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L’evoluzione Industriale ed economica - tesina




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L’evoluzione

Industriale ed economica











Gabriele D’annunzio




Società di massa II Rivoluzione

Industriale



Il Sistema Bancario

Riforma del 1936

The British

Les Banques Testo Unico Bancario    Banking System

(TUB)


Operazioni di prestito:

l’interesse e tasso di La Costituzione

interesse

Articoli 23 e 53

della costituzione

La Terziarizzazione


Le Imposte

Gabriele D’Annunzio


Gabriele D’Annunzio visse la propria vita con il preciso intento di farne un’opera d’arte: il valore centrale dell’arte, uno dei canoni del Decadentismo, fu il cardine della sua intera esistenza. La vita fu così per lui creazione e finzione, un inestricabile succedersi di trovate, colpi di scena improvvisi e di effetti calcolati, premessa indispensabile di un’arte anch’essa unica e inimitabile.

Le esperienze esistenziali dell’autore furono progettato sull’ideale artistico ed estetico, un’ideale che prevedeva il successo.

Nacque Pescara il 12 marzo 1863 in una ricca famiglia borghese. Nel 1879 pubblicò la sua prima raccolta poetica, Primo vere, di evidente ispirazione carducciana: aveva solo sedici anni, era uno studente del prestigioso collegio Cicognini di Prato, ma si era già distinto per il carattere, fiero e per la precoce vocazione poetica.

Terminato il liceo, D’Annunzio si trasferì a Roma per compiervi gli studi universitari presso la Facoltà di Lettere. In realtà più che agli studi, che infatti non terminerà, si dedicò al giornalismo mondano, trasformandosi in un “dandy” raffinato, sempre presente ai più importanti eventi sociale della capitale; i suoi articoli, scritti con una prosa brillante e ricercata, erano molto apprezzati dal pubblico borghese, avido di stimoli e di sollecitazioni insolite.

Il successi lo avvicinò ai più importanti intellettuali e cenacoli letterari, come quello sorto attorno alla rivista “Cronaca Bizantina”

Una buona accoglienza di critica e di pubblico la ottennero anche le due raccolte pubblicate nel 1882, una di poesie, Canto nuovo, che presenta dei tratti di maggiore originalità e autenticità rispetto alla prima, e una di novelle, Terra vergine.

D’Annunzio era ormai un personaggio pubblico, una specie di divo che abilmente alimentava la sua fama attraverso amori tanto prestigiosi quanto scandalosi, sempre ampiamente pubblicizzati. Il più noto di questi fu quello per l’attrice Eleonora Duse, alla quale D’Annunzio sarebbe stato legato dal 1897 al 1904.

Anche il matrimonio con la duchessina Maria Hardouin di Gallese fu celebrato, nel 1883, dopo una romantica fuga d’amore interrotta dalla polizia. Ma neppure il matrimonio, dal quale nacquero tre figli, interruppe le sue numerose e rocambolesche avventure erotiche.

D’Annunzio, inoltre, viveva costantemente al di là delle sue possibilità economiche: l’attività editoriale e giornalistica gli assicurava sempre buone entrate, ma perennemente maggiori erano le spese necessarie al mantenimento di un tenore di vita estremamente elevato, programmaticamente teso al superfluo. D’Annunzio, per mantenere vivo l’interesse pubblico, viveva come un divo o come un principe, circondato da servitori, opere d’arte, oggetti di lusso, in uno sfarzo che spesso scivolava nel cattivo gusto; le sue passioni erano i cavalli, i cani di razza, le automobili e gli aeroplani.

Dal punto di vista artistico, D’Annunzio assimilò tutte le novità della cultura europea, dai simbolisti francesi (in particolare Baudelaire e Verlaine) ai narratori russi, dal Verismo italiano al superomismo di Nietzshe, tutti elementi che ritroviamo come costitutivi della sua vastissima produzione, sia lirica sia narrativa.

Nel 1889 pubblicò il romanzo Il piacere, seguito poi da altri sei romanzi, Giovanni Episcopo (1891), L’innocente (1892), Il trionfo della morte (1894), Le vergini delle rocce (1896), Il fuoco (1900) e Forse che sì forse che no (1910). Nel 1902 uscì la raccolta Le novelle della Pescara. Dopo le prime due raccolte di poesie, uscirono Intermezzo di rime (1883) e Isotteo (1890), opere caratterizzate da un ardito sperimentalismo degli esiti controversi. Più influenzata dai decadenti francesi è il Poema paradisiaco (1893). La più alta stagione poetica coincise però con la pubblicazione, nel 1903, dei prime tre libri delle Laudi del cielo del mare e della terra.

D’Annunzio, a partire dal 1899, si dedicò anche al teatro, scrivendo opere di diverso genere, tra le quale ricordiamo i drammi La città morta e La Gioconda, entrambi del 1899 e la fiaba pastorale La figlia di Iorio, del 1904.

L’interesse per il teatro coincideva con quello per la politica: D’Annunzio era infatti convinto che l’attività politica consistesse essenzialmente nella capacità di influenzare le masse e che il teatro fosse il genere più adatto per farlo.

La carriera politica di D’Annunzio inizio nel 1897, quando fu eletto deputato alla Camera e sedette nei banchi dell’estrema Destra. Dopo una prima partecipazione appassionata, nel corso del primo decennio del novecento, si allontanò progressivamente dalla politica attiva.

Durante un soggiorno-esilio in Francia (1910-14), dove si era rifugiato per sottrarsi ai numerosi creditori, D’Annunzio vide nello scoppio della Prima guerra mondiale l’occasione per tornare in Italia da protagonista. Il 5 maggio 1915 a Quarto (località nei pressi di Genova dalla quale salpò la spedizione dei Mille di Garibaldi), con l’Orazione per la sagra dei Mille, schierandosi con il movimento nazionalista, iniziò un’accesa campagna per l’intervento italiano in guerra.

Quando l’Italia entrò in guerra, D’Annunzio, nonostante i suoi cinquantadue anni, si arruolò volontario, combattendo una “sua” guerra fatta di gesti valorosi e spericolati, ma sempre spettacolari, come l’incursione aerea su Vienna.

Nel 1916, in seguito a una ferita dovuta a un ammaraggio di fortuna, perse l’occhio destro e in quello stesso periodo compose Notturno.

Alla fine della guerra, si lanciò nell’impresa di occupare e governare la città di Fiume (tra il 12 settembre 1919 e il 25 dicembre 1920), in quel momento in attesa che si concludessero i trattati di pace e se ne sancisse l’assegnazione all’Italia o alla Jugoslavia.

Intanto però, in quei mesi, nel concreto agire di D’Annunzio, presero corpo quelle formule “liturgiche” che sarebbero divenute parte integrante del regime fascista: le “adunate oceaniche” che consentono l’abbraccio tra il “capo” e la folla dei suoi seguaci; la pratica costante dell’insulto contro gli avversari; il disprezzo per chiunque non condivida le esibizione di forza, gli atti eroici.

All’avventura fiumana pose fine il trattato di Rapallo (12 novembre 1920), con il quale Fiume venne dichiarata città libera: D’Annunzio fu costretto con la forza ad abbandonare la città.

Deluso, il poeta si ritirò a Gardone (Brescia), sul lago di Garda, dove fece ristrutturare e arredare lussuosamente, a spese dello Stato, una villa che chiamò Vittoriale degli italiani, una specie di museo, dove ogni oggetto assumeva il valore di una reliquia. Qui, D’Annunzio visse malinconicamente i suoi ultimi anni; il fascismo, al quale il poeta si mostrò favorevole, lo ricoprì di onori ma lo isolò, “imbalsamandolo” nel ruolo del poeta-vate, del precursore del fascismo, ma tenendolo lontano da qualsiasi ruolo attivo. Di quest’ultimo periodo si possono ricordare Le faville del maglio (1924-28) e le Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di D’Annunzio tentato di morire (1935), testi dominati da un senso di cupo disfacimento e di sconfitta, dalla consapevolezza della sostanziale estraneità nei confronti delle nuove tendenze della società e della cultura. Il poeta morì il 1° marzo 1938.

I modelli del giovane D’Annunzio sono il classicismo carducciano e il verismo verghiano, assimilato ma subito investito di nuovi significati.

Nel caso delle poesie, ad esempio, ad esempio, già in Primo vere, l’ampio uso di ripetizioni sonore segnala la volontà, che sarà un tratto tipico dell’autore, di accrescere l’alone suggestivo del testo. Anche nel caso delle novelle (Terra vergine e Novelle della Pescara), il verismo dannunziano è un verismo del tutto esteriore, “di maniera”.

Fin dalle prime opere, si manifesta così quella che molti critici individuano come una delle caratteristiche fondamentali del talento dannunziano, la sua natura onnivora: in tutte le opere di D’Annunzio è evidente il riferimento (qualcuno ha parlato anche di plagio) a prodotti letterari altrui, eppure in tutte le opere c’è qualcosa di originale, di nuovo.

D’Annunzio sperimenterà modelli e generi letterari diversi, ma la sua ricerca si muoverà costantemente attorno a due assi principali: sul piano formale, la definizione di uno stile sublime, di un linguaggio iperletterario, vistosamente lontano dal linguaggio comune; sul piano dei contenuti, la rappresentazione di una realtà dominata dalla sensualità. Ovviamente, i due aspetti, quello formale e quello contenutistico, andranno sempre di pari passo: la stessa ricerca linguistica è sostenuta, come dirà lo stesso autore, da un “amore sensuale della parola”, una parola funzionale alla rappresentazione degli infiniti aspetti di una realtà capace di dare piacere:<<La vita non è un’astrazione di aspetti e di eventi, ma è una specie di sensualità diffusa, una conoscenza offerta a tutti i sensi, una sostanza buona da palpare, da fiutare, da mangiare>>.

Nel corso della sua esperienza biografica e poetica, D’Annunzio vivrà la sensualità come “panismo” (da Pan, il dio greco della natura e dei boschi), come aspirazione alla fusione totale con la natura e il cosmo. In questa accettazione vitale e sostanzialmente positiva del mondo risiede l’aspetto più interessante del poeta e a essa si devono i risultati migliori della sua produzione.

D’Annunzio resterà invece sostanzialmente estraneo a ogni atteggiamento problematico o critico nei confronti della condizione umana.

Solo nel romanzo Il piacere è possibile cogliere una certa critica sociale: il testo, che è diventato uno dei principali punti di riferimento dell’estetismo italiano ed europeo, esalta indubbiamente la “bellezza” come valore, ma descrivere anche la malattia morale del protagonista, una malattia che appare come il prodotto del degrado etico della società “moderna”.

La “scoperta” di Nietzsche e la conseguente poetica del superuomo annulleranno qualsiasi atteggiamento critico. In D’Annunzio infatti il pensiero di Nietzsche viene estremamente banalizzato e forzato all’interno di un sistema ideale preesistente, un sistema che ruota attorno al rifiuto del conformismo “borghese” e della democrazia: ai principi democratici ed egualitari, al parlamentarismo, allo spirito affaristico – tutti elementi che contaminano il senso della bellezza – D’Annunzio contrappone l’energia violenta, il diritto di pochi individui eccezionali ad affermare il proprio dominio, senza dovere di rispettare le comuni leggi del bene e del male.

Il superuomo dannunziano è quindi energico, aggressivo e violento, ma anche, insieme, un esteta, un cultore della bellezza, perché il culto della bellezza e uno degli elemento costitutivi della sua superiorità. La poetica del superuomo finisce così con l’assorbire la poetica dell’esteta, dandole un nuovo significato: l’estetismo non è più rifiuto sdegnoso della realtà, ma strumento di una superiore volontà di dominare la realtà stessa.

È questo il passaggio più importante per la definizione della figura del poeta – vate: il poeta, l’esteta per eccellenza, deve assumersi il compito di trasformare la realtà, anche attraverso l’attività politica. In questo modo, D’Annunzio si oppone alla perdita di ruolo dell’intellettuale che caratterizza la società borghese di fine Ottocento, investendolo di una missione politica per l’affermazione di una società diversa, aristocratica e illiberale.




















La Seconda Rivoluzione Industriale


Il periodo in cui visse D’Annunzio, fu caratterizzato da un evento, o per meglio dire, un susseguirsi di eventi ed evoluzioni molto importanti.

Infatti, a partire dal 1870 la rivoluzione industriale subì una forte accelerazione così da essere definita seconda Rivoluzione Industriale e divenne una caratteristica della prima metà del 900.

I caratteri che la differenziano dalla prima furono:


la funzione preminente e trainante della scienza ;

le nuove fonti di energia (elettricità e petrolio);

il sorgere di nuovi settori industriali (industria elettrica, petrolifera, chimica, siderurgica, automobilistica, aeronautica);

la nascita dei monopoli, degli oligopoli e il passaggio dal capitalismo industriale al capitalismo finanziario,

il notevole aumento dell’efficienza e della “scientificità” nel sistema produttivo;

il sorgere della società di massa e il nuovo ruolo dello Stato sempre più presente nell’economia e sempre più democratico.


Nel corso della prima Rivoluzione Industriale molti progressi erano stati possibili grazie all’apporto di geniali inventori, ma la seconda metà dell’Ottocento, la scienza che ormai era legata alla tecnica, divenne il fattore centrale nel determinare il carattere dello sviluppo. Infatti il fenomeno è documentato dal moltiplicarsi del numerosi scuole di formazione scientifica; le grandi scoperte di questo periodo accelerarono le potenzialità della crescita ed estensione, in campi prima di allora addirittura impensabili, della produzione industriale. Quindi ci fu un salto qualitativo compiuto dalla seconda Rivoluzione Industriale.

Nel 1869 fu prodotta la celluloide, la prima delle materie plastiche; nel 1876, Bell perfezionò il telefono inventato da Meucci; nel 1878, Edinson costruisce la prima lampadina a luce elettrica; 1885, Benz costruisce la prima automobile e successivamente il primo motore a scoppio; nel 1903, i fratelli Wright collaudano il primo aeroplano; nel 1928, Flemming scopre la penicillina. Queste grandi e piccole invenzioni cambiarono le abitudini di intere generazioni, furono l’aspetto più eclatante della seconda Rivoluzione industriale e la caratterizzarono nel suo sviluppo.

Le conseguenze di questa Rivoluzione agirono in maniera significativa sul funzionamento dell’economia

All’inizio la Rivoluzione Industriale era stata caratterizzata dal moltiplicarsi delle unità produttive, dove sovente lavoravano poche persone, ora la tendenza è caratterizzata dalla crescita delle dimensioni delle aziende e dalla loro incidenza sul mercato, già di per sé in atto per effetto della libera concorrenza e della diffusione della ferrovia. Le banche a loro volta tendevano a privilegiare nella concessione dei prestiti, indubbiamente non le imprese più piccole e più deboli, ma quelle che potevano, per le loro dimensioni, offrire maggiori garanzie di restituzione. Tutto ciò provocava conseguenze di notevole portata: la concentrazione infatti, si verificò sia in modo tradizionale con la crescita delle singole imprese, sia con l’introduzione di nuove forme quali il cartello, risultante dall’accordo, fra le maggiori imprese operanti in un determinato settore in merito ai prezzi del prodotto; il trust ovvero fusione di industrie; oppure la holding cioè il controllo da parte di un’unica società finanziaria, con la concentrazione di rilevanti pacchetti azionari di un gruppo aziendale.

In questo modo, il tradizionale contesto della libera concorrenza risultava sovente cedere, per lasciare posto al dominio degli oligopoli e dei monopoli. Inoltre si verifica il progressivo prevalere del capitalismo finanziario rispetto a quello industriale, con l’intersecarsi di interessi tra le banche e le grandi industrie, e al centro del sistema economico si affermò la borsa.

Tra il 1930 e il 1960 si diffuse l’espressione, società di massa, che indicava la massa intesa come quella moltitudine che popola le città, che lavora nelle fabbriche o negli uffici, che consuma gli stessi prodotti e che usufruisce della stessa cultura diffusa dai media. In questo periodo la società mutò volto, accanto ai tradizionale mestieri nacquero nuove figure professionali, per l diffondersi e l’ampliarsi delle scuole e delle banche.









Il sistema bancario


Lo sviluppo industriale degli anni “50”,quindi, fu sostenuto dal sistema bancario che aveva una struttura solida garantita dalla riforma bancaria del 1936.

Ma prima di soffermarci sulle norme che regolavano il sistema bancario di quegli anni e su come queste regole sono state modificate, soffermiamoci sulle caratteristiche e sulle funzioni del sistema bancario.

Le banche sono intermediari finanziari, sono enti ai quali è riservato l’esercizio dell’attività bancaria che secondo la legge ha carattere d’impresa.

Le banche raccolgono risparmi e concedono prestiti. Quindi, l’attività bancaria può essere considerata come uno dei motori della pompa che aspira denaro dai piccoli risparmiatori per farlo affluire alle imprese e agli enti pubblici, finanziando così gli investimenti produttivi.

Le banche svolgono le seguenti funzioni:


Funzione creditizia

Funzione monetaria

Funzione di trasmissione di impulsi di politica monetaria

Funzione ausiliaria all’amministrazione finanziaria.



La funzione creditizia è conseguente all’attività di intermediazione tra  coloro che offrono capitale e coloro che lo richiedono; in tal modo le banche svolgono un’importante funzione economico – sociale in quanto indirizzano il denaro raccolto verso le attività produttive, favorendo così l’espansione dell’intero sistema economico.

La funzione monetaria scaturisce dal fatto che i regolamenti sono compiuti solo in minima parte con la moneta legale, poiché la banca opera soprattutto con la moneta bancaria, e cioè mediante assegni o trasferimenti di fondi mediante reti telematiche.

La funzione di trasmissione di impulsi di politica monetaria scaturisce dal fatto che alcune volte il sistema bancario è utilizzato per incidere sul sistema economico.

La funzione ausiliaria all’amministrazione finanziaria scaturisce dal fatto che al sistema bancario sono stati affidati compiti di riscossione di tasse e imposte ed, inoltre, attraverso le banche si effettuano indagini anche a fini fiscali ed a fini penali.

Considerando il ruolo determinante del sistema bancario già agli inizi degli anni “20”, in seguito a fallimenti bancari ci si rese conto che le banche erano delle imprese particolari, poiché il loro fallimento era di conseguenza anche un fallimento per chi aveva affidati a loro i risparmi. Ecco perché furono emanati i primi decreti che regolamentavano il sistema bancario, cercando di evitare il fallimento delle imprese bancarie che rappresentano un motore dello sviluppo economico.

Nel 1936 tutti i decreti emanati negli anni “20” furono ordinati e raccolti dalla riforma bancaria del1936.

Questa riforma si basava su tre principi fondamentali:


1. Principio della specializzazione temporale del credito:

In base a questo principio si distinguevano le banche che concedevano credito a breve scadenza e le banche che concedevano credito a media – lunga scadenza.

2. Principio del pluralismo istituzionale:

In base a questo principio le banche si distinguevano in forme legali diverse che attribuivano a loro carattere pubblico o privato.

3. Principio della separazione tra banca e industria:

In base a questo principio erano vietati i rapporti di partecipazione azionaria delle banche nelle imprese e viceversa.


La riforma del 1936 diede origine a una legge bancaria che per quasi sessanta anni ha regolato il nostro sistema creditizio nonostante i profondi sconvolgimenti economici, sociali e politici che sono intervenuti in tale lunghissimo arco di tempo. Infatti, pur avendo subito negli anni numerose integrazioni e modifiche, i cardini della riforma del 1936 sono rimasti in funzione fino al 1° gennaio 1994, ossia fino al giorno i cui è entrato in vigore il nuovo Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia con il quale la nostra legislazione sulle banche e sul credito ha trovato una definitiva sistemazione di impronta europea.

In base al Testo Unico Bancario (TUB) tutte le banche, autorizzate dalla Banca d’Italia a esercitare il credito, possono svolgere tutte le operazioni e offrire tutti i servizi. Anche nel sistema bancario, quindi, si é favorito un clima competitivo fondato sull’imprenditorialità.

La maggior parte dei principi, di cui abbiamo discusso in precedenza, che avevano retto a lungo il nostro sistema creditizio, sono stati abbandonati in conseguenza ad alcuni provvedimenti che hanno dato risposta a unay doppia serie di esigenze:


esigenze di ristrutturare e di ricapitalizzare le banche e gli istituti di credito pubblico e di avviare un processo di privatizzazione non solo formale ma anche sostanziale, ponendo come riferimenti fondamentali l’impresa e il mercato;

esigenze di adeguare l’intero sistema creditizio alle direttive comunitarie, migliorandone l’efficienza e la competitività e mettendo in condizione di affrontare sul mercato unico bancario l’impatto con le grandi istituzioni creditizie europee e mondiali.


Il TUB si articola in nove titoli che sanciscono tutte le regole a cui è sottoposto il sistema bancario.

In seguito all’Unione Europea è stato istituito il Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC) e la Banca Centrale Europea (BCE). Questi sono indipendenti dalle istituzioni e dagli organi comunitari, dalle autorità nazionali e da qualsiasi altro organismo.

Il SEBC è un organismo formato dalla BCE e dalle banche centrali nazionali dei paesi dell’Unione Europea, con i compiti di emettere la moneta unica (Euro) e di gestire la politica monetaria.

La BCE è il massimo organismo di gestione della politica monetaria comune, con il compiti di assicurare che le istruzioni del SEBC siano assolte attraverso le banche centrali nazionali;

la Banca d’Italia agisce come braccio destro operativo della BCE e nell’ambito della politica monetaria è espressione nazionale di un sistema sopranazionale.

Il SEBC e la BCE hanno organi comuni: il consiglio direttivo e il comitato esecutivo.













Les Banques


Les banques sont des entreprises dont la fonction est de recevoir du public des fonds qu’elles emploient pour leur propre compte en opérations d’escompte, de crédit ou en opérations financières.

On peut classifier les banques en trois catégories :

Banques de dépôt, les plus nombreuses, qui assurent la collecte des fonds à vue et financent à court terme l’industrie et le commerce ;

Banques d’affaires, qui utilisent uniquement leur propre capital pour prendre des participations dans des entreprises et pour fournir des crédits sans limitation de durée aux entreprise. Elles sont spécialisées dans les crédits a long terme ;

Banques de crédit à moyen et long terme, dont l’activité consiste à ouvrir des crédits au moins pour une période de deux ans.

La Banque de France, enfin, une banque privée liée à l’Etat par de nombreux accords depuis 1803, mais dont l’autonomie est restée très grande, a trois fonctions essentielles :


1) Institut d’émission.

2) Banque d’Etat : elle gère le compte du Trésor public.

3) Banques de Banques : chaque banque a un compte à la Banque de

France.


En ce qui concerne les opérations bancaires, parmi les services que le banques offrent à leurs clients, on distingue :


1. Les opérations de caisse :


a.        encaissement d’espèces, de chèques et d’effets de commerce ;

b.       paiement de chèques, virement effets domiciliés.


2. Les opérations de crédit :


a.         les avances consenties par la banquier à son client  de crédit ;

b.        les ouvertures de crédit ;

c.         l’escompte d’effets de commerce ;

d.        le crédit documentaire ;

e.         le crédit confirmé ;

f.         la lettre de crédit ;

g.        l’accréditif.


3. Les cartes de paiement et la carte à puce.




















The British Banking System


Banking occupies a vital place as one of the fundamental branches of commerce. In fact banks provide firms with efficient and convenient methods of payment, both at home and abroad, and with the necessary financial backing.

They render numerous other services regarding, for example, investment schemes, borrowing and lending money, foreign exchange, and so on.

In Britain there are four main types of banks: the Bank of England, commercial or joint-stock banks, savings banks and merchant banks. But building societies, too, provide a series of banking services and among the principal financial institutions in the country.

The Bank of England is the central bank of the country and the Government’s banker.

Commercial Banks offer all kinds of banking and financial services to both individuals and business companies.

Savings Banks can provide a wired range of banking services, but its main function is to accept money in savings account.

Merchant banks are primarily concerned with lending money to companies and dealing in international finance.

Building Societies are not banks proper but they perform some of the fundamental functions of bank: borrowing and lending money.

Banks provide a variety of services for their private clients, for businessmen and firm:


Borrowing money;


Lending money;


3. Assisting overseas trade;


4. Miscellaneous serviced:


a.       Advising customers on investment and other financial matters;

b.       Acting as custodians of customers’ valuables, securities, etc;

c.       Collecting interest, dividends, etc…;

d.       Making regular payments on behalf of their customers;

e.       Assisting travellers abroad;

f.        Issuing self-service banking cards and credits cards;

g.       Dealing in Stock Exchange securities.

Operazioni di prestito:

interesse e tasso di interesse


Tra le operazioni che le banche eseguono,una tra le più note, come sappiamo, è l’operazione di prestito.

Si ha un’operazione di prestito (mutuo) quando una persona, detta creditore, concede in uso ad un'altra persona, detta debitore, una somma di denaro (capitale) per un certo periodo di tempo. Il debitore, da parte sua, si obbliga a restituire, alla scadenza, il capitale pagando, inoltre, una certa somma (interesse) come compenso per l’uso fatto del capitale. Ne segue, quindi, che:

l’interesse è la somma di denaro che il debitore corrisponde al creditore come compenso per l’uso fatto del capitale preso in prestito durante un certo periodo di tempo.

La somma del capitale C e dell’interesse I prende il nome di montante M. Quindi si ha: M = C + I per cui: I = M – C

Di fronte a un’operazione di prestito il problema che si presenta è relativo alla determinazione del montante dovuto. In pratica, si può procedere in due modi:


  • si calcola l’interesse e poi si ottiene il montante aggiungendo l’interesse al capitale.
  • Si calcola direttamente il montante e poi si calcola l’interesse sottraendo il capitale dal montante.

Procedere in un modo o nell’altro è sostanzialmente indifferente.

La pratica finanziaria corrente conosce diverse modalità di calcolo del montante, e quindi, dell’interesse. La possibilità di calcolarli secondo modalità diverse dipende dal fatto che le clausole contrattuali che regolano un contratto di mutuo possono prevedere comportamenti diversi. Principalmente si fa distinzione fra:


a.     calcolo del montante a interesse semplice;

b.     calcolo del montante a interesse composto annuo;

c.      calcolo del montante a interesse composto frazionato.


Si ha l’interesse semplice quando l’interesse è proporzionale, oltre che al capitale, anche al tempo.

Si ha l’interesse composto annuo quando gli interessi vengono capitalizzati annualmente.

Si ha l’interesse composto frazionato quando gli interessi vengono capitalizzati per periodi che sono frazioni di anno.

Per calcolare l’interesse, in un problema di operazione di prestito, bisogna conoscere a quanto ammonta il tasso di interesse,anche questo, fattore determinante. Si tratta di un concetto che può essere pensato e formulato in diversi modi.

Il modo più spontaneo di concepire il tasso di interesse è quello di pensare al tasso di interesse come all’interesse prodotto dal capitale di un euro impiegato per un anno. Si parla in tal caso di tasso annuo unitario. Così, per esempio, si dice tasso annuo unitario 0,07 per indicare il fatto che il capitale di un euro, dato in prestito per un anno, produce un interesse di € 0,07. Ne segue che il montante alla fine dell’anno è:

M = 1 + 0,07 = 1,07. In generale, il tasso annuo unitario viene indicato col simbolo “i”.

Il tasso annuo unitario è riferito al capitale di un euro. Molto spesso, però, come capitale di riferimento viene assunto il capitale di 100 euro. Si parla in tal caso di tasso annuo percentuale. Così, per esempio, si dice tasso annuo percentuale 7, e si scrive 7%, per indicare il fatto che il capitale di € 100, dato in prestito per un anno, produce un interesse di € 7. Ne segue, allora, che il montante alla fine dell’anno è: M=100 + 7 =107.

Come si può notare, quando si passa dalla considerazione del tasso annuo unitario a quella del tasso annuo percentuale ciò che cambia è semplicemente la base capitale alla quale si fa riferimento: dire tasso annuo unitario 0,07 oppure tasso annuo percentuale 7 non comporta alcuna differenza.

A volte, ferma restando la differenza formale fra tasso unitario e tasso percentuale, può cambiare il riferimento temporale. Per esempio, anziché fare riferimento all’anno, si fa riferimento al semestre, al quadrimestre, al trimestre, al bimestre o al mese. In questo caso si parla rispettivamente di tasso semestrale, quadrimestrale, trimestrale, bimestrale, mensile (unitario o percentuale a seconda della base capitale assunta come riferimento). Così, per esempio, si dice tasso unitario semestrale 0,04 (percentuale semestrale) per indicare il fatto che il capitale di un euro, o di 100 euro, impiegato per un semestre, produce l’interesse di € 0,04, o di € 4.

Sulla base di quanto detto possiamo affermare, in generale, che il tasso di interesse è l’interesse prodotto dal capitale unitario impiegato per una unità di tempo. In particolare:


come unità di capitale si può assumere il capitale di un euro (tasso unitario) oppure il capitale di ceno euro (tasso percentuale)

come unità di tempo si può assumere l’anno (tasso annuo, che può essere unitario o percentuale), il semestre (tasso semestrale, che può essere unitario o percentuale) e così via.





















La terziarizzazione


La banca, oggi, non funge solo da intermediaria tra coloro che offrono capitali e coloro che lo richiedono, ma è diventata una vera e propria impresa che opera nel settore del credito e dei regolamenti monetari, e alla funzione di intermediazione affianca la prestazione di numerosi servizi. Queste prestazioni di servizi sono oggi così ampie e articolate per cui la banca appare come una vera e propria impresa di servizi. La crescita di questi servizi, e dell’attività terziaria in particolare, ha oggi un notevole significato sociale ed economico e quindi non è più sufficiente basarsi sull’equazione sviluppo = industrializzazione per definire lo sviluppo di una nazione. In particolare, per i paesi industrializzati è possibile utilizzare il dato dell’occupazione nel settore terziario come indicatore dello sviluppo economico e sociale. Negli ultimi decenni tutti i paesi hanno avuto un incremento percentuale degli occupanti nel settore terziario, sempre accompagnato da una diminuzione degli occupanti nel settore agricolo. L’aumento è stato tanto più forte quanto più rapido è stato il tasso di sviluppo economico dei vari paesi. Più in particolare, tutti i paesi ad economia avanzata hanno avuto nell’ultimo ventennio un forte incremento in termini percentuali degli addetti nel settore terziario, che in alcuni casi occupa fino al 70% della popolazione attiva. Ciò ha portato a definire l’attuale fase di sviluppo economico – sociale di questi paesi come terziarizzazione dell’economia. Questo non significa che da una fase industriale basata sulla produzione materiale si stia passando a una fase basata unicamente sul terziario. La produzione industriale non si è ridotta, è solo mutata l’organizzazione del processo produttivo, con la crescente automazione delle fabbriche e il decentramento di alcune fasi della produzione in paesi in via di sviluppo. Di conseguenza, nei paesi e nelle regioni più sviluppate è aumentata in proporzione la quota del lavoro terziario dedicato all’industria, cioè sono aumentate le attività di progettazione, di ricerca, di telecomunicazioni ecc.;le fasi produttive e distributive richiedono, inoltre, sempre più attività di tipo finanziario, gestionale, di formazione, di pubblicità, ecc. Non siamo quindi di fronte a un processo di deindustrializzazione, ma di forte crescita delle quote di lavoro terziario in funzione della produzione industriale e agricola. Nelle società postindustriali la terziarizzazione non investe solo i servizi per le imprese, ma anche il campo dei servizi destinati alla popolazione. Per questi tipi di servizi, dopo un primo periodo di espansione quantitativa, si è passati a una fase di differenziazione anche qualitativa, dovuta non solo alla crescita complessiva del reddito delle famiglie, ma anche a un aumento del tempo libero e alla crescente importanza che la popolazione attribuisce alla salubrità dell’ambiente e alla qualità della vita. Per i paesi sottosviluppati il significato dei dati sugli occupati nel terziario è diverso. In essi infatti tale settore raccoglie forza lavoro che, espulsa dal settore agricolo e non occupata nel debole settore industriale, pratica lavori a scarsissima produttività. Il dato risulta perciò gonfiato: non indica cioè un reale sviluppo, ma al contrario un ristagno economico, una situazione di sottoccupazione e di scarsa produttività del lavoro.

Qualcosa del genere può accadere però anche nei paesi sviluppati quando la crescita degli occupati nel settore dipende in misura eccessiva dalla crescita del terziario tradizionale: nel commercio al dettaglio in Italia, per esempio, l’eccessivo numero di negozi rende il settore commerciale poco produttivo rispetto a molti paesi sviluppati. Possiamo ora approntare una prima suddivisione dei servizi tenendo conto della funzione prevalente svolta da ogni ramo del settore nel processo produttivo e nella società. Oltre ai già citati servizi per le imprese e servizi per la popolazione, che possono essere suddivisi in servizi per la collettività e per le famiglie, abbiamo anche le attività quaternarie.

I servizi per le famiglie (intese come consumatori) sono destinati al consumo finale. Questo tipo di servizio si localizza sul territorio in funzione della distribuzione della popolazione e del suo livello di reddito. Si concentra quindi nei luoghi più densamente popolati e dove la possibilità di spesa è maggiore. Fanno eccezione a questo schema i servizi delle aree turistiche che spesso sono localizzati, soprattutto nei paesi sviluppati, in posizione periferica rispetto alle grandi aree urbane. Tra i servizi per le famiglie il più importante dal punto di vista occupazionale è il commercio al minuto, che arriva spesso a occupare il 10% della popolazione attiva totale.

Nei paesi sviluppati, le tendenze recenti allo sviluppo dei servizi rivolti al consumo sono di due tipi. Alcuni servizi seguono i processi di concentrazione delle imprese e automazione del lavoro. Un tipico esempio è la sostituzione del piccolo commercio poco specializzato da parte della grande distribuzione (ipermercati).

Dal punto di vista localizzativi, lo sviluppo della grande distribuzione porta a privilegiare le aree suburbane e quelle extraurbane facilmente raggiungibili, rispetto alle localizzazioni nei centri storici delle città. La seconda tendenza riguarda il commercio di beni voluttuari, i servizi per la persona, lo svago, il tempo libero, ecc. Trattandosi di servizi specializzati e altamente sensibili ai mutamenti della moda, la loro offerta non è facilmente concentrabile né standardizzabile e il settore è caratterizzato quindi da un alto numero di occupati e dal frazionamento in piccole unità aziendali. Queste attività, localizzate tradizionalmente nelle parti più centrali della città, si vanno ora diffondendo anche in aree extraurbane, contribuendo al processo di urbanizzazione delle campagne. Nei paesi del Terzo Mondo, come si è già detto, prevale un terziario gonfiato, a causa della bassissima produttività del lavoro. La rete dei servizi ha fatto comunque discreti progressi negli ultimi decenni, specie nelle capitali e nelle grandi città portuali. Nelle regioni rurali la rete commerciale risulta però ancora molto primitiva, spesso caratterizzata ancora dal baratto.

I servizi per la collettività (o di uso collettivo) sono suddivisibili in infrastrutture sociali (Pubblica Amministrazione, giustizia, difesa,ecc.) e

Infrastrutture di trasporto e comunicazione. I servizi per la collettività sono un importante indicatore dello sviluppo economico di un paese: trasporti pubblici e servizi scolastici e sanitari di buon livello, garantendo lo spostamento e la riproduzione di forza lavoro qualificata, sono un prerequisito fondamentale della crescita di tutto il sistema. La localizzazione dei servizi per la collettività dipende in larga misura dalla distribuzione della popolazione ma può anche dipendere dalle politiche di sviluppo regionale. La costruzione di strade, ferrovie, università in regioni sottosviluppate può essere infatti un incentivo a una condizione di base per lo sviluppo futuro.

I servizi per le imprese possono essere suddivisi in tradizionali e innovativi. Questi servizi non sono rivolti al consumo finale, ma alle fasi precedenti del processo produttivo.Sono tradizionali quelli che provvedono alla semplice sopravvivenza dell’impresa, coma la tenuta della contabilità, i trasporti, la distribuzione all’ingrosso, ecc. Sono invece innovativi quei servizi che operano come fattori o condizioni di sviluppo dell’impresa, come i servizi di ricerca e di sviluppo e le ricerche di mercato. Un ruolo particolarmente importante per lo sviluppo di alcuni servizi per le imprese, ha avuto il cambiamento dell’organizzazione del lavoro. Infatti molte attività non direttamente produttive sono state affidate ad imprese esterne specializzate, sia per servizi di facile erogazione (pulizia, mensa), sia per servizi avanzati, come la consulenza in campo informatico, pubblicitario, ecc. Dal punto di vista territoriale i servizi per le imprese tendono a seguire la distribuzione delle imprese clienti e, quindi, si localizzano nei centri urbani economicamente più sviluppati, dove sono già presenti molte attività.

Le attività quaternarie sono formate dalle attività di comando, decisione, pianificazione e controllo a livello politico, sociale, economico e culturale. Le funzioni direzionali non vanno confuse con quelle di servizio delle amministrazioni, così come la direzione centrale delle banche, dove si operano le scelte di politica finanziaria, non va confusa con gli uffici bancari che mettono in atto queste scelte. Queste attività si concentrano in pochissime grandi metropoli, su scala sia nazionale sia internazionale. Quando una città concentra numerose attività quaternarie de importanza mondiale, assume il carattere de centro decisionale internazionale come Londra, Tokyo, New York.








La Costituzione repubblicana

Questo forte sviluppo economico, finanziario e sociale, e questa grande evoluzione bancaria si è verificata anche grazie a un forte sostegno: La Costituzione.

Il 31 gennaio 1947 la Commissione dei Settantacinque presento il suo progetto alla Costituente che dal 4 marzo 1947, lo discusse approfonditamente articolo per articolo. Il 22 dicembre 1947 l’Assemblea Costituente approvò i 139 articoli (oltre alle disposizioni transitorie e finali) della nuova Costituzione repubblicana con 453 voti favorevoli e 62 contrari. La promulgazione avvenne il 27 dicembre 1947 e la Costituzione entrò in vigore il 1° gennaio 1948.

La Costituzione è il complesso delle norme fondamentale su cui si regge l’Italia repubblicana.

Il nostro attuale assetto istituzionale è frutto di un travagliato cammino e di un evoluzione storica che ha sviluppato in ognuno di noi la coscienza che libertà e democrazia sono valori fondamentali e irrinunciabili del vivere civile.

La nostra Costituzione è scritta, votata, lunga e rigida. I principi fondamentali e la struttura dell’ordinamento repubblicano sono scritti nei 139 articoli della Costituzione. Non tutte le costituzioni sono scritte; ad esempio, in Inghilterra, Parlamento e Governo funzionano sulla base di regole consuetudinarie, senza che questo diminuisca l’importanza della costituzione inglese.

Mentre lo Statuto Albertino era concesso dal Re ai sudditi, la Costituzione è stata votata da un’assemblea democraticamente eletta dal popolo italiano. Le prime costituzione ottocentesche, come lo Statuto Albertino, erano brevi, perché si limitavano ad enunciare alcuni principi fondamentali relativi all’ordinamento statale e ai diritti e doveri dei cittadini. Fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, le costituzione cominciarono ad avere una struttura articolata, comprendente una più dettagliata enunciazione dei principi in esse contenuti. I Costituenti scelsero un costituzione lunga perché l’Italia usciva da una dittatura e forte era l’esigenza di regolare in modo preciso i principi fondamentali, per rendere più difficile un loro sovvertimento in futuro. Anche la scelta tra costituzione flessibile e costituzione rigida fu condizionata dall’esperienza fascista. Il fascismo, approfittando della flessibilità dello Statuto Albertino, aveva creato un ordinamento giuridico che aveva completamente snaturato li Statuto, pur rispettandolo formalmente.

I Costituenti scelsero una costituzione rigida in modo che nessuna legge ordinaria potesse essere in contrasto col dettato costituzionale. Quindi essendo rigida, la Costituzione si trova al vertice della gerarchia delle fonti, mentre se fosse flessibile si troverebbe allo stesso livello delle leggi ordinarie (e degli atti aventi pari efficacia). Poiché nessuna legge poteva essere in contrasto col dettato costituzionale, i Costituenti istituirono un organo, la Corte Costituzionale, col compito di vigilare sulla conformità delle leggi alla Costituzione.

La Costituzione si divide in Costituzione formale, e Costituzione materiale. La Costituzione formale è rappresentata dai 139 articoli (e dalle Disposizioni transitorie e finali) approvati dall’Assemblea Costituente. La Costituzione materiale, invece, costituita dalle norme effettivamente in vigore in un dato momento storico. Fra Costituzione formale e materiale esistono differenze spesso profonde. Infatti molti articoli della Costituzione sono stati applicati in ritardo, e alcuni sono tuttora disapplicati o applicati solo in parte. Quindi la Costituzione formale è solo parzialmente applicata.

Le differenze tra Costituzione formale e materiale possono spiegarsi se si considera che alla redazione della Costituzione (formale) hanno contribuito tutti i partiti presenti nell’Assemblea Costituente. Questi partiti esprimevano ideologie diverse e quindi, per trovare un accordo, hanno dovuto raggiungere dei compromessi su alcuni punti. È inevitabile che i partiti che nei decenni seguenti hanno esercitato il potere abbiano cercato di applicare solo quelle parti di Costituzione per le quali si erano battuti in sede di Assemblea Costituente.

La Costituzione può essere modificata solo dalle leggi costituzionali. Queste modificano la Costituzione o aggiungendo (costituzionalizzando) norme che prima non ne facevano o abrogandone gli articoli (in tutto o in parte). La funzione di revisione costituzionale è correlata con l’esistenza di una costituzione rigida, perché le costituzioni flessibili non necessitano di alcuna revisione.

In Parlamento, per approvare una legge costituzionale occorre un procedimento legislativo più complesso rispetto a quello richiesto per le leggi ordinarie. Mentre per approvare una legge ordinaria basta una sola votazione col voto favorevole della maggioranza dei presenti (maggioranza semplice), l’art. 138 Cost. stabilisce che per approvare una legge costituzionale occorrano due votazione, a distanza di almeno tre mesi, con le seguenti maggioranze:


  • nella prima votazione basta la maggioranza semplice;
  • nella seconda votazione occorre il voto favorevole della maggioranza degli aventi diritto al voto (maggioranza assoluta).

L’art. 138 Cost. prevede un  referendum di revisione costituzionale a cui possono essere sottoposte le leggi costituzionali, entro tre mesi dalla loro pubblicazione. La legge costituzionale può entrare in vigore solo se, nel referendum, è stata approvata dalla maggioranza dei votanti. Non è possibile effettuare il referendum se, nella seconda votazione, la legge costituzionale è stata approvata con la maggioranza dei 2/3 (maggioranza qualificata): è opportuno che nella seconda votazione la legge costituzionale sia approvata a maggioranza qualificata, per impedire un possibile referendum. Una volta approvate, le leggi costituzionali entrano a far parte della Costituzione.

La funzione di revisione è limitata rigorosamente dalla Costituzione in due casi:


la forma repubblicana “non può essere oggetto di revisione costituzionale” (art. 139 Cost.)

i diritti dell’uomo debbono comunque restare “inviolabili” (art. 2 Cost.).


La Costituzione comprende 139 articoli divisi in due parti: “Diritti e doveri dei cittadini” e “Ordinamento della Repubblica”, precedute dai “Principi fondamentali” e seguite dalle “Disposizioni transitorie e finali”. La Costituzione inizia con un preambolo costituito dai “Principi fondamentali” (art. 1 – 12 cost.), che contengono i criteri ispiratori di tutta la carta costituzionale. In particolare:


principio democratico;

principio personalista;

principio di uguaglianza;

principi dell’autonomia e del decentramento;

principio della coesistenza pacifica.


I rapporti fra i cittadini e lo Stato italiano sono regolati nella parte relativa ai “Diritti e doveri dei cittadini”, che si articola in quattro aree:


i rapporti civili (art. 13 – 28 Cost.)

i rapporti etico – sociali (art. 29 – 34 Cost.)

i rapporti economici (art. 35 – 47 Cost.)

i rapporti politici (art. 48 – 53 Cost.)


Nell’ambito dell’“Ordinamento della Repubblica” (art. 55 – 139 Cost.), la parte più importante e quella che indica le competenze degli organi costituzionali dello Stato italiano. Gli organi costituzionali devono avere una struttura di base dettata dalla Costituzione. Si tratta di elementi necessari dell’ordinamento giuridico, nel senso che la mancanza di un organo costituzionale produce l’arresto dell’attività statale o una sua trasformazione in senso difforme da quanto previsto dalla Costituzione. Gli organi costituzionali sono posti sullo stesso piano, perché fra essi non può esistere alcuna dipendenza gerarchica. In particolare:


Parlamento;

Governo;

Presidente;

Costituzionale;

Magistratura;


Per consentire un graduale passaggio fra il vecchio e il nuovo ordinamento, i Costituenti inserirono diciotto “disposizioni transitorie e finali”. Particolarmente interessante è la XIII Disposizione, che vieta agli ex – sovrani, alle loro consorti e ai loro discendenti maschi l’“ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale”. Si tratta di una Disposizione necessaria nel dopoguerra (basti pensare alle tensioni che seguirono il referendum istituzionale…), ma che oggi appare decisamente superata, tanto che si fanno sempre più forti le pressioni per abrogarla.














Le Imposte


Alcuni articoli della Costituzione riguardano i prelevamenti effettuati dallo Stato a i singoli cittadini. Uno di questi prelevamenti è l’imposta.

L’imposta è un prelevamento coattivo di ricchezza effettuato dallo Stato o da altro ente pubblico per far fronte a fini di interesse generale.

Il dovere di pagare le imposte sorge sulla base di presupposti stabiliti dallo Stato nell’esercizio del potere di sovranità. L’imposta è quindi uno strumento coattivo di solidarietà sociale, in quanto l’onere della spesa per i servizi che giovano a tutta la collettività ricade in misura maggiore su chi dispone di una maggiore ricchezza.

Nello Stato moderno la materia tributaria è oggetto di riserva di legge; vale a dire che i tributi possono essere istituiti, modificati o aboliti soltanto dal legislatore. In Italia i tributi erariali sono istituiti con legge ordinaria o con decreto legislativo; a garanzia dei cittadini lo Statuto del contribuente vieta l’introduzione di nuovi tributi con decreto legge.

Il principio secondo cui nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge è sancito nel nostro ordinamento dall’art. 23 Cost.

Ogni prelievo della ricchezza dei cittadini può essere stabilito solo dal Parlamento, organo liberamente eletto dai cittadini stessi.

Il rapporto del cittadino con l’ente impositore viene a configurarsi, così, come un rapporto giuridico (obbligazione tributaria), i cui presupposti ed elementi sono stabiliti dalla legge.

Presupposto dell’imposta è l’atto o il fatto al verificarsi del quale la legge ricollega l’applicabilità del prelievo.

Si tratta sempre di atti o fatti suscettibili di valutazione economica, dai quali si può desumere, direttamente o indirettamente, la capacità contributiva del soggetto.

Ad esempio, il presupposto dell’Irpef è il possesso di redditi; quello dell’Ici è il possesso di beni immobili; quello dell’imposta di successione è l’apertura di una successione a casa di morte.

L’individuazione del presupposto di imposta ha un’importanza fondamentale dal punto di vista giuridico, perché l’obbligazione tributaria sorge solo se la situazione in cui si trova il soggetto corrisponde esattamente a quella prevista dalla legge come presupposto del tributo.

Tale obbligazione nasce coattivamente, senza il consenso del debitore e senza alcuna controprestazione da parte dell’ente pubblico. Essa consiste nel pagare il tributo e di osservare gli altri adempimenti previsti dalla legge per la concreta realizzazione del prelievo (dichiarazioni, registrazioni, conservazione o presentazione di documenti ecc…).

Elementi dell’obbligazione tributaria sono: il soggetto attivo, il soggetto passivo, l’oggetto e l’aliquota.

Il soggetto attivo è la Pubblica amministrazione cui per legge compete il potere di applicare in concreto l’imposta.

Ad esempio, soggetto attivo dell’Irpef è l’amministrazione finanziaria dello Stato, soggetto attivo dell’Ici è il comune nel cui territorio è situato l’immobile.

Il soggetto passivo è la persona fisica o l’ente su cui grava l’obbligo di pagare il tributo e la conseguente responsabilità in caso di inadempimento. In generale, soggetto passivo dell’imposta è il contribuente, cioè la persona nei cui confronti si è verificato il presupposto d’imposta.

Con riferimento agli esempi precedenti, soggetto passivo per l’Irpef è il possessore di redditi, per l’Ici è il possessore di un immobile.

L’oggetto dell’imposta è la ricchezza su cui si applica il prelievo.

Oggetto dell’Irpef è il reddito complessivo del contribuente; oggetto dell’Ici sono gli immobili posseduti.

L’oggetto dell’imposta, espresso in moneta, si dice base imponibile.

L’aliquota è il rapporto fra l’ammontare dell’imposta e l’ammontare della base imponibile; si esprime in percentuale e indica in che proporzione l’imposta si commisura all’imponibile (ad esempio, 10% del reddito; 0,4% del valore dell’immobile).

La ricchezza alla quale il contribuente attinge per far fronte al pagamento del tributo è detta fonte dell’imposta.

Generalmente l’imposta viene pagata con il reddito ma, se è molto elevata, può avere come fonte il patrimonio perché per pagarla può essere necessario attingere al risparmio precedentemente accumulato o disinvestire parte dei beni posseduti.

Oggetto e fonte dell’imposta possono coincidere, ma non sempre. Nell’Irpef sia l’oggetto sia la fonte sono dati dal reddito del contribuente; l’Ici ha come oggetto il patrimonio ma l’aliquota è tale che il contribuente può pagare l’imposta attingendo al reddito.

Il prelievo fiscale forme e caratteri differenti; di conseguenza, esistono diversi tipi di imposte che si possono classificare per gruppi omogenei secondo vari criteri. Queste sono:


1. Imposte dirette e indirette;

2. Imposte reali e personali;

3. imposte generali e speciali;

4. Imposte proporzionali, progressive, regressive


Sono imposte dirette quelle che colpiscono le manifestazioni immediate della capacità contributiva, cioè il reddito conseguito o il patrimonio posseduto dal contribuente.

Le imposte dirette sul reddito hanno a oggetto il flusso di ricchezza che si rende disponibile in un dato periodo di tempo, dedotte le spese sostenute per il suo conseguimento.

Ne sono esempi l’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) e l’imposta sul reddito delle persone giuridiche (Irpeg).

Le imposte dirette sul patrimonio colpiscono il patrimonio del contribuente nel suo insieme o in alcuni suoi elementi (ad esempio, beni immobili). Esse presentano caratteristiche diverse a seconda che siano ordinarie o straordinarie.

L’imposta patrimoniale ordinaria, pur essendo commisurata al patrimonio (che costituisce l’oggetto), deve avere un’aliquota così bassa da poter essere pagata con il reddito (che ne è perciò la fonte): se l’aliquota fosse elevata e il contribuente per farvi fronte dovesse attingere effettivamente al patrimonio, questo ad ogni pagamento verrebbe a ridursi fino a non esistere più.

Un esempio di imposta ordinaria sul patrimonio è l’imposta comunale sugli immobili (Ici).

La patrimoniale straordinaria, invece, che consiste in un prelevamento “una tantum”, può anche avere il patrimonio come fonte.

Ad esempio, l’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio, applicata nel 1947 per far fronte alle eccezionali necessità finanziarie del dopoguerra, aveva aliquote crescenti, congegnate in modo che i piccoli proprietari potevano farvi fronte con il reddito, mentre i grossi proprietari dovevano attingere ai rispettivi patrimoni.

Sono imposte indirette quelle che colpiscono le manifestazioni mediate della capacità contributiva, cioè la ricchezza in quanto viene consumata o trasferita.

Le imposte indirette sui consumi colpiscono il reddito quando viene speso e nella misura in cui viene speso.

Ne sono esempi l’imposta sul valore aggiunto (Iva), le imposte di fabbricazione.

Le imposte indirette sui trasferimenti colpiscono il patrimonio nel momento in cui esso viene, in tutto o in parte, trasmesso da un soggetto a un altro, a titolo gratuito o a titolo oneroso.

Ne sono esempi l’imposta sulle successioni a causa di morte e l’imposta di registro.

Le imposte reali colpiscono determinati beni o attività economiche tenendo conto solo della loro entità e natura, e astraendo dalla condizione del contribuente.

Ad esempio, ha carattere reale l’Ici, perché colpisce il valore di un terreno o di un fabbricato considerando solo le caratteristiche del bene e senza dare alcun rilievo alla situazione del possessore.

Le imposte personali colpiscono la ricchezza complessiva del contribuente tenendo conto delle condizioni personali, famigliari ed economiche in cui egli si trova.

Un esempio d’imposta personale è l’ Irpef : ha per oggetto il reddito complessivo posseduto dal contribuente; a parità del reddito, paga meno il contribuente che ha più carichi di famiglia o ha dovuto sostenere spese per cure mediche ecc…

Le imposte personali si commisurano meglio alla capacità contributiva del soggetto. Occorre però che la legge prenda in considerazione soltanto circostanze che influiscano effettivamente sulla capacità di sostenere il peso delle imposte.

L’imposta è generale quando colpisce tutti gli elementi di una data manifestazione di ricchezza (tutte le categorie di reddito, tutti i beni patrimoniali, tutti i consumi ecc) e li colpisce con la stessa aliquota.

L’imposta è speciale quando colpisce solo determinate categorie di redditi, di beni o di attività, o quando colpisce tutte le categorie con aliquote differenziate.

L’imposta che colpisce con l’aliquota del 20% il profitto delle imprese agricole e con l’aliquota del 10% i profitti industriali è un’imposta speciale.

L’imposta è proporzionale quando al suo ammontare aumenta in proporzione all’aumentare dell’imponibile, e perciò l’aliquota è costante.

Chi ha 1.000 paga 100, chi ha 2.000 paga 200, chi ha 10.000 paga 1.000: l’aliquota è sempre del 10%.

l’imposta è progressiva quando il suo ammontare aumenta in misura più che proporzionale rispetto all’aumentare dell’imponibile, e perciò l’aliquota è crescente.

Affinché l’aliquota continuando ad aumentare non arrivi a comprendere tutta la materia imponibile con un prelievo del 100%, viene stabilito un massimo oltre il quale l’aliquota rimane costante e l’imposta, quindi, diventa proporzionale.

Chi ha 1.000 paga 100 (aliquota 10%), chi ha 2.000 paga 400 (20%), chi ha 10.000 paga 5.000 (50%), chi ha 12.000 paga 6.000 (50%).

L’imposta è regressiva quando il suo ammontare aumenta in misura meno che proporzionale rispetto all’aumentare dell’imponibile, e perciò l’aliquota è decrescente.

Chi ha 1.000 paga 100 (aliquota 10%), chi ha 2.000 paga 160 (8%), chi ha 10.000 paga 200 (2%).

l’imposta regressiva è palesemente ingiusta e, infatti, nei sistemi tributari moderni imposte siffatte non esistono: almeno formalmente. Sostanzialmente, sono regressive le imposte sui consumi di prima necessità.

Le modalità per attuare la progressività dell’imposta sono principalmente tre:la progressione continua, la progressione per classi e per scaglioni e la progressione per detrazione.

La progressione continua si ha quando l’aliquota aumenta in funzione continua a ogni minimo aumento dell’imponibile, secondo una determinata formula matematica.

La progressione per classi e per scaglioni si ha quando le basi imponibili sono suddivise in classi secondo il loro ammontare e l’aliquota aumenta a scatti nel passaggio da una classe all’altra, mentre rimane la stessa per tutti gli imponibili compresi all’intermo di una stessa classe.

Ad esempio, per i redditi da 1.000 a 5.000 si pagherà il 5%; da 5.001 a 10.000 si il 7%; da 10.001 a 20.000 si pagherà il 9% ecc…

La progressione per classi presenta l’inconveniente del salto, poiché chi si trova, con il proprio imponibile, poco al di sopra del limite fra una classe e l’altra, una volta pagata l’imposta viene a trovarsi in una condizione economica peggiore di chi si trova a quel limite o poco sotto: il che ovviamente, è ingiusto.

Un correttivo a questo inconveniente consiste nello stabilire che l’aliquota della classe superiore non si applichi a tutto l’imponibile, ma solo a quella parte di esso che eccede il limite della classe inferiore. L’imposta è allora progressiva per scaglioni; ed è questa la forma di progressività che trova più frequente attuazione.

La progressione per detrazione si ha quando l’aliquota dell’imposta è nominalmente costante, ma si commisura, anziché all’intero reddito, all’ammontare di esso diminuito di una somma fissa, che resta per tutti i redditi esente da imposta.




PROGRSSIVITA PER DETRAZIONE


Reddito senza

Detrazione

Somma da

detrarre

Reddito al netto

della detrazione

Imposta dovuta

Aliquota effettiva

rispetto al reddito

imponibile






















Il prelievo delle imposte viene attuato mediante un procedimento amministrativo, ossia mediante il compimento di una serie di atti, fra loro connessi e interdipendenti, previsti e regolati dalla legge.

In linea generale, il procedimento per l’applicazione dell’imposta si svolge in tre fasi: l’accertamento, la riscossione e il versamento.

L’accertamento dell’imposta è l’insieme degli atti mediante i quali il credito dell’ Amministrazione finanziaria viene reso certo e liquido.

La riscossione comprende le operazioni dirette a ottenere il pagamento del tributo da parte del soggetto passivo, o l’esecuzione forzata nel caso di inadempimento.

Il versamento ha luogo quando l’incaricato della riscossione (ente di riscossione) consegna le somme riscosse all’ufficio che gestisce il servizio di cassa dell’ente impositore.

L’ accertamento dell’imposta consiste in un insieme di operazioni tecniche mediante le quali il debito di imposta viene individuato nei suoi elementi soggettivi e oggettivi, e quantificato nel suo ammontare.

La procedura di accertamento comprende:


la determinazione dell’imponibile attribuito a un dato soggetto;

la liquidazione dell’imposta dovuta;

la notificazione al contribuente.


L’imponibile si può determinare mediante l’accertamento analitico o quello induttivo.

Il metodo analitico consiste nel rilevare direttamente la materia imponibile mediante la specifica individuazione di tutti i suoi elementi. Ciascun elemento deve essere certo e documentato e viene valutato secondo i criteri stabiliti dalla legge. Questo metodo, sotto i profili della certezza, è molto razionale perché determina l’imponibile in modo quanto più possibile corrispondente alla realtà.

Con l’accertamento induttivo (o sintetico) l’ammontare complessivo della materia imponibile viene desunto indirettamente da elementi esteriori che hanno il valore di indizi attendibili. Si tratta di un metodo alquanto grossolano, che si avvicina alla realtà in modo solo approssimativo, ma ha il pregio della economicità e semplicità. Attualmente vi si ricorre al metodo induttivo solo nei casi tassativamente previsti dalla legge tributaria, per integrare il metodo analitico.

Stabilito l’ammontare dell’imponibile, si procede alla liquidazione dell’imposta (o tassazione), che consiste nel determinare l’ammontare dell’imposta dovuta. La liquidazione avviene di regola con il sistema della quotità, cioè applicando all’imponibile l’aliquota predeterminata dalla legge. In molti casi la legge dispone che la tassazione venga effettuata dallo stesso contribuente, il quale, in sede di dichiarazione, deve calcolare l’imposta dovuta applicando le aliquote all’imponibile dichiarato (autotassazione).

La notificazione consiste nel portare a conoscenza del contribuente il preciso ammontare dell’imposta dovuta.

La riscossione dell’imposta può avvenire con modalità diverse.

Per ritenuta alla fonte. Questa tecnica di riscossione riguarda principalmente le imposte che colpiscono redditi di lavoro o di capitale. L’importo dell’imposta viene trattenuto dal soggetto che corrisponde il reddito, cosicché questo viene percepito dal contribuente al netto del prelievo.

Tramite uffici fiscali. L’imposta viene riscossa dallo stesso ufficio che ha effettuato l’accertamento.

Mediante bollo. L’imposta viene riscossa imponendo l’uso di carta bollata o di marche da bollo per gli atti assoggettati al tributo.

Per versamento diretto. Questo sistema si applica per le imposte determina te mediante autotassazione.

Per appalto a esattori privati. Il compito di riscuotere le imposte viene affidato a privati (persone fisiche o giuridiche). Questo sistema si era usato in Italia fino al 1990 per le imposte iscritte a ruolo.

Mediante un apposito servizio di riscossione, gestito direttamente dalla Pubblica amministrazione o affidato a privati (società per azioni, banche, società cooperative). Questo sistema è stato introdotto nel 1990 in Italia in sostituzione di quello dell’appalto a esattori.





















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