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Il Trust interno




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Il Trust interno




Riprendiamo le fila del nostro discorso, iniziando da un quesito in precedenza lasciato insoluto. Nel Capitolo II si è parlato del trust interno, descrivendone contenuto e criticità; dal trust interno per specificazione scaturisce un'ulteriore e non sovrapponibile categoria: quella del c.d. trust "di diritto interno", cioè disciplinato - per chi ammette questa possibilità - dal diritto italiano.

Un cittadino di uno Stato ratificante, che non conosca il trust, è legittimato dalla Convenzione ad istituire un trust nel proprio Stato, sottoponendolo però ad una legge che lo disciplini; lo Stato ratificante da parte sua e salvo apposizione di riserva(111), ha l'obbligo di "riconoscere" un trust sì costituito.


Il trust interno, nel nostro caso, è - ripetiamo - quel trust istituito in Italia da italiani, che vincola beni in Italia, ma regolato da un legge straniera. La contrarietà di alcuni nostri giuristi, rispetto al trust interno, ha dovuto cedere di fronte all'ammissione ed al graduale riconoscimento pervenutogli: sia ad opera del legislatore italiano (indirettamente) con l'art.1 commi 74-76 della l. 296/2006(112), sia per crescente espansione di utilizzo e per quasi unanime placet della giurisprudenza.

La c.d. Legge Finanziaria 2007, in tema di imposizione diretta, ha introdotto importanti novità alcune delle quali riguardano proprio il trust. In particolare, attraverso l'integrazione dell'art. 73,1 del TUIR(113), il legislatore ha inserito tra i soggetti passivi IRES il trust, utilizzando come criteri di individuazione e classificazione quello dell'attività concretamente esercitata e quello della residenza fiscale: se il trust ha per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali è assimilato agli enti commerciali residenti (lett. b, art.

73); se non ha per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali è assimilato agli enti non commerciali residenti (lett. c, art. 73); se ha residenza fiscale all'estero è parificato agli enti non residenti (lett. d, art. 73).


A corredo del principio generale di autonoma imposizione IRES del trust, il legislatore ha inoltre previsto una specifica deroga - contenuta nel comma 74 dell'art. 1 della Finanziaria - in virtù della quale: "Nei casi in cui i beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell'atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali"(114).


Ne consegue che la normativa introdotta distingue ai fini delle imposte sui redditi tra:

- trust con beneficiari non individuati, i cui redditi vengono direttamente attribuiti al trust medesimo (trust c.d. opachi);

- trust con beneficiari individuati, i cui redditi vengono imputati per trasparenza ai beneficiari (trust c.d. trasparenti).

Sulla questione della residenza fiscale il legislatore, al fine di contenere fenomeni di trust off-shore, ha indicato un doppio regime di presunzioni per stabilire quando la residenza del trust possa dirsi o meno in Italia. Per i trust istituiti in Paesi diversi da quelli appartenenti alla c.d. white list, vale a dire istituiti in Stati diversi da quelli con i quali l'Amministrazione finanziaria italiana può ottenere agevolmente scambio di informazioni, è prevista:

- una presunzione di natura relativa, in base alla quale si considerano fiscalmente residenti in Italia i trust in cui almeno uno dei disponenti, ed almeno uno dei beneficiari (individuati), siano fiscalmente residenti

nel territorio dello Stato;


- una presunzione assoluta che attrae ai fini fiscali la residenza in Italia del trust qualora, "successivamente alla sua costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in suo favore un'attribuzione che comporti il trasferimento della proprietà di beni immobili, o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi".

L'inserimento del trust tra i soggetti passivi d'imposta comporterà delle scritture contabili.


Dal 2007 in poi la costituzione del trust ha preso quanto mai campo grazie alla regolamentazione fiscale fornita, non solo dalla legge finanziaria, ma anche dall'intervento di successive circolari dell'Agenzia delle Entrate che ne hanno chiarito i contenuti e smussate la spigolosità.

La Suprema Corte sfiora per la prima volta la questione del trust nella sentenza del 13 giugno 2008 n.16022(115). Nel caso di specie non si tratta di un trust totalmente interno, perché esso ha per oggetto un appartamento sito in Londra. Due coniugi italiani che vivono in Inghilterra, al momento del divorzio, costituiscono in trust il loro appartamento londinese nominando beneficiari i figli e cotrustees loro

stessi. Nelle vicende successive si sviluppa una forte conflittualità tra i due ex coniugi, per cui entrambi si rivolgono al giudice italiano. L'ex marito chiede la revoca della nomina di cotrustee della moglie per rimanere lui unico trustee dato che, a suo dire, la moglie avrebbe male amministrato il trust fund. La moglie, poiché il marito si sarebbe del tutto disinteressato dell'amministrazione del bene in oggetto, ribatte chiedendo che venga revocata la nomina a cotrustee del marito e che,

di conseguenza, sia lei a permanere quale trustee esclusiva.


Prima il Tribunale di Milano e poi la Corte d'Appello revocano entrambi i coniugi e decidono, per il migliore interesse dei figli, di nominare come trustee un professionista.

Le parti ricorrono in Cassazione per un vizio di ultrapetizione.


La Cassazione ritiene che, in questo caso, non ci sia stata ultrapetizione perché in gioco l'interesse indisponibile dei figli.


La Cassazione, per confermare che si è avuta una violazione dell'obbligo fiduciario che giustifica il provvedimento preso in sede di merito, elenca gli obblighi di buona amministrazione del trustee.

La Corte si pronuncia in relazione allo specifico vizio processuale dell'ultrapetizione ma - implicitamente - riconosce gli effetti del trust, non risolve il problema dell'ammissibilità del trust interno, dà però per scontato che il trust produca i suoi effetti.

Il Tribunale di Cassino, l'8 gennaio 2009, ha appunto detto che:


<

ha deciso di dar vita al trust>>(116).


Pertanto, nel caso in esame, il trust non è stato dichiarato nullo ab origine ma è stata accolta, ex art. 2901 c.c., l'azione revocatoria (ordinaria) dell'avvenuto trasferimento di beni in trust, poiché è risultata provata nel debitore-disponente la consapevolezza del pregiudizio che tale atto arrecava agli interessi del creditore nel

momento in cui veniva compiuto.


La Cassazione Penale, nel 2011, ci ha fornito una valida esemplificazione di nullità originale ed insanabile del trust interno(117): <

poteri che possano competergli in base alle norme costitutive. Tale condizione è ineludibile al punto che, ove risulti che la perdita del controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo (sham trust) e non produce l'effetto segregativo che gli è proprio.

Tale situazione di mera apparenza, che sul versante civilistico sarebbe causa di radicale nullità..(.)>>.

Qualora, quindi, il disponente costituisca dei beni in trust in frode ai suoi creditori, quel trust non godrà della totale segregazione patrimoniale - che altrimenti produrrebbe - ma sarà aggredibile con l'azione revocatoria.

La netta separazione tra disponente e trustee è da ritenersi basilare e fondante: quando il disponente resti titolare (in forza dell'atto istitutivo) di significativi poteri sul trust, in conseguenza dei quali il trustee pur dotato di poteri discrezionali nella gestione ed amministrazione non possa autonomamente operare, il trust è

considerato interposto, perciò, nullo.


Se creditore frodato è il fisco, e dunque il trust fosse usato per ostacolare la riscossione delle imposte, il maldestro disponente potrà essere perseguito penalmente per sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte(118).

Si è scritto e discusso moltissimo sull'ammissibilità, in termini di compatibilità, del trust con riferimento alla qualificazione che il nostro ordinamento possa dare alla posizione giuridica del beneficiario e del trustee; la Corte di Giustizia UE con la sentenza 17 maggio 1994, C 294/92 (Webb vs Webb), ha affermato che la pretesa che il beneficiario del trust fa valere nei confronti del trustee (affinché questi gli trasferisca i beni oggetto) non corrisponde a un diritto reale e si esercita tramite un'azione personale.


Applicando al diritto interno le conclusioni cui si è pervenuti in relazione al trust di diritto inglese, si può affermare che la posizione del beneficiario del trust, in Italia, non debba essere definita come un diritto proprietario: egli non vanta un diritto reale nei confronti del trustee.

Tuttavia, il trust attribuisce al beneficiario diritti che egli può far valere nei confronti del trustee, nel caso in cui quest'ultimo abbia violato le obbligazioni risultanti dal trust. Di conseguenza, sembra corretto affermare che il beneficiario non vanti un mero diritto a ottenere i beni oggetto del trust bensì sia titolare, nei confronti del trustee, del diritto a pretendere da quest'ultimo l'adempimento di tutte le obbligazioni che la legge - e l'atto di trust - gli impongono.


Il trustee è sì proprietario dei beni del trust, ma lo è ai soli fini della gestione e non del godimento.

Non esiste ancora un orientamento consolidato della Cassazione sul trust interno che possa dirimere il conflitto che si è registrato nella giurisprudenza, tuttavia è opportuno ricordare che ormai anche la maggioranza dei precedenti di merito propende per la sua ammissibilità(119), nei limiti e con le opportune eccezioni del caso concreto.


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