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Felicità e conoscenza




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Felicità e conoscenza





Se la felicità dipendesse solo dal grado di conoscenza che una persona ha, poche sarebbero quelle veramente felici.

Il Bramino di Voltaire capì di non essere felice trovando, nella vita di tutti i giorni, quesiti ai quali non sapeva rispondere, perché credeva di non avere una conoscenza assoluta. La vecchia, sua vicina di casa, pur non sapendo niente, non essendo saggia, paradossalmente era felice, perché non sapeva di non sapere, e per questo stava in pace con sé stessa. Ella era sì felice, ma non era saggia, non possedeva la conoscenza. Il Bramino invece non era felice, ma saggio, talmente saggio da ricercare sempre la conoscenza e per questo infelice. Cosa è meglio: una persona felice che non ha conoscenza o una infelice, ma saggia? La beata ignoranza dei bambini che ridono o piangono o la continua ricerca di conoscenza degli adulti?

Nel corso dei secoli  sono state formulate varie opinioni in proposito da parte di molti filosofi, secondo le quali tutti affermano che è meglio essere infelici, piuttosto che essere felici e vivere nell'ignoranza.

Felicità per me realizzare me stesso nel rispetto degli altri non nell'avere ma nell'essere in un continuo quindi processo di maturazione, di conoscenza, di consapevolezza che induce a vivere e a trascorrere i giorni e i mesi e gli anni, non lasciando che il mondo attorno trascini me stesso con sé come una nullità, come un oggetto, preferendo una continua ricerca del sapere anche nelle piccole cose. La felicità può essere data dalla scoperta di una legge matematica, nata da una precedente conoscenza perché questo appaga quel bisogno di progresso che si trova dentro di noi.

Nel Medioevo si diceva che la sapienza non era altro che una ricapitolazione, affermando così di aver raggiunto il massimo sapere, non ricercando un progresso e quindi una felicità maggiore.

Avere una conoscenza parziale però lascia una questione dietro di sé: una persona che sa, parzialmente è felice per ciò che sa o infelice per ciò che non sa? Questo dipende dalla visione del vita che uno ha, come vede il bicchiere: se mezzo vuoto o mezzo pieno. Io, personalmente ritengo di essere felice di ciò che so, non sentendomi infelice per ciò che invece non so in quanto la curiosità, la vivacità, il, bisogno continuo di risposte penso sia alla base della conoscenza, per questo cerco sempre delle spiegazioni razionali per tutti gli avvenimenti che avvengono nella mia vita.

Nella società di oggi la parola conoscenza, molte volte  è sinonimo di progresso.

Il fatto di sapere tante cose e di ricercare quello che non si sa, può portare ad uno scontro tra felicità e conoscenza.Per esempio scoprire la clonazione ha voluto dire acquisire sapere, essere più felici in quanto si vive in un mondo migliore da una parte, ma dall'altra violare i diritti del genere umano, rendendo infelici quelle persone nate come cloni alle quali spetterà una vita peggiore, nate non per l'amore, ma per la necessità e la volontà di qualcuno, il quale potrà acquistare felicità, ma che indubbiamente ne toglierà una grande quantità ad un'altra persona con i suoi stessi diritti.

Preferire la ragione alla felicità, come fanno i filosofi, sembra uno dei più grandi sbagli mai compiuti, ma riflettendoci su, se fossimo solo felici e vivessimo nell'ignoranza, se ci chiedessimo di cosa siamo felici, non riusciremmo a darci una risposta.

Un'altra domanda alla quale bisogna prestare attenzione è questa: la felicità esiste?Se sì,cos'è?

Il dizionario, del termine felicità dà questo significato: termine con cui si indica generalmente uno stato di appagamento avvertito interiormente e derivante da un armonico rapporto dell'individuo con sé stesso e con il mondo esterno. A seconda dei vari filosofi ci sono varie risposte a questa domanda. Per Platone, la felicità consisteva in un equilibrio interiore capace di  ben orientare l'uomo nel mondo.

Gli epicurei invece danno un'altra definizione, attribuendo un significato dettato, non dalla ricerca del sapere, ma dal piacere, definendo quest'ultimo principio e fine della felicità. La ricerca della conoscenza,  non deve essere affrettata, ma deve avvenire a piccoli passi in quanto in un solo giorno nessuno diventa felice o beato, come afferma Aristotele nell'Etica Nicomachea.

Il desiderio di sapere, se diventa un'ossessione, può essere inoltre un ostacolo, un elemento a contrasto della saggezza e quindi della felicità. Ciò viene detto da Buddah quando porta l'esempio dell'uomo ferito da una freccia avvelenata, che prima che gli venga tolta vuole sapere il nome del suo assalitore, il legno dell'arco usato per trafiggerlo e il materiale della corda, esasperando così il desiderio di conoscenza, che lo porterà inevitabilmente alla morte.

Se mi chiedessero di scegliere tra la conoscenza assoluta e la felicità come conquista astratta, così su due piedi, non saprei cosa rispondere, ma riflettendoci accuratamente, valutando i pro ed i contro di entrambe, risponderei sicuro dicendo : "conoscenza". Questo perché una vita, passata cercando di darmi una risposta su cos'è ciò che mi circonda, su chi sono, perché mi trovo qui e per volere di chi e vedendo che ognuna di queste domande rimane senza risposta, non credo che possa essere definita una vita dove esiste la felicità. Al contrario, a parer mio, la conoscenza, il sapere cosa, chi, dove sono, implica, magari non una felicità i termini assoluti, ma la coscienza critica del reale.

Tra i filosofi che hanno discusso su questo tema, quello più vicino alle mie idee è sicuramente Aristotele, in quanto mi trovo molto in accordo con lui sulle sue citazioni che ritengo di grande importanza e efficacia nel descrivere la felicità, non come un possedimento di averi, ma nel modo in cui è disposta l'anima.






























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