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La donna dal fascismo ad oggi




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La donna dal fascismo ad oggi



"Mi duole che le donne si struggano di lacrime. Esse dicono di essere vittime.

Ma vittime di che?

Della loro ignoranza che le rende cieche; del loro ozio, che le abbandona alla noia;

della loro debolezza d'animo che le fa schiave.

Lasciate i gesti, gli atteggiamenti e gli accenti supplichevoli:

levatevi e marciate con passo fermo verso la verità"

George Sand





















Introduzione


La condizione della donna è stata spesso caratterizzata, nel corso della storia, da una situazione di inferiorità, dal punto di vista sociale, giuridico e politico.

La donna si è vista ripetutamente oggetto di forti discriminazioni, giustificate da una sua presunta inferiorità fisica e intellettuale e che hanno fatto si che avesse dei ruoli limitati alla gestione della famiglia, alla cura dei figli e della casa.

Uno dei periodi in cui la donna fu privata di diritti fondamentali, fu quello del regime fascista.

Quello femminile era un ruolo molto limitato, con molti divieti. Essenzialmente la donna era vista come madre. Veniva, infatti, premiata quando aveva molti figli, perché regalava soldati alla patria, e discriminata qualora volesse impegnarsi in attività professionali. Col passare degli anni, pian piano la donna si è emancipata, ha ottenuto con dure battaglie i diritti di uguaglianza e con l'ingresso nel mondo del lavoro è riuscita ad ottenere anche l'autonomia economica che in passato non ha avuto. Ma se ai giorni nostri il ruolo femminile all'interno delle famiglie e della società intera è profondamente cambiato, non bisogna dimenticare tutti quei tratti che accomunano la donna di ieri a quella di oggi.

Con la mia tesina ho voluto confrontare la condizione della donna durante l'età fascista e quelle della donna odierna, mettere in relazione il suo ruolo sociale e familiare attuale con quello del passato; dimostrare che vi sono dei particolari problemi o situazioni di disagio che c'erano allora e vi sono ancora oggi, dovute allo stato di malessere in cui una donna può venirsi a trovare, anche se per cause diverse. Ho cercato di evidenziare quale enorme importanza avesse la donna durante l'età fascista all'interno della singola famiglia, nella scelta degli alimenti, nella preparazione dei cibi, nell'elaborazione di un menù adeguato nonostante le ristrettezze, la mancanza di viveri e il gran numero di bocche da sfamare. Il "Menù ottimale" dà poi un'idea di come il regime riuscisse ad  ingannare e a disorientare la popolazione riguardo la corretta alimentazione, mediante informazioni prive di ogni fondamento di educazione alimentare. Ho voluto ripercorrere l'evoluzione dei consumi alimentari negli ultimi cinquant'anni, fino ad arrivare ai giorni nostri, prendendo in considerazione i vari cambiamenti sociali, economici e culturali per fare un confronto sull'importanza della donna nelle scelte alimentari della famiglia dal periodo fascista a oggi.

Gli alimenti che, durante il regime maggiormente scarseggiarono furono il pane e la pasta, i preziosissimi componenti della tipica cucina mediterranea, che in ogni epoca e per qualsiasi individuo non perdono mai il loro immenso valore. Così, dal punto di vista chimico, ho fatto una rapida analisi dei polisaccaridi e dell'amido in particolare, di cui essi sono essenzialmente composti.

Ho scelto di far ruotare gli argomenti della tesina attorno alla donna perché, durante l'anno scolastico sono stati fatti spesso dei riferimenti riguardo il suo ruolo sociale dal punto di vista storico e letterario; le problematiche che la affliggono intese soprattutto come patologie, nello studio di scienze dell'alimentazione, chimica e lingua straniera, e mi hanno particolarmente interessata. Infatti credo che per ognuno sia importante capire, studiare e approfondire soprattutto ciò che lo riguarda in prima persona, quindi una donna ha interesse a conoscere quali enormi sacrifici si siano fatti per ottenere i diritti che ora possiede; in che condizioni si sia trovata a vivere; quali sono i problemi che maggiormente la riguardano.












La condizione della donna nella società fascista,

tra leggi discriminatorie e diritti negati


Per consolidare il proprio regime improntato sull'autoritarismo, Mussolini adottò una politica anti-femminista, che impose alla donna l'esclusivo ruolo di madre casalinga e facendo così della maternità oggetto di pubblica esaltazione, a sostegno della forza nazionalista dello Stato.

Le donne, intese come portatrici di interessi privati (familiari), furono così escluse da tutto ciò che aveva attinenza con la sfera pubblica.

Anche la questione demografica fu affrontata in nome del superiore interesse dello Stato, in termini di quantità anziché di qualità.

Allo scopo di incrementare le nascite lo stato fascista vietò l'uso di anticoncezionali e il ricorso all'aborto, nonché qualsiasi forma di educazione sessuale.

Ogni aspetto della vita delle donne fu subordinato agli interessi dello Stato, al punto da negare, in assoluto, ogni forma di emancipazione femminile.

Le femministe storiche, in testa alle quali si ricorda Anna Kuliscioff per la sua coraggiosa battaglia a favore del voto alle donne, dopo la sconfitta del 1925, furono costrette a volgere il loro impegno nel volontariato sociale o nell'attivismo culturale, ma con crescenti ostacoli e limitazioni.

Il diritto di famiglia, basato sulla supremazia maschile, precludeva alle donne ogni decisione di natura giuridica o commerciale (atti legali e notarili, stipule, contratti, firme di assegni e accensioni di prestiti), senza l'autorizzazione del marito o del padre.

La stessa tutela dei figli era esclusiva prerogativa maschile.

Dal 1926, con la soppressione di tutti i partiti politici, fenomeno che imbavagliò la stampa nonché l'attivismo femminista delle socialiste e delle giovani militanti del P.C.I., il regime riconobbe solo due movimenti femminili: quello fascista, che venne incoraggiato, e quello cattolico, che fu tollerato.

"Lo scopo di ogni donna è il figlio: la sua maternità psichica e fisica non ha che questo unico scopo". Così si legge in un manuale di igiene divulgato dal regime alla fine degli anni '30.

Le madri più prolifiche ottenevano addirittura riconoscimenti ufficiali e privilegi.

La funzione procreativa femminile determinò un progressivo allontanamento della donna dalla sfera pubblica.

La riforma della scuola fascista, che ai giorni nostri è ricordata ancora con il nome del suo promotore, Giovanni Gentile, Ministro dell'Educazione Nazionale dal 1922 al 1924, produsse una vera e propria defeminilizzazione del corpo insegnante, negando alla donna qualsiasi capacità come educatrice. Le donne non poterono accedere ai concorsi pubblici per insegnare lettere, latino, greco, storia e filosofia nei licei o italiano negli istituti tecnici.

Un decreto legge del '38, infine, impose una riduzione al 5% del personale femminile impiegato nella Pubblica Amministrazione, che rappresentò il culmine della discriminazione sessuale.

La controtendenza al fenomeno del calo occupazionale delle donne iniziò a manifestarsi solo nel 1940 e ad accentuarsi per tutta la durata della seconda guerra mondiale, quando gli uomini vennero chiamati alle armi e i loro posti di lavoro furono necessariamente ricoperti da mogli, sorelle e donne che si ritrovarono all'improvviso nella necessità di provvedere al sostentamento di famiglie con prole numerosa e private del capofamiglia.

La donna oggi nel mondo del lavoro:

parità di diritti e di trattamento economico


Durante il periodo fascista le donne lavoratrici non ebbero vita facile.

Nel 1927 i salari femminili vennero ridotti alla metà di quelli corrispondenti maschili, che avevano già subito una forte riduzione. Il vecchio slogan femminista che recitava "salario eguale per lavoro eguale" perse ogni valore: il lavoro femminile valeva esattamente la metà di quello di un collega, ed era già considerato tanto se non le veniva tolto del tutto.

Infatti, secondo l'ideologia fascista la "missione" della donna era una sola: "far figli, molti figli, per dare soldati alla patria", come ricordava sempre Mussolini nei suoi discorsi.

Per la donna dunque, relegata in casa a badare alla famiglia, non c'era posto nel mondo del lavoro. Furono addirittura emanate delle leggi per impedirle di svolgere un'attività extracasalinga.

Le assunzioni femminili notevolmente ridotte, l'esclusione da molti bandi di concorso, la limitazione a impieghi statali tra i meno qualificati e peggio retribuiti, portarono la percentuale delle donne che svolgevano un'attività lavorativa dal 32,5 al 24% in quindici anni.

Le condizioni lavorative per la donna rimasero sfavorevoli per parecchio tempo. Soltanto con una legge del 1977 intitolata "Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro" venne riconosciuto a livello legislativo il principio generale di parità di diritti, con la predisposizione di strumenti idonei a contrastare le discriminazioni sul lavoro.


Pertanto oggigiorno la lavoratrice beneficia degli stessi diritti di un qualsiasi lavoratore:

Diritti patrimoniali: alla retribuzione; al Trattamento di Fine Rapporto; ad indennità speciali

Diritti personali: al riposo settimanale e alle ferie annuali; all'integrità fisica e alla salute;        all'adempimento di funzioni pubbliche; di studio per le studentesse.

Diritti sindacali: di sciopero; di assemblea; di referendum; di costituire rappresentanze sindacali; libertà di organizzazione e di attività sindacale.

Inoltre non và dimenticata la tutela della maternità, sia per quanto riguarda la salute fisica della lavoratrice madre, che per quanto concerne la sua funzione sociale, oggi regolamentata dal Decreto Legislativo 151 del 2001.

La mamma non può essere licenziata né sospesa dal lavoro nel periodo che va dall'inizio della gravidanza fino al compimento del primo anno di età del figlio. Dall'accertamento della gravidanza e fino a sette mesi dopo il parto è vietato adibire la lavoratrice al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché a lavori pericolosi, faticosi e insalubri. Inoltre fino al compimento di un anno di età del bambino, è vietato affidare alle donne turni di lavoro notturno.




Durante i periodi di astensione dal lavoro (obbligatoria, facoltativa, per malattia del figlio) continua a maturare l'anzianità di servizio e durante il periodo di astensione obbligatoria matura anche il diritto alle ferie e alla tredicesima.

Le donne devono astenersi dal lavoro nei due mesi precedenti la data presunta del parto (tre mesi prima per le attività gravose) e nei tre mesi successivi alla nascita del bambino. Oggi è possibile adattare questo periodo il più possibile ai suoi desideri e al suo stato di salute. Può infatti restare a lavoro fino all'ottavo mese di gravidanza (anziché fino al settimo), per dedicarsi al bambino per i primi quattro mesi anziché tre. Naturalmente questo solo se non vi sia pericolo per la salute della donna e del bambino.

Per tutto il periodo di astensione obbligatoria alle lavoratrici dipendenti è corrisposta un'indennità pari all'80% della retribuzione. La maggior parte dei contratti collettivi prevede però l'integrazione a carico del datore di lavoro, fino ad arrivare al 100% dello stipendio.

Per tutto il primo anno di vita la madre ha diritto, ogni giorno, a due periodi di un'ora ciascuno, anche cumulabili (uno solo se l'orario di lavoro è inferiore alle sei ore) per accudire il figlio.
Può assentarsi dal lavoro nel caso di malattia del figlio (che deve essere attestata da un medico specialista) senza limiti di tempo se il bimbo ha meno di tre anni, per cinque giorni lavorativi all'anno se l'età è compresa tra i tre e gli otto anni. I permessi non sono retribuiti, ma vi è una copertura contributiva nei primi tre anni di vita del bambino.




















L' anorexie mentale, un problème lié aux conditions de malaise de la femme


La femme, donc, vivait en cette période des situations qui devenaient souvent insoutenables.

En beaucoup de cas il fu vraiment la grave condition de malaise, avec la société et avec soi-même, à déterminer le surgir d'un trouble qu'aussi à nos jours il est répandu amplement: l'anorexie mentale.

Cette maladie répond à une volonté active de restreindre son alimentation et de perdre du poids, survenant généralement en réponse à un conflit d'ordre psychique.

Si le sujet présente des crises de boulimie, des vomissements et recourts à des purgatifs, on différenciera l'anorexie de type « anorexie-boulimie » de l'anorexie de type « restrictif ».

C'est un trouble qui touche de 1 à 2% des femmes.

Cette pathologie concerne essentiellement les jeunes filles, trés souvent à l'age de douze, dix-huit ans, mais il peut apparaitre à tous les ages, parfois aussi dans les fillettes de neuf, dix ans. L'anorexie modifie progressivement la vie et l'environnement des personnes qui en souffrent. La maigreur du corps est rapidement perçue par l'environnement, les souffrances psychiques et physiques en revanche ne sont perçues que progressivement.

L'anorexie correspond notamment à un trouble important de la perception de l'image du corps.

Il y a des différences essentielles entre l'anorexie classique et l'anorexie mentale.

En général, l'anorexie est un symptôme observé en médecine qui correspond à une perte de l'appétit. Ce symptôme peut s'observer dans nombreuses maladies organiques et psychiatriques.

Lorsq'il est associé à une asthenie et à un amaigrissement, on parle d' "altération de l'état général". En psichiatrie, l'anorexie est un des symptômes principaux du sindrome dépressif.

Quelle qu'en soit la cause, il peut conduire à la malnutrition et à ses complications.

Paradoxalement l'anorexie mentale, n'est pas une anorexie au sens classique. En effet elle est une maladie qui se caractérise notamment par une perte de poids importante, mais la perte de poids est liée à une restriction alimentaire volontaire, alors que l'appétit est conservé.

Dans l'anorexie mentale, le patient lutte contre la faim, tandis que dans l'anorexie il a perdu l'appétit.














L' alimentazione nell'età fascista:

la donna tra la cucina degli stenti e la lotta al pane


L'alimentazione degli italiani sotto il fascismo iniziò ad essere scarsa ben prima dell'aggressione italiana all'Etiopia. I problemi alimentari cominciarono dal pane, elemento base della dieta nazionale. Appena salito al potere, Mussolini dovette registrare un allarmante calo della produzione di frumento e nonostante la cosiddetta "battaglia del grano" l'incremento della produttività agricola risultò insufficiente e circoscritto soprattutto al Nord. Specialmente al Sud, si ricorreva a surrogati della farina di frumento; il pane era prodotto con una miscela di farina di lenticchie, d'orzo e di cicerchie. Ma anche nel resto dell'Italia, il pane bianco era privilegio di pochi e la propaganda si affrettò a screditarlo. Nero e scarso, il pane del Ventennio era per giunta salato, nel senso che era caro in rapporto ai salari (nel '26 costava 2,50 lire al Kg); tanto che diventò uno dei principali argomenti agitati dall'opposizione antifascista. Anche la pasta era insufficiente e, per limitare le importazioni di frumento, venne incoraggiato il consumo di riso che al contrario, abbondava.

L'autarchia fascista entrò anche in cucina, inventando surrogati ed eliminando pietanze ormai introvabili. Con l'entrata in guerra fu introdotto il razionamento e la religione del risparmio raggiunse il suo apice. Nelle riviste femminili le donne italiane trovarono ricette per riciclare bucce e torsoli di mele, gambi di prezzemolo e di cavolfiore. Nulla andava buttato via, tutto poteva trasformarsi in surrogati. Si trovò persino la maniera per fare la crema senza uova, la marmellata senza zucchero e l'insalata senz'olio, mentre la farina di castagne suppliva il colore del cioccolato.

Il caffè venne bandito, ma comunque dopo il '40 era divenuto praticamente introvabile persino per i benestanti. Circolava solo qualche piccola quantità di caffè non tostato, forse proveniente dalla Svizzera. Dal 1943 venne a mancare anche la frutta meridionale mentre la frutta di produzione locale non era commercializzata oppure aveva prezzi elevati.

A partire dal '41 la situazione andò progressivamente aggravandosi e nelle città bombardate cominciò ad aggirarsi lo spettro della fame.

Più della metà del reddito, di un italiano medio, era speso in consumi alimentari ma la sua alimentazione era essenzialmente a base di farinacei, mangiava carne e beveva latte una o due volte la settimana, considerava genere di lusso il caffè, il tè e lo zucchero.

La donna ai fornelli, solitamente con una famiglia numerosa da sfamare, si trovava spesso in difficoltà nel dover comporre un pasto adeguato senza le opportune disponibilità di alimenti.

Scoppiò una violenta rivolta in seguito alla diminuzione giornaliera della razione individuale di pane, ulteriormente ridotta a 150 grammi, sebbene Mussolini avesse promesso di non abbassare le razioni alimentari. Le donne formarono dei cortei spontanei in molte vie delle città. Al cosiddetto "sciopero del pane" manifestarono numerosissime e molte di loro furono arrestate.



"Il Menù Ottimale"


Le riviste aziendali raccomandavano:

Altro menù che veniva propagandato come ottimale per una alimentazione che nella massima parte dei casi, era sufficiente per le necessità organiche individuali, era quello che forniva al mattino 250 c.c. di latte con poco zucchero e con una piccola porzione di pane; a pranzo 70/80 g. di formaggio, con una pagnotta di medio formato e poco più di 200 g di frutta; a cena un piatto di minestra con 75/90 g di riso poco condito, 60 g di carne e di ortaggi, poca frutta ed un paio di pagnottelle comuni con l'aggiunta di un bicchiere di vino per un totale di circa 2600 calorie.

Ovviamente queste raccomandazioni dietetiche non erano in linea con i principi di una sana ed equilibrata alimentazione.

La raccomandazione alla frugalità, gli argomenti usati dai dietisti per limitare il consumo della pasta e aumentare quello del riso che sovrabbondava, il principio sovrano per cui "si muore più facilmente di indigestione che di fame" avevano un valore più consolatorio che didattico, calavano su una realtà sociale che già considerava il vitto una conquista difficile e la voracità una colpa.


Le pietanze preparate più di frequente erano semplici, costituite dalla poca varietà e quantità di alimenti che le madri di famiglia avevano a disposizione. Soprattutto tra le famiglie contadine era diffuso il piatto unico.






















L' evoluzione dei consumi alimentari fino ai giorni nostri :

cambia il concetto di « famiglia » e dei compiti della donna al suo interno


Il passaggio da una società prevalentemente rurale ad una industriale, ha modificato, nel corso degli anni, l'economia italiana, migliorando il tenore di vita della popolazione e incidendo notevolmente sulle scelte alimentari.

Se prima il consumatore era anche il diretto produttore degli alimenti che consumava, o comunque si orientava in un mercato piuttosto limitato, dagli anni '50 in poi la scelta dei prodotti diventa sempre più ampia, sia per le innovazioni nel settore agricolo e per lo sviluppo dell'industria, sia per l'ingresso nel mercato di prodotti esteri.

Periodo contrapposto a quello fascista è quello che và dal 1955 al 1970, in cui si ebbe il cosiddetto « boom economico ». Si raggiunse un certo benessere che si riflettè sulle scelte di vita : automobile, vestiti firmati, televisore e altri elettrodomestici cibi in quantità abbondante.

Vi fu così una sorta di rifiuto, più o meno consapevole, dei prodotti meno cari come pasta, pane e legumi, considerati « da poveri ».

Mangiare bene e molto diventò segno indiscusso di un raggiunto benessere economico.

Soprattutto per i giovani lo stile di vita e le abitudini alimentari degli americani diventarono un modello di riferimento.

Aumentò notevolmente il consumo di carne, in particolare di quella bovina, privilegiando i tagli costosi quali bistecca e roast-beef.

Rimasero notevoli le differenze fra i consumi alimentari del nord rispetto a quelli del meridione, sia dal punto di vista qualitativo (nel sud prevaleva la cucina povera « mediterranea », basata su cereali, pesce, legumi e ortaggi) ; sia dal punto di vista quantitativo (al nord si spendeva molto di più per l'acquisto dei generi alimentari).

Gli anni successivi, fino al 1978, furono caratterizzati dalla crisi del petrolio e dall'aumento dell'inflazione con un incremento dei prezzi (periodo dell'austerity). Fu proprio in questi anni che si potè assistere ad un progressivo inserimento della donna nel mondo del lavoro, che determinò una sostanziale modifica delle abitudini alimentari delle famiglie.

Venendo spesso a mancare la classica figura femminile ai fornelli, tutta la famiglia si ritrovò costretta a doversi assumere il compito della preparazione dei pasti. Alle pietanze ricche e laboriose si sostituirono piatti più semplici e di rapida preparazione, all'insegna della praticità. Scomparve la diffidenza verso i prodotti surgelati e precucinati, che consentivano di ridurre notevolmente i tempi di permanenza in cucina. Diminuì il consumo di carni rosse, mentre aumentò quello delle carni cosiddette « alternative » come pollo, coniglio e maiale.

Il pranzo, che finora aveva sempre visto riunita tutta la famiglia attorno al tavolo, lasciò spesso il posto al pasto in mensa o si trasformò in un rapido spuntino. La cena divenne l'unico momento in cui tutti i membri della famiglia si ritrovavano per mangiare insieme.

Alla fine degli anni '70 si verificò un'inversione di tendenza caratterizzata dal desiderio di riappropriarsi delle tradizioni gastronomiche , dei sapori e della genuinità di una volta. Le cause di questo voler ritornare al passato si possono ritrovare innanzitutto nelle più adeguate conoscenze che portarono al formarsi di una « coscienza alimentare ».Soprattutto per le donne si ebbe una maggiore consapevolezza dei rischi connessi ad un'errata alimentazione e si diffuse una certa mentalità che imponeva particolare attenzione alla cura del proprio corpo e alla propria prestanza fisica.




Furono introdotti nel mercato numerosi prodotti arricchiti di vitamine e sali minerali, a basso tenore di grassi e/o di colesterolo, addolciti con dolcificanti (light).

Si ebbe una rivalutazione della famiglia e della casalinga, che tornò ad essere vista dalla donna come un'occupazione in cui si poteva realizzare al pari di altre.

Si ritornò ai cibi poveri e semplici della dieta mediterranea ; si arrestò il calo di cereali e derivati ; aumentò il consumo di latte, formaggi e uova, mentre rimase stabile quello della carne. Vi fu un costante aumento del consumo di patate, frutta e ortaggi. Tra gli alcolici si diffuse notevolmente la birra. Trovarono di nuovo spazio i prodotti antichi della tradizione, come l'orzo e il farro.

A questo ritorno al passato si affiancò però, una nuova tendenza al consumo dei pasti fuori casa : fast-food, pizzerie e ristoranti diventarono luoghi di incontro per stare insieme e socializzare.

Dagli anni '90 il consumo dei pasti fuori casa è sempre più diffuso. Questo a causa di numerosissimi fattori :

- il sempre maggior impiego extradomestico femminile ;

- la lontananza di fabbriche, facoltà universitarie, grosse attività commerciali dai centri abitati, che rendono impossibile il rientro a casa durante l'intervallo per il pranzo e quindi obbligatorio il pasto in mensa o comunque presso centri di ristorazione ;

- per bambini e studenti il consumo del pasto nella mensa scolastica (scuole materne o elementari e medie per le lezioni pomeridiane) ;

- il diffondersi di una mentalità che vede sempre più il cibo come uno status symbol. Di conseguenza ognuno non solo è quello che mangia ma è importante anche il « dove » lo mangia : un ristorante particolarmente di lusso o un fast-food di moda tra i giovani.

Per quanto riguarda i consumi, nell'ultimo ventennio vi è stata una diminuzione di pane, uova e zucchero ; un leggero calo del latte fresco dovuto sia all'utilizzo dell'UHT, sia alla diminuzione dei priincipali consumatori (bambini e ragazzi).

E' aumentato il consumo di acqua minerale, birra, bevande analcoliche ma anche di superalcolici, soprattutto tra le donne e i giovani.

Il settore ortofrutticolo è rimasto stabile, così come quello del pesce, dei salumi, dei formaggi e del gelato. E' incrementato l'utilizzo di carni bianche e suine.

Vi è stato e vi è tuttora, un crescente aumento del consumo di tutti quei prodotti che consentono di ridurre i tempi di preparazione e cottura dei cibi. Soprattutto negli ultimi anni si è enormemente allargato il mercato del biologico e dei prodotti « naturali ».

Oggi, a differenza del passato, non è più unicamente la donna a determinare le scelte alimentari della famiglia. La famiglia è cambiata, è cambiato il suo ruolo nella società e il ruolo di ogni singolo componente all'interno di essa. La donna che lavora non è più in grado di tenere sotto controllo l'alimentazione dei propri cari ma ognuno sceglie per se stesso cosa, quando e dove mangiare. Per le famiglie in cui invece vi è la tradizionale madre-moglie-casalinga, di solito è ancora la donna ad occuparsi dell'alimentazione dell'intero nucleo familiare : è lei che ha il compito di fare la spesa cercando il miglior rapporto qualità/prezzo e di elaborare e preparare i pasti in base alle necessità e ai gusti della famiglia, sempre in base alla disponibilità di alimenti ma con maggiori conoscenze riguardo la corretta alimentazione rispetto a quelle che vi erano in passato.




L' amido:

una preziosa risorsa energetica per l'organismo umano


Durante il regime fascista vennero a mancare anche quegli alimenti più semplici, tipici della tradizione alimentare italiana, quali il pane e la pasta. Alimenti ricchi di amido e quindi di fondamentale importanza per un'alimentazione equilibrata.

L'amido fa parte dei polisaccaridi, i glucidi più rappresentati in natura, in particolare nei vegetali dove svolgono funzioni di riserva, di sostegno e protezione.

Sono formati dall'unione di numerose molecole di monosi, uniti con legame glicosidico.

Sono poco solubili o insolubili in acqua e privi di sapore dolce.

In base alla struttura chimica possono essere classificati in omopolisaccaridi se formati da uno stesso monoso ed eteropolisaccaridi quando i costituenti sono diversi.

L'amido è il componente principale dell'alimentazione umana, essendo il costituente essenziale di cereali legumi, tuberi e loro derivati.

Rappresenta la riserva energetica delle piante fotosintetiche, che lo immagazzinano nei semi, nei tuberi e nelle radici.

E' un polimero dell'α-(D)-glucosio, costituito da due forme differenti : amilosio e amilopectina.

L'amilosio è disposto all'interno dei granuli dell'amido. Le molecole di glucosio, che vanno da 50 a 300, sono unite con legami α-1,4 e assumono una disposizione a elica.

L'amilopectina è costituita da 300-5000 unità di glucosio. Ha una struttura ramificata determunata dall'instaurazione, ogni 25-30 molecole di glucosio, di legami α-1,6 glicosidici. Costituisce una struttura globulare, finemente spugnosa, che la rende insolubile in acqua e che è responsabile del rigonfiamento dei granuli.

L'amido viene parzialmente idrolizzato dall'azione delle amilasi.

Nella saliva e nel succo pancreatico è presente l'α-amilasi che idrolizza i legami α-1,4 glicosidici interni, frazionando l'amilosio e l'amilopectina in spezzoni sempre più piccoli.

L'α-amilasi riesce a idrolizzare completamente l'amilosio a maltosio, ma non è in grado di spezzare i legami α-1,6 dell'amilopectina.

Il residuo che rimane prende il nome di « destrina limite » o « α-destrina ».

Questa, per poter essere completamente idrolizzata, deve subire l'azione di un enzima deramificante, l'α-1,6-glicosidasi » o « α-destrinasi ».

Le destrine sono quindi dei polisaccaridi che si formano per idrolisi parziale o per riscaldamento dell'amido. In quest'ultimo caso assumono una colorazione sul giallo più o meno intenso, che possiamo riscontrare nella crosta del pane.








Alimenti amidacei


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