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Lo svolgimento della grande guerra




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LO SVOLGIMENTO DELLA GRANDE GUERRA



La Prima Guerra Mondiale ebbe molteplici cause di natura economica, politica, ideologica, diplomatica e culturale. All'origine di questo immane conflitto stava la crescente tensione fra le potenze europee, accentuata dall'espansione imperialistica di fine Ottocento - inizio Novecento-, che saturò le aree di potenziale colonizzazione ed alimentò l'aggressività delle nazioni escluse, in particolar modo della Germania.

Il clima generale in cui maturò la crisi dell'estate 1914 fu quello di una crescente militarizzazione delle economie e delle coscienze. La "corsa agli armamenti" (che vide come protagoniste principali la Germania e la Gran Bretagna) non fu solo il sintomo più evidente della crisi che maturava, ma anche un impulso per le economie delle economie occidentali e per gli interessi dei grandi gruppi industriali. Al nazionalismo aggressivo si unì spesso un patriottismo esasperato che fece larga presa sulle masse;ad esso corrispose uno spostamento degli equilibri politici interni a favore delle forze politiche favorevoli al conflitto e delle gerarchie militari.

La miccia s'infiammò in uno dei settori più critici dell'equilibrio europeo, i Balcani. Qui, all'inizio del Novecento, l'indebolimento dell'impero ottomano aveva favorito l'emergere di rivendicazioni etnico-nazionaliste, alimentando le mire espansionistiche di Austria, Germania, Russia ed Italia. La Rivoluzione dei Giovani Turchi (1908), la guerra di Libia (1911) e le guerre balcaniche del 1912-1913 ruppero l'equilibrio indebolendo Turchia ed Austria ed imponendo la Serbia come maggiore potenza regionale. La competizione austro-serba per il controllo dell'area fu la causa prossima dello scoppio del conflitto.

L'assassinio di Francesco Ferdinando, erede al trono d'Austria, per mano di un nazionalista serbo (28 giugno 1914 a Sarajevo), convinse l'Austria di poter regolare i conti con la Serbia. La dichiarazione di guerra che ne seguì innescò un processo a catena che in una sola settimana, per effetto del meccanismo delle alleanze, portò quasi tutte le potenze europee, eccetto l'Italia, ad essere coinvolte nella guerra: da un lato gli Imperi Centrali (Austria e Germania), dall'altro l'Intesa (Francia, Gran Bretagna e Russia).

Gli stati maggiori degli eserciti ritenevano che il conflitto si sarebbe risolto in poche settimane, ma accadde il contrario: il mancato sfondamento tedesco sul fronte occidentale ed il blocco tedesco all'avanzata russa sul fronte orientale trasformarono l'illusione della "guerra lampo" nella realtà della "guerra di logoramento", combattuta lungo migliaia di chilometri di trincee.

Durante il primo anno del conflitto l'Italia rimase neutrale; solo nel maggio del 1915 decise di entrare in guerra, con l'obiettivo di ottenere le "terre irredente", cioè quelle soggette al dominio austriaco: il Trentino e l'Alto Adige, Trieste e la Venezia Giulia.

La decisione di entrare in guerra maturò in un clima reso infuocato dal confronto tra interventisti e neutralisti. Fra i primi vi era chi vedeva nella guerra l'unico mezzo per completare l'opera risorgimentale; chi sperava che la guerra rappresentasse  la crisi del capitalismo e la premessa della rivoluzione; chi interpretava la guerra come occasione per affermare la potenza di una nazione rigenerata dalle "miserie" della democrazia parlamentare e del trasformismo.

I neutralisti (liberali giolittiani, cattolici e socialisti) nonostante rappresentassero la maggioranza del popolo italiano, vennero sopraffatti dall'aggressiva propaganda interventista, soprattutto quella di matrice nazionalista.

Decisiva fu tuttavia la posizione del re e del governo, schierati a favore dell'intervento militare, sulla stessa linea dei maggiori gruppi economici, soprattutto dell'industria pesante. Con il Patto di Londra (aprile 1915) il governo italiano, all'oscuro del parlamento, impegnò il Paese a combattere a fianco dell'Intesa in cambio di riconoscimenti territoriali.

La guerra, intanto, restava bloccata sui due fronti e mostrava il suo volto più tragico, esasperato dalle potenzialità distruttrici delle nuove tecnologie militari: cannoni, armi chimiche, aerei e sottomarini. I milioni di morti caduti nelle battaglie campali lanciate dagli Stati maggiori non modificavano granchè gli equilibri consolidati e disegnati dalle trincee. Il 1917 fu un anno molto critico: la "rotta" italiana a Caporetto e la crisi profonda della Russia, che si ritirò dal conflitto dopo una rivoluzione che aveva abbattuto lo varismo, parvero favorire gli Imperi Centrali. Ma il dato di fondo era il diffondersi in tutti gli eserciti un clima di stanchezza e sfiducia, accompagnato da fenomeni di diserzione e sbandamento.

Gli Imperi centrali si rivelarono alla lunga incapaci di reggere un conflitto logorante e di lunga durata, soprattutto dopo l'ingresso in guerra della potenza militare ed industriale degli Stati Uniti e le vittorie conseguite dall'Intesa nel 1918 sul fronte occidentale e su quello italiano.

Nel novembre 1918 Austria e Germania dovettero rassegnarsi alla resa.


La guerra cambiò profondamente il volto del mondo. L'Europa perse la sua centralità economica e politica; il nuovo centro dell'economia mondiale furono gli Stati Uniti, che divennero i massimi produttori e creditori del mondo.

La guerra ebbe enormi conseguenze anche sul piano economico e sociale. Essa vide realizzarsi per la prima volta il terribile connubio tra apparato militare, industria e tecnologia 8Guerra Tecnologica), ed il coinvolgimento dell'intera popolazione civile (Guerra Totale).

Ebbe, inoltre, grande slancio l'intervento dello stato nell'economia, per la necessità di sostenere lo sforzo produttivo necessario a reggere la sfida militare. Infine, il conflitto accelerò l'entrata delle masse sulla scena politica, dando nuovo ruolo ed importanza ai ceti subalterni (operai e contadini) e alle donne.


A guerra terminata, il maggior problema fu quello della riconversione dell'industria militare in industria di pace. Deficit pubblico, inflazione e svalutazione aggravarono ulteriormente la crisi economica e sociale, che si ripercosse sulle condizioni di vita dei ceti meno abbienti. Per le caratteristiche di violenza ideologica che avevano contraddistinto il primo grande conflitto di massa, queste tensioni si manifestarono in forma particolarmente acuta.

La lotta di classe infuriò nel primo dopoguerra in gran parte del continente. Ogni ceto serbò risentimento nei confronti degli altri, chi per timore di perder posizioni nella gerarchia sociale (ceto medio), chi rivendicando di aver pagato il maggior contributo di sangue (contadini). In generale, la guerra trascinò con sé la crisi dei valori democratici, esaltando le forze capaci di controllare "la piazza" ed il potere esecutivo a scapito della dialettica parlamentare.


Nella definizione dei nuovi equilibri mondiali giocò un ruolo determinante il presidente statunitense Wilson. Egli propose una carta di principi, in cui spiccavano l'autodeterminazione dei popoli e la necessità di dar vita ad un organismo sopranazionale (la Società delle nazioni), capace di dirimere le controversie tra gli Stati. La defezione delle massime potenze da tale organismo vanificò, però, la sua efficacia.

La carta d'Europa fu in realtà ridisegnata cercando di contemperare diverse esigenze: gli interessi dei vincitori, l'isolamento della Russia bolscevica, la soluzione dei problemi sorti dallo sfaldamento dei grandi imperi multinazionali. Ne uscirono decisioni destinate a pesare gravemente sui futuri equilibri politici del continente, come la pace punitiva imposta alla Germania con il trattato di Versailles e la creazione nell'Europa centro-orientale e balcanica di stati plurietnici.










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