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Non si vede bene che con il cuore, l'essenziale e' invisibile agli occhi - tesina di maturita




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NON SI VEDE BENE CHE CON IL CUORE..


.L'ESSENZIALE E' INVISIBILE AGLI OCCHI.

Ogni giorno,trasportati dalla velocità delle nostre vite non ci accorgiamo di come le piccole cose sfuggano al nostro sguardo..e quando ce ne accorgiamo è troppo tardi..un fiore appena sbocciato tra il cemento della città,un passerotto che canta tra i rami di quell'albero vicino a casa e a cui non diamo mai importanza.e invece quelle piccole cose che a noi sfuggono i bambini le notano facilmente..ha inizio così la ricerca che bisogna fare dentro di noi.l'essenziale..essenziale che non vediamo facilmente con gli occhi ma che appunto vediamo con il cuore.. "L'essenziale è invisibile agli occhi-ripetè il piccolo principe per ricordarselo"Sicuramente la frase-chiave del romanzo di Saint-Exupery è questa...


FRANCESE

Le Petit Prince est l'ouvre la plus connue d'Antoine de Saint-Exupéry. Publié en 1943 à New York, c'est un conte poétique et philosophique sous l'apparence d'un conte pour enfants. C'est un récit qui n'a pas d'étiquette dans l'histoire littéraire.Chaque chapitre relate une rencontre du petit prince qui laisse celui-ci perplexe quant au comportement absurde des « grandes personnes ». Chacune de ces rencontres peut être lue comme une allégorie.Le langage, simple et dépouillé, parce qu'il est destiné à être compris par des enfants, est en réalité pour le narrateur le véhicule privilégié d'une conception symbolique de la vie.Les aquarelles font partie du texte[1 et participent à cette pureté du langage : dépouillement et profondeur sont les qualités maitresses de l'ouvre.On peut y lire une invitation de l'auteur à retrouver l'enfant en soi, car « toutes les grandes personnes ont d'abord été des enfants. (Mais peu d'entre elles s'en souviennent.) ».L'ouvrage est dédié à Léon Werth, mais quand il était petit garçon.

Toujours en quête d'amis, le petit prince arrive sur Terre, et c'est encore la solitude et l'absurdité de l'existence qu'il va découvrir : sa rencontre avec le serpent qui ne parle que par énigmes, celle d'une fleur « à trois pétales », l'écho des montagnes.Enfin, il arrive dans un jardin de roses. Il se rend alors compte que sa fleur n'était pas unique et devient bien malheureux. C'est alors qu'il rencontre un renard ; ce dernier lui explique ce que signifie « apprivoiser ». C'est grace à l'enseignement du renard que le petit prince découvre la profondeur de l'amitié :

  • « On ne voit bien qu'avec le cour. L'essentiel est invisible pour les yeux. »
  • « Tu es responsable pour toujours de ce que tu as apprivoisé. »
  • « C'est le temps que tu as perdu pour ta rose, qui fait ta rose si importante. »

Dans cet épisode on a l'utilise du verbe " apprivoiser" que dans l'Anglais ça veut dire faire un animal sauvage inféodé et soumis parce- qu'il a le signifié de domestication et subordination. Pour le renard et pour le petit prince le verbe "domestiquer"  implique une connexion réciproque et affective. La distinction entre les deux mots c'est très important parce-que dans le Français il n' y a pas cette connotation de domination et suprématie qu'on a malheureusement dans la traduction Anglais. La révélation du secret du renard ajoute un moral qu'on trouve dans tout le roman. Les leçons du renard doivent être apprises plutôt que enseignées, et quand le renard révèle son secret, confirme ce que le petit prince a appris dans ses explorations. Le renard est comme un mentor qui fait noter les choses importantes qui le petit prince a apprise et lui-aide pour comprendre ses pensés. Quand le renard explique quoi ça veut dire « apprivoiser » le prince comprendre qu'il a était apprivoisé par sa rose, même si il ne savait pas que cette situation avait un nom. Après le prince visite encor une fois le jardin des roses et dans lui-même il comprendre la deuxième partie du secret du renard ou bien que c'est le temps qu'il a dédié a sa rose qui a fait elle unique pour lui. Le petit prince donc a apprise les leçons du renard qui en appelait ses leçons « secret » a révélé que cette connaissance ce n'est pas possible pour tout le monde, donc il doit considérées elles un privilège.

Plus tard, le petit prince rencontre successivement un aiguilleur et un marchand avant de rencontrer l'aviateur - avec lequel il restera sept jours. Guidé par la fragilité et la candeur du petit prince, celui-ci finit par découvrir un puits dans le désert : « Ce qui embellit le désert, dit le Petit Prince, c'est qu'il cache un puits quelque part. » Peu après, le petit prince explique au narrateur qu'il est arrivé sur Terre depuis près d'un an : il doit rentrer sur sa planète pour s'occuper de sa fleur dont il se sent désormais « responsable ». Il ne peut en revanche emporter son corps trop lourd et dont un serpent qui parle toujours par énigmes accepte de le libérer. En compagnie de l'aviateur, le petit prince revient sur le lieu exact où il était arrivé : « Il tomba doucement comme tombe un arbre. Ça ne fit même pas de bruit à cause du sable. »Le petit prince sourit, il rira même éternellement dans les étoiles d'après le texte de Saint-Exupéry

LATINO

E come l'essenziale è invisibile agli occhi così c'è una castello speciale nel quale i servitori sono invisibili,gli strumenti musicali suonano melodie favolose senza che nessuno li tocchi e ci sono sontuosi banchetti sempre pronti sulla tavola. Questo è il castello che ci racconta Apuleio nella fiaba di Amore e Psiche inserita nel secondo libro delle Metamorfosi. Le Metamorfosi di Apuleio assume i caratteri del romanzo di formazione.

Lucio il protagonista è caratterizzato dalla 'curiositas', la quale risulta un elemento positivo entro determinati limiti, che egli non rispetta facendo scattare così la punizione: metamorfosi in asino, animale considerato stupido ed utile solo nel trasporto di grandi carichi. Lucio però mantiene l'intelletto umano, e per questa ragione nel titolo è definito l'asino d'oro, e possiede comunque un punto di vista privilegiato perché osserva gli uomini nei lori gesti quotidiani. Il romanzo rappresenta anche una denuncia alla società perché corrotta, ed infatti nel libro sono rappresentati: imbroglioni, prostitute ed adulteri. Il percorso che dunque Lucio si trova ad affrontare è di espiazione, in quanto passa dalla mani di briganti e mugnai alle esibizioni circensi. Il protagonista rappresenta l'uomo che pecca, e che solo dopo l'espiazione dei suoi peccati si può salvare, sino ad arrivare alla conversione al culto di Iside diventandone sacerdote.

Amore e Psiche

A conferma del fatto che questa è una chiave di lettura suggerita dall'autore, alcuni episodi minori dell'intreccio trovano corrispondenze precise con la vicenda di Lucio, anticipandola o rispecchiandola. Emblematico è il caso della favola di Amore e Psiche che, grazie al rilievo derivante dalla posizione centrale e dalla lunga estensione, assume valore prefigurante nei confronti del destino di Lucio.

La trama rispecchia tradizioni favolistiche note in tutti i tempi: la figlia minore di un re suscita l'invidia di Venere a causa della sua straordinaria bellezza, e viene, per volere della dea, data in preda a un mostro. Cupido, figlio di Venere, vedendola, se ne innamora e la libera, portandola al sicuro in un castello, dove ne diviene l'amante. Alla fanciulla, che ignora l'identità del dio, è negata la vista dell'amato, pena l'immediata separazione da lui. Tuttavia, istigata dalle due sorelle invidiose, Psiche non resiste al divieto e spia Amore mentre dorme: all'inevitabile, immediato distacco pone rimedio la dolorosa espiazione cui Psiche si sottomette, attraverso varie prove. La novella si conclude con le nozze e gli onori tributati a Psiche, assunta a dea.

La favola di Amore e Psiche svolge nella struttura del romanzo una precisa funzione letteraria: riproduce in scala ridotta l'intero racconto e impone ad esso la giusta chiave di lettura. Tocca al racconto secondario, contenuto nel corpo del romanzo, rendere più complessa la prima lettura attivando una seconda linea tematica (quella religiosa), che si sovrappone alla prima linea tematica (quella dell'avventura) per conferirle un contenuto iniziatico.

Le vicende di Lucio possono essere lette come le prove cui è sottoposto un essere che, dopo un tempo d'alienazione e di errabonde peripezie, è fin dall'inizio promesso alla salvezza voluta dalla dea signora delle trasformazioni. Senza l'inserzione della favola di Amore e Psiche, Apuleio non avrebbe potuto dirigere gli avvenimenti narrati verso la giusta lettura, per fare del romanzo la storia di una redenzione. L'evidente significato allegorico nulla toglie alla leggerezza del racconto che segue felicemente la tradizione favolistica. Eros e Psiche, è una favola che occupa addirittura due libri, e, come il resto delle Metamorfosi, ha un significato allegorico: Cupido (identificato con il greco Eros, signore dell'amore e del desiderio), unendosi a Psiche (cioè l'anima), le dona l'immortalità, ma Psiche per giungervi deve affrontare innumerevoli prove, tra cui quella di scendere agli Inferi per purificarsi. Anche la posizione centrale della favola nel testo originale aiuta a capire lo stretto legame che lega questo 'racconto nel racconto' con l'opera principale; è infatti facile scorgere in questa favola una 'versione in miniatura' dell'intero romanzo: come Lucio, anche Psiche è una persona 'simplex et curiosa', e come Lucio compie un'infrazione, che viene duramente punita, e solo in seguito a molte peripezie potrà raggiungere la salvezza.



ITALIANO

Dunque abbiamo parlato di leggerezza,invisibilità e rapidità.ebbene queste sono tre delle sei proposte per il nuovo millennio di Calvino,valori da salvare e conservare.

Le lezioni americane

Nel Giugno del 1984 Calvino viene invitato a tenere ad Harvard sei Norton Lectures, delle relazioni la cui particolarità è l'assoluta libertà nella scelta del tema. E' la prima volta in cui Calvino deve creare dal nulla un saggio prendendo direttamente e in prima persona la parola. Fino all'inverno successivo, Calvino non fa altro che raccogliere materiale utile per il suo intervento: nel'Aprile del 1985 termina la stesura della 'leggerezza', tra Maggio e Giugno le si affiancano anche la 'rapidità', la 'molteplicità', 'l'esattezza' e la 'visibilità'. La sesta e ultima sezione, la 'consistency', rimane incompiuta perché Calvino muore poco prima di partire. Il libro incompiuto viene pubblicato dapprima solo in America e dopo tre mesi arriva anche in Italia. Per accostarsi a questo libro straordinario è però importante non considerarlo come un testamento letterario di Calvino: all'essenza di questo libro ci si può avvicinare prendendo in considerazione la successione dei suoi antenati letterari del Novecento: 'Aspetti del romanzo' di Forster, 'Lezioni di letteratura' di Nabokon, le conferenze di Bachmann, i saggi di Auden e le 'Variètès' di Paul Valèry, tutte opere che presuppongono una vita di letteratura ma che soprattutto ne esprimono la gioia, il piacere del leggere e dello scrivere. Su questo libro il commento più appropriato è stato quello di Alberto Moravia, il quale ha affermato che questo non è il libro di un vecchio, ma di un giovane che vede la letteratura come una donna amata, bellissima, ritrosa e lontana, e la vuole conquistare. Ovviamente poi, le 'Lezioni americane' sono anche un riepilogo, una sintesi di quindici anni di saggistica; è un libro importante non perché Calvino finalmente si riveli come persona, ma perché mette sulla carta la sua idea di come dovrebbe essere la letteratura. C'è nelle 'Lezioni americane' una coppia di autori, Lucrezio e Ovidio, che incarnano il primo l'unicità e il secondo la molteplicità. Si farebbe presto a dividere le opere di Calvino in questo modo, ma è invece più importante capire questo: la figura di Lucrezio è il simbolo della scomponibilità del mondo in elementi primi e inalterabili, mentre quella di Ovidio della loro incessante trasmutabilità. L'universo di Lucrezio è discontinuo ma padroneggiabile con la mente mentre quello di Ovidio è un proliferare di forme concrete e definite. E' vero che la materia è discontinua ed il mito è continuo, ma si può sempre metterli in relazione: nell'immaginazione di Calvino le forme di Ovidio nascono dal caos di Lucrezio, perché ogni cosa obbedisce ad un principio di analogia che è il vero tessuto connettivo del mondo.



La leggerezza

'la leggerezza è qualcosa che si crea nella scrittura, con i mezzi linguistici che sono quelli del poeta'


'La leggerezzasi associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l'abbandono al caso'


"Non potremmo ammirare la leggerezza del linguaggio se non sapessimo ammirare anche il linguaggio dot ato di peso"

da 'Lezioni americane'


Calvino dedica la prima delle lezioni americane all'opposizione leggerezza-peso, dichiarando di sostenere le ragioni della leggerezza, in quanto sulla leggerezza pensa di avere 'più cose da dire'. Il suo lavoro di scrittore è stato infatti una sottrazione di peso; egli ha cercato di togliere peso soprattutto alle strutture del racconto e del linguaggio. Per Calvino quindi la leggerezza è un valore che egli riconosce in opere del passato, vede attuale nel presente e proietta nel futuro. La leggerezza è una qualità che Calvino vede nelle 'Metamorfosi' di Ovidio, in particolare nel rapporto fra Perseo e la Medusa e in Lucrezio nel 'De rerum natura'. In Lucrezio e in Ovidio la leggerezza è un modo di vedere il mondo che si fonda sulla filosofia e sulla scienza; ma in entrambi i casi 'La leggerezza è qualcosa che si crea nella scrittura, con i mezzi linguistici che sono quelli del poeta, indipendentemente dalla dottrina del filosofo che il poeta dichiara di voler seguire'. E' presente anche in un romanzo come 'L'insostenibile leggerezza dell'essere' di Kundera.
Anche la scienza dimostra che è possibile dissolvere la pesantezza quando prova che il mondo si regge su entità sottilissime. Per quanto riguarda l'informatica, il software non potrebbe esercitare il potere della sua leggerezza se non mediante la pesantezza dell'hardware.
La leggerezza per Calvino si associa comunque sempre alla precisione e alla determinazione: può essere associata al linguaggio, che diventa così un elemento senza peso 'che aleggia sopra le cose come una nube'; ci può essere un alleggerimento nella narrazione di un ragionamento o di un processo psicologico o in qualunque descrizione; ci possono infine essere immagini di leggerezza che assumono un valore emblematico.
Calvino riporta molti esempi tratti da Cervantes, Shakespeare, Cyrano de Bergerac, Leopardi; qual è il filo che accomuna esempi tanto diversi? E' la scrittura intesa come metafora della sostanza pulviscolare del mondo; la parola, come la intende Calvino, è quindi 'inseguimento perpetuo delle cose, adeguamento alla loro varietà infinita'. Alla base della letteratura come ricerca della leggerezza in quanto reazione al peso di vivere c'è un bisogno antropologico; lo sciamano rispondeva alla precarietà dell'esistenza della tribù annullando il peso del suo corpo, trasportandosi in volo in un altro mondo, in un altro livello di percezione. La letteratura perpetua questo dispositivo antropologico, questo nesso tra lievitazione desiderata e privazione sofferta, che si trasforma in leggerezza e permette di volare nel regno dove ogni mancanza sarà magicamente risarcita.

LA RAPIDITA'

"Il secolo della motorizzazione ha imposto la velocità come un valore misurabile,i cui records segnano la storia del progresso delle macchine e degli uomini.Ma la velocità mentale non può essere misurata e non permette confronti o gare,né può disporre i propri risultati in una prospettiva storica"

'Un ragionamento veloce non è necessariamente migliore di un ragionamento ponderato; tutt'altro; ma comunica qualcosa di speciale che sta proprio nella sua sveltezza'



La lezione sulla rapidità si apre con una vecchia leggenda sul re Carlomagno che Calvino ha letto in un quaderno di appunti inedito dello scrittore romantico francese Barbey d'Aurevilly. Il mito racconta che il re in età ormai avanzata si innamorò di una giovane ragazza tedesca; la ragazza morì, ma Carlo continuò a tenerla con sè. L'arcivescovo Turpino scoprì che l'amore per la giovane era dovuto ad un anello magico e così lo tolse alla ragazza e se ne appropriò; il re allora si innamorò di lui. Il vescovo, imbarazzato da questa situazione, gettò l'anello nel lago di Costanza; il vecchio Imperatore si innamorò del lago e rimase sulle sue rive.
Calvino spiega che questa leggenda è affascinante, perchè c'è una successione di eventi tutti fuori dalla norma. A legare questi avvenimenti c'è la parola 'amore' con la figura dell'anello magico; quest'ultimo è il vero protagonista, poichè i suoi movimenti determinano quelli dei personaggi. L'autore vuole perciò dire che l'anello è un simbolo che unisce le persone o gli avvenimenti. Calvino afferma che comunque in tutti i racconti come nell'Orlando furioso o in Robinson Crusoe tutti gli oggetti assumono un aspetto magico.
La leggenda di Carlomagno compare a più riprese nella letteratura italiana e anche nella tradizione medievale tedesca; Calvino preferisce a tutte la versione riportata da Barbey d'Aurevilly per la sua 'rapidità', in quanto mantiene la struttura dei racconti orali di fiabe.
La prima caratteristica delle fiabe è l'economia espressiva; le peripezie più straordinarie sono infatti raccontate tenendo conto solo dell'essenziale, c'è sempre inoltre una battaglia contro il tempo, contro gli ostacoli che impediscono il compimento di un desiderio. La relatività del tempo è un tema diffuso un po' ovunque nelle fiabe.
Calvino prosegue poi osservando che un altro emblema della velocità anche mentale che marca tutta la storia della letteratura è il cavallo, che preannuncia tutta la problematica propria del nostro orizzonte tecnologico.
Calvino riporta esempi sul cavallo come emblema della velocità tratti da De Quincey, Leopardi, Galilei; uno dei valori che egli raccomanda al prossimo millennio è la rapidità, perchè la funzione della letteratura consiste proprio nella comunicazione fra ciò che è diverso in quanto è diverso non appiattendo la comunicazione, ma esaltandone la differenza secondo la vocazione del linguaggio scritto. La velocità mentale vale per sè 'per il piacere che provoca in chi è sensibile a questo piacere, non per l'utilità pratica che si possa ricavarne'.
Calvino passa poi ad analizzare il valore dell'indugio osservando che l'elogio della rapidità non ha la pretesa di escludere il valore contrario; la letteratura ha elaborato varie tecniche per ritardare la corsa del tempo, quali l'iterazione e la digressione. Calvino riporta allora esempi tratti da Laurence Sterne, Diderot, Carlo Levi; egli osserva però di preferire la linea retta del tempo nella speranza che continui all'infinito e lo renda irraggiungibile. Il suo motto potrebbe essere la massima latina 'Festina lente', rappresentata in una raccolta di emblemi cinquecenteschi dalla farfalla e dal granchio.
Il suo lavoro di scrittore è stato teso fin dagli inizi a inseguire 'il fulmineo percorso dei circuiti mentali che catturano e collegano punti lontani dello spazio e del tempo'; per lo scrittore in prosa la riuscita letteraria sta nella felicità dell'espressione verbale, che in qualche caso si può realizzare per folgorazione improvvisa, ma che di regola vuol dire una paziente ricerca di un'espressione necessaria, unica, densa, concisa, memorabile. Questa è la ragione per cui Calvino ha sempre prediletto le forme brevi, le short stories, in quanto è difficile ottenere la densità e la rapidità in opere molto lunghe. Calvino riporta come esempi di rapidità 'Le città invisibili', 'Le cosmicomiche', le descrizioni di 'Palomar'.


La visibilita'

La lezione di Calvino si apre con dei versi di Dante che tentano di spiegare che cos'è l'immaginazione: per costui c'è una specie di sorgente luminosa che sta in cielo e trasmette delle immagini ideali formate o secondo la logica intrinseca del mondo immaginario, o secondo il volere di Dio. Secondo Dante inoltre il poeta deve prima immaginare visivamente ciò che il suo personaggio vede, e il contenuto visuale delle metafore che usa per descrivere il tutto. A questo proposito esistono due processi: quello che dalla parola giunge all'immagine (avviene per esempio durante la lettura) e quello che dall'immagine giunge alla parola (ossia quello attuato da Dante). Un esempio significativo sono gli 'Esercizi Spirituali', di Ignacio de Loyola, che si servono del primo processo (dalla parola all'immaginazione) per raggiungere la conoscenza dei significati profondi.
Tornando a chiedersi dove si formano le immagini nella fantasia, Calvino afferma che sono un qualcosa che esce dalle nostre intenzioni e dal nostro controllo, venendo fuori dall'inconscio. In passato l'immaginazione è stata considerata in due modi: o come strumento di conoscenza per scoprire la verità dell'universo, o come strumento di conoscenza scientifica, necessario allo scienziato per la formulazione delle sue ipotesi: Calvino osserva che per lui è molto difficile dichiarare da che parte stia e quindi preferisce proporre un'altra definizione: l'immaginazione come repertorio del potenziale e dell'ipotetico.
In questo grande repertorio, che ruolo hanno le immagini fornite dalla cultura, e quale sarà il futuro dell'immaginazione nella 'civiltà dell'immagine?' Proprio per questo Calvino introduce la Visibilità nei suoi valori da salvare, perchè si rischia oggi di perdere una facoltà fondamentale, quella di pensare per immagini, procedimento che egli ritiene indispensabile, e che egli stesso afferma di aver compiuto specialmente nelle fasi preliminari della stesura de 'I nostri antenati' (partendo da un'immagine particolare si arrivava infatti a scrivere un intero racconto) e 'Le cosmicomiche' (da un enunciato scientifico si giungeva alla storia), attuando i due processi descritti in precedenza.
L'autore suggerisce infine che una soluzione potrebbe essere quella di rielaborare le immagini proposteci, alterandone il significato, oppure quella di fare il vuoto per ripartire da zero.


SPAGNOLO

'El amor en los tiempos del cólera' de Gabriel García Márquez

Introducción:

El amor en los tiempos del cólera es una novela de amor de Gabriel García Márquez, Premio Nobel en 1982, publicada en 1985. Es, principalmente, un compendio acerca del amor y sus múltiples variantes, un estudio sobre el paso del tiempo que destruye y reconstruye almas y ciudades, sobre la memoria y sus infinitos laberintos.

La trama se desarrolla en Centroamérica a principios de siglo, época en la cual, según el narrador, los signos del enamoramiento podían ser confundidos con los síntomas del cólera. Al igual que el caudaloso Magdalena, a cuyas orillas se desarrolla, la historia serpentea y fluye, rítmica y pausada, y prosa abajo va narrando a través de más de sesenta años la vida de los personajes principales, Fermina Daza, Florentino Ariza y el doctor Juvenal Urbino de la Calle. Y poco a poco, este escenario y estos personajes, como una mezcla tropical de plantas y arcillas que la mano del autor modela y fantasea, van desembocando en los terrenos del mito y la leyenda, acercándose a un oscilante y tenue final feliz.

Sin duda, la temática es profunda, rica, realista y conmovedora. García Márquez hace hincapié en cuestiones trascendentales en la vida del hombre, tales como la familia, la amistad, el amor en las diferentes etapas de la vida, la fidelidad, la convivencia conyugal, y la muerte, apelando para ello a un recurso ampliamente descriptivo.

Mediante un lenguaje lleno de riqueza y versatilidad, el escritor colombiano narra el esquema complejo, verosímil y esperanzado de un mundo que se asemeja, más de lo que nosotros pensamos, al mundo en que vivimos. De esta manera nos demuestra una vez más que la vida no es otra cosa que el trabajo interminable para el que los seres humanos fuimos creados.

El concepto de amor entre Fermina Daza y Florentino Ariza:

No es sencillo analizar un amor que, a pesar de ser contrariado, se basa desde una de las partes en un juramento de amor y fidelidad lo suficientemente fuerte como para conservarse intacto durante toda una vida. Tal es el caso de Florentino Ariza.

En cambio, para Fermina Daza, el amor nació de la simple curiosidad. Florentino no era el tipo de hombre que hubiera escogido, y a pesar de ello, suscitó en ella una curiosidad difícil de resistir; ella nunca imaginó que fuera otra de las tantas celadas del amor. Así terminó pensando en Florentino como nunca se hubiera imaginado que se podía pensar en alguien, presintiéndolo donde no estaba, deseándolo donde no podía estar, despertando de pronto con la sensación física de que él la contemplaba en la oscuridad mientras ella dormía. Ni el uno ni el otro tenían vida para nada distinto de pensar en el otro, para soñar con el otro, para esperar cartas con tanta ansiedad como las contestaban.

No obstante, desde que se vieron por primera vez hasta que él le reiteró su determinación medio siglo más tarde, no tuvieron nunca una oportunidad de verse a solas ni de hablar de su amor. Es por ello que no se puede afirmar que el de Fermina y Florentino halla sido un noviazgo en el sentido que comúnmente se le otorga a la palabra, ya que la relación no se basaba en el trato personal. Cuando aparece este factor en la relación, más precisamente en el día del reencuentro luego del viaje del olvido, Fermina cae en el abismo del desencanto, y se da cuenta de que su amor platónico se transforma repentinamente en una ilusión, una quimera, un espejismo que se desvanece.

Con el paso del tiempo, Florentino repasa sus amores de ocasión, los incontables escollos que tiene que sortear para alcanzar un puesto de mando, los incidentes sin cuento que le causa su determinación encarnizada de que Fermina Daza sea suya, y él de ella por encima de todo y contra todo, y cae en la cuenta de que la vida comienza a escurrírsele entre los dedos.


ARTE

Futurismo

'Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un'automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo [] un'automobile ruggente che sembra correre sulla mitraglia è più bello della Vittoria di Samotracia []'
F.T. Marinetti


Nel suo manifesto del Futurismo Marinetti affermava il tema della velocità,dell'individuo,della guerra e della metropoli. Dal canto loro i pittori non furono da meno. Nel Gennaio del 1910, Boccioni, Carrà, e Russolo si presentavano a Marinetti nella sua casa di Milano. Questi tre artisti, conosciuti nell'ambiente dell'accademia e del mondo pittorico milanese, dopo una lunga disamina della situazione in cui versava l'arte italiana, decisero di lanciare un Manifesto ai giovani artisti per invitarli a scuotersi dal letargo che soffocava ogni aspirazione.Il Manifesto dei Pittori nasce l'11 Febbraio su un volantino edito da 'Poesia'.
Non si può però parlare di 'vera' pittura futurista fino alla fine del 1911. I tentativi di creare la 'nuova arte' passano attraverso diverse influenze non ancora superate.Nella primavera del 1910 vengono esposte pubblicamente le prime opere futuriste nella 'Mostra d'arte libera' a Milano presso la fabbrica Ricordi con opere di Boccioni, Carrà e Russolo. Nel 1912 Marinetti organizza a Parigi una mostra alla Gallerie Bernheim-Jeune in cui gli artisti italiani sottolineano la loro divergenza dal cubismo ed affermano di ricercare uno 'stile del movimento, cosa mai tentata prima'.Dal 1913 varie mostre vengono organizzate per esporre i lavori sempre più definiti. Il futurismo conta nuovi adepti: Cangiullo, Depero, Pampolini, Rosai, Morandi, Sironi, Arturo Martini. Sempre più si definiscono le ricerche dei diversi artisti: Russolo si dedica alla musica, Carrà si allontana dal naturalismo a favore del cubismo, Severini tende verso l'astrazione, Boccioni segue anche in scultura un modello simbolista, Balla approda ad una schematizzazione basata sullo studio del movimento.Con la fine della guerra nel 1921 nel Manifesto del Tattilismo Marinetti ufficializza una nuova fase del Futurismo, più ludica e positiva.Nel Manifesto della Aeropittura firmato da Balla, Benedetta, Depero, Dottori, Fillia, Marinetti, Prampolini, Somenzi, Tato, si teorizza la nuova visione spiralica del movimento. Sarà uno degli ultimi fuochi per tenere acceso il Futurismo. Nel 1915 col manifesto Ricostruzione futurista dell'universo firmato da Balla e Depero, c'è una sintesi nuova del dinamismo plastico propria dei primi anni. Si può parlare ora di Secondo Futurismo che opera non solo nelle arti visive, ma anche nell'architettura, nella scena urbana, negli allestimenti sportivi, nei complessi plastici, nella fotografia e nel fotomontaggio al cinema oltre che nella scenografia, poesia, prosa, drammaturgia, teatro e nella pubblicità di massa.
Negli anni Trenta si vive indubbiamente un allentamento della tensione inventiva, dovuta soprattutto all'incalzare di una realtà più avanzata tecnologicamente anzitutto, che provoca una caduta dello scarto utopico avveniristico degli anni Dieci.

Lo stile della pittura futurista

Non vi è dubbio che all'origine del futurismo italiano come avanguardia artistica vi sia il cubismo francese. L'importanza del cubismo a partire del 1910 fu tale da influire anche su altri movimenti nazionali europei come l'espressionismo della Brucke in Germania.Il Futurismo è poi implicato con il divisionismo. Al 1914 risale per tutti gli artisti futuristi l'abbandono del  cubismo analitico per una breve esperienza di cubismo sintetico. Al 1915-16 il ritorno a forme plastiche ed a una figurazione riconoscibile, il cosiddetto ritorno all'origine.
Nel primo futurismo lo stile è dissociato tra le due figure cruciali del movimento: Balla e Boccioni. Il secondo futurismo non presenta una vera unità stilistica: appare nel suo insieme come un movimento eclettico. Importante in questa fase la comparsa del geometrismo di Balla e Depero. Dal 1925 al '40, gli artisti futuristi riprendono e variano, contaminandole con il surrealismo e la metafisica, le premesse poste da Braque e Picasso e questo rappresenta una continuità tra primo e secondo futurismo.Concludendo si può affermare che orientarsi nella pratica artistica del movimento significa prendere atto delle pluralità di stili intrinseca. La molteplicità dell'attività creativa in tutti gli aspetti dei vari artisti portò ad una varietà ampia di soluzioni stilistiche.


QUADRO: "LA CITTA' CHE SALE"-BOCCIONI

La città che sale è un importante dipinto ad olio su tela di cm 200 x 290,5 realizzato nel 1910 dal pittore italiano Umberto Boccioni.

Nel 1912 il quadro fu acquistato dal musicista Ferruccio Busoni nel corso della mostra d'opere futuriste itinerante in Europa. È oggi esposto al Museum of Modern Art di New York.

L'opera

Il titolo originale era Il lavoro così come apparve alla Mostra d'arte libera di Milano del 1911. Nonostante la presenza degli elementi realistici come il cantiere o la costruzione, o ancora la resa dello spazio in maniera prospettica, il dipinto viene considerato la prima opera veramente futurista del pittore reggino, pur non discostandosi molto dai quadri analoghi degli anni precedenti, nei quali le periferie urbane erano il soggetto principale. In questo dipinto viene parzialmente abbandonata la visione naturalistica dei quadri precedenti, per lasciare il posto ad una visione più movimentata e dinamica.

Si coglie la visione di palazzi in costruzione in una periferia urbana, mentre compaiono ciminiere e impalcature solo nella parte superiore. Gran parte dello spazio è invece occupato da uomini e da cavalli, fusi esasperatamente insieme in uno sforzo dinamico. In tal modo Boccioni mette in risalto alcuni tra gli elementi più tipici del futurismo, quali l'esaltazione del lavoro dell'uomo e l'importanza della città moderna plasmata sulle esigenze del nuovo concetto di uomo del futuro.

Ciò che mette il quadro perfettamente in linea con lo spirito futurista è però l'esaltazione visiva della forza e del movimento, della quale sono protagonisti uomini e cavalli e non macchine. Questo è ritenuto un particolare che attesta come Boccioni si muova ancora nel simbolismo, rendendo visibile il mito attraverso l'immagine. Ed è proprio il 'mito' ciò che l'artista modifica, dunque non più arcaico legato all'esplorazione del mondo psicologico dell'uomo, ma mito dell'uomo moderno, artefice di un nuovo mondo. In parole povere l'intento dell'artista è di dipingere il frutto del nostro tempo industriale.

Il soggetto dunque, da raffigurazione di un normale momento di lavoro in un qualunque cantiere, si trasforma nella celebrazione dell'idea del progresso industriale con la sua inarrestabile avanzata. Sintesi di ciò ne è il cavallo inutilmente trattenuto dagli uomini attaccati alle sue briglie.

La tecnica

L'influsso di Gaetano Previati come si vede è ancora evidente nelle pennellate filamentose e nella tecnica divisionista, le pennellate tratteggiate hanno infatti andamenti ben direzionati e funzionali al mettere in evidenza le linee di forza che caratterizzano il movimento delle figure, non quindi alla costruzione di masse e volumi, anche se i tratti pittorici sono qui volti a dare dinamicità ai volumi fino a far perdere loro consistenza e peso.

La composizione

La composizione del quadro conserva tuttavia ancora un impianto abbastanza tradizionale. Le figure sono scandite su precisi piani di profondità dove in basso si vedono le figure in primo piano, mentre in alto quelle sui piani più profondi.

la composizione può essere divisa in tre fasce orizzontali che corrispondono ad altrettanti piani:

  1. in basso Boccioni colloca le figure umane realizzate secondo linee oblique che ne evidenziano lo sforzo dinamico.
  2. al centro dominano delle figure di cavalli, tra le quali ne risaltano tre, gli ultimi due hanno una colorazione rossa e dei profili di colore blu che rappresentano i cavalieri sulla groppa:
    1. uno bianco a sinistra che rivolge lo sguardo verso destra,
    2. uno al centro che domina il centro del quadro,
    3. uno sulla destra,
  3. nel terzo piano appare lo sfondo di una periferia urbana, che probabilmente andrebbe identificata con un quartiere di Milano in costruzione.

STORIA

Il bombardamento di Montecassino

E' il febbraio del 1944, le forze alleate sono inchiodate sul fronte di Cassino dalle truppe tedesche e non riescono ad avanzare di un solo metro. La 'linea Hitler' o 'sbarramento Senger', costruito dalle truppe del Terzo Reich tra i monti Aurunci e la valle del Liri, bloccava il nemico che si scontrava ripetutamente contro di essa con numerosi attacchi, respinti con notevoli perdite. Si sarebbe potuto aggirare subito l'ostacolo con una manovra avvolgente, secondo il piano del generale francese Juin, ma il comando supremo alleato si volle scontrare con il muro di Cassino. A nulla era servito lo sbarco ad Anzio e Nettuno, sulle cui spiagge era rimasto fermo il contingente guidato dal generale americano Lucas, un 're tentenna' colpevole di non aver lanciato subito l'offensiva verso Roma per spezzare le retroguardie tedesche.

Ma l'errore più grave, che costerà un tributo altissimo di sangue per le forze alleate, fu il bombardamento dell'abbazia e dell'abitato di Cassino, le cui macerie rallentarono notevolmente la spinta offensiva delle truppe attaccanti. La distruzione del monastero fondato da San Benedetto nell'Alto Medioevo fu chiesta a gran voce dal generale sir Bernard Freyberg, comandante del corpo d'armata neozelandese, comprendente la 2a divisione di fanteria della Nuova Zelanda, la 4a divisione di fanteria indiana e la 78a divisione di fanteria britannica. I neozelandesi avevano sostituito la 36a divisione americana, utilizzata negli attacchi alla cittadina laziale, mentre gli indiani avevano dato il cambio alla 34a divisione americana (detta dei 'Red bull', Tori rossi) impegnata nel nord del fronte. Entrambe le unità Usa erano state decimate dagli attacchi contro i tedeschi, che non avevano modificato il dispositivo difensivo. Quest'ultimo era composto dalla 15a Panzergrenadier, appoggiata dal grosso dell'artiglieria del XIV Panzercorps, forte di 180 cannoni, un consistente numero di carri lanciarazzi Nebelwerfer e una sessantina di carri armati Panther e Tigre. I difensori erano agevolati nel loro compito dal territorio impervio, costituito da rocce brulle presenti in modo particolare sul colle dell'abbazia.Tuttavia Freyberg pensava di riuscire ad accerchiare il nemico, tramite una manovra a tenaglia condotta a nord dalla divisione indiana, che avrebbe dovuto conquistare il colle dov'era situata l'abbazia, mentre i neozelandesi avrebbero conquistato l'abitato di Cassino. Le sue truppe vittoriose avrebbero scacciato i tedeschi e li avrebbero incalzati sino ad Anzio a Nettuno, dove si sarebbero ricongiunte con l'armata alleata rimasta ancora inchiodata sulla spiaggia. Per portare a termine il suo piano, il generale neozelandese pretese la distruzione del monastero, che sovrastava la cittadina e la valle del Liri a 519 metri d'altezza. Secondo Freyberg, i tedeschi avevano installato un osservatorio di artiglieria all'interno dell'abbazia, costituito da canoni di grosso calibro, e di conseguenza il celebre monumento medioevale doveva essere polverizzato tramite un massiccio attacco aereo. A nulla valsero le proteste del generale Mark Clark, comandante della 5a armata americana, che considerava il bombardamento del simbolo della regola benedettina 'ora et labora' un vero e proprio atto vandalico. E Clark aveva ragione.

E' stato infatti provato più volte che alla vigilia del 15 febbraio c'erano nei pressi dell'abbazia soltanto tre soldati tedeschi di guardia, incaricati proprio di interdire l'accesso alle truppe naziste. Quindi non c'era nessun militare all'interno delle mura benedettine: non c'era quindi alcun motivo per distruggere il monastero. Freyberg era incalzato dal pessimo umore dei suoi soldati, che ritenevano di essere 'spiati' e colpiti dall'artiglieria tedesca presente nello storico edificio benedettino. Nel suo libro di memorie, il maggiore medico americano Luther Wolff impegnato con il suo ospedale da campo nei pressi di Montelungo (situato ai confini della Campania, non lontano da Cassino, dove pochi mesi prima gli italiani del corpo di liberazione avevano combattuto per la prima volta contro i tedeschi), in cui si curavano i soldati alleati feriti al fronte, riferisce di un episodio particolare. 'I fanti feriti che arrivano da noi ci dicono che stanno prendendo una batosta terribile per tentare di salvare l'abbazia di Montecassino e tutti sono furiosi perché i pezzi grossi vogliono risparmiarla. Dovremmo superare questo fair play sentimentale. I feriti sono tutti d'accordo: bisogna distruggere il monastero'.

Il generale neozelandese tuttavia perorò la propria causa nei confronti del proprio superiore, il maresciallo inglese Harold Alexander comandante del 15° gruppo di armate in Italia. Lo fece attraverso un'argomentazione tragicomica, costituita da un'intercettazione radio mal compresa dagli interpreti inglesi. La conversazione tra due gruppi di soldati tedeschi recitava 'Wo ist der Abt.? Ist er noch im Kloster? L'ufficiale dell'intelligence inglese tradusse 'Dov'è il gruppo? E' sempre nel convento?'. E qui casca l'asino, nel vero senso dell'espressione. Lo zelante soldato dell'intelligence alleata pensò subito che l'abbreviazione 'Abt.', corrispondesse al vocabolo femminile tedesco abteilung, la cui traduzione italiana è battaglione. Peccato che, nell'eccitazione del momento, non gli sfiorasse minimamente la mente il pensiero che la sigla tedesca potesse essere tradotta con il vocabolo più logico e cioè abate, che è di genere maschile. Questo errore grammaticale, apparentemente insignificante, ha decretato la polverizzazione del monastero di Montecassino. Ma c'è un altro particolare ancora più sconcertante e paradossale. Il generale 'Gertie' Tuker, comandante della 4a divisione indiana, inviò un rapporto al suo superiore Freyberg dai toni esilaranti. 'Dopo essermi dato molto da fare - scrisse Tuker - e aver cercato in numerose librerie e bancarelle di Napoli, finalmente ho trovato un libro del 1879 che fornisce diversi dettagli della costruzione del monastero di Montecassino'. Come dire, alla vigilia di un'importantissima operazione militare gli alti ufficiali inglesi si erano rivolti ai rigattieri del capoluogo partenopeo per cercare di conoscere i particolari del loro obiettivo

Gli alleati non sapevano, dunque, nulla di Montecassino e forse non sapevano nemmeno con che tipo di esplosivo colpirlo. Per fortuna Tucker lesse attentamente il libro e comprese che il monastero aveva mura enormi, profonde 30 metri e alte 5 metri, ed era strutturato come una fortezza. Comprese quindi che poteva essere attaccata soltanto con bombe dirompenti ad alto potenziale. Tuker nel suo rapporto si era permesso anche di fare l'ironico nei confronti dello stato maggiore alleato, situato a Caserta, che non disponeva di informazioni sull'abbazia. Il generale inglese sottolineava a Freyberg che il comando supremo in Italia aveva obbligato un comandante di divisione 'ad andare a rovistare sulle bancarelle di Napoli per scoprire qualcosa che avrebbe dovuto essere preso in considerazione molte settimane prima'.

La fine del monastero era stata dunque decretata. L'ultima difesa era stata affidata al generale Clark, che considerava il bombardamento di uno dei monumenti della cristianità come un atto di vandalismo e non lo considerava un obiettivo militare. Il generale americano riuscì a frenare solo momentaneamente la richiesta folle di Freyberg, poiché il II corpo d'armata americano aveva sulla collina di Montecassino un battaglione, che attendeva di essere sostituito dalla 4a divisione indiana. I soldati americani erano infatti troppo vicini all'abbazia, all'interno della linea dell'area definita 'linea di sicurezza dalle bombe'. Clark approfittò di questa situazione per temporeggiare e cercare di tenere a bada Freyberg, finché il corpo di spedizione neozelandese non avesse assunto la piena responsabilità del fronte. Ma davanti alle insistenze di Freyberg, che non voleva deprimere ulteriormente il già basso morale delle sue truppe, Clark dovette arrendersi e lavarsi le mani del bombardamento dell'abbazia. Lasciò la patata bollente nelle mani dell'inglese Alexander, che assecondò senza indugio la richiesta di Freyberg. Nelle sue memorie, Alexander, giustificò così la distruzione del convento benedettino. 'Quando i soldati si battono per una giusta causa - scrisse il generale inglese - e sono pronti a morire o a subire mutilazioni, i mattoni e la calce, per quanto venerabili, non possono più avere valore delle vite. Un buon comandante deve tenere conto del morale e dei sentimenti dei suoi uomini e, cosa non meno importante, i combattenti devono sapere che le loro vite sono nelle mani di un uomo nel quale possono avere una fiducia totale. Com'era possibile permettere che restasse in piedi una simile struttura, dominatrice del campo di battaglia? L'abbazia deve essere distrutta'.

Dunque Freyberg aveva convinto il suo superiore Alexander. Secondo l'opinione di entrambi, il 'magico' effetto del bombardamento aereo sull'abbazia avrebbe disorientato il nemico e agevolato la manovra a tenaglia effettuata dai soldati indiani, esperti nel combattimento in montagna, sulla collina posta a destra del fronte e da quelli neozelandesi nell'abitato di Cassino. Questo piano di attacco non era altro che la copia di quello precedente condotto dalla 34a e dalla 36a divisione americana, con l'aggiunta del violento attacco aereo. Freyberg, molto arrogante e presuntuoso, pensava che i suoi soldati sarebbero riusciti dove gli americani avevano fallito. Il corpo neozelandese era riposato e completo in tutti suoi effettivi e ciò dava un altro motivo al suo comandante per essere sicuro del completo successo del suo piano.

Il 12 febbraio 1944 si richiese l'intervento urgente delle forze aeree alleate. Il bombardamento era previsto per il giorno successivo, ma le avverse condizioni meteorologiche non consentivano un'incursione massiccia dei bombardieri e quindi si dovette rinviare il tutto a pochi giorni dopo. In questo modo, si riuscì a organizzare e disporre meglio le divisioni di fanteria che avrebbero dovuto essere impiegate nell'operazione. Ma soprattutto si ebbe il tempo di avvertire la popolazione civile e i monaci che ancora risiedevano nell'abbazia. A tale scopo, gli Alleati lanciarono una marea di volantini su tutta l'area interessata dall'attacco, in modo che il maggior numero possibile di religiosi e profughi si potessero mettere in salvo. Il comandante tedesco del fronte di Cassino, generale Frido von Senger und Etterlin, cattolico devoto e per giunta terziario benedettino, aveva già cercato durante le settimane precedenti di convincere l'ottantaduenne abate Gregorio Diamase e i monaci ad abbandonare il monastero. I religiosi avevano rifiutato: tuttavia, numerose opere d'arte e tesori di valore inestimabile erano stati trasportati dai tedeschi a Roma, proprio in considerazione che l'edificio religioso poteva subire danni molto gravi. Il pericolo era divenuto realtà e il generale von Senger mise a disposizione i mezzi di trasporto per evacuare quanti si trovavano ancora nel monastero. L'abate e alcuni monaci non vollero però abbandonarlo e restarono all'interno della cripta.La mattina del 15 febbraio era caratterizzata da una giornata limpida e serena. Era un invito a nozze per gli aviatori americani e inglesi per poter effettuare il bombardamento. Dopo un rapido consulto con i generali al fronte, sir Henry Maitland Wilson, comandante in capo delle truppe Alleate nel Mediterraneo, mise a disposizione le forze aeree per l'operazione. Nel marasma dell'attacco, non fu colpevolmente preparato un coordinamento fra i vari stati maggiori per lanciare la fanteria all'attacco non appena il bombardamento fosse cessato. Ciò vanificava l'effetto concreto dell'azione aerea, sempre che ci fosse stato per gli attaccanti. Questo fu l'errore ancora più letale, che decreterà il fallimento definitivo del piano Freyberg. Gli alti comandi Alleati mostrarono ancora di più la propria insipienza, mostrando di non avere riguardo per le proprie truppe. Queste ultime furono lasciate oltre la distanza di sicurezza dai possibili obiettivi del bombardamento: in pratica, il fuoco 'amico' poteva falcidiare la fanteria americana, neozelandese e indiana ancor prima della reazione tedesca. Altro che il rispetto della vita umana evidenziato da Alexander nelle sue memorie!

Dagli aeroporti di Napoli e Foggia decollarono attorno alle 9,00 gli aerei alleati. Iniziarono la 'festa' 142 quadrimotori, le celebri fortezze volanti B 17, che lanciarono su Montecassino e sulla città sottostante 450 tonnellate di bombe esplosive e incendiarie da alta quota. Una seconda ondata di altri 118 B 17 colpì ancora il monastero e sventrò la martoriata Cassino. Completarono l'opera altri attacchi condotti da bimotori B 25, B 26 e A 36 che sganciarono gli ordigni a un'altezza più bassa. In totale, furono 776 gli apparecchi impiegati. A mezzogiorno e mezzo, ben 746 pezzi di artiglieria vomitavano fuoco sulla cittadina laziale, disintegrandola completamente: il cannoneggiamento cessò soltanto nel primo pomeriggio. Curiosamente, nonostante le 1.250 tonnellate di bombe aeree le mura dell'abbazia resistettero quasi interamente. Un ufficiale tedesco, Rudolf Bohmler, presente all'interno dell'edificio con i monaci, così racconta il bombardamento nel suo memoriale. 'Nella piccola stanza dell'abate si stava appunto terminando la preghiera delle ore canonicali del sesto e del nono, quando, alle parole pro nobis Christum exora, una tremenda esplosione turbò la pace. Scoppiarono le prime bombe: erano le 9,45. L'effetto nel monastero fu spaventoso. Terribili esplosioni lacerarono l'aria e riempirono i locali di polvere e di fumo soffocante. Non soltanto il monastero, ma tutta la montagna vacillò, come se fosse stata scrollata dalla mano di un gigante'.

Ma come fu vissuto il bombardamento nel campo Alleato? Il generale Clark così descrive la tremenda giornata del 15 febbraio. 'Quando il mio orologio stava per segnare le 9,30, sentii i primi rombi dei motori degli aeroplani che venivano dal sud. Tentai di rendermi conto della loro posizione. Poi all'improvviso il boato di un'esplosione. Per errore, gli aerei americani avevano sganciato sedici bombe. Parecchie caddero presso il mio posto di comando, facendo volare schegge dovunque'. Il racconto del generale Usa prosegue così. 'Poi, quattro gruppi di imponenti fortezze volanti passarono proprio sopra di noi e qualche istante dopo lasciarono cadere le loro bombe sulla collina del monastero. Avevo visto soltanto da lontano la celebre, antica abbazia, dalle opere d'arte inestimabili e insostituibili. Ma quando quel mattino, le esplosioni lacerarono la collina, compresi che non avrei più potuto ammirarla da vicino'.

Dopo il bombardamento aereo, iniziò il tiro micidiale dell'artiglieria pesante che proseguì ininterrottamente per oltre due ore di fila. Secondo la logica, alla fine del bombardamento ci sarebbe dovuto essere l'immediato attacco della fanteria per sfruttare meglio l'effetto psicologico devastante per i difensori tedeschi: invece mancò completamente il coordinamento con le truppe di terra. Ciò anche a causa del rifiuto dei soldati neozelandesi di attaccare in pieno giorno. Avanzò la sola 4a divisione indiana verso quota 593, poco al di sotto della cima di Montecassino, tenuta saldamente dai tedeschi, che iniziavano a occupare anche le rovine dell'abbazia. Questa operazione era importantissima visto che era impossibile conquistare l'abitato di Cassino finché le truppe del Terzo Reich avessero mantenuto la collina con la basilica. Sembrava un'ironia della sorte, ma era la conseguenza logica del bombardamento Alleato. Freyberg aveva voluto la distruzione dell'abbazia, poiché pensava che i soldati nemici fossero al suo interno con alcuni cannoni. Ciò non era vero e ora i tedeschi occupavano le sue macerie e sparavano comodamente contro gli attaccanti posti nella pianura di Cassino. Insomma, un gentile regalo dei generali Alleati che costituì un vero e proprio fiasco militare!

Il marasma nel campo inglese e americano era tale, che il tentativo di assalto delle truppe indiane fu frenato. Infatti, quando il comandante della 7a brigata indiana si era recato al comando della 34a divisione americana per il cambio di consegne, gli fu detto che quota 593 era saldamente in mano ai soldati Usa. Niente di più falso! E così gli indiani dovettero attendere la notte tra il 15 e il 16 febbraio. Una compagnia del I Battaglione Royal Sussex attaccò le balze più basse di quota 593. I soldati inglesi resistettero a lungo. Il resto del battaglione attaccò di slancio alla baionetta dando rinforzo ai propri commilitoni. Quando sembrava che l'accanita resistenza tedesca stesse per affievolirsi, accadde un episodio curioso. Un soldato tedesco lanciò un segnale con tre razzi verdi, forse per segnalare a delle truppe di rinforzo la propria posizione. Sfortunatamente per gli indiani, quello era anche il segnale di ritirata del Royal Sussex. Il comandante del battaglione, disorientato completamente dal segnale, ordinò la ritirata e i soldati britannici ripiegarono trasportandosi decine di feriti. Le perdite alleate ammontavano a 16 ufficiali e 162 soldati senza approdare a nessun risultato.

Il secondo attacco alleato, ben più consistente, avvenne soltanto nella notte del 17 febbraio. Un altro giorno perso per intaccare le difese tedesche. Il XXVIII battaglione maori, appartenente alla 2a divisione neozelandese, attaccò la stazione di Cassino e, sotto un violentissimo fuoco di mortai e artiglieria, riuscì ad andare oltre la massicciata della ferrovia, in mezzo alle mine poste meticolosamente dai difensori. I genieri cercavano di disinnescarle, per poter consentire il passaggio dei carri armati. Le macerie lasciate dal bombardamento erano un altro regalo per le forze tedesche che vi si erano inserite al loro interno e nelle cui fila combattevano anche diversi soldati cosacchi nemici giurati dell'allora Unione Sovietica comunista e degli Alleati,. Si combatteva metro per metro, palmo a palmo, muro per muro. Alle prime luci dell'alba del 18 febbraio le truppe maori avevano conquistato la stazione, mentre i genieri avevano lavorato duro per tutta le notte nella loro opera di bonifica. Tuttavia non potevano proseguire durante il giorno: sarebbero stati falcidiati facilmente dal fuoco nemico. Così i genieri dovettero abbandonare il campo di battaglia, lasciando i maori isolati e senza la possibilità di essere supportati dai carri armati. Questi ultimi, anche se fosse stata portata a termine l'opera di sminamento, difficilmente avrebbero potuto operare a causa delle macerie dei palazzi di Cassino. Solo quando nelle settimane successive arriveranno i bulldozer americani a smuoverle, i mezzi corazzati potranno spiegare in parte la loro efficacia. A nulla servì il bombardamento con proiettili fumogeni, voluto dal comando britannico per cercare di disorientare i tedeschi e proteggere le proprie truppe.

I paracadutisti nazisti contrattaccarono alla metà del pomeriggio, sostenuti dai lanciarazzi Nebelwerfer e dai carri armati Panther e Tigre. I soldati maori ripiegarono in buon ordine, lasciando 130 uomini sul campo. Le cose non andavano meglio ai fanti indiani, impegnati nella conquista di quota 593. Quest'ultima avrebbe dovuto essere conquistata alla baionetta, poiché era impossibile utilizzare l'artiglieria. Questo perché la terra di nessuno era ampia soltanto settanta metri e i proiettili avrebbero colpito indistintamente indiani e tedeschi. Conquistato l'obiettivo i cinque battaglioni dell'11a brigata indiana avrebbero dovuto scendere per il clivo della collina e raggiungere la zona settentrionale dell'abitato di Cassino, congiungendosi con i maori. Ma fu un disastro. I fucilieri del battaglione Rajputana raggiunsero quota 593, ma furono respinti, lasciando 196 uomini sul campo. Gli altri battaglioni di gurkha persero 250 soldati, senza conquistare un solo centimetro di terreno. Tutta la divisione indiana dovette retrocedere sulle linee di partenza. Così era terminato in un fallimento l'assalto effettuato dopo il bombardamento aereo, tanto desiderato da Freyberg. Il comandante von Senger und Etterlin completò l'occupazione dell'abbazia polverizzata. Inoltre, fece disporre dai suoi genieri le mine tutt'intorno al territorio del monastero. L'offensiva del corpo neozelandese proseguì sino alla fine di marzo, ma senza esiti apprezzabili. Le perdite complessive Alleate nel periodo gennaio-marzo ammontarono a 52.130 morti. Gli americani avevano avuto 22.219 caduti, i britannici 22.092, i francesi 7.241 mentre gli italiani del corpo di liberazione (che combattevano al fianco degli inglesi) 398. La battaglia di Cassino sembrava la prova lampante della validità del principio enunciato dal generale prussiano Karl von Clausewitz nel suo trattato 'Della guerra', e cioè che 'la difensiva costituisce la forma più potente della guerra'.


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