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Il 'manifesto degli intellettuali fascisti'




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Il 'Manifesto degli intellettuali fascisti'


Nel marzo del 1 , all'indomani delle leggi cosiddette "fascistissime" che segnarono il passaggio del fascismo da una fase legalitaria a una totalitaria - cioè ad un a fase di formazione dello Stato totalitario, uno stato in cui tutti i poteri sono nelle mani di un unico partito o di esponenti di un unico partito - si tenne a Bologna un convegno sulle istituzioni culturali fasciste a cui parteciparono 250 intellettuali, esponenti di tutte le espressioni della cultura, dalla letteratura all'arte, alla musica. Al termine del convegno, essi firmarono un Manifesto degli intellettuali fascisti, steso dal filosofo Giovanni Gentile (1875 - 1944), che era stato il Ministro della Pubblica Istruzione dal 1922 al 1924. In questo manifesto il fascismo era considerato un movimento tipico dello spirito della nazione italiana, perché garante di tutte le istituzioni e le tradizioni dello Stato. Questo manifesto gettava le basi della cultura italiana, in difesa di tutto ciò che attraverso le arti, la letteratura, la scienza potesse dissipare il vero e concreto senso delle nazione ed esaltava lo squadrismo, sottolineando il carattere religioso del fascismo e criticando aspramente il liberalismo, la democrazia, il socialismo.



IL FASCISMO E LO STATO


Di qui il carattere religioso del Fascismo.

Questo carattere religioso e perciò intransigente, spiega il metodo di lotta seguito dal Fascismo nei quattro anni dal '19 al '22.

I fascisti erano minoranza, nel Paese e in Parlamento, dove entrarono, piccolo nucleo, con le elezioni del 1921.

Lo Stato costituzionale era perciò, e doveva essere, antifascista, poiché era lo Stato della maggioranza, e il fascismo aveva contro di sé appunto questo Stato che si diceva liberale; ed era liberale, ma del liberalismo agnostico e abdicatorio, che non conosce se non la libertà esteriore.

Lo Stato che è liberale perché si ritiene estraneo alla coscienza del libero cittadino, quasi meccanico sistema di fronte all'attività dei singoli.

Non era perciò, evidentemente, lo Stato vagheggiato dai socialisti, quantunque i rappresentanti dell'ibrido socialismo democratizzante e parlamentaristico, si fossero, anche in Italia, venuti adattando a codesta concezione individualistica della concezione politica.

Ma non era neanche lo Stato, la cui idea aveva potentemente operato nel periodo eroico italiano del nostro Risorgimento, quando lo Stato era sorto dall'opera di ristrette minoranze, forti della forza di una idea alla quale gl'individui si erano in diversi modi piegati e si era fondato col grande programma di fare gli italiani, dopo aver dato loro l'indipendenza e l'unità.

Contro tale Stato il Fascismo si accampò anch'esso con la forza della sua idea la quale, grazie al fascino che esercita sempre ogni idea religiosa che inviti al sacrificio, attrasse intorno a sé un numero rapidamente crescente di giovani e fu il partito dei giovani (come dopo i moti del '31 da analogo bisogno politico e morale era sorta la 'Giovane Italia' di Giuseppe Mazzini).

Questo partito ebbe anche il suo inno della giovinezza che venne cantato dai fascisti con gioia di cuore esultante!

E cominciò a essere, come la 'Giovane Italia' mazziniana, la fede di tutti gli Italiani sdegnosi del passato e bramosi del rinnovamento.

Fede, come ogni fede che urti contro una realtà costituita da infrangere e fondere nel crogiolo delle nuove energie e riplasmare in conformità del nuovo ideale ardente e intransigente.

Era la fede stessa maturatasi nelle trincee e nel ripensamento intenso del sacrificio consumatosi nei campi di battaglia pel solo fine che potesse giustificarlo: la vita e la grandezza della Patria.

Fede energica, violenta, non disposta a nulla rispettare che opponesse alla vita, alla grandezza della Patria.

Sorse così lo squadrismo. Giovani risoluti, armati, indossanti la camicia nera, ordinati militarmente, si misero contro la legge per instaurare una nuova legge, forza armata contro lo Stato per fondare il nuovo Stato.

Lo squadrismo agì contro le forze disgregatrici antinazionali, la cui attività culminò nello sciopero generale del luglio 1922 e finalmente osò l'insurrezione del 28 ottobre 1922, quando colonne armate di fascisti, dopo avere occupato gli edifici pubblici delle province, marciarono su Roma.

La Marcia su Roma, nei giorni in cui fu compiuta e prima, ebbe i suoi morti, soprattutto nella Valle Padana. Essa, come in tutti i fatti audaci di alto contenuto morale, si compì dapprima fra la meraviglia e poi l'ammirazione e infine il plauso universale.

Onde parve che a un tratto il popolo italiano avesse ritrovato la sua unanimità entusiastica della vigilia della guerra, ma più vibrante per la coscienza della vittoria già riportata e della nuova onda di fede ristoratrice venuta a rianimare la Nazione vittoriosa sulla nuova via faticosa della urgente restaurazione della sue forze finanziarie e morali.

Codesta Patria è pure riconsacrazione delle tradizioni e degli istituti che sono la costanza della civiltà, nel flusso e nella perennità delle tradizioni.

Ed è scintilla di subordinazione di ciò che è particolare ed inferiore a ciò che è universale ed immortale, è rispetto della legge e disciplina, è libertà ma libertà da conquistare attraverso la legge, che si instaura con la rinuncia a tutto ciò che è piccolo arbitrio e velleità irragionevole e dissipatrice.

E' concezione austera della vita, è serietà religiosa, che non distingue la teoria dalla pratica, il dire dal fare, e non dipinge ideali magnifici per relegarli fuori di questo mondo, dove intanto si possa continuare a vivere vilmente e miseramente, ma è duro sforzo di idealizzare la vita ed esprimere i propri convincimenti nella stessa azione o con parole che siano esse stesse azioni.


Il Manifesto antifascista

Il 1° maggio del , sulle pagine del quotidiano 'Il Mondo', venne pubblicato un altro manifesto. Era il Manifesto degli intellettuali antifascisti, scritto dal filosofo Benedetto Croce (1866 - 1947). Croce rivendicava la libertà e l'autonomia di tutte la scienze e di tutte le arti in nome dell'intelligenza di ciascuno. 'L'intelligenza consiste nel dubbio, nella discussione, nello scambio di opinioni diverse, nella revisione dei propri concetti'. Croce denuncia la confusione dottrinale presente nel manifesto degli intellettuali fascisti e reagisce alla concezione in esso espressa che la lotta tra fascismo e antifascismo sia una lotta di religione. 'Il fascismo non è una nuova religione ed affermare simile idea è solo una lugubre facezia'. Il contromanifesto polemizza contro il carattere intollerante, fazioso, passionalmente 'religioso' del manifesto fascista, riaffermando il valore superiore della cultura e la sua autonomia dalla politica.




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