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"cosa nostra"




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"COSA NOSTRA


Tralasciando una fase di incubazione, in cui si sviluppano fenomeni che possiamo definire "premafiosi", dal XVI ai primi decenni del XIX secolo che si collocano all'interno del processo di transizione dal feudalesimo al capitalismo in Sicilia, si può considerare la nascita di "Cosa Nostra" l'inizio dell'Ottocento nella Sicilia occidentale. Le sue origini sono strettamente legate a quelle del latifondo che domina la struttura produttiva della Sicilia fino ai primi del Novecento. Da una parte ci sono i contadini miserabili, dall'altra la nobiltà terriera, erede assenteista di uno degli ultimi sistemi feudali d'Europa. Fra gli uni e gli altri, c'è un ceto spregiudicato e violento di "campieri" "gabellotti" "fattori" che svolge funzioni di controllo, gestione ed intermediazione delle proprietà e della produzione, tenendo a bada la latente violenza di quella smisurata platea di nullatenenti che popola la campagna siciliana. Cosa Nostra nasce nel momento in cui i gabellotti, spesso circondati da persone dal passato violento, smettono di lavorare a nolo e attraverso la privatizzazione della violenza, danno vita a sette, confraternite, gruppi, cosche. Ha una struttura a sviluppo verticale, il "capofamiglia" nomina i "sottocapo" i "consiglieri" e i "capidecina" che coordinano gli "uomini d'onore" i "picciotti". Questa è la "famiglia" che controlla un pezzo di territorio.

Si è detto che la causa prima della situazione che va creandosi è la condizione sociale ed economica della Sicilia, ancora feudale in pieno XIX secolo. La mafia nasceva dalla feudalità e ne assumeva la forma: il capo mafia al posto del signore feudale, ad esercitare quel privilegio detto del "mero e misto impero" che era del signore feudale: il diritto cioè di vita e di morte sugli abitanti dei paesi e delle campagne, il diritto di imporre tasse anche arbitrarie. La mafia appunto doveva operare un movimento che si può assomigliare al passaggio da una società feudale ad una società borghese; quel passaggio che in Francia si realizzò attraverso la rivoluzione del 1789 ed in altri paesi attraverso quello che fu detto "l'assolutismo illuminato", cioè quelle trasformazioni che i sovrani seppero apportare nei loro regni decidendo dall'alto e spesso contro la stessa classe aristocratica che era stata il loro sostegno. La Sicilia non aveva avuto una rivoluzione né aveva conosciuto l'assolutismo illuminato: la terra passò dai baroni ai "borghesi" attraverso operazioni di tipo mafioso. I contadini promossi a "campieri" (specie di carabinieri del feudo alle dipendenze del barone) e da campieri a "gabellotti" (affittuari delle terre), intimorendo i baroni, facendo loro dei prestiti con usure ingenti, derubandoli del reddito, riuscirono ad impadronirsi della terra. Ma, servi divenuti padroni, i loro vizi furono quelli dei loro antichi padroni: volevano soltanto la terra, terra quanto più estesa possibile. Non volevano trasformarla, bonificarla, migliorarla, far nascere industrie o incrementare i commerci, ma solo estendere le proprietà.. Della mafia come "forma primitiva di rivolta sociale, come la sola possibile rivoluzione borghese che potesse avere la Sicilia" si può trovare riscontro nel romanzo "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel personaggio di Calogero Sedara.. Le parole del principe di Salina che definisce gli aristocratici "Gattopardi" "Leoni" e chi andrà a sostituirli "sciacalli" e "iene", che hanno saputo operare soltanto nella dissoluzione della classe aristocratica, approfittandone. Ma quando si sono trovati al posto degli aristocratici ad essere classe dirigente, a dirigere la cosa pubblica hanno continuato a comportarsi come sciacalli e iene: a dilaniare e divorare i beni pubblici come avevano fatto con quelli dei loro antichi padroni. La classe borghese-mafiosa, di cui è esempio Calogero Sedara, non sa costruire, sa soltanto divorare. Da ciò derivano i conflitti all'interno di questa nuova classe, un continuo processo di sostituzione, conflitti tra una nuova generazione e la vecchia, tra gruppi che sono già arrivati al potere, alla ricchezza, al decoro e gruppi che vogliono arrivare. L'arrivo spesso coincide con l'annientamento, anche fisico, con la fine.

Per avere un'idea di che cosa fosse in origine la mafia, basta pensare alle considerazioni che il Manzoni, nei Promessi Sposi, svolge sul fenomeno della "braveria". Sgherri del tipo dei bravi, al servizio degli interessi e dei capricci dei nobili, in Sicilia furono i prototipi dei mafiosi.

In Lombardia, caduto il dominio spagnolo e subentrato quello austriaco, attraverso riforme sociali e trasformazioni economiche e soprattutto grazie alla correttezza dei funzionari statali e quindi di tutto l'apparato amministrativo dello Stato, la braveria fu naturalmente eliminata dal corpo dello Stato. In Sicilia, perdurando le condizioni del dominio spagnolo anche quando gli spagnoli non ci furono più, resistendo le strutture sociali della feudalità piena di puntigli, avida di privilegi, rissosa, quella che in origine era "braveria" diventò nel tempo quella che oggi conosciamo come mafia. L'amministrazione statale che sostituiva il "mero e misto impero" dei signori feudali, si rivelava debole, inefficiente, corruttibile fatta com'era di funzionari incapaci, che dovevano il loro impiego a qualcuno o che l'avevano addirittura comprato. Se un funzionario in Sicilia si fosse mostrato onesto, resistente alla corruzione o alla pressione dei potenti, veniva isolato o espulso come corpo estraneo. Il "trasferimento" è stata l'arma del potere mafioso contro il funzionario che non stava al gioco. La storia della mafia si può intendere quindi come la storia della complicità dello Stato, dai Borboni ai Savoia alla Repubblica, nella affermazione di una classe di potere improduttiva e parassitaria . Già nella spedizione di Garibaldi, si parla di "picciotti" non come giovani che spontaneamente e consapevolmente corrono sotto le bandiere garibaldine a combattere la tirannide borbonica, che peraltro nella grande avventura di Garibaldi in Sicilia non mancarono, ma come di persone cooptate, reclutate dalla classe borghese-mafiosa e dagli ultimi baroni, per soddisfare l'aspirazione che la Sicilia diventasse colonia agricola del Nord commerciale e industriale. Il che, ovviamente non dispiaceva alla classe commerciale e industriale del Nord, che portò una più accentuata complicità dello Stato italiano nell'affermazione e consolidamento della classe borghese-mafiosa siciliana. Ma i contadini non ci stanno e in questa terra arida si creano movimenti popolari i "Fasci dei lavoratori" che nel 1893, mossi dalla consapevolezza della propria condizione di sfruttati, creano scompiglio nella società intravedendo una possibilità di miglioramento. Queste rivolte sono soffocate dal governo chiamato ad intervenire dai latifondisti, che le giustifica spiegando la condizione delle masse contadine del sud con le teorie positivistiche che si erano affermate nella seconda metà dell'800: una sorta di inferiorità del meridionale dovuta al fatalismo che lo aveva fatto nascere il quella zona, in virtù della quale doveva sottostare alla superiorità del cittadino moderno ed emancipato del nord. Il desiderio del popolo siciliano e del Sud in genere di migliorare la propria vita, non si ferma comunque a queste chiusure positivistiche, ma continua a manifestarsi anche nel periodo giolittiano dal 1903 al 1914, per cui Giolitti per ovviare alla crisi ed ad eventuali scontri, decide di dare voce alle istanze popolari presentando piani di riforma finalizzati a sanare il malcontento, riportando il mercato ad un sistema liberista. La situazione ora si ribalta, i proprietari terrieri sono privi di appoggio, mentre le masse oltre ad essere affiancate dal consenso governativo, incominciano a muoversi sempre più come movimenti organizzati sotto la guida del Partito Socialista nato nel 1892. Chiede la riforma del sistema tributario e amministrativo, l'eliminazione del clientelismo e della proliferazione dell'azione malavitosa, chiede aiuti concreti per ovviare ai danni causati dalle calamità naturali come il terremoto di Messina del 1908 e la devastante eruzione dell'Etna del 1910.

Nonostante la riforma che introduce il suffragio universale maschile, il sistema clientelare strettamente collegato all'organizzazione mafiosa, deteriora questa innovazione attraverso la corruzione e la coercizione. Le masse analfabete sono catechizzate dal clero e dai sistemi intimidatori dell'organizzazione mafiosa e soprattutto alle soglie della prima guerra mondiale il popolo del Sud segna la prima sconfitta del sistema sociale italiano: l'emigrazione. Ciò che rappresenta però la vera sconfitta, è l'obbligo dello Stato di andare a difendere la patria al fronte durante la Prima Guerra Mondiale. I contadini combattenti non hanno nessun interesse nel difendere la patria, così il governo promette, per motivarli, una cospicua distribuzione di terre a tutti i veterani di guerra, assegnazione utopica che si risolverà con la futura azione repressiva e coercitiva dei fascisti sovvenzionati dai latifondisti. L'instaurazione della macchina elettorale, fece il resto. La mafia vi si associò indissolubilmente, ed è soltanto con il sorgere dei partiti di sinistra che la lotta elettorale nella Sicilia occidentale assume, da rivalità di interessi e di "cosche", carattere politico. La mafia fu subito contro il nascente partito socialista e avversò anche quel partito popolare dei cattolici che poi divenne la Democrazia Cristiana.


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