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La revisione




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LA REVISIONE


La revisione è quella impugnazione straordinaria che ha per oggetto una sentenza di condanna divenuta irrevocabile.

Oggetto di revisione può essere anche la sentenza che applica la pena su richiesta delle parti.

Competente, sia per la fase di delibazione preliminare della richiesta, sia per il giudizio di revisione, è esclusivamente la corte di appello determinata in base alla medesima tabella con la quale si individua la competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati.

Dal punto di vista quantitativo, non possono essere corretti gli errori "interni" al procedimento penale; dal punto di vista qualitativo, non può essere modificata l'assoluzione.

L'errore oggetto di revisione è solo quello di fatto.

Il solo errore che può essere corretto investe il "fatto" con riguardo alla condotta, al nesso causale, all'evento, nonché all'attribuzione soggettiva di colpevolezza e di imputabilità.

L'errore rilevante è solo quello intervenuto nella ricostruzione storica del fatto di reato.

Vi è un doppio limite:

a. l'errore di fatto deve emergere dalla motivazione, in quanto premessa storica del dispositivo;

b.  esso non deve dipendere da un riesame delle sole prove assunte nel procedimento, ma da "nuove prove".

A seguito del giudizio di revisione, possono essere pronunciate due opposte decisioni: il rigetto dell'istanza di revisione o il proscioglimento dell'imputato.

Il giudizio di revisione è ammesso anche se può semplicemente ipotizzarsi che al suo esito si manifesti un ragionevole dubbio circa la colpevolezza dell'imputato.

La revisione può essere chiesta (630: Casi di revisione):

a)  se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o di un giudice speciale;

b) se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall'articolo 3 (Questioni pregiudiziali) ovvero una delle questioni previste dall'articolo 479 (Questioni civili o amministrative);

c)  se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell'articolo 631 (cioè con sentenza di non doversi procedere, sentenza di assoluzione, o dichiarazione di estinzione del reato);

d) se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio (ad es. per falsa testimonianza) o di un altro fatto previsto dalla legge come reato (ad es. calunnia).

Il potere di iniziativa spetta al condannato o ad un suo prossimo congiunto ovvero alla persona che ha sul condannato l'autorità tutoria; se il condannato è morto, esso spetta all'erede o ad un suo prossimo congiunto.

Il potere di iniziativa è conferito anche al procuratore generale presso la Corte di appello nella cui circoscrizione fu pronunciata la condanna.

La richiesta deve contenere l'indicazione specifica delle ragioni e delle prove che la giustificano.

La fase preliminare di delibazione è segreta; la delibazione deve esser preceduta dal parere del procuratore generale presso la Corte di appello.

Con l'ammissione della richiesta di revisione, si apre il predibattimento del giudizio di revisione.

La parte privata interessata, una volta ammessa al giudizio di revisione, riacquista lo status di imputato.

Il presidente della Corte d'appello emette il medesimo decreto di citazione che è previsto per il giudizio d'appello.

È obbligatoria la citazione del responsabile civile e della parte civile.

Si osservano le norme disposte per il giudizio di primo grado.

Non è prevista la rinnovazione obbligatoria delle prove assunte nel dibattimento di primo grado.

È la novità delle prove che deve convincere dell'innocenza o far sorgere il ragionevole dubbio.

La Corte di appello, quando pronuncia sentenza di proscioglimento a seguito di accoglimento della richiesta di revisione, ordina la restituzione delle somme pagate in esecuzione della condanna per le pene pecuniarie, per le misure di sicurezza patrimoniali, per le spese processuali e di mantenimento in carcere e per il risarcimento dei danni a favore della parte civile citata per il giudizio di revisione.

Ordina altresì la restituzione delle cose che sono state confiscate, ad eccezione di quelle previste dal 240.2 n. 2 del codice penale (e cioè delle cose, la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna).

Il pubblico impiegato (ed oggi anche il dipendente privato) è reintegrato nel posto di lavoro.

La decisione che chiude ciascuna delle due fasi (delibazione e revisione) è assoggettabile a ricorso per cassazione.

L'errore giudiziario consiste nella scoperta, mediante la revisione, dell'ingiustizia sostanziale di una sentenza irrevocabile di condanna.

Ex 24.4 Cost. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.

Nell'ambito dei presupposti della riparazione dell'errore giudiziario occorre distinguere tra quelli positivi e quelli negativi.

In positivo, è presupposto della riparazione la revisione del giudicato di condanna.

In negativo, occorre che chi è stato prosciolto in sede di revisione non abbia dato causa per dolo o colpa grave all'errore giudiziario.

Sempre in negativo, il diritto alla riparazione è escluso per quella parte della pena detentiva che sia computata nella determinazione della pena da espiare per un reato diverso.

L'azione d'indole civile, con la quale l'innocente fa valere il suo diritto alla riparazione dell'errore giudiziario, è proponibile esclusivamente davanti alla Corte di appello in sede penale.

Legittimati a richiedere la riparazione dell'errore giudiziario sono, se il prosciolto è morto (anche prima del procedimento di revisione), il coniuge, i discendenti e ascendenti, i fratelli e sorelle, gli affini entro il primo grado e le persone legate da vincolo di adozione con quella deceduta, a meno che siano "indegni" (463 c.c.: Casi d'indegnità).

Il termine per la proposizione della domanda scritta di riparazione è lo scadere del secondo anno dal passaggio in giudicato della sentenza di revisione (645.1).

Sulla domanda di riparazione la Corte di appello decide in camera di consiglio, osservando le forme previste dal 127 (Procedimento in camera di consiglio).

La decisione può essere di inammissibilità, di rigetto o di accoglimento, anche parziale.

La prima forma di riparazione è quella pecuniaria, la quale è indeterminata nel massimo e deve essere commisurata alla durata dell'eventuale espiazione della pena o internamento e alle conseguenze personali e familiari derivanti dalla [ingiusta] condanna.

Le altre forme di riparazione sono la rendita vitalizia ed il ricovero in un istituto, a spese dello Stato.

L'ordinanza riparatoria è impugnabile col ricorso per cassazione, secondo le norme ordinarie.

I vizi rilevabili sono quelli di rito e di legittimità, a tenore del 606 (Casi di ricorso) con particolare riferimento alla motivazione del quantum della riparazione pecuniaria.


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