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Il governo- potere esecutivo




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Il governo- potere esecutivo


IL GOVERNO- POTERE ESECUTIVO ORRGANI. Il potere esecutivo si compone di

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IL GOVERNO- POTERE ESECUTIVO


ORRGANI.

Il potere esecutivo si compone di 2 sotto insiemi: governo in senso stretto e pubblica amministrazione.

La Costituzione tratta il primo negli artt. 92 - 96 e la seconda del 97 e 98.

Il Governo è un organo complesso che appunto si compone di altri organi dotati di autonomia ed individualità: il Presidente del Consiglio, il Consiglio dei Ministri ed i singoli Ministri. Si distinguono organi monocratici e collegiali.

Le norme costituzionali sono integrate da leggi ordinarie (L. 400/88) sia per la struttura organizzativa che come potere anche normativo. La riserva di legge non è assoluta infatti anche i decreti legge e legislativi intervengono a regolare la materia come i recenti d. lgs. 300 e 303/99 che dettano la disciplina del riassetto dei ministeri e la struttura della Presidenza del Consiglio.

La struttura del Governo è composta anche da organi di minore rilievo come i sottosegretari di stato, i quali coadiuvano i ministri nelle loro funzioni.

Tra i ministeri esistono quelli con o senza portafoglio a seconda che abbiano proprie funzioni o che si occupino di funzioni proprie del Presidente del Consiglio delegate appunto a ministri che non dispongono di un vero e proprio ramo della pubblica amministrazione cui affidare i compiti relativi alle sue funzioni.

La L. 400/88, art. 8, ha introdotto la figura del Vice Presidente del Consiglio, non prevista dalla costituzione, ma già preesistente nella prassi soprattutto nei governi di coalizione in cui il Presidente era di una formazione politica diversa dal partito più forte al quale dunque spettava un posto di pari rilievo. A questi sono affidati compiti sussidiari del Presidente oltre all'eventuale attribuzione di un singolo dicastero.

L'art. 6 della stessa L. 400/88 codifica definitivamente anche il Consiglio di Gabinetto, una sorta di comitato ristretto di ministri sotto la direzione del Presidente del Consiglio stesso di natura non obbligatoria come struttura. Le sue funzioni sono di stabilire indirizzi politici di governo, perciò si tratta di un organo che nel quadro di un governo formato all'interno di una coalizione composta di molti partiti, se questi non sono tutti rappresentati nelle sedute, perde legittimazione, quindi gli orientamenti derivanti dalle delibere non sono vincolanti per l'intero governo.

Altri organi del Governo sono i Commissari, i quali assumono funzioni direttive soprattutto in casi di gravi eventi naturali, cioè quando è necessario snellire le pratiche amministrative al fine di realizzare interventi immediati.

FORMAZIONE DEL GOVERNO.

Sotto il profilo della sua formazione la costituzione è integrata da norme di carattere consuetudinario, perché essa non disciplina la fase che precede la nomina ne' la fiducia.

Il governo in carica cessa per fine della legislatura o per mancanza della fiducia. Quest'ultima può venire a mancare per mozione di sfiducia (presentata da almeno 1/10 dei parlamentari di ciascuna camera e da non discutersi prima di 3 giorni) o in occasione di un'imposizione della questione di fiducia da parte del governo stesso.

Normalmente non esistono mozioni di sfiducia, perché il Governo si dimette prima, quando attraverso contatti con le direzioni dei partiti ci si accorge che viene a mancare. Questa situazione viene chiamata 'Crisi extra parlamentare'.

Può cessare anche per morte del Presidente del Consiglio in quanto a lui sono affidati compiti di particolare rilievo anche se la fiducia viene accordata all'intero Governo.

Il governo si dimette in caso di elezione di un nuovo Presidente della Repubblica, ma questi respinge le dimissioni.

Quando il Presidente del Consiglio sale al Viminale per rimettere il mandato nelle mani del Presidente della Repubblica, questi ha tre possibilità:

parlamentarizzare la crisi se questa non nasce già da una mozione di sfiducia, cioè rimettere al parlamento la decisione attraverso un voto di sfiducia;

accettare le dimissioni con riserva o riassegnare allo stesso Presidente del Consiglio uscente l'incarico di formare un nuovo Governo con le stesse forze politiche in campo, cioè cercando una nuova maggioranza (o solo con un 'rimpasto');

accettare le dimissioni in formula piena.

Nei primi due casi il P.d.R. non nomina subito un altro P.d.C., ma inizia un giro di consultazioni presidenziali per verificare la presenza di possibili alleanze di Governo. I suoi interlocutori sono: i due Presidenti delle camere; gli ex P.d.R.; gli esponenti di ciascuna forza politica presente in parlamento, cioè i capi gruppo; le parti sociali, cioè sindacati e associazioni di categoria.

Se al termine delle consultazioni non si delinea una possibile maggioranza di governo il P.d.R. può tentare un nuovo giro di consultazioni, affidare un incarico esplorativo al Presidente del Senato o un preincarico all'esponente politico più accreditato, oppure prendere atto dell'ingovernabilità del Paese e indire nuove elezioni politiche per rinnovare il Parlamento, così da poter procedere a una nuova ricerca di possibili maggioranze in un nuovo scenario politico.

Quando il P.d.R. conferisce il mandato il futuro P.d.C. può accettare con formula piena o con riserva. Egli svolge un giro di consultazioni con gli esponenti politici che potrebbero condividere un programma e sostenere il nuovo Governo e se vi riesce scioglie la riserva positivamente altrimenti lo fà negativamente.

Se il futuro P.d.C. riesce a raccogliere i consensi necessari presenta al P.d.R. una lista di ministri ed in seguito anche una di sottosegretari ed un programma politico amministrativo attorno al quale si riunisce la maggioranza che sosterrà il Governo. A ciò il P.d.R. conferisce la nomina del P.d.C. con decreto controfirmato dallo stesso P.d.C. nominato, poi nomina i ministri con singoli decreti. Di seguito avviene il giuramento di tutti nelle mani del P.d.R. ed entro 10 giorni il Governo deve presentarsi alle camere per ottenere la fiducia. La fiducia viene concessa da ciascuna camera (dopo l'esposizione del programma del P.d.C. in entrambe le camere) con una mozione di fiducia firmata dai capi gruppo della maggioranza.

Ottenuta la fiducia il Governo entra nel pieno delle sue funzioni benché di fatto non esista un atteggiamento differente nei due casi configurabili di legittimazione o meno. In teoria un Governo delegittimato o che non sia ancora stato legittimato può svolgere solo funzioni inerenti alle spese correnti.

Il P.d.C. e i ministri possono anche non essere parlamentari, come alcuni ordinamenti stabiliscono; in tali casi in cui il Governo è privato di una sua connotazione politica ed è legittimato per sopperire a situazioni contingenti, si parla di 'Governo tecnico' per il fatto di essere composto da un Presidente e da ministri provenienti dalle amministrazioni dello stato, quindi ben capaci di amministrarle per il meglio.

Il numero dei ministeri è stabilito con legge, recita la costituzione, ma solo ora il d. lgs. 303/99 ha fissato il numero in dodici; fino ad ora ogni Governo disponeva di un numero diverso di ministeri in funzione delle proprie esigenze e di quelle dei partiti che componevano la coalizione.

INDIRIZZO POLITICO.

Si concreta in tre fasi: individuazione degli obiettivi, predisposizione degli strumenti e raggiungimento dei fini.

Il Governo elabora e approva norme giuridiche equiparate alla legge ordinaria, cioè approva atti aventi forza di legge; il suo potere normativo può essere relativo a norme primarie con Decreti Legge e Decreti Legislativi (art. 96 e 97 cost.) e secondarie con Regolamenti governativi(art. 87 cost.). Le norme costituzionali sono integrate dalla L. 400/88 che disciplina in particolare il procedimento di formazione di questi atti normativi del Governo.

POTERI NORMATIVI.

Il potere normativo (non legislativo che invece appartiene al Parlamento) del Governo si muove su due piani: uno riferito alla legislazione attraverso atti aventi forza di legge (D.L. e D. Lgs.) quindi con norme di natura primaria e uno riferito ai regolamenti governativi di rango secondario.

I D.L. e D. Lgs. Sono solo equiparati alla Legge del parlamento che invece rimane preminente su questi.

Il potere regolamentare trova solo un cenno in costituzione, per il resto è disciplinato dalla L. 400/88.

DECRETI LEGISLATIVI.

Con il meccanismo dell'art. 76 della costituzione si è inteso rendere possibile al Parlamento delegare il potere legislativo ad altro organo in forma ridotta a potere normativo; il potere legislativo rimane sempre nelle mani del Parlamento, ma grazie alla natura parlamentare del Governo si giustifica l'esistenza di una normazione non propriamente Legge parlamentare. L'art. 76 subordina la delega del potere legislativo a principi cardine posti a garanzia della premazia del Parlamento. Esso infatti deve indicare contenuto, durata e limiti del potere che affida al Governo, il quale non può peraltro creare una normativa pervasiva della materia. Per questo le leggi di delega sono dettagliate; con queste si chiede al Governo di disciplinare una determinata materia nel rispetto di determinati limiti materiali e procedimentali e nel termine fissato.

Inizialmente i D. Lgs. Erano un mezzo attraverso cui realizzare Testi Unici (attività con cui il Governo unifica le norme contenute in varie leggi riferite ad una materia fornendo all'intera disciplina un carattere sistematico anche attraverso l'aggiunta di norme di coordinamento; è un'opera che può essere di mero coordinamento raccogliendo solo le norme cogenti in materia oppure di completamento, aggiungendo nuove norme cogenti sulla base di una legge di delega) o Codici (quello Civile del '42 ecc.). Ad esempio, nel 1985 il Parlamento ha preso atto che il codice di procedura penale che era del '30 andava rivisto nel suo intero impianto, quindi ha emanato una Legge di delega al Governo per elaborare un nuovo codice che è stato poi emanato nell'89. In quella legge di delega la parte relativa all'oggetto era talmente corposa da indirizzare l'opera in un alveo normativo chiaro.

Accanto agli obiettivi classici dei T.U. e dei codici propri dei D. Lgs. Vi è il recepimento delle direttive comunitarie che il Parlamento non sarebbe in grado di fare nei tempi medio - brevi necessari e nei più svariati settori, essendo le direttive molto numerose e dettagliate.

La L.86/89 'legge La Pergola' ribadisce il principio per cui le direttive CEE possono essere recepite con legge, quindi viene introdotta la Legge Comunitaria, da approvarsi ogni anno entro dicembre, con la quale si indica al Governo le modalità su come recepire le normative comunitarie, se mediante uno o più decreti legislativi o se con regolamenti governativi, ministeriali, interministeriali, con D.P.C.M. È una vera e propria legge di delega ex art. 76; oggi quasi tutte le norme CEE sono attuate con atti del Governo.

Attenzione a distinguere D. Lgs. Attuativi di leggi delega e di direttive comunitarie.

A partire dagli anni '90 si è fatto un uso spropositato dei D. Lgs. per sopperire alle difficoltà del Parlamento di attuare riforme settoriali, che ha coinciso con l'attenuazione della decretazione d'urgenza (D.L.). L'arco evolutivo che segue la legislazione italiana a partire da quel periodo ( es. la riforma del SSN del '92, del pubblico impiego nel '93, ecc.) mostra come il fenomeno della proliferazione dei D. Lgs. sia stato ampio. Ad esempio la legge 59/97 'Bassanini' chiede al Governo di fare grandi cambiamenti nel settore pubblico, e così anche la legge 127/97 'Bassanini bis' sui rapporti tra stato ed enti locali; ne sono figli una serie di D. Lgs. che vanno dal 112/98 (che riforma il trasferimento delle competenze amministrative degli enti locali) al D. Lgs. 300/99 (di riforma dei ministeri) e 303/99 di riforma della P.C.M. Si tratta di fenomeni non chiusi (la seconda riforma del SSN è stata iniziata con la L. 446/98 che ha prodotto il D. Lgs. 229/99 'Bindi') che hanno dimostrato la tendenza del Parlamento a lasciare al Governo l'incombenza di fare grandi riforme sulla base dell'art. 76.

DECRETI LEGGE.

L'intenti dell'art. 77 della costituzione è quello di mettere nelle mani del Governo uno strumento eccezionale con il quale emanare provvedimenti provvisori in casi di necessità ed urgenza.

Il D.L. è soggetto a limiti di carattere materiale (limitato ai soli casi eccezionali ed imprevedibili) e procedurale, infatti una volta formulato deve essere presentato alle camere per la conversione che deve avvenire entro sessanta giorni; se le camere sono sciolte vengono riunite entro 5 giorni. Se il D.L. non è convertito in legge questo perde efficacia ex tunc (dalla data della sua emanazione).

Con il D.L., a differenza del D. Lgs., il Governo è sottoposto al controllo del Parlamento ex post (in via successiva) con l'esame della proposta di conversione in legge.

Casi:

il Governo presenta al Parlamento un D.L. per la conversione ed entro il termine ciò avviene col testo integrale e viene pubblicato in Gazzetta;

se il testo subisce modifiche la legge introduce norme sotto o sovradimensionate rispetto al D.L. che avranno efficacia ex nunc (da quel momento);

il D.L. non viene convertito entro il termine e perde efficacia ex tunc; gli effetti giuridici creati dal D.L. decaduto possono essere sanati da apposita legge parlamentare (art. 77

Anche del D.L. si è fatto in passato un uso deviato teso a sostituire il Governo al Parlamento incapace di legiferare in determinate materie. Il Governo inoltre lo ha considerato spesso come iniziativa legislativa privilegiata che, a differenza del disegno di legge che instaura una corresponsabilità del Parlamento, è un canale senza controllo immediato, quindi adatto a imporre una scelta di indirizzo politico.

La L. 400/88 ha dettato dei limiti di merito dei D.L.: il Governo non può con un D.L. convertirne in legge uno precedente; non può conferire a se stesso una delega a legiferare; ecc. In quanto alla reiterazione si era previsto che i D.L. non potessero essere riproposti con lo stesso tenore alla scadenza del termine di conversione, ma il Governo ha integrato il testo dei D.L. decaduti con altre disposizioni aggirando il divieto. La Corte Costituzionale ha però sentenziato nel '96 che un D.L. reiterato con l'espediente di cambiare il contenuto lasciando inalterato il tenore non è accettabile perché decadono comunque i presupposti di necessità ed urgenza. Inoltre il D.L. con vizio di assenza dei presupposti, qualora convertito trasmette alla legge di conversione il vizio stesso e può essere giudicata illegittima. Ne conseguì un calo dei D.L. ed un aumento dei D. Lgs.

REGOLAMENTI GOVERNATIVI. 10.11.1999

In costituzione si fa solo un cenno fugace ai regolamenti governativi dicendo che è il P.d.R. ad emanarli con proprio decreto.

Il rapporto di gerarchia stabilito fra la legge e i regolamenti governativi trova la sua base di giustificazione all'interno dell'art. 1 delle preleggi; è quella la sede ove si puntualizza come i regolamenti devono essere conformi alla legge sia per la procedura (il Governo può emanarli solo se autorizzato dal Parlamento) che per la tipologia (esistono solo quelli previsti dalla legge).

I r regolamenti dell'esecutivo non sono tutti uguali e dello stesso rango; un tipo è emanato con P.d.R. su proposta del P.D.C.M. sentito il Consiglio di Stato e diversi sono quelli ministeriali (emanati da un solo ministro), diversi quelli d'autorità (es. quelli di enti pubblici, ecc. che rientrano nell'ambito del Governo), e ancora diversi sono quelli emanati da più di un ministro congiuntamente.

Il rapporto di gerarchia è valido anche per i regolamenti ministeriali, interministeriali, ecc..

La tipologia dei regolamenti governativi è fissata dalla L.400/88 all'art. 17:

di esecuzione o esecutivi: quelli per i quali la legge chiama il Governo ad emanare norme dettagliate in una materia già disciplinata con la stessa legge. Riguardano aspetti tecnici e servono ad una migliore applicazione della legge. Nella legge si trova il riferimento alla fonte regolamentare che così viene innescata.

Organizzativi: questa categoria era già compresa nella L. 100/26 (antenata della L.400/88). Nel precedente ordinamento (Statuto Albertino) non essendo contemplata la riserva di legge per l'organizzazione della pubblica amministrazione, con un regolamento era possibile anche istituire un ministero, mentre nell'attuale ordinamento almeno nei tratti essenziali l'organo dell'amministrazione pubblica deve essere definito con legge. Attualmente i ministeri sono istituiti con legge e disciplinati integrativamente con copiosi regolamenti che riguardano gli organici i finanziamenti, e tutto ciò che è funzionale alla loro esistenza.

Delegati o autorizzati: nascono quando il Parlamento si rende conto che una certa materia disciplinata dalla legge è ormai obsoleta (perché è mutato il contesto sociale, politico, ecc.) e non ritiene opportuno emanare un'altra legge che modifichi la precedente e decide di lasciare al Governo (con una legge di delega) il compito di farlo appunto con un regolamento. La legge stabilisce l'oggetto, la durata e i limiti della delega. Un simile regolamento, che deve sostituire una legge, deve essere necessariamente di eguale rango, quindi questo tipo di provvedimento governativo ha valore di legge. In alternativa il Parlamento può delegare il Governo a emanare un regolamento (appunto delegato) per disciplinare una materia tout court precedentemente regolata da una legge (in altri termini la materia viene sottratta integralmente all'imperio della legge), ed è questo il fenomeno della delegificazione. La legge non è abrogata finchè non è efficace il regolamento, in modo che la materia non risulti mai scoperta. Fino alla L.127/97 il Parlamento vi ricorreva frequentemente, ma dopo l'introduzione della 'Bassanini 2' il Governo è tenuto a presentare una relazione sullo stato di avanzamento dei lavori di delegificazione sulla base dell'annuale legge sulla semplificazione amministrativa. È fonte di straordinaria importanza perché rappresenta uno spostamento del potere legislativo dal Parlamento al Governo.

Indipendenti: approvati dal Consiglio dei ministri ed emanato con D.P.R. in assenza di una legge che regoli la materia. Quest'ultima non dev'essere coperta da riserva di legge e sostanzialmente esce dall'indifferente giuridico con l'entrata in vigore del regolamento. L'ordinamento potrebbe sopperire alla mancanza di regole nel settore con l'interpretazione analogica di altre leggi in materie comparabili, ma ciò provocherebbe una eccessiva clasticizzazione della norma. Di fatto il Governo vi fa ricorso quando non ci sono i tempi tecnici per una regolamentazione esaustiva con Legge. Tale provvedimento normativo regolamentare si colloca in una posizione recessiva rispetto alla norma legislativa parlamentare che viene introdotta successivamente. È stato il caso della tutela giuridica dei diritti degli autori di software, realizzata inizialmente con regolamento governativo indipendente, non precedentemente regolamentata in Italia fino al '92, quando con decreto legislativo è stata recepita una direttiva comunitaria. Il regolamento indipendente è solo potenzialmente transitorio, perché fino a quando non interviene una legge a regolare la materia si configura come una fonte, secondaria, ma permanente.

Il Governo opera con tre ordini di fonti:

D.L. e D. lgs. che sono primarie;

Regolamenti (atti comunque sprovvisti di forza di legge e fuori dalla giurisdizione della Corte Costituzionale) che è fonte secondaria.

La distinzione tra fonte di primaria e secondaria è che la seconda sfugge al controllo di legittimità costituzionale. I regolamenti sono però soggetti alla verifica di legittimità da parte del giudice amministrativo che controlla se il provvedimento amministrativo è conforme alla legge, se lo si è emanato con competenza e senza eccesso di potere.


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