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Introduzione generale alla poetica di Luigi Pirandello




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Introduzione generale alla poetica di Luigi Pirandello


1. Il FATTO dal Verismo al Decadentismo

Al centro, sia della concezione verista che di quella del Decadentismo, e quindi dell'umorismo pirandelliano, troviamo il fatto, ciò che è accaduto secondo la volontà o indipendentemente dalla volontà dei protagonisti. All'interno del verismo il fatto viene rappresentato come l'accadimento in atto, anello di una catena nella quale ogni fatto è conseguenza di quello precedente e causa di quello seguente. Non se ne indagano le cause e non se ne cercano le conseguenze perché cause e conseguenze sono naturali e indipendenti dalla volontà` dell'individuo, che deve subirle senza ribellarsi, se non vuole cadere in una condizione sociale peggiore della precedente. In Verga sono i fatti e la condizione sociale che determinano le caratteristiche del personaggio, imponendogli un certo modo di agire, spesso disumano e lontano da un qualche fondamento di ragionevolezza: sul piano del fatto ricchi e poveri sono sottomessi allo stesso destino, in quanto già alla nascita la loro condizione è segnata da limiti precisi ed invalicabili, contro i quali è inutile ribellarsi, limiti che ne determinano lo stato di vinti.

Pirandello invece prende coscienza, fin dai primi anni della sua produzione letteraria, che il fatto ma doveva essere indagato e analizzato nelle sue cause e proposto soprattutto nelle sue conseguenze.

Nei primi anni della produzione pirandelliana, è il fatto in sé ad avere peso, come nel verismo, non le sue conseguenze, che però vengono vissute direttamente e mai subite passivamente, come accade ai personaggi di Verga.

In linea generale possiamo definire la struttura verista come una catena circolare di fatti nella quale ciascun fatto è conseguenza del precedente e causa di quello susseguente secondo gli schemi seguenti, circolare chiusa o a catena chiusa. I seguenti due schemi mostrano visivamente la differenza tra la struttura verista e quella usata da Pirandello:



2. Il concetto di realtà dal Verismo al Decadentismo

Il dramma rappresentato da Pirandello rimane sempre quello della realtà: erede di Capuana e Verga, egli parte dalle ragioni profonde del verismo e del naturalismo, nelle quali gli scrittori credevano di aver trovato una dimensione oggettuale assoluta del personaggio valida per tutti e indiscutibile. Anche i personaggi pirandelliani sono tratti dalla quotidianità esistenziale e in una forma o nell'altra si realizzano come esseri viventi, o esistenti, ma essi non sono soltanto persone: sono personaggi che esprimono una profonda conflittualità morale e spirituale, oltre che sociale, nella quale scompaiono tutte le certezze che hanno caratterizzato i veristi e nella quale si dibattono lottando per cercare una soluzione a loro modo definitiva.

Nel conflitto tra l'essere secondo i propri bisogni e l'esistere secondo la forma che viene data al personaggio dagli altri, il fenomeno della realtà oggettuale e concreta resta una chimera irraggiungibile e sfugge ad ogni presa: questo conflitto e la impossibilità di raggiungere la realtà è il fondamento del dramma dei personaggi nell'opera pirandelliana e dell'uomo del Novecento.


Tutta l'esistenza si fonda sul dilemma: o la realtà ti disperde e disintegra, o ti vincola e ti incatena fino a soffocarti.
Ciascun personaggio può conoscere soltanto quella particella di realtà alla quale riesce a dare una forma, per cui ognuno potrà riconoscersi nella forma che si dà e mai nella forma che gli viene data:

La realtà che io ho per voi è nella forma che voi mi date; ma è realtà per voi e non per me; la realtà che voi avete per me è nella forma che io vi do, ma è realtà per me e non per voi; e per me stesso io non ho altra realtà se non quella forma che riesco a darmi. E come? ma costruendomi, appunto.

L'unica realtà valida e possibile è, dunque, quella che ciascun personaggio riesce a costruirsi, dando alle cose una forma che è valida solo per lui e che resterà in piedi fino a quando dureranno la perseveranza e la forza di volontà di continuare, oltre la costanza dei sentimenti: basta che queste caratteristiche vacillino un po', e subito le belle costruzioni cominciano a sgretolarsi.


3. Realtà - Non realtà

Anche in questo caso abbiamo due distinte dimensioni, perché ciascuno vede la realtà secondo le proprie idee e i propri sentimenti, in un modo diverso da quello degli altri: a fronte della realtà esterna che si presenta una e immutabile, abbiamo le centomila realtà interne di ciascun personaggio, per cui la vera realtà è nessuna. I due aspetti sono:

la dimensione della realtà oggettuale, che è esterna agli individui e che apparentemente è uguale e valida per tutti, perché presenta per ognuno le stesse caratteristiche fisiche ed è la non-realtà inafferrabile e non riconoscibile: ciò che resta nell'anima dell'individuo è la sua disintegrazione in tante piccole parti quante sono le possibilità concrete dell'individuo di vederla;

) la dimensione della realtà soggettuale, che è la particolare visione che ne ha il personaggio, dipendente dalle condizioni sia individuali che sociali, ed abbiamo tante dimensioni quanti sono gli individui e quanti sono i momenti della vita dell'individuo.

Per i personaggi pirandelliani non esiste, quindi, una realtà oggettuale, ma una realtà soggettuale, che, a contatto con la realtà degli altri, si disintegra e si disumanizza, come avviene per Moscarda, il protagonista del romanzo Uno nessuno centomila, che scopre all'improvviso di non essere più quello che credeva dal momento in cui la moglie Dida gli dice che ha il naso che pende verso destra: un banale accidente che lo porterà a capire che gli altri lo vedono in un modo diverso da come lui si era sempre visto. Avremo, quindi:

a)     come la realtà è vista dal personaggio;

b)     come la realtà esterna si impone al personaggio;

c)     c) come il personaggio crede che gli altri vedano la realtà.




4. Concetto di Umorismo

Per analizzare l'opera pirandelliana è innanzitutto importante capire il concetto di umorismo, perché questo diventa lo strumento con cui rappresentare, nella narrativa o sulla scena teatrale vicende e personaggi. Per una maggiore chiarezza, serviamoci delle stesse parole che Pirandello usa nel Saggio sull'umorismo del 1908:

Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca (composizione di olii vari, ndr.), e poi tutta goffamente imbellettata e parata di abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi cosi come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s'inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. ed è tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico.

L'umorismo è, quindi, un processo di rappresentazione della realtà, delle vicende e dei personaggi; la riflessione non è un elemento secondario, ma assume un ruolo di notevole importanza, perché è solo attraverso di essa che possiamo capire la vicenda che si svolge sotto i nostri occhi.

La riflessione è 'come un demonietto che smonta il congegno delle immagini, del fantoccio messo su dal sentimento; lo smonta per vedere come è fatto; scarica la molla, e tutto il congegno ne stride convulso', come stridono i personaggi sotto l'occhio acuto dello scrittore; ed è sempre attraverso la riflessione che i vari elementi della struttura dell'opera vengono coordinati, accostati e composti, sfuggendo al caos delle sensazioni e dei sentimenti.
 Da questa scomposizione nasce quello che Pirandello chiama avvertimento del contrario.

Con l'umorismo nasce una nuova visione della vita, senza che si crei un particolare contrasto tra l'ideale e la realtà, proprio per la particolare attività della riflessione, che 'genera il sentimento del contrario, il non saper più da qual parte tenere'.Il sentimento del contrario distingue lo scrittore umorista dal comico, dall'ironico, dal satirico, perché assume un atteggiamento diverso di fronte alla realtà:

- nel comico manca la riflessione, per cui il riso, provocato dall'avvertimento del contrario, è genuino, ma sarebbe amaro in presenza della riflessione, perché questa toglierebbe il divertimento e porterebbe alla coscienza del dramma della condizione umana;

- nell'ironico la contraddizione tra momento comico e momento drammatico è soltanto verbale: se fosse effettiva non ci sarebbe più ironia e la 'battuta' perderebbe la sua naturalezza, che è quella di dire l'opposto di quel che si pensa e che si vuol far capire, ma facendo intuire comunque la verità;

· - nel satirico con la riflessione 'cesserebbe lo sdegno o, comunque, l'avversione della realtà che è ragione di ogni satira'; la satira, infatti, mette in evidenza i difetti degli uomini, cogliendone gli aspetti più negativi e turpi, con l'intento di riportare gli uomini sulla retta via.

Con l'umorismo, e quindi con la riflessione, si entra più profondamente nella realtà:

In questa nuova visione della realtà si verifica lo scontro tra l'illusione, che costruisce a suo modo, e la riflessione, che scompone una ad una quelle costruzioni; ma gli effetti sono diversi nei differenti approcci con la realtà:

Ciascuno vive la propria vicenda in una condizione di distacco dagli altri personaggi, come in un proprio mondo, tutti sottomessi alle medesime regole, ma ciascuno coi propri sentimenti e con la propria visione della vita, coi propri concetti di vero e di falso, di reale e di normale, di bello e di brutto, di giusto e di ingiusto: ciascuno con le proprie speranze e le proprie illusioni, e l'illusione più alta e profonda è che la propria realtà sia quella vera e la sola vera.

Oggi siamo, domani no. Che faccia ci hanno dato per rappresentare la faccia del vivo. Un brutto naso? Che peso doversi portare a spasso un brutto naso per tutta la vita Maschere, maschere un soffio e passano, per dar posto ad altri Ciascuno si racconcia la maschera come può. La maschera esteriore, perché dentro poi c'è l'altra, che spesso non si accorda con quella di fuori. E niente è vero! Vero il mare, sì, vera la montagna, vero il sasso, vero un filo d'erba; ma l'uomo? Sempre mascherato, senza volerlo, senza saperlo di quella tal cosa che egli in buona fede si figura di essere: bello, buono, grazioso, generoso, infelice, ecc. E questo fa tanto ridere a pensarci.

.Pirandello guarda dentro la vicenda e i personaggi, ed agisce come il bambino che rompe il giocattolo per vedere come è fatto dentro. Nell'umorismo, quindi, distingue un aspetto comico che deriva dall'avvertimento del contrario e un aspetto umoristico o drammatico che deriva dal sentimento del contrario; il primo è esterno all'uomo e facilmente visibile, per cui ciascuno è capace di coglierlo; il secondo è invece interno all'uomo, ma non può essere colto se non attraverso la riflessione: riassumiamo tutto nello schema 3, o schema dell'umorismo:

avvertimento del contrario                                                sentimento del contrario

RIFLESSIONE ^

aspetto comico aspetto drammatico
^ ^
riso pianto
^ ^
avvenimento                                                                                         avvenimento

(L'avvertimento del contrario è generato dalla riflessione che scaturisce dall'aspetto comico insito nei fatti, come il sentimento del contrario è generato dalla riflessione che scaturisce dall'aspetto drammatico)

È da sottolineare, infine, che mentre tutti possono percepire l'aspetto comico in quanto ognuno può avvertire che una cosa avvenga o che un personaggio si comporti in modo contrario a ciò che tutti ritengono normale, il drammatico-umoristico viene capito e sentito solo da coloro che usano la riflessione, e comunque non dalla massa in quanto questa segue regole generali accettate supinamente e non i singoli individuali bisogni; per Pirandello ciascuno ha un proprio modo di attualizzare la riflessione, perché i bisogni personali sono assolutamente individuali.
Per questo motivo, la situazione di Belluca nella novella Il treno ha fischiato è comica per la massa che ride delle stramberie del personaggio, che riscopre la vita dopo anni in cui è vissuto come un vecchio somaro, ubbidiente e sottomesso, preso in giro da tutti, e drammatica per Pirandello che vede nella reazione di Belluca e nelle sue 'stramberie' l'improvvisa ribellione alla forma che uccide la vita, alla maschera imposta dagli altri e dal destino, e infine alla alienazione nella quale lo costringono le norme e le forme della società, per cui il nuovo modo di essere di Belluca non può che apparire naturalissimo.



5. Normalità-Anormalità

Da quanto abbiamo detto a proposito dell'umorismo, appare chiaro che, attraverso la riflessione, giungiamo a cogliere l'aspetto normale o anormale della vita e degli atteggiamenti dei personaggi

Generalmente, intendiamo per normalità, secondo la massa, tutto ciò che viene fatto e pensato in basi a leggi, norme e consuetudini che l'uomo ha creato per regolare la propria vita e soprattutto per perpetuare un determinato stato di cose, una determinata condizione sociale, economica, spirituale, materiale, ecc. È, quindi, anormale, sempre secondo la massa, tutto ciò che non segue le regole prescritte.

Secondo Pirandello, è normale non ciò che risponde alle norme, ma ciò che da ciascuno viene fatto seguendo i propri intimi bisogni, e sono questi bisogni che portano l'uomo sulla via del progresso

Il personaggio tende a ribellarsi quando si rende conto che l'osservanza delle norme gli impedisce di vivere una vita decorosa e di migliorare la propria condizione.

L'anormalità per Pirandello, è il seguire ciecamente le norme anche quando queste impediscono all'uomo di vivere, permettendogli solo di esistere.

In generale il personaggio conduce una vita anormale quando risulta totalmente asservito alle regole, senza che nemmeno per un istante l'anima possa soddisfare almeno il suo bisogno fondamentale: quello di vivere senza essere sottomesso passivamente alle regole fino a perdere ogni dignità, fino a diventare un 'vecchio somaro' che gira la stanga della nòria d'un vecchio mulino con tanto di paraocchi, senza sentire che un po' più in là c'è la vita. La reazione, scatenata da un accidente qualsiasi, come il fischio del treno, lo strappo di un filo d'erba, una frase ingenuamente pronunciata, l'inciampare contro un sassolino per strada, serve a portare l'individuo in una dimensione più umana, perché libera da condizionamenti esterni.

Il personaggio, come Enrico IV o Ciampa, Belluca o Chiàrchiaro, nella sua ribellione contro le regole rifiuta la realtà imposta dalle norme, perché in essa ogni possibilità di vita si cristallizza nella forma, come vedremo più avanti.

La ribellione si realizza in due modi:

- circoscritta al personaggio senza coinvolgimento diretto di altre persone se non in modo occasionale, come il caso di Belluca ne Il treno ha fischiato, nel quale la reazione contro il capufficio rappresenta la reazione contro la situazione generale negativa;

- coinvolgendo direttamente la massa, come nella novella La patente, nella quale Chiàrchiaro, ritenuto da tutti uno jettatore, perde il lavoro e la possibilità di vivere una vita decorosamente accettabile, spingendo la propria ribellione fino a sfruttare la stessa superstizione popolare che lo ha costretto all'isolamento.

Per capire l'opera pirandelliana, e il fondamento stesso della vita sociale della prima metà del Novecento, bisogna, quindi, ribaltare il concetto di normalità-anormalità, nel quale la normalità pirandelliana non è solo il banale rifiuto della norma, ma il suo superamento, che ha come obiettivo i grandi valori umani, che sono i veri bisogni da soddisfare.




6. Il personaggio pirandelliano

Occorre innanzitutto fare una distinzione fra persona e personaggio.

a)     - La persona è l'individuo libero, non ancora sottoposto alle norme di qualsiasi provenienza esse siano; vede la realtà in maniera oggettiva e fonda la propria vita sulla convinzione, o perlomeno sull'opinione, che la realtà stessa venga vista e sentita allo stesso modo anche dagli altri. La persona, libera ed informe, può assumere una forma, costretta dall'esterno o spinta da un impellente bisogno interno. Una caduta da cavallo provocata da un rivale (costrizione esterna) fa assumere a una persona, senza nome nella realtà, la figura di Enrico IV, ch'essa stava accidentalmente rappresentando durante una festa carnevalesca in costume medievale; una volta guarita, rendendosi conto della realtà e del comportamento di coloro che aveva ritenuto amici e che avevano agito e tramato contro di lui, assume definitivamente e volontariamente la figura di Enrico IV (bisogno interno), non tanto per sfuggire alle norme e alla comune giustizia (dopo aver smascherato e ucciso Belcredi, suo rivale in amore ma anche amico di gioventù e di bagordi), quanto per vivere un'esistenza finalmente in linea con i bisogni del suo spirito, dopo il riconoscimento del fallimento e del tramonto stesso della sua esistenza.

- Il personaggio, invece, nella vita come nella fantasia creatrice dello scrittore, è l'individuo fissato in una forma, che compie sempre gli stessi gesti per l'eternità o finché non entra in un'altra forma. Il personaggio, sottoposto a norme fisse ed inderogabili, porta una tragica maschera, recita sempre le stesse battute, portando un mondo di sentimenti che gli altri non avranno mai la forza di penetrare e di rivelare:

1) - la vera forma dell'esistenza è quella del personaggio, anche se nell'opera pirandelliana abbiamo un fluire continuo dalla persona al personaggio e viceversa. Tipico esempio è il dramma Sei personaggi in cerca d'autore, nel quale troviamo la netta distinzione tra i sei personaggi e gli attori, persone che non sono ancora entrati nella parte, che nulla rappresentano e che, soprattutto, non hanno alcuna forma. In generale possiamo affermare, anche se un po' schematicamente, che nell'opera pirandelliana a una prima parte in cui vediamo agire individui che sono ancora persone, corrisponde una seconda parte, in cui le persone assumono tutte le caratteristiche dei personaggi;
2) - La fantasia creatrice dello scrittore domina sui personaggi, e non viceversa, come la natura domina sugli esseri umani e crea uomini e cose. Per questo molti critici hanno parlato di una ostilità di Pirandello nei confronti dei suoi personaggi, come se questi gli scatenassero dentro un senso di ripugnanza, perché visti nelle loro miserie e debolezze.

Il contrasto fra Pirandello e i suoi personaggi nasce dalla volontà dello scrittore di mettere a nudo l'anima dei personaggi, di scomporne l'apparente impassibilità e indifferenza di fronte ai casi della vita e di capirne l'intima composizione per metterne in mostra la loro vera forma che si concretizzerà una volta per tutte. Ed è contro questo atteggiamento dell'artista che i personaggi tendono a ribellarsi, a mostrarsi insofferenti, per impedire la spietata analisi che inevitabilmente ne metterà a nudo miserie e grandezze, ma anche per essere descritti così come essi si sentono e sono veramente dentro.


7. Rapporti tra personaggi

Il personaggio non ha nessun'àncora di salvezza, nessuno scoglio cui aggrapparsi per mutare la propria maschera o per andare oltre i limiti imposti dalla fantasia creatrice dello scrittore: non ha nessuna possibilità di instaurare rapporti umani con gli altri personaggi, perché ciascuno è obbligato a recitare la sua parte indefinitamente e indipendentemente da quella rappresentata dagli altri: deve accontentarsi, rassegnarsi a recitare la propria parte e capire che solo nella rappresentazione della propria parte può diventare personaggio vivo

Proprio sul piano di questo rapporto si verifica la disintegrazione fisica e spirituale dei personaggi che possiamo riassumere in tre punti essenziali

- come il personaggio vede se stesso;

- come il personaggio è visto dagli altri;

come il personaggio crede di essere visto dagli altri.

Le conseguenze della triplicità sono tre:

1) - il personaggio è uno quando viene messa in evidenza la realtà-forma che lui si dà;
2) - è centomila quando viene messa in evidenza la realtà-forma che gli altri gli danno;
3)- è nessuno quando si accorge che ciò che lui pensa e ciò che gli altri pensano non è la stessa cosa, quando la propria realtà-forma non è valida sia per sé che per gli altri, ma assume una dimensione per sé e un'altra per ciascuno degli altri

La triplicità è un elemento tecnico che serve al Pirandello per esaminare come i personaggi sono fatti veramente dentro e capire come essi si vedono. UNO-CENTOMILA-NESSUNO sono le tre dimensioni dell'essere e della realtà del personaggio, nelle quali possiamo trovare l'origine dell'alienazione e della forma:

- abbiamo l'alienazione quando la dimensione UNO lascia il posto alla dimensione NESSUNO, e il personaggio si rende conto di dover vivere non per come si crede di essere ma per come gli altri credono che lui sia;
- abbiamo la forma quando la dimensione UNO si concretizza in una delle CENTOMILA dimensioni che gli altri danno al personaggio.


8. I personaggi e la forma

La forma è la maschera, l'aspetto esteriore che l'individuo-persona assume all'interno dell'organizzazione sociale per propria volontà (come Enrico IV nell'epilogo del dramma) o perché gli altri così lo vedono e lo giudicano: è nella forma che l'individuo-persona diventa personaggio. La forma è determinata dalle convenzioni sociali, dalla ipocrisia, che è alla base dei rapporti umani, regolati più dall'egoistica valutazione di vantaggi e svantaggi o da meschine preoccupazioni per i propri interessi, che da un vero attaccamento ai grandi valore. L'illusione nella quale vivono i personaggi viene scoperta e messa a nudo attraverso una riflessione che scompone ogni cosa fin nei suoi aspetti più nascosti e che i personaggi stessi non oserebbero confessare. Più rigida è la forma-maschera, più l'uomo si allontana dalla verità, dalla realtà, dalla normalità.

Quando il personaggio scopre di essere calato in una forma determinata da un atto accaduto una sola volta e di essere riconosciuto attraverso quell'atto e identificato in esso, come può essere identificato in centomila altri atti diversi ma tutti ugualmente soffocanti, cade in una condizione angosciosa senza fine, perché si rende conto che

- la realtà di un momento è destinata a cambiare nel momento successivo,

- la realtà è un'illusione perché non si identifica in nessuna delle forme che gli altri gli hanno dato.



Forma uguale maschera

Abbiamo già detto che i concetti di forma nelle novelle e nei romanzi e di maschera nella produzione teatrale sono equivalenti.
È nella
maschera che ritroviamo un contrasto più profondo fra illusione e realtà, fra l'illusione che la propria realtà sia uguale per tutti e la realtà che si vive in una forma, dalla quale il personaggio non potrà mai salvarsi.
La
maschera è la rappresentazione più evidente della condanna dell'individuo a recitare sempre la stessa parte, imposta dall'esterno, sulla base di convenzioni che reggono l'esistenza della massa. Nella società l'unico modo per evitare l'isolamento è il mantenimento della maschera: quando un personaggio cerca di rompere la forma, o quando ha capito il gioco, inevitabilmente viene allontanato, rifiutato, non può più trovare posto nella massa in quanto si porrebbe come elemento di disturbo in seno a quel vivere apparentemente rispettabile, in quanto sottomesso alle norme, ma fondamentalmente condannabile, in quanto affossatore dei bisogni basilari dell'uomo.
Sotto la
maschera l'uomo si rivolta, come Enrico IV, come tutti i personaggi che, sfuggendo alle norme, vogliono riconquistare un proprio spazio vitale e un valore morale dei sentimenti.



11. Follia e alienazione

Ogni personaggio ha una sua realtà dipendente fondamentalmente da tre fattori:

- tempo

ambiente geografico

rapporto con gli altri personaggi, coi quali si crea spesso un insanabile contrasto.

La forma rappresenta la realtà fissata per sempre, tanto che quando interviene l'accidente che libera il personaggio, tutti pensano che la diversità di comportamento sia dovuta all'improvvisa alienazione mentale del personaggio, a una sua forma di follia che scatena in tutti il riso, perché non è comprensibile da parte della massa.
La follia, o alienazione mentale, è la condizione nella quale i fatti commessi sono caratterizzati dalla
a-normalità, dall'uscire dalle norme che regolano i comportamenti della massa. Solo la follia o la a-normalità assoluta, e incomprensibile per la massa, permette al personaggio il contatto vero con la natura, (quel mondo esterno alle vicende umane nel quale si può trovare la pace dello spirito) e la possibilità di scoprire che rifiutando il mondo si può scoprire se stessi. Ma questi contatti sono solo momenti passeggeri, spesso irripetibili perché troppo forte il legame con le norme della società.

Così accade a Belluca, quando si ribella al capufficio in modo tanto furioso, pronunciando parole sconnesse, poetiche e incomprensibili, da essere portato all'ospizio per i matti. Così accade a Enrico IV, un nobile del primo Novecento fissato per sempre nella rappresentazione del personaggio storico da cui prende il nome, dopo aver battuto la testa per una caduta da cavallo. In Enrico IV troviamo l'esasperazione del conflitto fra apparenza e realtà, fra normalità e a-normalità, fra il personaggio e la massa, fra l'interiorità e l'esteriorità. Per superare questo conflitto il personaggio tende sempre più a chiudersi in se stesso, per cui la a-normalità diventa sistema di vita. Enrico IV è il personaggio più disperato e tragico di Pirandello, e racchiude i temi di una poetica e di una visione della vita che porta all'isolamento e alla disgregazione, alla rottura drammatica e totale non solo con la storia contemporanea e con la cronaca quotidiana, ma anche con la realtà del passato e con l'illusione del futuro. È il personaggio-maschera che personifica la scoperta del grigiore e dell'invecchiamento delle cose e dell'uomo, insieme alla coscienza dell'irrecuperabilità del tempo passato, che non può più ritornare neppure nello spazio riservato alla fantasia, perché la vigile e riflessiva ragione avverte che le cose mutano e non ritornano mai ad essere le stesse di una volta. La guarigione di Enrico IV dalla pazzia, improvvisa e fisicamente inspiegabile, proietta il personaggio nelle vicende quotidiane, ma lo rende anche consapevole di non poter più recuperare i 12 anni vissuti 'fuori di mente', per cui non gli resta che fingersi ancora pazzo dopo aver constatato che nulla era rimasto ormai della sua gioventù, del suo amore, e che molti lo avevano tradito. È in questa consapevolezza che la persona diventa personaggio e prende definitivamente le sembianze di Enrico IV, assumendo una forma immutabile agli occhi di tutti, ma non di se stesso, rifugiandosi nel già vissuto, dove ogni effetto obbediente la sua causa, con perfetta logica, nella quale ogni avvenimento si svolge 'preciso e coerente' in ogni suo particolare, proprio perché, essendo già vissuto, non può più mutare.

Ogni uomo nasce dotato di una personalità che la Natura gli ha dato:

- è normale quando questa personalità si sviluppa secondo le norme della Natura stessa; - è a-normale, invece, quando, attraverso le norme sociali, l'uomo non sviluppa più la sua originaria personalità, ma ne acquista un'altra, secondo le norme che la società si è imposta per sopravvivere.

L'alienazione, quindi, è composta da una personalità espressa non secondo natura, ma secondo le regole della società, e può essere identificata con la maschera-forma, l'esistenza nelle centomila forme che si creano nel corso dell'esistenza; l'accidente, distruggendo la maschera-forma, distrugge l'alienazione, riportando il personaggio alla sua condizione originaria, ma impedisce alla massa di capire il personaggio e le fa pensare che questi è uscito di senno.
D'altra parte, proprio nell'
alienazione, come nel caso di Belluca, e in quello più tragico di Enrico IV, il personaggio riesce a risolvere la condizione esistenziale, mentre la riflessione serve per mettere a nudo le contraddizioni del mondo nel quale si trova a vivere, a mettere in risalto quel senso di solitudine che un mondo fatto di finzioni, e ormai anche di macchine, porta con sé. Alienazione, quindi, non tanto come elemento negativo, ma come elemento fondamentale della condizione umana, nella quale, appunto stemperare la propria angoscia e il proprio dramma.

Per questo, Pirandello cerca nella propria opera il continuo contatto con i lettori, e approda al teatro come definitiva ricerca del dialogo con gli spettatori, un dialogo senz'altro più immediato e caldo di quello che si può realizzare con i lettori, coi quali il contatto è più artificioso ed incontrollabile, anche perché mentre il lettore si può rifiutare di continuare a leggere, chiudendo il libro, lo spettatore è costretto a restare seduto sulla propria poltrona fino alla fine della rappresentazione, se non altro per educazione verso gli altri spettatori. Ma proprio in questo contatto, l'autore scopre l'ennesima e più grande delusione, perché l'atto della parola diventa solo una forma di confessione e di espiazione dei propri errori. I drammi si compiono parlando, ma l'intima essenza di ciascuno rimane sepolta nella coscienza e nella consapevolezza di una incomunicabilità di natura esistenziale per la quale egli non sa né può trovare una soluzione che dia alla sua arte il carattere di compiutezza e di definitiva riabilitazione dell'uomo, al di là di un profondo senso di condanna. Alienazione, quindi, come soluzione estrema e follia come estremo rifugio, per potersi salvare dal dramma dell'esistenza.


12. Livello linguistico

Pirandello distingue:

- uno stile di cose, - uno stile di parole.

Importante è lo stile di cose col quale si dà la preminenza ai fatti e ai personaggi da rappresentare: le parole di per sé sono vuote, sono come abiti appesi nel guardaroba che non hanno sostanza né importanza, se non quando noi li abbiamo indossati. Sono fantasmi senza concretezza né realtà, che acquistano un significato solo quando siamo noi a darglielo.

L'impossibilità di trovare una parola che abbia per tutti il medesimo significato insieme a una realtà che sia valida e uguale per tutti, senza possibilità di incomprensioni presenti o future con il sopraggiungere della riflessione, crea una situazione di solitudine e di incomunicabilità per cui ogni personaggio è irrimediabilmente solo: la parola, come il gesto, diventa priva di significato universale, perché ognuno le dà il suo significato.

Di qui la necessità di trovare e di mettere in atto uno stile di cose, in cui le parole possano acquistare un più realistico ed oggettivo significato proprio attraverso oggetti, sentimenti, pensieri facilmente riconoscibili da parte di tutti.
Uno stile fatto di cose significa:

- rifiuto dei tradizionali modelli espressivi retorici,

¨ - rifiuto del modello verista, secondo il quale dovevano essere i fatti a presentarsi da sé, utilizzando un linguaggio che doveva essere quello usato nella realtà dai protagonisti, a seconda della classe sociale cui appartenevano (anche con forme dialettali, proverbi, ecc.).

Per far raggiungere con maggiore immediatezza al lettore la comprensione di certe situazioni, Pirandello accentua nella descrizione i lati grotteschi:

È un grottesco che richiama alla memoria una certa forma di verismo, con la differenza che mentre nel verismo si mettevano in evidenza gli aspetti esteriori, che avrebbero potuto essere migliori in presenza di una migliore condizione sociale, nella quale sparisce qualsiasi forma di bestialità, Pirandello mette in evidenza gli aspetti interiori e le tragiche conseguenze derivate dalle piccole cause. Proprio attraverso la parola i personaggi cercano di uscire dal doloroso isolamento nel quale sono costretti dall'impossibilità di capire e capirsi.

Per questo il dialogo diventa la forma espressiva più importante, ponendo in secondo piano la forma descrittiva e rappresentativa, anche se si svolge con molte difficoltà, sia perché, come abbiamo visto, alle parole ciascuno dà un suo significato, sia perché nel dialogo ognuno cerca di nascondere i moti più nascosti del proprio animo, le sensazioni che non si ha il coraggio di confessare nemmeno a se stessi.

In molte novelle prevale una sorta di monologo del personaggio, che espone le sue idee con un linguaggio discorsivo che monopolizza l'attenzione generale, cercando di coinvolgere anche il pubblico, e quindi i lettori, ai quali si rivolge direttamente, senza, però, aprire con essi un vero dialogo.

Per evitare che i personaggi cadano nel vicolo cieco dell'incomunicabilità, Pirandello inventa tecnicamente la figura del personaggio al di fuori dell'azione che introduce la riflessione e crea un contatto tra i personaggi e i lettori, tra gli attori e il pubblico spettatore, per far diventare tutti partecipi e protagonisti dello stesso dramma, in quanto tutti vivono la stessa situazione di solitudine.

La riflessione serve al personaggio-fuori-azione, che spesso è lo stesso Pirandello, a mettere a nudo le contraddizioni del mondo nel quale vivono i protagonisti dell'azione e quella condizione di solitudine che è già dentro il mondo moderno, fatto di macchine, che porta a un vivere falsato nella sua naturalità e genera nell'uomo un senso d'angoscia irrisolvibile perché lo circoscrive nell'alienazione.



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