rise of Stalin, it is more meaningfully an anatomy of all political revolutions, where the revolutionary ideals of justice, equality, and fraternity shatter in the event. Orwell paints a grim picture of the political 20th century, a time he believed marked the end of the very concept of human freedom.

Animal Farm is constructed on a circular basis to illustrate the futility of the revolution.

The novel is a series of dramatic repudiations of the Seven Commandments, and a return to the tyranny and irresponsibility of the beginning. The only change will be in the identity of the masters, and ironically, that will be only partially changed.

Animal Farm begins by introducing Mr. Jones, the master of the farm, who is too drunk to shut the popholes in the henhouse. The owner of Manor Farm also forgets to milk the cows, a biologically-serious omission, and is irresponsible toward the rest of his animals. (Later yet, the pigs will also forget the milking, an ironic parallel that reveals the subsequent corruption of the revolution).

One of the cows breaks into the store shed and Mr. Jones and his helpers try to fight off the hungry animals. 'A minute later all five of them were in full flight down the cart track that led to the main road, with the animals pursuing them in triumph'.

Then, 'almost before they knew what was happening, the Rebellion had been successfully carried through - Jones was expelled, and the Manor Farm was theirs'.

Yet with the revolution secured, there are graver dangers than the threat of invasion and counter-revolution. The ultimate corruption of the revolution is presaged immediately:

'They raced back to the farm building to wipe out the last traces of Jones' hated reign the reins, the halters, the degrading nosebags, were thrown onto the rubbish fire which was burning in the yard. So were the whips'.

Their reaction is understandable, but the description of the inevitable and immediate violence foreshadows the fate of the rebellion: reactionary cruelty, the search for the scapegoat, and the perversion of the ideals of the revolution.

Nevertheless, the animals are too overjoyed with their sudden success.

Snowball, one of the pig leaders (the other is Napoleon), with the assistance of Squealer, the pigs' public-relations 'man', crosses out the name 'Manor Farm' and climbs a ladder and writes these words on the end wall of the big barn:

The Seven Commandments:
1. Whatever goes upon two legs is an enemy.
2. Whatever goes upon four legs, or has wings, is a friend.
3. No animal shall wear clothes.
4. No animal shall sleep in a bed.
5. No animal shall drink alcohol.
6. No animal shall kill any other animal.
7. All animals are equal.

Thus the ideals of the revolution are spelled out in writing and yet these same ideals are perverted almost immediately. With the task of harvesting the hay presenting itself to the animals, Snowball cries, ' to the hayfield! Let us make it a point of honour to get in the harvest more quickly than Jones and his men could do'. All the animals proceed directly to the hayfield, but the pigs, rather than working, direct and supervise the others.

'With their superior knowledge it was natural that they should assume the leadership'.

The pigs' managerial role foreshadow the perversion of the Seventh Commandment.

In this period of bliss, there are brewing far more horrible situations for the animals of Animal Farm. While Snowball is organizing 'The Egg Production Committee' for the hens and the 'Clean Tails League' for the cows, Napoleon, the sinister pig tyrant, is carefully educating a few puppies for his own evil purposes. Mr. Pilkington and Mr. Frederick, the owners of the farms adjoining Animal Farm, spread rumors of cannibalism, torture with red-hot horseshoes, and polygamy.

On the other hand, there are rumors of a 'wonderful farm, where the human beings had been turned out and the animals managed their own affairs' - in short, a paradise.

Neither set of rumors is true - for is not the social situations of conflicting ideologies that Orwell concerns himself with, but the misrepresentation, the falsification, and the distortion of fact which leads unfortunately to disaster and misery.

The way fact is distorted and misrepresented is graphically portrayed in the rivalry between Snowball and Napoleon over the construction of a windmill. During a meeting, Snowball has almost swayed the animals to his side, that is, for the construction of the windmill, when suddenly nine huge dogs, the product of Napoleon's evil efforts, chase Snowball off the farm. Snowball becomes the scapegoat in Napoleon's plans, and everything that comes to harm Napoleon's regime will be blamed on Snowball. The remainder of Animal Farm is a chronicle of the consolidation of Napoleon's power through clever politics, propaganda, and terror. On the third Sunday after Snowball's expulsion, the animals hear that Napoleon wants the windmill to be built after all:

'The evening Squealer explained privately to the other animals that Napoleon had never in reality been opposed to the windmill. On the contrary, it was he who had advocated it in the beginning, and the plan which Snowball had drawn on the floor of the incubator shed had actually been stolen from among Napoleon's papers He had seemed to oppose the windmill, simply as a maneuver to get rid of Snowball, who was a dangerous character and a bad influence'.

The animals are not sure of Squealer's explanation but a few of Napoleon's dogs growl so threateningly that the animals accept it without question. This developing state of tyranny and oppression will ultimately transform the 'unalterable' Seven Commandments into Napoleon's own laws.

The windmill soon becomes the means by which Napoleon exerts control. He uses it to direct the animals' attention away from the growing shortages and inadequacies on the farm, and the animals ignorantly concentrate all their efforts on building the windmill. The symbolic nature of the windmill is itself important - it suggests an empty concentration, a meaningless, unheroic effort, for the idea is literally misguided.

It is about this time that the rest of the animals notice that the pigs have taken residence in the farmhouse, and contrary to what they believe has been ruled against, the pigs have begun to sleep in beds. Clover the horse is doubtful, but she reads the Fourth Commandment on the barn wall, and concludes that she was mistaken after all: 'No animal shall sleep in a bed with sheets.' Beginning with this small but significant change in the unalterable Laws of Animalism, there will be an even greater and more profound change - the blatant alteration of history.

Half-finished, the windmill is suddenly destroyed, at the hands, so says Napoleon, of the traitor, Snowball. Work on the windmill resumes, this time with less rations for the animals. Almost 'sure' of Snowball's secret collaboration with some of the animals, Napoleon calls together the entire population of the farm.

'Napoleon stood sternly surveying his audience; then he uttered a high-pitched whimper. Immediately the dogs bounded forward, seized four of the pigs by the ear and dragged them squealing with pain and terror, to Napoleon's feet When they had finished their confession, the dogs promptly tore their throats out, and in a terrible voice Napoleon demanded whether any other animal had anything to confess.'

Before long, there is a pile of corpses lying before Napoleon's feet and the air is heavy with the smell of blood. Even so, the terror and senseless death are both shattering experiences, but they are at least comprehensible; far more terrifying is the overt alteration of consciousness which follows the slaughter, the blatant misrepresentation of the past, which goes unchallenged. Lacking the right words to express her thoughts after the slaughter, Clover begins to sing Beasts of England, the patriotic song of the Rebellion. Squealer stops her and tells her that Beasts of England is of no use anymore, because the better society portrayed in the song has already been achieved. The irony in this statement is almost absurd, yet the animals have failed to grasp its meaning.

Rebuilt completely, the windmill is once again destroyed, this time by Frederick and his followers who try to retake Animal Farm, but are defeated, inflicting many casualties on both sides. To celebrate their victory, the pigs get drunk off a case of whiskey found in the cellar of the farmhouse. A few days later, the animals realize that they have remembered another Commandment incorrectly. It now read: 'No animal shall drink alcohol to excess.' With so little opposition to this outright alteration of fact, nothing stands in the way of the pigs.

Boxer, the strongest and hardest-working animal, falls ill. Though the van in which the dying Boxer is taken away has the words 'Horse Slaughterer' painted on the sides, Squealer assures the other animals that the veterinary surgeon had just recently bought it, and did not have time to paint the old name out. Boxer, devoting his unceasing labor to the pigs, outlives his usefulness, and is rewarded by being sent to the glue factory.

Years pass, and most of the animals involved in the Rebellion have been forgotten. The only Commandment left on the barn wall is this:

All Animals are Equal
But some animals are more equal than others.

The name 'Animal Farm' is changed back to 'Manor Farm.' A deputation of neighboring farmers meet the pigs and tours the farm. Toasting each other's prosperity, Pig and Human alike proceed to play a game of cards. Suddenly:

'Twelve voices were shouting in anger, and they were all alike. No question, now, what had happened to the faces of the pigs. The creatures outside looked from pig to man, and from man to pig, and from pig to man again; but already it was impossible to say which was which.'

This scene illustrates the essential horror of the human condition - there have been, are, and always will be pigs in every society, and they will always grab for power. It is the 'human nature' of the animals that defeats them.

Allusions to history, geography and current science

The ousting of the humans after the farmers forget to feed the animals is an allusion to the Russian Revolution of 1917 that led to the removal of the Czar after a series of social upheavals and wars and ultimately resulted in famine and poverty.

The refusal of the Humans to refer to Animal Farm by its new name (still calling it Manor Farm) may be indicative of the diplomatic limbo in which the Soviets existed following their early history.

Mr. Jones' last ditch effort to re-take the farm (The Battle of the Cowshed) is analogous to the Russian Civil War in which the western capitalist governments sent soldiers to try to remove the Bolsheviks from power.

Napoleon's removal of Snowball is like Stalin's removal of Leon Trotsky from power in 1927 and his subsequent expulsion and murder.

Squealer constantly changing the commandments may refer to the constant line of adjustments to the Communist theory by the people in power. Also, his lies to animals of past events they cannot remember refers to the revision of history texts to glorify Stalin during his regime.

After Old Major dies, his skull is placed on display on a tree stump. Similarly, Lenin's embalmed body was put on display in Lenin's Tomb in Red Square postmortem, where it still remains. It should also be noted that the tomb of Karl Marx is adorned by an extremely huge bust of his likeness which lends more credibility to Old Major being a closer reference to Karl Marx than to Lenin. Marx's tomb is located in Highgate Cemetery, London.

When Napoleon steals Snowball's idea for a windmill, the windmill can be considered a symbol of the Soviet Five-Year Plans, a concept developed by Trotsky and adopted by Stalin, who, after banning Trotsky from the Soviet Union, claimed them to be his idea. The failure of the windmill to generate the expected creature comforts and subsequent search for saboteurs is probably a reference to accusations and a show trial against British engineers who were working on electrification projects in the USSR.

Moses the raven leaving the farm for a while and then returning is similar to the Russian Orthodox Church going underground and then being brought back to give the workers hope.

Boxer's motto, 'Napoleon is always right' is strikingly similar to 'Mussolini is always right,' a chant used to hail Benito Mussolini during his rule of Italy from 1922 to 1943.

During the rise of Napoleon, he ordered the collection of all the hens' eggs. In an act of defiance, the hens destroyed their eggs rather than give them to Napoleon. During Stalin's collectivization period in the early 1930s, many Ukrainian peasants burned their crops and farms rather than handing them over to the government.

Napoleon's mass executions, of which many were unfair for the alleged crimes, is similar to Stalin executing his political enemies for various crimes after they were tortured and forced to falsify confessions.

The four pigs that defy Napoleon's will are comparable with the purged party members during the Great Purge - Bukharin, Rykov, Zinoviev, Kamenev and many others.

Napoleon replaces the farm anthem 'Beasts of England' with an inane composition by the pig poet Minimus ('Animal Farm, Animal Farm / Never through me / Shall thou come to harm'). In 1943, Stalin replaced the old national anthem 'the Internationale' with 'the Hymn of the Soviet Union.' The old Internationale glorified the revolution and 'the people.' The original version of the Hymn of the Soviet Union glorified Stalin so heavily that after his death in 1953, entire sections of the anthem had to be replaced or removed. Orwell could have also been referring to Napoleon Bonaparte's banning of the French national hymn, La Marseillaise in 1799.

Napoleon works with Mr. Frederick, who eventually betrays Animal Farm and destroys the windmill. Though Animal Farm repels the human attack, many animals are wounded and killed. This is similar to Stalin's Molotov-Ribbentrop Pact with Nazi Germany in 1939, which was later betrayed in 1941 when Hitler invaded the Soviet Union. Though the Soviet Union won the war, it came at a tremendous price of roughly 8.5-15 million Soviet soldiers (unconfirmed) and many civilians, resulting in an incredible estimated 20 million dead, as well as the utter destruction of the Western Soviet Union and its prized collective farms that Stalin had created in the 1930s. The detonation of the windmill and the battle that ensued there could also be a reference to the Battle of Stalingrad. The selling of the farm's excess timber supply could represent the offering of raw materials to the United States in exchange for weapons of war under the Lend-Lease.

Napoleon's later alliance with the humans is like Stalin's non-aggression pact with Hitler in the early years of WWII.

Napoleon changing Animal Farm back to Manor echoes the Red Army's name change from the 'Workers' and Peasants' Red Army' to the 'Soviet Army' to appear as a more appealing and professional organization rather than an army of the common people.

Squealer may be an allegory of the Soviet Newspaper in which Stalin often wrote many of the articles anonymously to give the impression the country was far better off than it was.

The dogs may be an allegory to the NKVD (KGB), the elite police force who ruled by terror under Stalin's hand.

Boxer, in the allegory of the novel, directly relates to the working class who laboured under strenuous and exceedingly difficult conditions throughout the Communist regime with the hope that their work would result in a more prosperous life. Boxer represents this clearly at points when he utters such quotes as 'I will work harder' in response to any sort of difficulty. In the context of the story, this also allows Boxer to become a tool of propaganda to be used by Napoleon and his regime later on once Boxer has been murdered to pay for a crate of whisky for the pigs.

When Napoleon and Snowball argue about how Animal Farm should be ruled--Napoleon favoured the harvest, Snowball favoured getting other farms (countries) to rebel. This is similar to Stalin wanting 'Socialism in one country' and Trotsky's theory of 'Permanent Revolution.'

The term 'four legs good, two legs bad' could be symbolic for the simplification of the April theses, for workers to understand it better.

Conclusion

Animal Farm is the story of a revolution gone sour. Animalism, Communism, and Fascism are all illusions which are used by the pigs as a means of satisfying their greed and lust for power. As Lord Acton wrote: 'Power tends to corrupt; absolute power corrupts absolutely'. So long as the animals cannot remember the past, because it is being continually altered, they will have no control over the present and hence over the future.

BIO-POLITICA, RAZZISMO E DISCIPLINAMENTO SOCIALE DURANTE IL FASCISMO

L'avvento della bio-politica

Con le categorie di bio-potere e di bio-politica Michel Foucault sottolineava una trasformazione delle politiche sociali degli stati che, esordendo alla fine del diciottesimo secolo, si protraeva con successo fino, ed oltre, la seconda guerra mondiale. Mutando nel senso della bio-politica, il potere politico iniziava a prendere in carico la vita biologica della totalità sociale, manifestando un nuovo principio giuridico che non cancellava quello precedente ma lo trasformava dall'interno. Se nel vecchio diritto "la sovranità faceva morire e lasciava vivere", con il nuovo diritto appariva invece "un potere di regolazione, il quale consisteva proprio nel far vivere e nel lasciar morire" (Foucault 1990).

La trasformazione del potere politico, che segnò tanto gli stati liberali quanto i regimi autoritari, comportò una metamorfosi anche delle tecniche disciplinari. A fianco delle tecniche di controllo esercitate sul corpo individuale apparve una tecnica bio-politica, che non sopprimeva quella precedente ma la integrava, la incorporava, la modificava. Essa si pose su un altro piano, ricorse ad altri strumenti e a nuovi saperi, esercitò un'influenza per così dire meta-individuale, rivolgendosi alla moltitudine massificata dei corpi o all'uomo medio che la rappresentava statisticamente. Alle tecnologie disciplinari incentrate sul corpo individualizzato, sul corpo come organismo da addestrare, si associarono delle tecnologie di regolazione dell'organismo sociale massificato, delle tecniche di sicurezza che assicuravano l'insieme sociale dai suoi pericoli interni.

Questi due meccanismi, l'uno di disciplinamento, l'altro di regolazione, non erano in opposizione ma si situavano su piani operativi e cognitivi differenti, impedendo quindi la loro vicendevole esclusione.

Le bio-politiche degli stati totalitari tra le due guerre, implicarono un crescente investimento di sapere scientifico sulla massa dei corpi per renderli docili ed efficienti. Nel mutamento delle tecnologie politiche, i corpi individuali e collettivi divennero materiale grezzo da manipolare, mezzi di produzione da adattare alle nuove tecniche e configurazioni produttive (Hewitt 1983).

Il fascismo si propose di ricomporre le forze sociali e produttive in un nuovo ordinamento, suscitando

«un processo biologico nel quale tutti gli elementi, pur essendo separati, individuati e distinti, concorrono alla giusta e proporzionata formazione del tutto, che deve presentare, contenere, ed allo stesso tempo superare, le caratteristiche dei singoli elementi» (Bortolotto 1931)

Anticipando molte delle teorie funzionaliste e sistemiche, gli scienziati sociali del fascismo individuarono nella "massa dei governati" l'oggetto della propria azione, sulla quale intervenire disciplinandola e gerarchizzandola.

Quattro furono in sostanza i grandi campi di applicazione della bio-politica che richiesero i saperi delle scienze bio-sociali:

. le politiche eugenetiche, popolazioniste, familiari e sanitarie basate su saperi demografici, medici, igienici, biologici, sociologici;

. le politiche dell'organizzazione scientifica del lavoro che si avvalsero delle elaborazioni delle incipienti scienze dell'organizzazione, della psicologia del lavoro, della psicofisiologia;

. le politiche rurali e anti-urbane coadiuvate dai cultori di sociologia ed economia agraria, dagli urbanisti, dai demografi, dagli esperti di alimentazione, dagli studiosi dei fenomeni migratori;

. le politiche coloniali illuminate dalle discipline economiche, antropologiche, geografiche, sociologiche.

Eugenetica: una religione per la stirpe

Sorto tra la fine del diciannovesimo e l'inizio del ventesimo secolo nei principali paesi industrializzati, il movimento eugenetico aveva come fine la messa a punto di una serie di saperi e di strumenti per il controllo delle nascite e per un generico social improvement. Esso si occupava, come sottolineò Roberto Michels, del soggetto principale della società umana, il proletariato, per le "tristi condizioni biologiche" in cui si trovava, per la sua "spiccata inferiorità antropologica" (Michels 1919). L'eugenetica si diffuse inizialmente in Inghilterra con il nome di "stirpicoltura", per poi espandersi rapidamente negli Stati Uniti, in Germania, in Francia e da ultimo in Italia. In Inghilterra, dove Francis Galton aveva fondato la disciplina in seguito alla pubblicazione del suo saggio Hereditary Genius del 1869, essa prese inizialmente il nome di "stirpicoltura".

L'eugenetica, da strumento scientifico per la liberazione individuale dal bisogno e dalla sofferenza, si trasformò in un potente fattore di controllo sociale. La stessa sorte subirono le politiche di controllo delle nascite che erano state permesse negli Stati Uniti sotto la pressione dei movimenti femministi e socialisti. Negli anni del primo dopoguerra, sotto la direzione di un'élite bianca maschile, permeata di nativismo, razzismo, darwinismo sociale ed etnocentrismo, il movimento per il controllo delle nascite statunitense venne ricondotto a pratiche eugenetiche e alla tradizionale difesa della famiglia e della moralità sociale (Buss 1976, Gordon 1974).

La distruzione del patrimonio biologico nazionale causata dall'evento bellico favorì la diffusione di progetti eugenetici per la rigenerazione della stirpe. Le relazioni intersoggettive, la sessualità, il matrimonio, la procreazione, l'educazione dei figli, passavano sotto il dominio dello stato. L'individuo perdeva i suoi diritti naturali e sociali, divenendo un semplice ingranaggio del grande meccanismo bio-sociale da ripristinare nella sua integrità.

L'eugenetica si affiancava alla medicina sociale e all'igiene nella grande opera di bonifica sociale. Alla pari dei loro colleghi occidentali, gli scienziati sociali italiani furono sedotti dall'eugenetica, ritenendola uno strumento di purificazione razziale e di individuazione dei fattori di controselezione che minacciavano lo sviluppo della civiltà. In un saggio del 1912, Corrado Gini annunciava che uno dei fattori più dannosi per la razza era la "decrescente riproduttività delle classi elette", fenomeno preoccupante poiché i caratteri migliori o degenerativi si trasmettono per via ereditaria, come avevano già messo in luce le ricerche biometriche di Lombroso sul genio della pazzia. L'altro fattore di controselezione dimorava nella diffusione della "compassione" verso gli esseri deboli e degenerati della società, i quali erano "sottratti all'azione eliminatrice della selezione naturale e posti in condizione di vivere e di riprodursi". In conseguenza dei progressi dell'ostetricia, della medicina e dell'igiene, associati ai provvedimenti pubblici, gli elementi meno sani e robusti della popolazione (tisici, pazzi) si trovavano a fornire una parte crescente dei geni ereditari delle generazioni future (Gini 1912).

Dalle prime riflessioni degli eugenisti italiani emergeva una certa diffidenza verso l'azione statale di protezione sociale verso i perdenti della lotta per l'esistenza e dei costituzionalmente deboli e degenerati. L'azione dello stato non poteva essere improntata a quel "buonismo" paternalista verso il quale era spinta dall'umanitarismo socialista. Non si trattava di garantire a tutti un posto al sole, l'opera di profilassi e di purificazione del corpo sociale doveva rispettare i bilanci economici e i principi di efficienza amministrativa. L'azione bio-politica dello stato era ritenuta indispensabile per migliorare la qualità e la coesione sociale in una prospettiva di accumulo di potenza biologica ed economica, non per mantenere in vita gli individui degerogeni e patogeni ai quali non si poteva che riservare il minimo del bilancio statale. Per i "perdenti della lotta per la sopravvivenza" si delineava quindi un destino di segregazione o un lungo percorso di riadattamento alla vita sociale.

L'eugenetica appariva alle classi dirigenti indispensabile per risanare l'ambiente morale e la struttura organica della società, irrinunciabile «per potersi difendere e proteggere meglio da ogni sorta di epidemie, infettive o psichiche».

Verso gli anni venti l'eugenetica aveva ampliato il suo raggio d'azione e chiarito i suoi obiettivi scientifici e pratici. Agli eugenisti non bastava consigliare il normale e saggio accoppiamento degli elementi migliori. Essi intendevano piuttosto valorizzare

«quelle tali influenze che pongono le razze migliori o i migliori individui in condizione di vivere e svilupparsi con spiccata superiorità sulle razze inferiori. [] La società deve sforzarsi, modificando la sua legislazione e la sua amministrazione, ad ostacolare la moltiplicazione degli elementi inferiori, provvedendo così ad un avvenire in cui si avrà la prevalenza di una razza superiore» (Anonimo 1925).

In quegli anni, il governo fascista non si era ancora impegnato in una precisa politica razzista, eppure gli scienziati divulgavano prescrizioni e teorie tese ad affermare la superiorità di una razza sulle altre. La candidatura degli scienziati sociali alla conduzione del piano di bonifica dell'organismo sociale non poteva essere più chiara e politicamente schierata. La bio-politica del fascismo aveva in effetti bisogno di sacerdoti, chiese e vangeli. Con il famoso "discorso dell'Ascensione" del 26 maggio 1927, Mussolini e il fascismo aprirono il periodo delle politiche igieniste, popolazioniste ed eugenetiche. In quel discorso il duce affermava:

«[] qualcuno, in altri tempi, ha affermato che lo Stato non doveva preoccuparsi della salute fisica del popolo. Anche qui doveva valere il manchesteriano "lasciar fare, lasciar correre". Questa è una teoria suicida. E' evidente che, in uno Stato bene ordinato, la cura della salute fisica del popolo, deve essere al primo posto. [] Bisogna quindi vigilare seriamente sul destino della razza, bisogna curare la razza, a cominciare dalla maternità e dall'infanzia. [] Se si diminuisce, signori, non si fa l'Impero, si diventa una colonia!» (Mussolini 1934).

Qualche anno più tardi, Mussolini investiva i medici della nuova missione razionalizzatrice delle disfunzioni bio-politiche dell'organismo sociale. Nel Discorso ai medici del 28 gennaio 1932, il duce celebrava il loro insostituibile compito politico-sociale:

«i medici debbono insistere perché la vita si svolga in forma più razionale. [] Tutto quello che voi farete nel vostro campo per abituare gli italiani al moto, all'aria libera, alla ginnastica ed anche allo sport, sarà ottimo non solo dal punto di vista fisico, ma dal punto di vista morale, perché gli uomini che sono forti, sono anche saggi e sono indotti a non mai abusare delle loro forze come lo sono invece i deboli, i vinti, quelli che qualche volta hanno la crudeltà della loro debolezza».

Ortogenesi: l'arte di raddrizzare il corpo e l'anima

La "biotipologia umana" od "ortogenesi" costituì durante il periodo fascista l'alternativa cattolica dell'eugenetica. Fondata da Nicola Pende nel 1922 a partire dalla tradizione costituzionalista di Cesare Lombroso, importata nella patologia medica da Achille De Giovanni, essa era la "scienza dell'architettura e dell'ingegneria del corpo umano individuale", una sorta di teoria bio-psico-sociologica dell'attore sociale. Per spiegare quella definizione, Pende ricorreva alla metafora del motore degli autoveicoli: «come ogni autoveicolo è caratterizzato dal tipo strutturale-dinamico del motore e degli accessori dell'apparato meccanico, così ogni umana individualità ha il suo tipo di motore umano, da cui dipende il dinamismo speciale della persona». L'individuo era in questo modo equiparato a una "fabbrica corporea", concepito come un

«fenotipo umano individuale che nasconde però in sè quella parte del genotipo che non è ancora per così dire germogliata sul terreno misterioso dell'eredità biologica, nelle sue oscure interazioni colle influenze cosmiche e sociali, che agiscono sull'organismo vivente come stimoli rivelatori dei caratteri e delle attitudini dinamiche e psichiche» (Pende 1939).

La sintesi del biotipo individuale era rappresentata da una piramide quadrangolare la cui base racchiudeva la genetica del biotipo, ovvero il patrimonio ereditario individuale, familiare e razziale, e i quattro lati gli aspetti fenomenici dell'individualità vivente: morfologici, fisiologici, etici ed affettivo-volitivi, intellettivi (Pende 1939). In quella piramide era racchiuso il "modello" della teoria, che mediava tra aspetti teorici e aspetti operazionali.

La biotipologia intendeva donare una spiegazione totale dell'agire dell'individuo, ossia dell'attore sociale. Essa era ovviamente molto lontana dalle attuali teorie dell'attore sociale. Tuttavia, negando il collettivismo e il sistemismo sociologico a favore di un individualismo bio-psico-sociologico, la biotipologia si presentava come una teoria in grado di spiegare e prevedere, e se necessario di riorientare, i modi in cui un individuo agiva o avrebbe agito in certe situazioni. Combinando osservazioni di tipo genetico, morfologico, fisiologico, etico, affettivo, intellettivo, socio-ambientale, i biotipologi affrontavano i problemi dei valori individuali, delle disposizioni morbose e della loro profilassi, dei devianti e dei criminali, della valutazione vitale degli individui per le assicurazioni statali contro le malattie. Analogamente alla medicina sociale e all'eugenetica, la biotipologia si occupava delle patologie in un ottica transdisciplinare, chiamando alla cooperazione i saperi medici, psicologici e psicopatologici, educativi, sociologici, criminologici, per creare "Istituti di biologia e psicologia dell'individualità" nei quali insegnamento, ricerca scientifica, attività di bonifica trovassero una sintesi equilibrata.

Il modello biotipologico unificava nello studio dell'attore fattori genetici ereditari e fattori ambientali, sviluppando un approccio di tipo genealogico. I caratteri razziali dei genitori del soggetto, uniti alle influenze geografiche e sociali e alle abitudini di vita dei genitori e del singolo, fornivano i primi dati per l'accertamento delle patologie, delle disfunzioni, delle degenerazioni del soggetto. Ereditarietà e ambiente, come nella più classica delle teorie positiviste dell'azione sociale, assurgevano a sistema di influenze plasmatrici dell'architettura fisico-psichica individuale. Solo la conoscenza dei modi e degli effetti con cui questi fattori esercitano un'influenza esterna sul comportamento individuale, permetteva allo scienziato di avviare procedure di controllo e di trasformazione delle degenerazioni soggettive. Per applicare gli studi biotipologici e la scienza ortogenetica Pende aveva fondato presso la Clinica medica dell'Università di Genova l'Istituto biotipologico ortogenetico, nel quale venivano testati ed esplorati gli aspetti psichici della personalità e del carattere, gli istinti e le reazioni, il grado di intelligenza e il subcosciente di fanciulli e soggetti adulti (Banissoni, Nardi 1939).

L'applicazione scientifica della dottrina biotipologica si concretizzò nella "scienza dell'ortogenesi" ovvero nella scienza per la "formazione regolare, sana ed armonica degli uomini". Essa si preoccupava di correggere e normalizzare tutte le "possibili deviazioni del corpo e dello spirito sotto l'influsso di fattori ereditari ed ambientali". Fin dalla nascita, il futuro cittadino doveva venire tutelato dallo stato. Dalla qualità e dal numero dei figli del popolo dipendeva, secondo Pende, «il benessere economico, la potenza militare, la potenza spirituale, la potenza riproduttiva della razza» (Pende 1939). Nella prospettiva bio-politica dell'ortogenesi il rafforzamento della razza era visto come un processo di miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie della popolazione e degli individui. Si trattava quindi di organizzare e perfezionare un'assistenza preventiva e curativa per i figli tarati. Profilassi preventiva e curativa che aveva portato, alla fine degli anni trenta, a mettere sotto assistenza medico-pedagogica quasi tremila soggetti ritenuti portatori, in latenza, del gene di un'eredità patologica.

La prospettiva ortogenetica negava radicalmente la "famigerata eugenetica", perché tesa quest'ultima a migliorare o purificare la razza, operando incroci razziali, o peggio ancora sterilizzando gli individui geneticamente inferiori. Alla selezione dei migliori e dei più adatti e all'esclusione dei meno adatti, l'ortogenesi opponeva "la pratica di prendere l'essere umano sotto il controllo scientifico sin dal momento del concepimento", mettendo a punto politiche di gestione dell'utero femminile e considerando le donne semplici portatrici della stirpe futura. La bonifica non riguardava solamente i fattori fisici e le proporzioni del corpo, ma comprendeva anche gli aspetti intellettivi, morali e di coscienza della personalità.

Per questo, secondo Pende, l'ortogenesi «non solo è individualizzata ma è unitaria, totalitaria, rivolta nel tempo stesso al corpo, nella sua struttura e nella sua composizione umorale, soprattutto ghiandolare ed ormonica, e poi al carattere e all'intelligenza» (Pende 1939).

La scienza dell'ortogenesi si proponeva, in sostanza, di guidare, fin dalla nascita, la formazione pedagogica dell'individuo fascista, di rappresentare l'arte di fare gli uomini totali ed armonici. Nelle intenzioni del suo creatore, l'ortogenesi diventava

«l'arte di migliorare continuamente il bilancio biologico della nazione, liberandolo più che è possibile dalla massa dei mediocri e degli improduttivi e degli invalidi precoci, dei mediocri della salute fisica, dei mediocri morali, dei mediocri intellettuali, mediocri che sottraggono ogni anno miliardi alla ricchezza nazionale; l'arte di preparare lavoratori del braccio e dell'intelletto bene orientati e selezionati per i vari posti di lavoro, di preparare soldati fisicamente e moralmente forti, di preparare madri feconde sorvegliando accuratamente il loro sviluppo sessuale e il loro sviluppo morale» (Pende 1939).

In una parola, era all'ortogenesi che spettava la soluzione dei quattro grandi problemi, quello della scuola, quello del lavoratore, quello della donna, quello della razza.






MOTORI AUTOMOBILISTICI

Lo storico inglese David S. Landes ha scritto che l'automobile è stata l'invenzione di maggiore importanza per gli effetti sociali e culturali. Fino ad allora le possibilità di movimento di uomini e donne erano dipese quasi esclusivamente dai mezzi pubblici, prima la diligenza, quindi la ferrovia.

Esiste, dunque, uno stretto rapporto fra l'automobile e il costume, nel senso che l'automobile è uno dei fattori che più propriamente hanno influenzato il modo di vivere in questo secolo e nel precedente.

Lo sviluppo dell'industria automobilistica viene visto come profondamente legato allo sviluppo della produzione industriale di massa: maggiore produzione avrebbe significato aumento del tenore di vita e sviluppo e crescita dei consumi. Le vittorie delle auto Fiat nelle gare sportive, la traversata del Sahara in automobile o i raid in America Latina contribuiscono a diffondere l'attrazione verso questo moderno mezzo di trasporto.

Negli anni Trenta uscirono dall'industria torinese alcune auto che hanno fatto la storia della Fiat: la 508, chiamata «Balilla». Nel 1936 è la volta della mitica Fiat 500, denominata «Topolino». È la più piccola utilitaria del mondo. Nel giro di vent'anni se ne produrranno 510 mila esemplari.

Caratteristiche della Fiat 500 (giugno 1936):

Motore: sistemato anteriormente, 4 cilindri in linea, 569 cc, alesaggio per corsa 52 x 67, rapporto di compressione 6,5:1, potenza massima 13 CV a 4000 giri/min; coppia massima 3,3 mkg. Blocco cilindri in ghisa al fosforo-manganese con testa riportata d'alluminio. Distribuzione a valvole laterali comandate direttamente dall'albero di distribuzione mosso da catena silenziosa a rulli. Accensione a spinterogeno, raffreddamento ad acqua, termosifone (circuito 4,5 litri); alimentazione: caduta, carburatore Solex 22 HD (serbatoio 22 litri); lubrificazione forzata (coppa 1,8 kg).

Motore a combustione interna

Il motore a combustione interna (poiché la combustione avviene all'interno di esso) è un particolare motore termico nel quale, attraverso la combustione di una miscela composta da un carburante (benzina, gasolio, metano, ecc) e un comburente (aria) all'interno di una camera di combustione, si produce calore trasformandolo poi in lavoro meccanico.

Tutti i motori a combustione interna si basano sul processo chimico esotermico della combustione: la reazione di un carburante con un comburente, normalmente aria.

I motori a combustione interna vengono classificati in motori ad accensione comandata o ad accensione spontanea, in base al sistema di accensione utilizzato per provocare la combustione.

Nei motori ad accensione comandata di solito l'accensione viene comandata attraverso una scintilla ad alta tensione che scocca nella miscela aria-combustibile all'interno del cilindro. La scintilla viene prodotta attraverso una bobina alimentata da una batteria che può essere ricaricata durante il funzionamento attraverso un alternatore trascinato dal motore.

Nei motori ad accensione spontanea (detti anche motori Diesel) il combustibile viene iniettato nell'aria compressa nei cilindri del motore e la combustione si innesca a causa delle condizioni di pressione e di temperatura dell'aria stessa.

L'energia dei prodotti di combustione, i gas combusti, è superiore all'energia originale dell'aria e del carburante (che avevano una maggiore energia chimica) e si manifesta attraverso un'elevata temperatura e pressione che vengono trasformate in lavoro meccanico dal motore. Nei motori alternativi, è la pressione dei gas combusti a spingere i pistoni all'interno dei cilindri del motore.

Recuperata l'energia, i gas combusti vengono eliminati (spesso attraverso una valvola di scarico) talvolta dopo essere passati attraverso una turbina a gas che recupera una piccola quantità di energia, comunque sufficiente a comprimere l'aria comburente. Al termine di questa fase il pistone torna nella posizione di punto morto superiore. Tutto il calore non trasformato in lavoro deve essere eliminato dal motore attraverso un sistema di raffreddamento ad aria o a liquido.

Motore DIESEL

Nel 1892, il tedesco Rudolf Diesel depositò il brevetto del motore ad accensione spontanea, passato alla storia come motore Diesel. Sin dalle prime prove, il motore raggiunse rendimenti elevati (24%). Nel febbraio del 1894, nelle officine della ditta tedesca MAN, il motore Diesel funzionò per circa un minuto compiendo 88 giri ed erogando una potenza di 13,2 cv. L'idea di Rudolf Diesel era divenuta realtà.

Nel giugno del 1898 il motore Diesel riceveva la consacrazione ufficiale in un'esposizione di Monaco in cui furono esposti tre motori, ciascuno costruito da una ditta diversa. Lo sviluppo del motore a combustione interna ad accensione spontanea, chiamato Diesel dal nome del suo inventore, divenne inarrestabile. In soli venti anni soppiantò la maggior parte delle macchine operatrici a vapore dell'epoca.

Funzionamento

Quando un gas viene compresso la sua temperatura, in base alla legge combinata dei gas, cresce. Nel motore diesel viene utilizzata questa proprietà per provocare l'accensione spontanea della miscela aria-carburante.

In un motore diesel con ciclo a quattro tempi l'aria viene immessa nel cilindro, richiamata dal movimento discendente del pistone e attraverso la valvola di aspirazione, dove viene compressa dalla spinta ascendente dello stesso pistone. In questo processo la temperatura può raggiungere valori compresi tra i 700 e i 900 gradi C. Poco prima che il pistone raggiunga il punto morto superiore, il punto di massima salita dello stesso, viene immesso per mezzo di un iniettore il carburante. Si ha poi la combustione e la seguente fase di espansione che riporta il pistone verso il basso generando così la rotazione dell'albero motore, che genererà la forza che, semplificando, permette il movimento del veicolo. Infine si ha la fase di scarico dove i gas combusti vengono espulsi dal cilindro attraverso l'apertura della valvola di scarico. Da notare che è possibile realizzare anche un motore diesel con ciclo due tempi.

Il funzionamento sopra riportato spiega alcune delle caratteristiche che differenziano il motore diesel da quello a benzina. Per fronteggiare le forze che si creano durante l'intero processo il motore diesel dovrà avere un rapporto di compressione più elevato di quello di un analogo motore a benzina. Questa necessità influenza anche il peso di un motore diesel, che sarà maggiore di quello di un motore a benzina di analoga cilindrata, in quanto le parti del motore dovranno essere costruite per resistere a stress più elevati. D'altra parte, proprio per il suo funzionamento, il motore diesel trae maggiori vantaggi dall'impiego di sistemi di sovralimentazione che effettuano una compressione dell'aria già prima che questa entri nel cilindro.

In questo tipo di motori è di fondamentale importanza il sistema di alimentazione ed in particolare la pompa del combustibile, che regola la quantità dello stesso immessa nei cilindri.

Sulla base della quantità di carburante immesso ad ogni regime di rotazione il motore fornisce più o meno potenza in quanto l'aria da questo aspirata è un valore costante che corrisponde sempre al massimo possibile.

Nei motori diesel, a differenza di quelli a benzina, non è possibile agire per gestire l'accensione, e quindi la potenza, direttamente sulla quantità di miscela aria-carburante da immettere nel cilindro ma solo sulla quantità di carburante immesso. Nei primi motori diesel questo sistema di regolazione era di tipo meccanico con una serie di ingranaggi che prelevavano energia dal motore stesso. Il limite più rilevante era dato dal fatto che l'immissione di carburante era rigidamente collegata con il regime di rotazione del motore stesso.

L'iniezione nei motori diesel

Per superare questo limite si è introdotto il concetto di iniezione. Due sono oggi le tipologie di iniezione dei motori diesel: indiretta e diretta. La prima tipologia, quasi scomparsa dai motori diesel automobilistici di ultima generazione, era molto utilizzata per la sua semplicità dato che i primi pistoni erano a testa piatta ed era facilitata la sistemazione dell'iniettore. Oggi invece si utilizzano pistoni dal disegno della testa più complessa accoppiati al sistema di iniezione di tipo diretto.

Nell'iniezione indiretta il gasolio viene iniettato in una precamera di combustione che si trova sulla testata del motore. L'iniettore ha un solo foro di polverizzazione del gasolio. La pressione d'iniezione del gasolio è di circa 150 bar. Nella precamera c'è una candeletta elettrica che serve a facilitare l'avviamento del motore. La candeletta non riscalda né l'aria né il gasolio, ma semplicemente le sole pareti della precamera di combustione. Con questo sistema si rallenta il ritardo di accensione e si riduce il rumore emesso. Viene ridotto anche lo stress della combustione e quindi le pressioni sui singoli componenti. Si ha però come svantaggio la perdita di calore verso il sistema di raffreddamento e quindi una minore efficienza generale del propulsore.

Tipi di motore diesel

La prima differenziazione tra i motori diesel si ha tra quelli con ciclo a quattro tempi, in pratica la maggioranza dei motori in circolazione, e quelli con ciclo due tempi, adottato di solito nei grandi motori navali. Nelle auto la configurazione più diffusa è quella con quattro cilindri in linea. Si può dire che quasi tutti i motori diesel sono sovralimentati proprio per sfruttare i vantaggi di questo sistema con questa tipologia di motore. Va detto che in ogni caso per raggiungere uno stesso livello di potenza i motori diesel, per le loro caratteristiche, devono avere una cilindrata superiore a quella dei motori a benzina. In compenso, sempre a parità di potenza erogata, il motore diesel vanta una maggiore efficienza (ca. 15%).

Il motore a diesel è l'unico motore che non ha la candela.

Il ciclo Diesel è un ciclo termodinamico per motori a combustione interna dove, a differenza del ciclo Otto dei motori a benzina, l'accensione del carburante non avviene attraverso una candela bensì attraverso un procedimento di compressione.

Diesel a due tempi

È un motore che oggi viene impiegato quasi esclusivamente per la propulsione delle navi. Il suo ciclo (aspirazione-compressione-scoppio-scarico) viene svolto in 360°, cioè un giro di albero motore. La caratteristica principale di un due tempi a ciclo Diesel è quella di avere una apertura di aspirazione non circolare (detta luce) nelle pareti del cilindro. Questa luce è comandata nell'apertura e nella chiusura dal passaggio del pistone. A causa della luce, questo tipo di motore non può creare il vuoto necessario per la fase di aspirazione, quindi al motore viene abbinata una pompa ad aria che immette nel cilindro la quantità d'aria sufficiente. L'aria viene anche impiegata per il lavaggio del cilindro, e così la luce di aspirazione prende anche il nome di 'luce di lavaggio'.

Diesel a quattro tempi

A differenza dei motori a ciclo Otto alimentati a benzina, dove la trasformazione avviene a volume costante, nel Diesel a quattro tempi avviene a pressione costante. Il suo ciclo viene svolto in 720° cioè in due giri di albero motore. Non esistono luci ma un sistema di distribuzione costituita solitamente dal bicchierino, dall'asta, dal bilanciere e dal suo albero. L'albero a camme mediante, appunto, camme, spinge verso l'alto il bicchierino nel cui interno è appoggiata l'asta di punteria; il bilanciere riceve così la spinta necessaria a premere dalla parte opposta la valvola che così facendo riesce ad aprirsi. Quando l'albero a camme inizia un nuovo giro, la valvola si chiude mediante una molla di richiamo. Esistono quindi valvole d'aspirazione e valvole di scarico. Vi sono tante camme quante le valvole: normalmente le camme esistenti sono una per ogni valvola, ma nei motori reversibili (motori che possono essere avviati in senso contrario) ci sono due camme per ogni valvola: una camma di marcia avanti e una camma di marcia indietro.

L'albero a camme serve quindi a comandare le valvole. Situato quasi sempre all'interno del basamento, in certi motori lo si trova anche in testa. Se l'albero è interno gli si ricava un eccentrico per la pompa AC (alimentazione - carburante) e un ingranaggio a denti obliqui per la pompa dell'olio e per lo spinterogeno (quest'ultimo solo nei motori a benzina). Se l'albero a camme è in testa allora esiste un mezzo albero con l'eccentrico e l'ingranaggio a denti obliqui.

Si noti che il limite di giri di un motore a benzina (4 tempi) è determinato dal tempo di chiusura della valvola (molla). Il limite di giri di un motore Diesel (4 tempi) è determinato dal tempo necessario per la combustione. Ad esempio: un diesel a 2000 rpm ha disponibili per l'iniezione e la combustione: 0,0025 sec.

CARBURANTI

I motori sono delle macchine che producono un lavoro utilizzabile dall'uomo nei modi più disparati, ad esempio permettere lo spostamento di un mezzo di trasporto. Come un essere vivente, però, hanno bisogno di nutrirsi, o meglio di essere nutriti, e il loro "cibo" è il combustibile. Ma i motori, specie quelli automobilistici, sono piuttosto esigenti (e anche un po' "viziati"), e richiedono che un combustibile abbia determinate qualità.

Il diesel è un motore molto efficiente e può funzionare con molti combustibili, quale metanolo, gasolio, biodiesel, olio vegetale, metano, miscele all'etanolo ed altre miscele. Non esisteva il petrolio come carburante quando Rudolf Diesel più di cento anni fà inventò questo tipo di motore.

Il petrolio è stato scoperto oltre 20 anni dopo l'invenzione del motore diesel.

Dopo la scoperta del petrolio e dei suoi derivati, Diesel dovette escludere la benzina e passare a combustibili meno volatili e più facilmente accendibili come i distillati più pesanti del petrolio (oggi chiamati gasolio), gli oli vegetali (compreso quello di oliva) e, infine, la polvere di carbone. Anzi, fu proprio quest'ultima che gli permise di costruire e far funzionare il suo motore, poichè all'epoca non erano disponibili pompe di iniezione capaci di polverizzare i combustibili liquidi che, per poter bruciare uniformemente, dovevano essere polverizzati in maniera fine. Con la polvere di carbone, invece, Diesel impiegò un sistema pneumatico, una specie di pompa per bicicletta, che soffiava all'interno del cilindro una nuvola di carbone già finemente polverizzato.

Non sapeva che Bosch, avrebbe inventato, nel 1927, una pompa meccanica per poter iniettare un combustibile liquido, il gasolio, e trasformare il diesel da motore pesante e lento, atto solo per navi e locomotive, a propulsore principe per i veicoli automobilistici.

Petrolio e petrolchimica

Il petrolio, secondo la definizione italiana, è un combustibile liquido (greggio = crude oil); nell'accezione anglosassone, il termine petroleum indica invece una miscela complessa di idrocarburi, presente in natura sotto diverse forme (solida negli asfalti, liquida per quanto riguarda il greggio e gassosa come gas naturale).

Attualmente esiste una competizione tra l'utilizzo del petrolio come fonte di energia ed il suo impiego come punto di partenza per numerosi processi petrolchimici, soprattutto nel caso di GPL e nafta; il confronto è a vantaggio del primo, dal momento che più dell'80% del greggio finisce per dare combustibili gassosi (gas di raffineria, di basso pregio, e GPL) e liquidi (benzine per autotrazione, kerosene, gasolio ed olii pesanti).

La massima parte del greggio è composta da idrocarburi, la cui natura dipende dal numero di atomi di carbonio e dal rapporto molare H/C (che mediamente è intorno a 2, essendo un greggio composto in peso per l'83-87% da C e per l'11-14% da H); è possibile avere strutture lineari o ramificate (paraffine) oppure cicliche (aromatici e nafteni).               La presenza di composti contenenti zolfo, azoto o metalli è indesiderata ma inevitabile (0,05-8% per S, 0,02-1,3% per N, 0,05-3% per O). I composti solforati (H2S, solfuri, mercaptani16) possono venire eliminati da una desolforazione, che però non rimuove completamente i composti azotati.

La classificazione di un greggio è di tipo merceologico, dal momento che una descrizione esatta della struttura si rivelerebbe troppo complessa.                     È così possibile distinguere un petrolio:

a. per tipo di HC (diagramma triangolare con paraffine, aromatici e nafteni ai vertici);

b. per frazione di prodotto (in base ai °API, che ne identificano la densità);

c. per tenore di impurezze (tipicamente zolfo).

Il processo di raffinazione

Essendo una miscela di vari idrocarburi con caratteristiche diverse, il petrolio non può essere subito utilizzato. Grazie ad operazioni di separazione, si ottiene una quantità enorme di prodotti. La prima distillazione del petrolio grezzo (distillazione primaria o topping) permette di separare le sei frazioni principali: gas ed eteri, benzina leggera (o nafta leggera), benzina pesante, cherosene e nafta, gasolio, residuo. Con il termine gasolina s'intende la frazione con punto d'ebollizione tra 60° e 200°. I gas vengono liquefatti e poi messi in commercio come combustibili per uso domestico, mentre la frazione gasolina viene lavata con soluzioni di soda caustica, deodorata per ossidazione e immagazzinata per essere riunita con quella proveniente da cracking e reforming. La frazione cherosene-nafta non destinata a questi processi è desolforata per idrogenazione catalitica e usata come Diesel o per impianti di riscaldamento. Il residuo e la frazione gasolio sono sottoposti ad una distillazione sotto vuoto che produce un distillato leggero, uno pesante e uno residuo.

Distillazione frazionata

La distillazione rappresenta la prima fase della raffinazione del greggio.

Il petrolio inizia a vaporizzare ad una temperatura leggermente inferiore ai 100 °C: prima si separano gli idrocarburi a più basso peso molecolare, mentre per distillare quelli a molecole più grandi sono necessarie temperature sempre più crescenti.

Il primo materiale che si estrae dal processo di topping è la frazione destinata a diventare benzina, seguita dal gasolio e dal cherosene. Durante il processo di distillazione sottovuoto (vacuum) che si attua sul residuo pesante, si ha il kerosene, il gasolio, gli olii lubrificanti ed un residuo.

Nelle vecchie raffinerie, il rimanente era trattato con soda o potassa caustica e con acido solforico quindi distillato in corrente di vapore, ottenendo olii combustibili e olii lubrificanti dalla parte superiore della colonna di distillazione, e paraffina solida e asfalto da quella inferiore.

Reforming catalitico

Reforming è il processo, costituito da una serie di complesse reazioni chimiche, che ha per scopo l'aumento della resa di benzina nella distillazione. Il passaggio principale del processo di reforming è il cracking, cioè la rottura dei legami fra atomi di carbonio con la generazione di radicali alchilici (alchilazione). Il reforming esalta anche il potere antidetonante delle benzine.

Il processo catalitico di idro-desolfonazione

Esso permette non solo di recuperare lo zolfo presente nei petroli e di avviarlo alla produzione di H2S, ma di migliorare la qualità della benzina, evitando che durante la combustione si formi qualche composto cancerogeno.

Durante questo processo, i derivati azotati degli idrocarburi sono espulsi sottoforma di NH3. I catalizzatori usati nell'idro-desolfonazione sono gli ossidi di cobalto e di molibdeno.

Il processo di cracking

Ha lo scopo di aumentare la produzione di benzine convertendo il gasolio ed il kerosene. Ciò si attua con due possibili modi: Cracking termico: scaldando ad alta temperatura gli idrocarburi a grande massa molecolare, essi si scindono in molecole a catena più corta;                                                              Cracking catalitico: si scaldano (insieme a catalizzatori) le frazioni petrolifere che bollono a temperatura più elevata, per ottenere molecole corte e ramificate (come l'iso-ottano, un antidetonante).

IL GASOLIO

Nella fase della distillazione primaria del petrolio greggio il prodotto tradizionale è il Gasolio, la cui qualità è determinata dalle caratteristiche del greggio stesso e dalle modalità con cui avviene la distillazione.
Nel Gasolio sono presenti diversi classi di idrocarburi come paraffine, aromatici e naftenici e le loro proporzioni variano da gasolio a gasolio. Le migliori qualità di accensione e combustione le hanno gli idrocarburi paraffinici essendo più stabili.
Attualmente il Gasolio viene impiegato come combustibile nei motori diesel; bruciato negli impianti centrali di riscaldamento oppure usato come materia prima per l'industria chimica.

Tra i parametri maggiormente caratterizzanti il Gasolio, come ad esempio la curva di distillazione, la viscosità e la densità, il contenuto di zolfo rappresenta l'elemento più critico e più attuale per le sue implicazioni in campo ambientale.            Il gasolio da riscaldamento viene utilizzato come combustibile negli impianti termici.
La sua principale caratteristica è l'elevato potere calorifico. Lo si può distinguere dagli altri gasoli per il suo colore rosso. Il gasolio da autotrazione è impiegato come carburante per i motori diesel.
Di colore chiaro, leggermente ambrato, nel tempo ha visto ridurre progressivamente il suo contenuto di zolfo fino all'attuale 0,33%. Usato nei moderni motori, risulta essere uno dei carburanti con minor impatto ambientale. Il gasolio agricolo viene utilizzato come carburante nei mezzi agricoli e come combustibile per le attività legate all'agricoltura.
Questo prodotto viene sottoposto ad una tassazione diversa rispetto agli altri prodotti petroliferi, per questo motivo viene colorato di verde prima della commercializzazione. Il gasolio alpino è impiegato come carburante per i motori diesel che devono funzionare a basse temperature.
Infatti questo prodotto, grazie ad un particolare processo di raffinazione, può essere impiegato senza problemi fino a una temperatura di meno 21° C.

Componenti del gasolio da autotrazione

Miscela complessa di idrocarburi, ottenuta per distillazione e raffinazione del petrolio grezzo, avente numero di atomi di carbonio C9 - C20 e intervallo di distillazione approssimativo 160°C - 420°C.

Il gasolio è, come la benzina, un derivato del petrolio, ma meno pregiato (e ciò spiega il suo minor costo). Viene utilizzato per l'alimentazione dei motori a ciclo Diesel, detti anche ad accensione spontanea. In questi motori, il combustibile viene iniettato direttamente nel cilindro dove trova, grazie all'elevato rapporto di compressione (14-18), un ambiente ad alta pressione (oltre le 40 atmosfere) e ad alta temperatura (500-600 °C). Solo in queste condizioni "infernali" il gasolio può iniziare, spontaneamente, la sua combustione perché, per sua natura, è molto meno infiammabile, e quindi anche più sicuro, della benzina la quale, come noto, brucia con pericolosa facilità. L'inizio della combustione del gasolio non è però immediata, ma si verifica dopo un certo tempo (brevissimo, pochi millisecondi) dall'introduzione del combustibile nel cilindro. Questo lasso di tempo è detto ritardo di accensione ed è un parametro molto importante che caratterizza l'accendibilità del gasolio, cioè la rapidità a bruciare, determinando le prestazioni, il rendimento, la fluidità di marcia, le emissioni di fumo, e il rumore di un motore Diesel. Infatti, se il ritardo è troppo lungo, buona parte del combustibile viene iniettato prima che avvenga l'accensione, per poi bruciare tutto insieme non appena si avvia la combustione, con conseguenti violenti e pericolosi aumenti di pressione. La tipica rumorosità dei motori Diesel, il "ticchettio", è dovuta proprio alla rapida combustione del gasolio introdotto durante il periodo del ritardo; il combustibile iniettato successivamente, invece, brucia in maniera più graduale man mano che entra nella camera di combustione.
L'accendibilità del gasolio è misurata dal numero di cetano (NC) che è l'indice di una scala ai cui estremi sono stati posti, come riferimento, il cetano con il valore 100 (perché facilmente accendibile) e l'eptametilnonano con il valore 15 (perché molto resistente all'accensione). Combustibili con alto numero di cetano (oltre 48) devono essere usati nei Diesel cosiddetti "veloci", praticamente tutti quelli prodotti per uso automobilistico da una ventina d'anni a questa parte che comprendono, ovviamente, anche quelli ad iniezione diretta che equipaggiano le autovetture moderne, poiché in questi la velocità di rotazione del motore è relativamente alta e quindi il combustibile ha poco tempo per poter bruciare correttamente; viceversa, nei Diesel "lenti", come quelli utilizzati sui mezzi pesanti, i tempi più lunghi disponibili per la combustione consentono l'impiego di carburanti con peggiori caratteristiche di accendibilità, cioè con NC più bassi.

Un inconveniente che presenta il gasolio riguarda la tendenza a solidificarsi a basse temperature (intorno ai -20 °C) bloccando iniettori e pompa e intasando le tubature: in queste condizioni, è impossibile, oltreché potenzialmente dannoso, avviare il motore. Questo problema è particolarmente sentito nei Paesi nordici, nei quali sono perciò venduti gasoli con additivi che allontanano il pericolo di congelamento.

EFFETTI DELLE EMISSIONI DEI MOTORI AUTOMOBILISTICI NELL'ATMOSFERA

La maggior parte dei mezzi di trasporto di terra, acqua e cielo si serve di propulsori alimentati da combustibili fossili; quindi le emissioni di tutti i veicoli contengono le sostanze prodotte dalle combustioni, cui si aggiungono altre, secondo il tipo di motore e le condizioni d'uso. Gli autoveicoli sono la principale fonte d'inquinamento atmosferico, a causa della loro quantità e della nocività delle sostanze emesse. Le emissioni degli autoveicoli contengono in particolare ossido di carbonio, idrocarburi incombusti e composti organici di vario genere. Tra questi vi sono numerose sostanze cancerogene, come benzopirene e composti nitroaromatici, composti di piombo, residui carboniosi e altri particolati.

Monossido di Carbonio CO: E' prodotto dalla combustione incompleta dei carburanti.

Si combina con l'emoglobina del sangue, bloccando il trasporto di ossigeno. Assorbito in grandi quantità può provocare fenomeni di asfissia.

Biossido di Carbonio CO2:    E' prodotto dalla combustione completa di tutti i carburanti e combustibili.

E' causa principale dell'aumento dell'effetto serra.

Biossido di Azoto NO2: Si forma in atmosfera per ossidazione del monossido di azoto NO. Questo si forma a sua volta per reazione dell'ossigeno con l'azoto dell'aria alle alte temperature delle camere di scoppio dei motori.

E' dannoso per occhi e mucose, provoca gravi danni polmonari se assorbito in alte concentrazioni. E' ritenuto la sostanza più indicativa del grado di respirabilità dell'aria. E' responsabile della piogge acide.

Biossido di Zolfo SO2:          E' prodotto da combustibili contenenti zolfo (gasolio).

Provoca irritazione a occhi e mucose e all'apparato respiratorio. In casi estremi provoca enfisema e bronchiti croniche.

E' responsabile delle piogge acide.

Idrocarburi incombusti: Derivano da emissioni dei veicoli a motore per combustioni incomplete e da perdite per Benzene, Policiclici aromatici HxCy evaporazione durante la lavorazione, lo stoccaggio e la distribuzione di prodotti petroliferi.

Determinano problemi respiratori e cardiaci.

Il benzene è classificato tra le sostanze di accertata cancerogenicità.

Polveri o particolati: Particelle solide e liquide di varie sostanze, inorganiche e organiche, di varia origine.

PTS (Particelle Sospese Totali) Causano irritazione agli occhi e alle vie respiratorie.

La loro nocività consiste soprattutto nel fatto che possono trasportare altre sostanze nocive che aderiscono alla loro superficie.

Piombo Pb:     E' contenuto nei gas di scarico di autoveicoli alimentati a benzine addizionate con piombo.

E' causa di danni ai globuli rossi e deficit intellettivi (dell'apprendimento, verbali e uditivi), in particolare nei bambini.

L'effetto serra è un fenomeno senza il quale la vita come la conosciamo adesso non sarebbe possibile. Questo processo consiste in un riscaldamento del pianeta per effetto dell'azione dei cosiddetti gas serra, composti presenti nell'aria a concentrazioni relativamente basse (anidride carbonica, vapor acqueo, metano, ecc.). I gas serra permettono alle radiazioni solari di passare attraverso l'atmosfera mentre ostacolano il passaggio verso lo spazio di parte delle radiazioni infrarosse provenienti dalla superficie della Terra e dalla bassa atmosfera (il calore riemesso); in pratica si comportano come i vetri di una serra e favoriscono la regolazione ed il mantenimento della temperatura terrestre ai valori odierni.
Questo processo è sempre avvenuto naturalmente e fa sì che la temperatura della Terra sia circa 33°C più calda di quanto lo sarebbe senza la presenza di questi gas.

Ora, comunque, si ritiene che il clima della Terra sia destinato a cambiare perché le attività umane stanno alterando la composizione chimica dell'atmosfera.

Le enormi emissioni antropogeniche di gas serra stanno causando un aumento della temperatura terrestre determinando, di conseguenza, dei profondi mutamenti a carico del clima sia a livello planetario che locale.

Prima della Rivoluzione Industriale, l'uomo rilasciava ben pochi gas in atmosfera, ma ora la crescita della popolazione, l'utilizzo dei combustibili fossili e la deforestazione contribuiscono non poco al cambiamento nella composizione atmosferica.     Dall'inizio della Rivoluzione Industriale, la concentrazione atmosferica dell'anidride carbonica è aumentata del 30% circa, la concentrazione del gas metano è più che raddoppiata e la concentrazione dell'ossido nitroso (N2O) è cresciuta del 15%.
Nei Paesi più sviluppati, i combustibili fossili utilizzati per le auto e i veicoli commerciali, per il riscaldamento negli edifici e per l'alimentazione delle numerose centrali energetiche sono responsabili in misura del 95% delle emissioni dell'anidride carbonica, del 20% di quelle del metano e del 15% per quanto riguarda l'ossido nitroso (o protossido di azoto).


L'aumento dello sfruttamento agricolo, le varie produzioni industriali e le attività minerarie contribuiscono ulteriormente per una buona fetta alle emissioni in atmosfera. Anche la deforestazione contribuisce ad aumentare la concentrazione di anidride carbonica nell'aria, infatti le piante sono in grado di ridurre la presenza della CO2 nell'aria attraverso l'organicazione mediante il processo fotosintetico.

Il danno è ancora più evidente se si pensa che nel corso degli incendi intenzionali che colpiscono ogni anno le foreste tropicali viene emessa una quantità totale di anidride carbonica paragonabile a quella delle emissioni dell'intera Europa.

Da notare che la respirazione dei vegetali e la decomposizione della materia organica rilasciano una quantità di CO2 nell'aria 10 volte superiore a quella rilasciata dalle attività umane; queste emissioni sono state comunque bilanciate nel corso dei secoli fino alla Rivoluzione Industriale tramite la fotosintesi e l'assorbimento operato dagli oceani.


Questo grafico rappresenta la variazione delle temperature medie annuali  superficiali nel corso degli anni 1880-2001. La linea dello zero rappresenta la  media di tutte le temperature, mentre le barre rosse e blu indicano gli scostamenti da tale media. Come si può vedere, c'è un chiaro trend di crescita. Le temperature riferite alle terre emerse presentano degli scostamenti maggiori di quelle degli oceani perchè le terre si riscaldano e si raffreddano più velocemente delle acque.

I gas serra sono i gas atmosferici che assorbono la radiazione infrarossa e che per questo causano l'effetto serra. I gas serra naturali comprendono il vapor d'aqua, l'anidride carbonica, il metano, l'ossido nitrico e l'ozono. Certe attività dell'uomo, comunque, aumentano il livello di tutti questi gas e liberano nell'aria altri gas serra di origine esclusivamente antropogenica.
Il vapor d'acqua è presente in atmosfera in seguito all'evaporazione da tutte le fonti idriche (mari, fiumi, laghi, ecc.) e come prodotto delle varie combustioni. L'anidride carbonica è rilasciata in atmosfera soprattutto quando vengono bruciati rifiuti solidi, combustibili fossili (olio, benzina, gas naturale e carbone,), legno e prodotti derivati dal legno.
Il metano viene emesso durante la produzione ed il trasporto di carbone, del gas naturale e dell'olio minerale.
Grandi emissioni di metano avvengono anche in seguito alla decomposizione della materia organica nelle discariche ed alla normale attività biologica degli organismi superiori (soprattutto ad opera dei quasi 2 miliardi di bovini presenti sulla terra).
L'ossido nitroso è emesso durante le attività agricole ed industriali, come del resto nel corso della combustione dei rifiuti e dei combustibili fossili.

Come si può  vedere dai grafici  a lato, la  concentrazione  dei principali gas serra è  aumentata in  maniera esponenziale a  partire  dall'avvento della  Rivoluzione  Industriale.

I dati che fanno  riferimento al  periodo in cui  non erano  ancora disponibili degli strumenti  adatti al rilevamento  delle concentrazioni  dei gas serra sono stati ottenuti  analizzando l'aria intrappolata nel  ghiaccio risalente agli anni in esame.

Il clima del nostro pianeta è dinamico e si sta ancora modificando da quando la Terra si è formata. Le fluttuazioni periodiche nella temperatura e nelle modalità di precipitazione sono conseguenze naturali di questa variabilità. Vi sono comunque delle evidenze scientifiche che fanno presupporre che i cambiamenti attuali del clima terrestre stiano eccedendo quelli che ci si potrebbe aspettare a seguito di cause naturali.
L'aumento della concentrazione dei gas serra in atmosfera sta causando un corrispondente incremento della temperatura globale della Terra.

L'aumento delle temperature comporta degli inevitabili effetti a livello meteorologico.

Con l'incremento della temperatura vi è un conseguente aumento dell'evaporazione, per cui si ritiene che, a livello globale, l'inasprimento dell'effetto serra porterà ad una crescita delle precipitazioni e ad una maggiore frequenza delle tempeste di forte intensità.

SCHEMA GENERALE PER LA FORMAZIONE DELLO SMOG FOTOCHIMICO


In genere, le condizioni che comportano il manifestarsi dello smog fotochimico si innescano durante il traffico di prima mattina quando le emissioni degli scarichi degli autoveicoli delle persone che vanno al lavoro contribuiscono all'aumento della presenza in atmosfera di idrocarburi e ossidi di azoto (monossido e biossido).
L'azione della luce del sole causa allo stesso tempo la fotolisi del biossido di azoto in monossido di azoto e un radicale ossigeno (NO2+luce del sole -> NO+O). Questa reazione avviene molto più velocemente man mano che aumenta l'irraggiamento solare.
Gli atomi di ossigeno che si formano nel corso di questa reazione possono poi reagire con le molecole di ossigeno presenti nell'aria per produrre l'ozono nella bassa troposfera, incrementando così i livelli di ozono a livello del suolo (O+O2 -> O3).
L'ozono a sua volta può reagire con l'ossido nitrico per produrre biossido di azoto e ossigeno (O3+NO -> NO2+O2).
Queste tre reazioni costituiscono il cosiddetto ciclo fotostazionario dell'ozono e, di per sé, mantengono la concentrazione dell'ozono ad un livello stabile e non inquinante tramite un equilibrio dinamico.

L'ozono può anche degradarsi per azione della luce UV e, assieme ad altre sostanze presenti nell'aria (come l'acido nitroso e la formaldeide) subisce fotolisi in un processo che comporta la produzione di radicali ossidrile (OH). I radicali OH reagiscono con gli idrocarburi volatili e gli ossidi di azoto presenti nelle emissioni di scarico degli autoveicoli formando varie sostanze come le aldeidi, i nitrati organici e gli idrocarburi ossidati (ROx).

Gli ROx possono reagire con il monossido di azoto provocando l'aumento della concentrazione di biossido di azoto (NO+ROx -> NO2 + altri prodotti).

La formazione di biossido di azoto tramite una via che non implica la rimozione dell'ozono troposferico (tipica del ciclo fotostazionario), fa sì che la concentrazione dell'ozono aumenti, fino al raggiungimento di valori che possono risultare tossici.

Parte del biossido di azoto può reagire con vari idrocarburi volatili per formare composti chimici tossici come il perossiacetil nitrato (PAN).
Il risultato di tutte queste reazioni consiste in quello che viene definito smog fotochimico.

Man mano che compare lo smog, la visibilità diminuisce per l'effetto di deviazione della luce provocato dagli aerosol che si formano.

SISTEMI DI CRITTOGRAFIA

Fisici, chimici e biologi, per tradizione, sono abituati a discutere i meta-aspetti della loro disciplina, e tra questi l'uso (e l'abuso) a scopi militari delle conoscenze prodotte dal loro lavoro.

Queste preoccupazioni sono rare tra i matematici.

Prima di diventare una disciplina scientifica, la Crittografia era una pratica, un insieme di regole, di metodi, di strumenti. Era diventata quasi un'arte: l'arte di scambiarsi i messaggi senza farne capire il reale contenuto, anche se venissero intercettati. Una disciplina dallo statuto ambiguo, al limite della magia e dell'esoterismo. In questo contesto, Alice e Bob non sono ancora nati.

Si capisce che l'origine è antica, legata non solo ad esigenze commerciali, ma soprattutto diplomatiche e militari. È noto che in molti casi le sorti dei conflitti sono state decise da questa capacità di conoscere, con buon anticipo, le mosse dell'avversario. Poi, l'avvento delle reti di comunicazione digitale, utilizzate regolarmente nella vita quotidiana, ha richiesto nuove esigenze di sicurezza e di tutela della privacy.

E la Matematica - in particolare la Teoria dei numeri - ha fatto cambiare natura alla Crittografia, liberandola dalla sua aura di mistero e trasformandola da un'arte in una scienza.

Prima di approfondire le idee ed i metodi fondamentali è bene però fare un'osservazione di principio: nel problema classico della trasmissione del messaggio, da Alice a Bob, con il tentativo di uno come Charlie di decifrarne il reale contenuto - problema che si presta a incorporare entro di sé tutti gli altri, che ne diventano aspetti particolari o specializzazioni - si è soliti assegnare un comportamento legittimo a chi cerca di comunicare, mentre l'intercettatore è visto sotto una luce negativa, come una persona che in maniera indebita non si fa 'gli affari suoi'.

Niente di più sbagliato, per quanto riguarda questa attività: ad esempio, è noto che uno dei più famosi casi di uso delle tecniche crittografiche si è avuto nel corso della seconda guerra mondiale, quando il servizio segreto inglese, con l'aiuto essenziale di Alan Turing (1912-1954), è riuscito a decrittare fin dal 1942 la macchina cifrante Enigma, usata dal comando tedesco. E questo fatto è risultato decisivo per le sorti della guerra (anche se un'altra macchina, la T-52, rimase in funzione per tutta la guerra).
È con questo spirito di obbiettività che i crittografi ed a maggior ragione i matematici si prestano a considerare i loro metodi: la storia della Crittografia è piena di mosse e contromosse, una sorta di competizione fra chi inventa sempre nuovi procedimenti di cifratura e chi implacabilmente trova la maniera per decrittare anche il nuovo sistema.
Chi cifra e chi decifra sono da considerare sullo stesso piano. Si tratta di due modalità diverse dello stesso fenomeno, come due segmenti le cui misure hanno segno diverso solo perché l'orientamento positivo della retta è stato scelto in un verso piuttosto che nell'altro.

Algoritmi e chiavi

La crittografia è un'arte antichissima: consiste nel rendere incomprensibile un certo messaggio a occhi estranei. Ecco un sistema crittografico elementare:

a b c d e f g h i j k l m

2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13

n          o p q r s t u v w x y z

Ad ogni lettera del nostro alfabeto corrisponde un numero da 1 a 26.

Posso mettermi d'accordo con il mio interlocutore, affinché nei nostri messaggi ogni lettera venga sostituita dalla lettera che la segue di 13 posizioni. In questo modo la lettera 'a' (posizione 1) viene sostituita dalla lettera 'n' (posizione 14), e così via. Utilizzando questa convenzione, il messaggio:

'ci vediamo domani all'alba sotto l'albero più alto'
diventa
'pv irqvnzb qbznav nyy'nyon fbggb y'nyoreb cvh' nygb'

In questo sistema di crittografia, la trasposizione di ogni lettera di un numero fisso di posizioni rappresenta ciò che viene chiamato algoritmo, mentre il numero di posizioni di cui trasporre le lettere (numero che ovviamente può cambiare di volta in volta) rappresenta la chiave di cifratura (o di codifica).

Algoritmo e chiave sono le due componenti principali di ogni sistema di crittografia, componenti che permettono il passaggio dal messaggio in chiaro al messaggio cifrato (o crittato) e viceversa.

L'esempio sopra costituisce un sistema di crittografia estremamente debole: un eventuale estraneo che volesse intercettare e comprendere la comunicazione (colui che viene convenzionalmente indicato con il termine di nemico) raggiungerebbe il suo scopo sfruttando gli evidenti punti deboli dell'algoritmo. È da notare, ad esempio, che il messaggio cifrato conserva molti indizi del messaggio in chiaro: ha lo stesso numero di lettere, mantiene le stesse separazioni tra le parole, conserva la stessa distribuzione statistica delle varie lettere. Un nemico sufficientemente scaltro impiegherebbe pochi secondi a sospettare che l'algoritmo utilizzato sia proprio una semplice trasposizione di lettere; una volta individuato l'algoritmo, diventa molto semplice e veloce anche provare tutte le 25 chiavi possibili fino a quando non appare un messaggio comprensibile.

La crittografia, nel corso dei secoli, è diventata quindi anche una tecnica estremamente complessa, utilizzando algoritmi derivati dalle più avanzate conoscenze nel campo della matematica. Con la progressiva crescita di complessità degli algoritmi, si è arrivati anche a definire alcuni requisiti di base che qualsiasi sistema crittografico deve soddisfare affinché possa essere considerato sufficientemente robusto (cioè difficilmente attaccabile da tentativi di crittanalisi da parte del nemico): uno di questi requisiti è che la robustezza del sistema non deve dipendere dalla segretezza dell'algoritmo (principio di Kerckhoff).

Nel nostro esempio, una volta che il nemico individua l'algoritmo di trasposizione delle lettere gli è sufficiente provare 25 combinazioni (chiavi) diverse per avere la certezza di risalire al messaggio in chiaro.

Nei sistemi crittografici più robusti, invece, anche la totale conoscenza dell'algoritmo non permette in nessun modo di comprometterne la sicurezza, che è invece unicamente affidata alla segretezza della chiave concordata (che ovviamente ha un campo di variazione potenzialmente infinito).

Durante il diciannovesimo secolo, Kerchoff scrisse i principi della moderna crittografia. Uno dei fondamenti è basato sul fatto che, la sicurezza della crittografia non è basata sul metodo di codifica, ma bensì sulla chiave che si usa per la codifica/decodifica.

Da quel momento in poi, ci si aspettò che i sistemi crittografici rispondessero a questi requisiti. Tuttavia i sistemi di allora mancavano di una base matematica, e di conseguenza anche di strumenti che ne potessero valutare la resistenza ad eventuali attacchi. Si cercava di ottenere un sistema sempre migliore, che fosso sicuro al 100%!

Siamo così giunti agli albori del `900, quando i dispositivi elettromeccanici sono pronti per l'elaborazione delle sempre maggiori quantità di dati che risultano connesse con l'operazione di decrittazione e, come riflesso, per la duale operazione di messa a punto del sistema cifrante.

In effetti, è nel contesto delle grandi macchine da calcolo dedicate ai problemi della Crittografia che nel `900 sorge la coscienza che per avere un cifrario perfetto, vale a dire un cifrario che non possa essere infranto, la chiave deve possedere tanta informazione quanto quella dei possibili messaggi. Un apparente paradosso, che tuttavia serve solo a spostare in avanti la nozione stessa di chiave crittografica. Tale è ad esempio il cifrario di Vernam, che prende il nome dall'ingegnere delle telecomunicazioni Gilbert Vernam (1890-1960) in cui la chiave è un generatore di numeri casuali. Non sorprende che una chiave qualsiasi si possa codificare in termini numerici: è chiaro che, con questo livello di sviluppo e l'insorgenza dei metodi digitali, si può ben pensare che anche il messaggio non sia che un numero, codificato in un certo numero di bit. Il vero problema che rimane è quello della chiave: della sua generazione, della conservazione e della trasmissione.
In questo modo, generata ad ogni nuova utilizzazione, la chiave è sempre nuova; non si ripete mai da una trasmissione all'altra e, anzi, viene eliminata dopo l'uso (gli americani parlano di one-time pad, per sottolineare l'uso non ripetibile della chiave) ma il vero segreto è ormai concentrato sulla maniera con cui viene generata.

Nel 1917 il signor Gilbert Vernam, impiegato della compagnia AT&T, inventò un ingegnosissimo sistema di protezione crittografica, per comunicazioni su telegrafo, dei testi codificati in binario. Egli costruì per prima cosa un dispositivo in grado di leggere contemporaneamente due nastri in input e generare a partire da essi un nastro di output tale che ciascun foro fosse generato mediante uno XOR dei due corrispondenti fori sui nastri di input. Dopodiché prese un nastro su cui era perforata una sequenza di caratteri casuale ed un nastro su cui era perforato un testo reale e li passò nella sua macchina. Il risultato fu un nastro completamente inintelligibile, ovvero cifrato.

Lo schema di crittografia di Vernam è uno schema one-time pad; un tale schema richiede che:

la chiave sia usata una sola volta (da qui il nome),

deve essere lunga almeno quanto il testo in chiaro,

fra i bit che compongono la chiave non deve esserci alcuna relazione,

la chiave deve essere generata casualmente.

In ciascuna posizione dell'output, si ottiene 1 se e solo se sono differenti le due corrispondenti posizioni sui nastri: 0 e 1 oppure 1 e 0.

La dimostrazione matematica è espressa attraverso la seguente formula: a V (a V k) = k

Dove k è la chiave, a è una variabile binaria corrispondente al testo in chiaro, e con (a V k) si esprime il valore binario corrispondente al testo cifrato



Ad esempio, se il testo in chiaro è X = 0110 e la chiave è K = 1100, applicando il metodo di Vernam otteniamo il seguente testo cifrato: 

Y = X K = 1010

la decifratura si ottiene nel seguente modo:

X = Y K = 0110

Notiamo che abbiamo applicato la stessa chiave ed effettuato la stessa operazione sia per  la cifratura che per la decifratura, ciò caratterizza un sistema crittografico reversibile, questo è uno dei molti aspetti notevoli del cifrario di Vernam.

Messaggio-in-Chiaro XOR Chiave   Messaggio-Cifrato

Messaggio-Cifrato XOR Chiave   Messaggio-in-Chiaro

Per ciò che concerne la sicurezza, a tutt'oggi, questo è l'unico metodo ad essere perfetto, ossia costituisce un cifrario assolutamente indecifrabile in senso stretto.

Il cifrario di Verman è un cifrario perfetto, e tale risultato discende dal teorema di Shannon il quale afferma che:

in un cifrario perfetto la lunghezza della chiave deve essere quantomeno uguale a quella del testo da cifrare.

Un sistema crittografico si dice perfetto se, partendo da un qualsiasi testo cifrato con il metodo in questione, è impossibile risalire al testo originario (testo in chiaro) senza conoscere la chiave di decifrazione, indipendentemente dalla quantità del testo cifrato e delle risorse computazionali a disposizione dei crittoanalisti, mentre è molto agevole decifrarlo conoscendo quest'ultima.

Ma non occorre necessariamente un ambiente tecnologico di grande sofisticazione per mostrare il senso dell'uso di una chiave one-time pad: pensate, ad esempio, di fissare con il vostro interlocutore che la chiave per trasmettere messaggi cifrati sia data da una certa edizione della Divina Commedia. Voi eseguite la cifratura à la Vigenère usando come chiave tutte le lettere consecutive dell'opera di Dante: 'nelmezzodelcammindinostravita' con la convenzione che per il prossimo messaggio la chiave parte da dove si è arrestata nel precedente.

Evidentemente, il sistema non ha alcun periodo: la cifratura non si ripete mai allo stesso modo; eppure una macchina che procedesse per tentativi sarebbe senz'altro in grado di decrittare prima o poi i vostri messaggi e magari riscrivere in bella tutti i versi della Divina Commedia!

A questo punto dello sviluppo, occorre un'idea che fornisca alla nozione di chiave crittografica una enorme quantità di possibilità e allo stesso tempo la liberi dalla necessità di essere condivisa fra più soggetti, perfino fra chi trasmette e chi riceve.

La gestione delle chiavi, spesso ingombranti, la loro generazione, il loro invio ai destinatari, le esigenze di sicurezza questo è l'autentico punto critico dei sistemi cifranti.

E questo è ciò che ha ricevuto un forte miglioramento dall'idea di chiave pubblica, come opposta all'uso privato, personale, segreto della chiave. Una chiave che potete comunicare a tutti quelli che vogliono cifrare un messaggio e mandarvelo, ma che non è utile per la decifrazione che solo voi sapete eseguire.

La prima applicazione al problema della trasmissione cifrata dei messaggi, cioè al problema principale della Crittografia, si basa sull'osservazione - banale ma decisiva - che la chiave cifrante rende simmetrico il canale di comunicazione.

Da A si trasmette a B, ma si potrebbe anche invertire il processo senza alterare né il cifrario, né la chiave: eventualmente, se il cifrario non è reversibile, occorre invertire tutte le operazioni.

La simmetria del canale - questa componente strutturale del processo di comunicazione - viene alterata nella pratica con una funzione cifrante a trabocchetto: il canale viene reso asimmetrico; permette la cifratura solo in una direzione e lo stesso trasmettitore -che possiede le istruzioni per cifrare- non è tuttavia in grado di decifrare i messaggi.
Ci sono ora due chiavi distinte: una per cifrare, nota pubblicamente a tutti quelli che vogliono mandare un messaggio cifrato, ed una per decifrare, rigorosamente tenuta segreta dal destinatario dei messaggi.

Ovviamente, le chiavi sono fra di loro dipendenti - altrimenti non si potrebbero mai decifrare i messaggi - ma la conoscenza di una non è sufficiente a far risalire all'altra a meno che non si conosca qualche segreto: una funzione a trabocchetto.
Il problema della condivisione della chiave crittografica è completamente risolto e la semplicità della cifratura viene connessa ad una estrema difficoltà della decifratura. Tutto dipende dalla funzione a trabocchetto!

"Gli uomini hanno dapprima creato le parole allo scopo di capirsi l'un l'altro e poi - forse pentiti - hanno inventato la Crittografia per farsi capire solo da alcuni. Ma in questo modo, oltre a sollecitare la curiosità spesso interessata degli esclusi, si sono dovuti rifugiare in un mondo di segreti da condividere con poche persone. La nuova e moderna versione della Crittografia, quella che viene detta a chiave pubblica, sembra nata dal desiderio ecumenico dei matematici di trattare tutti allo stesso modo, curiosi e confidenti, sottraendo dalle nostre comunicazioni private anche la più piccola condivisione del segreto. Con quale successo, si vedrà."

DISPOSITIVI AUTOMATICI DI CRITTOGRAFIA

Il periodo dei dispositivi per cifrare e decifrare vede dapprima sistemi meccanici, poi elettrici ed elettronici come conseguenza dell'evoluzione del concetto stesso di comunicazione.

Si è già detto della macchina cifrante Enigma, un complesso ideato per scopi commerciali già negli anni '20 e poi adattato, come standard delle comunicazioni riservate, dal comando tedesco nel corso della II guerra mondiale.

La macchina si componeva di un certo numero di dischi rotanti (tre nelle versioni più complesse), ciascuno dei quali realizzava una cifratura dell'alfabeto per mezzo di intricati circuiti elettrici. Inoltre questi rotori, per maggior complessità, venivano combinati e collegati fra di loro in maniera di giorno in giorno diversa, secondo una chiave anch'essa trasmessa in maniera cifrata; dopo ogni lettera trasmessa, subivano una rotazione.

Arthur Schrebius (1918)



Versione semplificata di Enigma

con un alfabeto di 6 lettere


Per la decrittazione risultarono utili un complesso di metodi, compresi quelli che si ottengono carpendo informazioni con lo spionaggio tradizionale, ma anche statistiche, studio di strutture algebriche e combinatorie, esame delle abitudini dei trasmettitori tedeschi e delle espressioni gergali, analisi di grandi quantità di dati per mezzo di altre macchine elettromeccaniche appositamente costruite (le famose bombe, cosiddette per il loro classico ticchettio).

Per maggiore comodità di operazione ed evidente economia di mezzi, Enigma usava un riflettore, grazie al quale la stessa chiave, e le medesime operazioni, venivano usate sia per cifrare che per decifrare: si batte sulla tastiera il testo in chiaro e, opportunamente disposta la macchina secondo la chiave, si legge su un visore il testo in codice; viceversa, se si batte il testo in codice, si legge direttamente il testo in chiaro. Il sistema crittografico è reversibile e questo carattere strutturale fornirà elementi fondamentali per la decrittazione.

L'Enigma è una macchina simmetrica, nel senso che se la lettera A è cifrata con la G in una certa posizione del testo allora nella stessa posizione la G sarà cifrata con la A. La stessa macchina serve quindi per cifrare e decifrare; una grossa comodità operativa che è però anche una debolezza crittografica.

La macchina ha al suo interno un certo numero di rotori (nella prima versione erano 3) collegati elettricamente e liberi di ruotare; quando l'operatore preme un tasto, per esempio la A, un segnale elettrico passa da rotore a rotore fino al rotore finale detto il riflettore e quindi torna indietro fino a mostrare una lettera illuminata che è il carattere cifrato. Non esiste possibilità di stampa, dunque l'operatore deve copiare a mano, carattere per carattere il messaggio cifrato da trasmettere.

La chiave dell'Enigma è la disposizione iniziale dei rotori; questa chiave veniva cambiata ogni 24 ore secondo una regola prefissata; in definitiva la vera chiave segreta era questa regola. Anche i collegamenti interni dei rotori sono segreti.

Inoltre i tre (o più) rotori possono essere scambiati tra di loro, e quindi vi sono n! (3! = 6 nella Enigma originale) disposizioni possibili, cosa che aumenta il numero di posizioni iniziali possibili. Era anche consigliato di tenere una scorta di rotori con cablaggi diversi, in modo da poter aumentare ancora il numero di combinazioni possibili.

Già nel 1932 i matematici polacchi Marian Rejewski, Henryk Zygalski e Jerzy Rozicki erano riusciti a forzare l'Enigma e a ricostruire una copia della macchina stessa sfruttando una grossa leggerezza dei cifratori tedeschi; furono utilizzati anche vari dispositivi meccanici utili per ricostruire velocemente il messaggio segreto: il ciclometro, i fogli perforati e le bombe crittologiche usate in seguito anche dagli inglesi.

Il 25 luglio 1939 nell'imminenza dell'attacco tedesco alla Polonia si tenne a Varsavia una riunione tra gli uffici "cifra" polacchi, francesi e inglesi, nella quale i polacchi misero a disposizione degli alleati i loro metodi per forzare l'Enigma. Nello stesso anno gli inglesi avevano trasferito nel villaggio di Bletchley Park a metà strada tra Oxford e Cambridge la sede del loro servizio di decrittazione, noto con il nome di Ultra. È singolare che Rejewski, nel frattempo fuggito in Francia, non sia mai stato invitato a partecipare a questo progetto.

Partecipava invece attivamente a Ultra il matematico inglese Alan Turing (1912-1954), noto soprattutto come padre dell'informatica teorica per la sua macchina di Turing, che ideò nuove e più efficienti bombe crittologiche così che l'Enigma fu nuovamente e sistematicamente forzata.

Turing ed i suoi compagni lavorarono con uno strumento chiamato Colossus che decifrava in modo veloce ed efficiente i codici tedeschi creati con Enigma. Si trattava, essenzialmente di un insieme di servomotori, ma era il primo passo verso il computer digitale.

Nel 1942 si arrivò a decrittare più di 80000 messaggi cifrati tedeschi al mese!!

Questa impresa restò per molti anni coperta dal segreto militare e solo a partire dagli anni '70 cominciò ad emergere la vera storia dell'Enigma e della sua decrittazione; e non è inverosimile che non tutti i dettagli siano stati resi pubblici.

In particolare il ruolo dei polacchi fu riconosciuto pubblicamente solo nel 1989 in un discorso a Danzica dell'allora Presidente USA George Bush (Senior).

Ipersensibile, incompreso, circondato dallo scetticismo e dall'ostilità dell'ambiente scientifico, il matematico inglese Alan Turino si suicidò il 7 giugno 1954, mangiando una mela al cianuro, per motivi mai chiariti. Due anni prima era stato coinvolto in uno scandalo per una relazione omosessuale (all'epoca considerata un reato in Gran Bretagna) e condannato a seguire una terapia ormonale che lo aveva reso impotente.

Certamente Turing non era uno squilibrato mentale ed anzi la sua azione fu un gesto di ribellione al sistema e di rivendicazione umana e fu eseguita in un momento di piena coscienza.

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Claudio Bellotti "Cercando la rivoluzione"

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Dorje Sherab,  "La Rivoluzione Interiore"

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J. Cruz, "Antonio Gramsci e la rivoluzione italiana"

V. Gerratana, "Antonio Gramsci" Enciclopedia Italiana, 1992

A. Gramsci,  "L'Ordine Nuovo"

A. Gramsci,  "Quaderni del carcere"

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N. Pende, "Scienza dell'ortogenesi"

Relazione "Ciclo Diesel e tipi di motori Diesel" fatta da me nel corso dell'attività scolastica

Valitutti - Tifi - Gentile, "La Chimica in moduli"

Renato Betti, "La Crittografia"

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https://www.fi.cnr.it/r&f/n21/corcione.htm                 [Motore a combustione interna]

https://www.monci.it/homogubernator/Approfondimenti/2S_Motore_a_combustione.htm

https://www.inet.hr/~bkrajnov/it_intro.html                [Ciclo Diesel]

https://www.combustibile.it/combustibile.html           [Gasolio]

https://www.nonsoloaria.com

https://www.apogeonline.com/

https://www.apav.it/mat/tecnologia/crittografia/crittografia.htm

https://www.matematicamente.it/storia/crittografia.htm

https://www.liceofoscarini.it/studenti/crittografia/critto/enigma.htm                [all'interno è possibile trovare un simulatore della macchina Enigma del 1918]


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