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La filosofia araba




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La filosofia araba


La riscoperta di Aristotele nella filosofia, dopo secoli di oscurità, si deve alla filosofia araba.

La religione araba basa la sua idea fondamentale nelle massime del suo libro sacro "Il Corano", nel quale si raccolgono le visioni e le rivelazioni divine che Maometto (nato alla Mecca nel 571 e morto nel 632) avrebbe ricevuto, grazie all'arcangelo Gabriele, sin dal 612.

Il termine "corano" significa "testo da recitare", il libro è composto da 114 capitoli detti "sure" ognuno di essi formato da versetti in prosa ritmica.

Nel libro Maometto predica l'unità e l'onnipotenza di Dio, Allah.

A differenza dei cristiani che, con la Trinità divina e l'Incarnazione hanno tradito la concezione monoteistica primigenia, Maometto ripristina il monoteismo nella purezza e semplicità originaria.

Nella religione araba, non vi è distinzione tra potere religioso e civile, infatti i "califfi", i successori di Maometto, sono insieme capi religiosi, politici e militari, e sono i fautori delle nuove conquiste in Siria, in Persia,in Palestina, in Egitto ed in India.

Le nuove conquiste aprono nuovi orizzonti alla cultura araba, soprattutto la vicinanza della cultura greca porta i musulmani ad amare e a conoscere la filosofia .

Nascono i "Sufi" ovvero coloro che, per via di purificazione e ascesi abbandonandosi alla misericordia di Dio, superano la propria individualità sino a raggiungere l'ascesi divina.

Agli arabi si deve anche l'elaborazione dell'algebra, ignota a gli antichi, destinata all'estrazione di incognite geometriche e numeriche."

La matematica era per il mondo arabo come una via privilegiata di accesso al mondo intelligibile, secondo l'insegnamento platonico.

Ma il vero filosofo era considerato Aristotele,solo lui infatti forniva gli strumenti logici e concettuali con i quali affrontare le dispute teologiche, tanto che gia nel IV secolo  in Siria e ad Odessa si era costituita una scuola dedita alla traduzione in siriaco delle opere di Aristotele .

Verso la metà dell'VIII secolo la capitale del dominio arabo diviene Bagdad e qui, nell'815, viene istituita una Casa della Sapienza con annessi biblioteca e osservatorio astronomico, in essa viene avviato un intenso lavoro d traduzione di testi greci dal siriaco o direttamente dal greco.

Propulsore di questa attività fu un cristiano Hunain ibn Isaaq ( 810-877), noto ai latini come Joannitus

Il suo obiettivo, perseguito anche dal figlio e dal nipote, fu quello di tradurre sistematicamente tutte le opere note di Aristotele, anche se già nel X secolo queste traduzioni erano rare e se ne dovettero fare altre.

In queste traduzioni l'immagine di Aristotele ne esce però intrisa di elementi neoplatonici.

In generale comunque i filosofi arabi intesero non tanto mettere in discussione quanto individuare connessioni possibili tra il piano dell'esperienza religiosa , comune a tutti i fedeli, e il piano della riflessione filosofica, destinata a pochi.

I filosofi arabi furono ben pochi, tra questi ricordiamo il genio di Averroè, che portarono la ragione a livelli altissimi, ma ben presto si arrivò al declino dovuto alla religione islamica stessa che per sua natura era oppressiva ed avversa alla ragione.

L'Islam infatti tacitò la ragione per ripristinare il primato della fede e condannò le teorie di Averroè e da questo momento il mondo arabo si chiuse sempre più al mondo.








AVERROE'



Ibn Rushd, noto come Averroè, nacque a Cordova nel 1126 da una famiglia di giuristi.

Fu medico del califfo e fu nominato giudice prima a Siviglia e poi a Cordova.

Fu lo stesso califfo che gli diede il compito di commentare le opere di Aristotele facendo di lui il più importante studioso del filosofo greco del mondo arabo.

Cambiato il califfo la sua situazione mutò,subì un processo e varie sue opere vennero distrutte.Ciò spiega come mai una parte di esse sia sopravvissuta solo in versioni ebraiche e latine.

Esiliato, morì a Marrakesh in Marocco, nel 1198.



Le opere e il pensiero



I suoi commenti sono di tre tipi.

commenti brevi, sommari parafrasi ed estratti di passi delle opere commentate;

commenti medi;

commenti grandi, estesi e complessi.

I commenti sono in massima parte di opere di Aristotele anche se ne resta uno sulla Repubblica di Platone e uno su Porfirio.

Ma il vero filosofo resta per Averroè Aristotele, infatti egli mira a comprendere in toto il pensiero aritotelico autentico, visto che reputa le verità acquisite per via filosofica non in contrasto con la rivelazione del Corano, che è infallibile.

Scrisse fra il 1177 e il 1180 "Libro della distinzione del discorso e della determinazione della conoscenza tra legge religiosa e filosofia" nel quale asserisce  che la verità è una, ma molteplici sono i gradi e i modi in cui si accede ad essa.


Riprende cosi da Aristotele le distinzioni tra i tre tipi di argomentazione:

dimostrativa o scientifica che parte da premesse vere, questa è propria del filosofo;

dialettica che parte da premesse condivise dai più o dai più autorevoli, questa è propria del teologo;

retorica che parte da premesse che paiono persuasive all'uditorio, questa è propria dei più.


Esse rappresentano le tre vie attraverso le quali ci si accosta alla verità.

I tre livelli e i modi di comprensione corrispondono ai tre livelli di gerarchia degli uomini, e tutte giungono ad una sola verità ovvero che Dio esiste ed è uno ed ha creato il mondo,Maometto è il suo profeta e dopo la morte l'uomo verrà giudicato da Dio e sarà destinato o al Paradiso o all' Inferno e che avverrà la resurrezione.


Naturalmente è una concezione aristocratica della verità, i migliori ovvero i filosofi, raggiungeranno la verità al più alto livello poiché guidati dalla ragione, mentre i peggiori, ovvero gli uomini comuni, raggiungeranno attraverso la religione una verità meno elevata, più divulgativa.

La FEDE è necessaria e obbligatoria per tutti ma non bisogna commettere l'errore di divulgare i punti oscuri di essa a coloro che non sono in grado di comprenderli.

La FILOSOFIA deve indirizzare la proprie dimostrazioni solo a quanti sono in grado di seguirle e su questo, Averroè resta fermo sulla sua concezione elitaria di essa.

Altra opera di Averroè è "Incoerenza dell'incoerenza"dove si rifiuta la concezione di Dio come di un signore dotato di arbitrio assoluto, di una natura nella quale i fenomeni non presentano alcun rapporto causale.

Per il filosofo il rapporto di dipendenza del mondo da Dio non può essere propriamente spiegato mediante la dottrina della creazione, poiché parlare di essa è solo un modo figurato, adatto per i semplici.

La vera creazione sta nel mutamento di Dio, ma Dio non può mutare nulla né ha nulla fuori di se,quindi il volere di Dio è continuo ed eterno.

La scienza di Dio è diversa e superiore a quella degli uomini, in quanto Dio conoscendo se stesso, conosce anche tutte le cose dal momento che ne è la causa prima, da cui tutte dipendono.

La conoscenza di Dio riguarda dunque ciò che è immutabile e necessario.

Inserito nell'ordine delle cose necessarie troviamo l'agire umano, che è predestinato, cosi come predica il Corano.


L'ANIMA è un altro problema affrontato dal Nostro, se essa sia mortale o immortale.

Rifacendosi anche qui ad Aristotele , egli asserisce che l'intelletto sia la funzione più alta dell'anima, in quanto incorporeo, sia immortale e, quando sarà separato definitivamente dal corpo esso potrà attingere direttamente gli intelligibili, ovvero gli universali, che sono gli oggetti propri della conoscenza intellettiva.

Averroè diceva a tal proposito "chi pensa è immortale, chi non pensa muore".

La sua è una immortalità aristocratica, riservata solo a coloro che sanno usare il cervello, che comunque è unico per tutti gli uomini, ingenerabile e incorruttibile.

L'anima, in quanto connessa al corpo, perisce con esso: immortale è solo l'intelletto che è unico.



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