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Il decadentismo




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Il decadentismo


La visione del mondo decadente. La base della visione del mondo decadente è un irrazionalismo misticheggiante, che riprende ed esaspera posizioni già largamente presenti nella cultura romantica della prima metà del secolo. Viene radicalmente rifiutata la visione positivistica, propria del mondo borghese e ormai cristallizzata in luoghi comuni: la convinzione che la realtà sia un complesso di fenomeni materiali regolati da leggi e che la scienza, una volta individuate tali leggi, possa garantire una conoscenza oggettiva e totale della realtà. Il decadente ritiene al contrario che ragione e scienza non possano dare la vera conoscenza del reale, perché l'essenza di esso è al di là delle cose, per cui solo rinunciando all'ambito razionale si può tentare di attingere all'ignoto. L'anima decadente è perciò sempre protesa verso il mistero che è dietro la realtà visibile, verso l'inconoscibile.



Se per la visione comune le cose possiedono una loro solida e oggettiva individualità, per la visione decadente tutti gli aspetti dell'essere sono legati da arcane analogie e corrispondenze, che sfuggono alla ragione. Ogni forma sensibile perciò non è che un simbolo di qualcosa di più profondo che sta al di là di essa. Tale visione era già stata formulata da Charles Baudelaire nel sonetto Corrispondenze de I Fiori del male.

La rete di corrispondenze coinvolge anche l'uomo: l'io e il mondo sono in qualche modo uniti sul piano dell'inconscio, la cui scoperta è il dato fondamentale della cultura decadente.

Poiché l'essenza segreta della realtà non può essere colta attraverso la ragione e la scienza, strumenti conoscitivi divengono gli stati abnormi e irrazionali della coscienza (malattia, follia, delirio, nevrosi, allucinazioni o effetti dell'uso delle droghe); vi sono poi altre forme di estasi che consentono questa esperienza dell'ignoto e dell'assoluto: se l'Io e il mondo non sono in realtà distinti, l'io individuale può confordersi nel Tutto e, attraverso questo annullamento, potenziare all'infinito la propria vita. Tale atteggiamento è stato definito panismo e ricorrerà particolarmente in D'Annunzio. Un altro tipo di "stato di grazia" è costituito dalle epifanie, come le definisce James Joyce: un particolare qualunque della realtà, apparentemente insignificante, si carica all'improvviso di una misteriosa intensità di significato, che affascina come un messaggio proveniente da un'altra dimensione, come rivelazione momentanea di assoluto.


La poetica del Decadentismo. Tra i momenti privilegiati della conoscenza, per i decadenti, vi è soprattutto l'arte. Gli artisti sono capaci di spingere lo sguardo laddove l'uomo comune non vede nulla. Questo culto religioso dell'arte ha dato origine al fenomeno dell'estetismo: l'esteta è colui che assume come principio regolatore della sua vita non i valori morali, ma solo il bello, ed esclusivamente in base ad esso agisce e giudica la realtà. Egli si colloca così al di là della morale comune, in una sfera di assoluta eccezionalità rispetto agli uomini mediocri. Ne consegue che il poeta rifiuta di farsi portatore di idealità morali e civili: la sua arte è pura, priva di intenti pratici e utilitaristici (un'eccezione nel panorama decadente è costituita dalle opere dannunziane del periodo superomistico, in cui l'arte diviene mezzo di propaganda ideologica).

La poesia è suggestione irrazionale, spesso risulta incomprensibile o comprensibile solo a pochi iniziati, e talvolta diviene finanche pura autocomunicazione del poeta: si rivela qui il carattere estremamente aristocratico dell'arte decadente, che rifiuta di rivolgersi al pubblico borghese, ritenuto mediocre e volgare. La scelta è inoltre motivata dall'imporsi della nascente cultura di massa, che offre al grande pubblico prodotti meccanicamente ripetitivi. Per questo l'artista sente il bisogno di difendersi, di differenziarsi, e si rifugia nel linguaggio ermetico per salvare l'arte vera, compromessa dalla riproduzione meccanica destinata al mercato borghese.



Per quanto riguarda le tecniche espressive, uno dei mezzi tecnici prediletti dallo scrittore decadente è la musicalità: la musica è la suprema fra le arti, proprio perché svincolata da ogni significato logico e carica di valori evocativi e di misteriose facoltà suggestive. Il teorico dell'estetismo inglese, Walter Pater, afferma che <<tutte le arti tendono costantemente alla condizione della musica>>. La trasformazione della parola poetica in musica è esplicitamente teorizzata in apertura dell'Arte poetica di Verlaine, che si può a buon diritto considerare il "manifesto tecnico" della nuova letteratura decadente. Pura musica sono spesso i versi dannunziani, in cui non conta tanto il significato delle parole quanto il loro suono. Lo stesso vale per Pascoli, le cui poesie offrono preziose ricerche foniche. Un andamento musicale ha parimenti la prosa narrativa dei romanzi di D'Annunzio, non solo grazie al ritmo e alle cadenze delle frasi, ma anche all'uso di motivi conduttori che, secondo il modello di Wagner, ricorrono sistematicamente a sottolineare certi temi o certe situazioni.

In secondo luogo cadono nella poesia decadente i nessi sintattici tradizionali, nei quali anche le singole parole assumono sfumature o significati diversi da quelli comuni. Ma lo strumento forse più usato è quello metaforico: la metafora decadente è espressione di una visione simbolica del mondo, dove ogni cosa rimanda ad altro, alludendo alla rete di segrete relazioni, di "corrispondenze" che uniscono le cose in un sistema di analogie universali.

Tuttavia la metafora decadente non è regolata da un semplice rapporto di somiglianza tra due oggetti, come avveniva nella tradizione, ma istituisce legami impensati tra realtà fra loro remote, e spesso il secondo termine di paragone resta oscuro e misterioso. Il rapporto simbolico è diverso da quello allegorico, proprio del Medioevo: l'allegoria postula un rapporto nettamente codificato tra significante e significato (ad esempio la lupa dantesca è l'avarizia), il simbolo invece non è codificabile in una forma definitiva, è allusivo e polisemico (caricabile di vari sensi).

Affine alla funzione della metafora è quella della sinestesia. Essa è una fusione di sensazioni, e si ha quando impressioni che colpiscono un senso evocano altre impressioni relative a sensi diversi. Anche la sinestesia rimanda a una rete simbolica sotterranea al reale e presuppone una segreta unità del tutto, una zona oscura dove le varie sensazioni e le realtà che le provocano si fondono in un complesso indistinto.


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