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Il potere esecutivo dell'amministrazione penitenziaria




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Il potere esecutivo dell'amministrazione penitenziaria


L'esecuzione della pena detentiva è di competenza dell'Amministrazione penitenziaria: essa è affidata - al vertice - al Ministero della Giustizia, da cui dipendono gerarchicamente tutte le categorie di funzionari ed operatori penitenziari, mentre - a livello periferico - ai Provveditorati Regionali e al personale operante presso i singoli stabilimenti penitenziari[1].

I diritti dei detenuti e degli internati possono essere compressi da chi è preposto all'esecuzione della pena : l'art. 1, comma 3 ord. penit. statuisce, infatti, che "negli istituti devono essere mantenuti l'ordine e la disciplina" e che le restrizioni adottabili devono essere giustificate solo dalle predette esigenze[3]. Si potrebbe presupporre che il carattere degli istituti di pena sia forgiato proprio dall'esigenza di mantenere l'ordine e la disciplina e che, pertanto, il trattamento e quelle che sono le normali regole di vita, all'interno di un circuito penitenziario, possono essere limitate per garantire la sicurezza . D'altro canto, l'esercizio del potere esecutivo della pena detentiva comprende in sé anche il dovere di dare attuazione alla funzione rieducativa, che mal si concilia con la necessità di garantire meramente la sicurezza all'interno degli istituti, salvo che, quest'ultima non si consideri "condizione per la realizzazione delle finalità del trattamento dei detenuti e degli internati", così come ha previsto il legislatore nel 1° comma dell'art. 2 reg. esec.

Pertanto, si può affermare, senza tema di smentita, che i soggetti inseriti in un istituto penitenziario dipendono completamente ed inevitabilmente, per il soddisfacimento d'ogni bisogno, anche di quello più elementare, dal modo in cui l'amministrazione gestisce gli istituti stessi . Il corollario scaturente da tale teorema è che il riconoscimento e il rispetto dei diritti sono direttamente proporzionali alle modalità di gestione degli istituti di pena: quanto più queste ultime sono corrette ed improntate ai principi della moderna carcerazione, tanto più sussiste la possibilità, per chi è recluso, di vedersi riconosciuti adeguati strumenti di tutela.






L'art. 16 ord. penit. stabilisce che "il trattamento penitenziario è organizzato secondo le direttive che l'amministrazione penitenziaria impartisce". Emerge, quindi, la necessità che l'amministrazione centrale predisponga dei regolamenti di massima, validi almeno per categorie d'istituti, al fine di evitare ingiustificati cambiamenti d'abitudini, nel trasferimento dei detenuti da un istituto di pena ad un altro. Contemporaneamente, al fine di favorire il processo d'individualizzazione della pena, il 1° comma dell'art. 16 ord. penit., pone l'accento sull'esigenza di differenziare i vari istituti, in base alle condizioni giuridiche e personali della popolazione carceraria Il regolamento interno di ciascun istituto, oltre alle modalità degli interventi e dei trattamenti, regola tutta una serie di materie indicate dall'art. 36 reg. esec., che comprende gli orari d'apertura e chiusura, l'organizzazione della vita quotidiana, lo svolgimento dei servizi predisposti, la permanenza all'esterno, i colloqui e la corrispondenza nonché le affissioni e i giochi consentiti. DI GENNARO - BREDA - LA GRECA, Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, Milano, 1997, pag. 118 e ss.

Si veda IOVINO, Tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti e degli internati, Annali dell'istituto di Diritto e procedura penale, 1999, pag. 146 e ss.

Nel caso in cui si tratti di un imputato le restrizioni adottabili sono esclusivamente quelle indispensabili a fini giudiziari.

In tal senso DI GENNARO - BREDA - LA GRECA, Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, Milano, 1997, pag. 43 e ss.

Si veda CANEPA - MERLO, Manuale di diritto penitenziario, Milano, 2002, pag. 133 e ss.

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