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Legislatura (1976-1979)




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Legislatura (1976-1979)




La settima Legislatura si apre con le elezioni del 1976 che segnano il recuperano dei voti della DC che si mantiene al 38,7% che, considerando le vicende che hanno riguardato il partito cattolico al suo interno durante tutta la sesta legislatura, rappresenta certamente un ottimo risultato di fronte ad un sistema politico sempre in crisi di rappresentanza. Dal versante dell'opposizione si registra invece un ulteriore incremento dei consensi intorno al PCI che, gestito abilmente il successo alle regionali del '74, si attesta al 34,4% il massimo storico. Un tale consenso risalta come una ulteriore legittimazione alla strategia berlingueriana del compromesso storico già definita nella legislatura precedente che, all'indomani dei risultati elettorali, certifica il PCI come forza popolare, non più ristretta ala classe lavoratrice, ma che attinge i suoi consensi anche tra le masse giovanili (per la prima volta al voto a 18 anni), tra le donne con il movimento femminista e tutti gli strascichi della lotta divorzista.




Il PSI e le altre forze laiche mantengono le loro posizioni che, differentemente dalla DC però, suggellano una situazione di profonda crisi del collegamento tra ceto politico e società civile. I Socialisti, avendo davanti i risultati comunisti, vivono con difficoltà il momento sicuramente più imponente della sinistra italiana nella storia della Repubblica. A conti fatti, sommando i voti conseguiti alle elezioni dei partiti dell'area laico-progressista, la sinistra italiana per prima volta supera il 51% attestandosi, considerando radicali, estrema sinistra, repubblicani e socialdemocratici al 53%circa. Ma l'eventualità dell'alternativa si infrange contro il rifiuto di Berlinguer che, smontando la tesi Lombardiana, interpreta su Rinascita l'eventualità di una ricambio radicale al governo, tale da mandare la DC all'opposizione, come inopportuna guardando al di là dell'Atlantico dove in Cile il governo del socialista Allende appena insediato è barbaramente deposto dal colpo di stato del generale Pinochet.


La VII legislatura nasce nel segno dell'austerità, imposta dalla nuova crisi petrolifera, che getta gli italiani in un periodo di grandi restrizioni nei consumi, nelle politiche contrattuali. Si taglia l'adeguamento della scala mobile, sono soppresse le ferie infrasettimanali, vengono rallentati gli adeguamenti all'inflazione. E' un triste periodo di sacrifici che però, in breve tempo permette all'Italia, in maniera più larga agli altri paesi europei, di uscire fuori dalla spirale recessiva. E' del '76 a manovra di svalutazione della lira.


Le difficoltà iniziali di questa legislatura si vedono subito nel tentativo di formare il nuovo governo. Molti sono gli ostacoli che confermano per l'ennesima volta l'instabilità cronica del sistema politico italiano. La DC reduce del successo alla tornata elettorale vede nel ritrovato sostegno popolare la conferma dell'anticomunismo come pregiudiziale politica, a cui del resto gli elettori cattolici hanno prontamente risposto alle urne. Il PSI è indisponibile per ora, stretto in una forte crisi al suo interno, il centrismo non ha possibilità materiale di poter essere riproposto. L'unica alternativa valida, che trova d'accordo la DC, è la soluzione proposta da Berlinguer del compromesso storico, di un impegno nella maggioranza del PCI, ormai forza responsabile nei confronti dello Stato come dimostrerà più avanti.


1976 I Governo Andreotti. Il compromesso storico è vincente e come conseguenza c'è la nascita di un monocolore DC guidato da Andreotti, che ottiene la fiducia mediante l'astensione di tutti i partiti dell'arco costituzionale, dal PLI al PCI. Nasce il cosiddetto governo delle astensioni.


E' in questo periodo che inizia la cosiddetta democrazia consociativa in cui si estendono mano a mano alcuni privilegi dei partiti di governo anche al partito comunista che, sebbene tenuto lontano dalla stanza dei bottoni ancora irraggiungibile se non per l'ostinazione di una DC anacronistica, ottiene la partecipazione ad alcuni posti importanti finora preclusi: la RAI, alcuni enti economici, nell'amministrazione pubblica. Il periodo consociativo nasce dalle considerazioni che vedono nel potere condiviso da tutti i partiti dell'arco costituzionale, un metodo per riunificare il paese e rafforzare la legittimità del sistema politico in piena crisi da quasi dieci anni.


La crisi di sistema però non vacilla sotto la strategia della consociazione e dell'ennesima polarizzazione politica. A dare l'allarme, cosi come dieci anni prima fece il movimento studentesco, sono questa volta gli autonomi, un nuovo raggruppamento giovanile che vive in pieno la difficile situazione sociale colpita dall'austerità e dalla disoccupazione. Senza contorni ideologici delineati, si può dire che l'autonomo è caratterizzato in generale dalla rabbia verso il sistema che lo impoverisce, lo emargina spingendolo verso la disperazione esistenziale. Qui risiede la sconfitta del sistema politico che non riesce, troppo arroccato nelle faide parlamentari, a diventare punto di riferimento di una società civile dinamica e in alcune situazioni, disperata. A questo compito però non bastano neppure i sindacati che nella legislatura precedente avevano abilmente svolto un importante lavoro di rinnovamento tale da porli alla testa delle lotte sociali più importanti. Da notare è la contestazione a Luciano Lama nel 1977 alla Sapienza. Gli autonomi, e in generale la massa giovanile disorientata e disperata, sono anche il terreno fertile da cui tenta di crescere il terrorismo.


E' uno dei periodi più tremendi della storia della Repubblica. Nel 1978 Aldo Moro, Presidente della DC e focoso sostenitore del compromesso storico, viene rapito dalle Brigate Rosse. La notizia del rapimento subentra proprio nel momento in cui un II Governo Andreotti sta cercando la fiducia in Parlamento. E' in questa occasione che nasce il Governo di solidarietà nazionale dove il PCI, mantenendo fede al suo percorso di legittimazione, è costretto ad appoggiare un secondo monocolore DC dall'esterno. Inizia una delle pagine più nere del sistema politico italiano ancora non del tutto chiarito. Il rapimento di Moro cade in un momento particolare soprattutto della vita interna della Democrazia Cristiana. La figura di Moro, potentissima, rischia di dare corso a quella politica di legittimazione del PCI che i notabili democristiani non vogliono, timorosi di perdere le posizioni di potere consolidate nei trenta anni di eterno governo. Andreotti e Fanfani, capicorrente potentissimi, hanno alte aspirazioni che la presenza di Moro rischia di eludere. Questo quadro fa da sfondo all'insolita lentezza con la quale la DC prende una posizione su come affrontare il problema, solo ex-post si schiererà accanto al «partito della fermezza» capeggiato dal PCI, intransigente verso le Brigate Rosse. A contrapporsi al partito della fermezza c'è invece il PSI che guida il cosiddetto «partito della trattativa».


Molte ombre sorgono intorno alla vicenda Moro dove accanto all'estrema lentezza di intervento del governo e della DC, più volte sollecitata dalle missive che Moro inviava dal suo carcere, si inserisce l'inspiegabile incapacità d'azione delle forze d'ordine, dalla polizia, ai servizi segreti.

Moro viene ucciso dalle BR, messe di fronte dal sistema politico all'unica soluzione possibile. Come da alcuni segretamente valutato, l'assassinio di Moro fornisce una rendita di consenso alla DC, che vede offrire un martire alla causa dello Stato e della democrazia. Ma non tutti i calcoli fatti riescono. Fanfani, che aspirava ala Presidenza della Repubblica alle dimissioni di Leone, colpito da una serie di scandali, è costretto ad indietreggiare di fronte all'elezione - bulgara - di Sandro Pertini, il nuovo capo di Stato che riesce immediatamente ad attirare su di se la benevolenza del popolo italiano.





QUADRO TEMPORALE DEI GOVERNI DELLA VII LEGISLATURA.


Luglio 1976 - Marzo 1978

III Gov.    ANDREOTTI

monocolore DC

Marzo 1978 - Marzo 1979

IV Gov.    ANDREOTTI

Monocolore DC



Marzo 1979 - Agosto 1979

V Gov.    ANDREOTTI

DC-PSDI-PRI




DC.


Il 38,7 % ottenuto alle elezioni del '76 conforta la DC che vede mantenere i consensi ottenuti nella legislatura precedente. A rendere però preoccupante l'avvio di legislatura è il risultato dei comunisti i quali riescono ad ottenere il 34,4%, il loro massimo storico, a soli 4 punti dalla DC.

La contraddizione è grande. L'elettorato ha premiato il tentativo comunista di imporsi come forza nazionale e di governo, occidentale e democratica, portata avanti dalla strategia del compromesso storico. La DC è riuscita a massimizzare i suoi consensi incentrano la campagna elettorale sul timore del sorpasso comunista. La spendibilità dei due risultati è quindi inconciliabile.

La DX DC preme per individuare alleati di governo che possano riparare al problema. Nel centrosinistra, PSI PSDI e PRI, non sono disponibili ad accordi che tengano fuori il PCI. Il centrismo non è neanche proponibile, tanto meno un immediato ritorno alle urne.

La soluzione la offrono però proprio i comunisti che, intendendo dare un periodo di riflessione alla DC e cercando di rassicurarla, nel 1976 permettono un monocolore DC guidato da Andreotti, che ottiene la fiducia proprio grazie all'astensione comunista. La «convivenza» rende però insofferente le correnti più intransigenti della DC, soprattutto dopo che l'asse Centrosinistra DC si frantuma. Tocca a Moro individuare una mediazione che possa evitare le elezione anticipate. Ricorre ai capi-correnti Andreotti e Fanfani che, mirando rispettivamente al Quirinale e Palazzo Chigi, intendono «concedere» una ulteriore proroga a questa legislatura.

Il punto di mediazione è un nuovo governo Andreotti (1978) appoggiato esternamente dal PCI.

IL PCI è restio. La fiducia rischia di non essere data, data l'intransigenza DC che ripropone un esecutivo "fotocopia" del precedente. E' proprio l'annuncio del rapimento di Moro (1978), nel pieno della discussione della fiducia, a spingere il PCI, nell'ennesima prova di responsabilità nazionale, ad appoggiare il nuovo monocolore Andreotti.

Il rapimento di Moro getta angoscia nel Paese, non molta nella DC che, a partire proprio da Fanfani e Andreotti, vede l'evento nel modo più cinico possibile. I due leader DC hanno la strada sgombra nel partito con l'assenza del potentissimo Moro. E' pertanto nei loro interessi prolungare il più possibile la situazione.

Scelta dell'immobilità governativa.

Moro, è per la DC una ricca fonte di credibilità, il primo martire offerto alla Repubblica, in vista delle elezioni della prossima legislatura.

Nel 1978 il Presidente Leone viene investito da una folta stuola di accuse di corruzione. LEONE SI DIMETTE DALLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA.

Al suo posto, con grande disappunto DC VIENE ELETTO PERTINI (1978).

La DC vuole le elezioni anticipate, nel gennaio 1979 apre la crisi di governo. Pertini non intende chiudere la legislatura. Affida l'incarico a La Mala che però non sembra ottenere consensi. La DC tenta di rimettere in gioco Andreotti in un governo con figure del calibro di Saragat e La Mala. La morte del segretario repubblicano però apre la strada alla fine della legislatura.



PLI.


Brutto risultato elettorale.

ZANONE SEGRETARIO (1976). Punta a rimettere in gioco i liberali nel governo. Soffrono però, come sempre, l'egemonia DC e dall'altra parte non abbandonano la pregiudiziale comunista. Per coerenza, nel 1978, al secondo governo Andreotti, vanno all'opposizione.


PSDI.


Brutto risultato elettorale (-1,7%). Saragat , ritornato alla segreteria dopo la condanna di Tanassi non riesce a rialzare le sorti del PSDI, che è apertamente punito per il calo d'immagine dovuto alla permissività della corruzione nel sistema politico, a cui il PSDI, che fonda principalmente i suoi consensi sui voti clientelari, non è escluso.

ROMITA SEGRETARIO (1976). Riporta il PSDI sulla sinistra, affiancando il PSI e il PRI sul sostegno al compromesso storico, il quale rende improponibile nell'avvio di legislatura un nuovo centrosinistra. Il vantaggio sarebbe, in teoria, una possibile riaggregazione di consensi intorno ad un centro laico-progressista.

Il compromesso storico non sembra, agli occhi dei socialdemocratici una ipotesi governativa stabile. Romita, accusato di subalternità ai comunisti, viene fatto fuori.

PIETRO LONGO SEGRETARIO (1978) con il compito di riportare il PSDI nella sponda di destra, verso la DC, più rassicurante.

Del resto, il percorso di Craxi nel PSI che, con la parola d'ordine dell'autonomia socialista sta prendendo le distanze dal PCI con una forte politica di intransigenza anticomunista, permette la creazione di una ASSE LONGO-CRAXI.



Alle elezioni '79 buon  risultato elettorale (+0,4%).



PSI.


Delusione per il risultato elettorale (9,6%). De Martino viene accusato della cattiva prestazione. CONGIURA AL'HOTEL MIDAS E ASCESA DI CRAXI.

Craxi è spregiudicato, viene dalle fila autonomiste del partito. Ben presto si libera definitivamente di De Martino e Mancini, utilizzando per la sua congiura proprio i loro luogotenenti, Manca, di De Martino, e Signorile, di Lombardi. Successivamente, per evitare riscosse demartiniane, si libera anche di Manca.

IL suo alleato è Signorile che offre a Craxi la copertura sulla sinistra e l'aiuta nell'occupazione del partito.

Craxi attira consensi tra i socialisti, diventandone un vero e proprio duce, grazie alla sua immagine vincente, di uomo della provvidenza, in grado di ridare lo slancio ed il potere storico dei socialisti. La parola d'ordine è AUTNOMIA SOCIALISTA.

Primo obiettivo è liberarsi del peso dei comunisti che stanno acquistando consensi grazie alla revisione ideologica. Il rapimento Moro spinge Craxi a guidare il «partito della trattativa» nelle cui file approdano numerosi intellettuali ed esponenti laici, cattolici e democratici.

Successivamente prende le distanze dal marxismo con il famoso Saggio su Proudhon a firma delle stesso Craxi. Quindi lancia l'offensiva anche sul campo sindacale dove Benvenuto, nuovo segretario UIL, fornisce la dinamica necessaria ai progetti craxiani.


Craxi non tocca i temi della politica nazionale per il momento, tralasciando di schierarsi per una delle due scelte - o al governo con la DC o all'opposizione con il PCI. L'alternativa Lombardiana - il governo con il PCI - prefigura la subordinazione al PCI, anche se nel '78 l'asse Craxi-Signorile - strumentale per allargare i consensi nel partito - si rafforza.

Craxi intende spendere al meglio il suo enorme potere coalittivo. In campagna elettorale si impegna in futuro a garantire la «governabilità». Vuole governare. Con chi , per il momento , non lo precisa.


PCI.


ENORME RISULTATO. Grande delusione però per il mancato sorpasso. Cerca di usare il voto per un governo di larga maggioranza. Per questo concede un tempo di riflessione alla DC mediante l'astensione sul monocolore Andreotti del 1976.

Perde una grande occasione per far valere il suo potere, enormemente più grande del risultato elettorale. La DC è in difficoltà, il centrismo non è proponibile, PSI, PSDI e PRI sostengono il compromesso storico. Mai come allora il PCI era tanto forte.

GRANDE ERRORE DEL PCI QUINDI.

Problemi. Craxi sale alle segreteria profondamente anticomunista, nel '77 gli autonomi contestano Lama all'Università. All'interno, l'appoggio ad Andreotti senza nulla in cambio fa salire la tensione, in più ci sono misure economiche piuttosto gravose.

Autonomi e terroristi sono il problema maggiore, secondo il PCI, accusato di borghesismo. Matura la necessità di mettere in crisi il governo di Andreotti. Il PCI PRETENDE; GIUSTAMENTE, DI GOVERNARE. Per rafforzare le garanzie, BERLINGUER COMPIE LO «STRAPPO» DA MOSCA (1977): LA SPINTA PROPULSIVA DEL 1917 E' ESAURITA. Si rallegra solo La Mala, tutti gli altri rimangono freddi.

La DC non vuole i comunisti al governo. Berlinguer si prepara a negare la fiducia al monocolore del '78. LA notizia di Moro impone l'atto di responsabilità nel governo di solidarietà nazionale.

SCELTA DELLA FERMEZZA VERSO I TERRORISTI.

La situazione però è difficile. Il caso Moro ha aumentato i consensi intorno la DC, Craxi è sempre più intransigente. L'unico risultato positivo è l'elezione di Pertini.

Nel '79, con la nuova crisi di governo, Berlinguer si illude di poter forzare la DC al compromesso, senza carte per altre alleanze. La DC preferisce il ricorso alle urne.

Alle elezioni del '79 perde un clamoroso 4%. Il PCI perde l'elettorato borghese che l'aveva portato sull'orlo del sorpasso.










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