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Giovanni verga - vita e opere, i malavoglia, mastro don gesualdo, l'ideologia e la tecnica narrativa




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GIOVANNI VERGA


VITA E OPERE


Nasce a Catania nel 1840 da una ricca famiglia di proprietari terrieri. Compie degli studi irregolari e preferisce lasciare l'università per dedicarsi al lavoro letterario e al giornalismo. Dall'età di sedici anni inizia a scrivere dei romanzi di ispirazione patriottica (Amore e patria, I carbonari della montagna). Compie numerosi viaggi a Firenze, dove si stabilisce a partire dal 1869. Qui scrive il romanzo epistolare Storia di una capinera, storia di un amore impossibile e di una monacazione forzata. Nel 1872 si trasferisce a Milano, che era allora il centro culturale più vivo della penisola. A Milano Verga conosce l'ambiente della Scapigliatura. Scrive tre romanzi sentimentali: Eva, Tigre reale ed Eros.

Nel 1874 scrive Nedda, prima novella da cui emergono le tematiche siciliane: descrive la vita di miseria di un'umile contadina. Il racconto però non presenta ancora l'impersonalità tipica del Verismo. La vera e propria conversione verista di Verga si colloca nel 1878 con la pubblicazione della novella Rosso Malpelo, la storia di un garzone di miniera che vive in un ambiente duro e disumano; è la prima opera della nuova maniera verista, ispirata ad una rigorosa impersonalità . Questi ed altri racconti sono raccolti nel 1880 nel volume Vita dei campi.

Parallelamente alle novelle Verga progetta un ciclo di cinque romanzi (riprendendo il modello di Zola), e lo definisce ciclo dei "Vinti". In esso l'autore si propone di rappresentare la lotta per la sopravvivenza degli uomini, che vengono travolti dalla "fiumana del progresso". Il suo intento è quello di rappresentare la società del tempo, passando in rassegna successivamente tutte le classi, dai ceti popolari alla borghesia all'aristocrazia. Il primo romanzo del ciclo è I Malavoglia (1881), storia di una famiglia di pescatori siciliani.

Nel 1882 Verga pubblica un romanzo che non rientra in quest'opera, Il marito di Elena. Nel 1883 escono le Novelle rusticane, che ripropongono ambienti e personaggi della campagna siciliana, e Per le vie, raccolta di novelle che ritraggono il proletariato cittadino. Nel 1884 Verga tenta l'esperienza del teatro con il dramma Cavalleria rusticana, tratto da una novella di Vita dei campi.

Nel 1889 esce il secondo romanzo del ciclo dei "Vinti", Mastro don Gesualdo, storia dell'ascesa sociale di un muratore che riesce ad accumulare enormi ricchezze, ma va incontro ad un tragico fallimento nella sfera degli affetti familiari. In questo romanzo il livello sociale si è elevato rispetto ai Malavoglia; di conseguenza anche il livello del narratore si innalza.

In seguito Verga lavora a più riprese al terzo romanzo del ciclo, La Duchessa di Leyra, senza però portarlo a compimento. Gli ultimi due romanzi del progetto iniziale, L'onorevole Scipioni e L'uomo di lusso, non saranno neppure cominciati. Amareggiato dal sostanziale insuccesso del suo lavoro e ormai vecchio, nel 1893 egli torna a vivere definitivamente a Catania, dove pubblica altre raccolte di novelle e lavora ancora per il teatro. Nel 1920 è nominato senatore. Muore a Catania nel 1922.



I MALAVOGLIA


Il romanzo narra la storia della famiglia Toscano, una famiglia di pescatori, detti "Malavoglia", che abitano ad Aci Trezza. La famiglia è composta da Padron 'Ntoni, il vecchio capofamiglia, da suo figlio Bastianazzo con la moglie soprannominata "la Longa" e dai loro figli. L'azione ha inizio dopo l'unificazione d'Italia: il giovane 'Ntoni, uno dei figli, parte per il servizio militare e Padron 'Ntoni, per tentare la fortuna, compra un carico di lupini da vendere altrove. Ma un'improvvisa tempesta travolge la "Provvidenza", la barca dei Malavoglia, provocando la morte di Bastianazzo e la perdita del carico di lupini. Per la famiglia inizia una lunga serie di sventure: per pagare il debito bisogna vendere la "casa del nespolo"; Luca, un altro figlio, muore in guerra. 'Ntoni, il figlio maggiore, comincia a frequentare cattive compagnie e finisce in galera, mentre la sorella più piccola, Lia, fugge di casa. La Longa muore di colera e, poco dopo, muore anche il vecchio 'Ntoni, stanco ormai di vivere. Con la sua morte la famiglia si smembra: 'Ntoni lascia il paese per andare lontano e Mena, la maggiore delle sorelle, a causa delle difficoltà economiche rinuncia a sposare compare Alfio per aiutare il fratello minore Alessi, che sposa la Nunziata, riesce a riscattare la casa del nespolo e continua il mestiere del nonno.

Alla fine del romanzo si ha dunque una parziale ricomposizione dell'antico nucleo familiare e della situazione iniziale.


MASTRO DON GESUALDO


E' la storia di Gesualdo Motta, un muratore che con intelligenza e con fatica riesce ad arricchirsi. Egli dedica tutte le proprie energie alla conquista della "roba". La sua ascesa sociale è coronata dal matrimonio con Bianca Trao, discendente da una famiglia nobile, matrimonio che dovrebbe aprirgli le porte del mondo aristocratico. In realtà, la società nobiliare lo disprezza per le sue origini e anche la moglie non lo ama. Nasce una bambina, Isabella, che però è frutto di una relazione di Bianca con un cugino. Isabella, crescendo, respinge a sua volta il padre, vergognandosi delle sue umili origini. Inoltre la ragazza si innamora di un cugino povero, Corrado, e fugge con lui. Per riparare, Gesualdo la convince a sposare il Duca di Leyra, che non la amerà mai ma dissiperà tutta la sua dote. Nel frattempo Bianca muore di tisi. Tutte queste amarezze minano la salute di Gesualdo, che si ammala di cancro allo stomaco. Viene accolto nel palazzo del genero e della figlia, ma per le sue maniere rozze viene relegato in disparte. La figlia non lo ama, e vani sono i tentativi fatti da Gesualdo per comunicare con lei. Gesualdo trascorre i suoi ultimi giorni in solitudine, angosciato nel vedere lo sperpero delle ricchezze da lui accumulate con tante fatiche. Muore solo, amaramente deluso nel desiderio di relazioni umane autentiche e di affetto.

La sconfitta esistenziale di Gesualdo è totale. In quest'opera il pessimismo di Verga diviene assoluto, al punto da non poter rappresentare nessuna alternativa ad una realtà dura e disumanizzata.



L'IDEOLOGIA E LA TECNICA NARRATIVA


Verga formula una propria teoria dell'impersonalità, espressa in alcune lettere ad amici letterati ed applicata rigorosamente nelle sue opere. Secondo la visione del Verga, la narrazione deve essere effettuata in modo da porre il lettore "faccia a faccia col fatto nudo e schietto". Per questo lo scrittore deve "eclissarsi", cioè non deve comparire nel racconto con le sue riflessioni e spiegazioni, come nella narrativa tradizionale. L'autore deve "mettersi nella pelle" dei suoi personaggi, vedere le cose con i loro occhi ed esprimerle con le loro parole.

Alla base di questa teoria stanno posizioni radicalmente pessimistiche: secondo il Verga la società umana è dominata dalla "lotta per la vita", un meccanismo crudele, per cui il più forte schiaccia necessariamente il più debole. Gli uomini sono mossi dall'interesse economico, dall'egoismo, dalla volontà di sopraffare gli altri. E' questa una legge di natura universale, che governa non solo la società umana, ma anche il mondo animale e vegetale. Questa legge è immodificabile. Dunque la realtà, per negativa che sia, non può essere cambiata. Per questo motivo Verga ritiene che lo scrittore non abbia il "diritto di giudicare" la realtà, dal momento che non può modificarla. E' chiaro che tale visione pessimistica ha una connotazione fortemente conservatrice. Tuttavia, pur senza dare giudizi correttivi, Verga riesce a cogliere ed a rappresentare con grande lucidità gli aspetti negativi della società in cui vive.










In Nedda il narratore è onnisciente, cioè interviene a commentare la vicenda e prende le parti della protagogista.

Invece in Rosso Malpelo il narratore si identifica con un personaggio del popolo che racconta la vicenda dal suo punto

di vista (narratore interno).

In questa novella inoltre Verga utilizza l'artificio dello straniamento, che consiste nel presentare come normali le cose

strane e viceversa, guardando la realtà con gli occhi della gente ignorante e superstiziosa. Infatti il racconto comincia :

" Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e

cattivo ".

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