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Diritto naturale e fallacia naturalistica




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DIRITTO NATURALE E FALLACIA NATURALISTICA

Nel quinto capitolo viene affrontato un tema molto importante per la filosofia del diritto che è la "Legge di Hume" . Hume è un grande filosofo scozzese del 1700 e per gli studiosi della filosofia del diritto, Hume è importante perché a lui si deve l'elaborazione di questa teoria che si chiama, appunto, "Legge di Hume".

La "Legge di Hume", è tutto un discorso che approda poi alla tesi finale secondo la quale è impossibile derivare il "dover essere" "dall'essere". Cos'è il "dover-essere" e cos'è l' "essere"? Il "dover-essere" riguarda i discorsi morali; l "essere", invece, riguarda quelle proposizioni puramente descrittive, cioè se si fa riferimento, ad esempio, ad un maglione e si dice a proposito:" Questo maglione è giallo" in questo caso ci troviamo di fronte ad un'affermazione riguardante "l'essere". Se, invece, diciamo: "Tu devi essere studioso", in questo caso ci troviamo di fronte ad un'affermazione riguardante il "dover-essere". Dunque, queste sono le due dimensioni: quella dell' "essere", che è la dimensione della descrizione e la descrittività dei fatti con la quale si può descrivere com'è la realtà, come stanno i fatti. Il "dover-essere", invece, è la dimensione che riguarda la morale, cioè come dovrebbero stare le cose secondo alcuni principi morali. Allora, la "legge di Hume, afferma che non è possibile passare da un giudizio sull "essere" ad un giudizio sul "dover-essere", esempio: non si può passare, sempre secondo quanto afferma Hume, dal dire: "Questo maglione è giallo" al dire: ".quindi deve essere più bello del maglione blu". In realtà tra il piano della descrizione ed il piano di come dovrebbero essere le cose c'è una frattura ed è impossibile passare da un piano all'altro. Tutte quelle proposizioni (persone) che fanno questo passaggio " dall'essere al dover-essere" cadono in quella che i filosofi chiamano "Fallacia Naturalistica". Questa teoria è stata molto utilizzata da una serie di filosofi per dimostrare che la morale non ha una portata di conoscenza, cioè la morale è qualcosa che non nasce da un'analisi descrittiva della realtà, in quanto la morale riguarda un altro settore rispetto alla realtà che è correlata al piano dell' "essere". Queste sono le cosiddette teorie del non cognitivismo etico, cioè la morale non ha una portata conoscitiva, perchè questa appartiene solo alle discipline che riguardano l' "essere" come, ad esempio, la scienza.

Questa affermazione, però, non è condivisa da D'Agostino, il quale per dimostrare come in realtà, la morale può avere un fondamento cognitivo cerca di dimostrare come, in realtà, "la legge di Hume" non è così vera come sembra. Infatti se facessimo un discorso basato semplicemente sui fatti è evidente che il passaggio dell' "essere" al "dover-essere", risulta impossibile, però i fatti possono essere concepiti nella loro sostanza: per esempio, quando diciamo che A è madre di B che è una pura descrizione che appartiene all' "essere" si può derivare da questa proposizione sull' "essere", la proposizione che A deve accudire B, quindi una proposizione del "dove-essere": Questo è possibile in quanto è evidente che nel concetto di madre, non si vede solamente la persona che biologicamente ha partorito B, ma si attribuisce ad esso una serie di significati, affettivi, sentimentali, tutta una serie di sensi che ovviamente ci portano a dedurre, immediatamente, che se A è madre di B, ovviamente A dovrà accudire B. Allora, se andiamo a vedere semplicemente i fatti superficiali la "legge di Hume" vale, ma s andiamo a vedere com'è nell'esempio nel concetto di madre, andiamo a vedere la sostanza del significato del concetto di madre, allora, il passaggio dall' "essere" al "dover-essere" può avvenire. Pertanto la stessa natura va vista non solo per quello che è in superficie , ma va compresa anche per quello che è la sua essenza, la sua sostanza. I positivisti, ad esempio, come Kelsen, negano questo ed affermano la validità della "legge di Hume", quindi l'impossibilità del passaggio dall'essere al dover essere, perché per Kelsen una norma per essere valida deve effettivamente essere posta in essere da una qualche autorità e quindi nega che possa esistere una norma che non si fondi su di un atto di volontà. A tal proposito Kelsen si è scagliato contro quelle che definiamo precisazioni husserliane, infatti, sostiene che un guerriero deve essere valoroso, coraggioso. Questa derivabilità non è possibile per la "legge di Hume", mentre D'Agostino sostiene la tesi husserliana, secondo cui, dicendo la parola "guerriero" mediamente si penserà ad una persona coraggiosa, valorosa, perché nascerebbe una contraddizione se si dicesse " un guerriero è vile". Pertanto, non è giusto quanto afferma Kelsen, e cioè che non possono esistere norme "solo pensate", in quanto esse per essere valide devono essere poste in essere da un'autorità. Quindi la conclusione è che la "legge di Hume" non vale quando si fa riferimento all'essenza dei significati e quindi tutti coloro che affermano che la morale non abbia una portata conoscitiva, sulla base della "legge di Hume", sbagliano, secondo D'Agostino (per d'Agostino sbagliano coloro che affermano che la morale non ha portata conoscitiva)


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