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Carcere: esperienze, interviste e progetti di lavoro




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CARCERE: ESPERIENZE, INTERVISTE E PROGETTI DI LAVORO




1. TESTIMONIANZE LETTERARIE


Il capitolo presenta una serie di testimonianze tratte da fonti diverse. Alcune sono brani di diario di ex detenuti che riflettono sulla condizione carceraria e sulla trasformazione che essa ha generato nelle loro vite. Due testimonianze sono state selezionate da una trasmissione televisiva su Antenna 3 Nord-Est (emittente che trasmette da Treviso) che trattava proprio del carcere e, in particolar modo dell'importanza del lavoro per i detenuti.

La seconda parte del capitolo propone tre interviste ad altrettante persone che hanno vissuto in carcere, o in parte ci vivono ancora. Ho proposto loro una griglia di domande sia sul ruolo che ha il lavoro, in senso generale e per un detenuto o ex detenuto, sia sulle eventuali proposte pedagogiche e politiche affinchè il lavoro possa veramente costituire un'alternativa alla strada della devianza e un' attività da poter svolgere parallelamente alla vita carceraria.

La terza parte del capitolo propone alcune iniziative emerse da una giornata di studio tenutasi alla Casa di reclusione di Padova e poi una mia ideazione di progetto che offre delle possibilità di ampliamento di lavoro per carcerati ed ex detenuti.


1S testimonianza

"LA PRIGIONE È DENTRO DI NOI

Claudio, ex detenuto ora volontario nelle carceri.

Ho sperimentato di persona, che nelle leggi ci sono tanti buoni propositi: spesso però rimangono solo teorici. In pratica, si realizzano solo in quegli istituti dove ci sono degli educatori, dei direttori, del personale, degli agenti di polizia che mettono al centro di tutto l'uomo, la dignità della persona. Ma dove questo non succede? La burocrazia ferma tutto e per le persone è il gelo. Nessuno si fa carico delle responsabilità ben precise e le persone detenute fanno una vita molto umiliante e non vedono una prospettiva futura.

Tuttavia, da parte dei detenuti il desiderio è quello che le persone attorno a loro non li giudichino, né vogliano avere la soluzione dei loro casi, del tipo: "Ora, questa persona, la reinseriamo", ma chiedono di essere accettati così come sono. Senza forzare le cose, le situazioni trovano nell'amore una soluzione.

Quello che ho costatato è che la vera prigione non è all'interno di un istituto, ma in noi stessi. Posso testimoniare che nella mia esperienza nelle carceri ho incontrato persone detenute molto solidali, con un altissimo senso della famiglia, altruiste, disponibili a dare una mano, mentre quando uscivo in permesso trovavo spesso. tutto il contrario. Un giorno sono andato al supermercato con mia madre a fare la spesa. Dobbiamo capire che in carcere si va all'essenziale delle cose: sapendo perciò tutto quello che manca all'interno delle carceri sono rimasto fermo a guardare tutto quello che comperavano coloro che facevano la spesa. Avevano tutti dei carrelli pienissimi e sinceramente sono rimasto colpito da tanto stridore tra la vita dentro e quella fuori.

Ho imparato tante cose sulla mia pelle: ora io offro la mia piena disponibilità, il mio tempo. Ho visto che si può costruire l'unità tra tutti anche in questo ambiente: io come ex-detenuto, i giudici, il comandante degli agenti, i volontari. Desidero essere coerente con questa possibilità che la vita mi ha dato e per questo sono pronto, nelle mie possibilità, a dare del mio per costruire assieme un'umanità nuova"[1].


2S testimonianza

Altro brano rappresentativo è quella di Paolo Severi, ex-detenuto nel suo diario 231 Giorni che evidenzia le difficoltà dell'istituzione carcere.

"Mi chiamo Paolo Severi.

Per molti anni la mia identità, il mio essere sono stati in balia degli eventi, dell'eroina, della cocaina. Sentivo il mio nome ripetuto sempre più spesso nei rapporti di polizia giudiziaria, negli interrogatori, nelle chiamate degli uffici matricola di parecchie carceri; avevo consapevolezza di me solo in relazione a quello.

Non sapevo chi ero, che cosa volessi. Sapevo che non sarebbe durata a lungo.

Il mercato ideale dell'eroina mi avrebbe stroncato se non avessi trovato, al più presto, una soluzione, un muro contro cui andare a sbattere.

Il muro si è chiamato San Patrignano. Poteva essere un muro migliore, ma è contro quella parete che mi sono fermato. In tre anni e mezzo a San Patrignano ho recuperato, da solo, certezza del mio esistere e, soprattutto, certezza che il passato non mi apparteneva più. Questo è avvenuto non grazie a San Patrignano, ma spesso (troppo spesso) nonostante San Patrignano.

Lì ho conseguito la maturità classica; lì mi sono iscritto all'università (Scienze Politiche) che continuo a frequentare. Lì ho camminato con difficoltà, tenendo spesso duro perché sapevo che avevo un obiettivo: salvarmi la pelle.

Finché una storia d'amore con una ragazza sposata venuta a galla nella Comunità mi ha messo in condizione di essere riportato in carcere.

Questo che segue è il diario dei miei mesi di detenzione (nel 1996) dopo la permanenza a San Patrignano.

Una paradossale liberazione.

Oggi mi volto indietro spesso, ripenso al mio passato e mi scopro a sorriderci sopra.

Mi dico: non sono io l'autore di quelle malefatte.

Qualcuno sostiene che è schizofrenia. Io credo che sia solo questione di non appartenenza.

Quello che faccio, quello che sono ora (il lavoro, lo studio, il volontariato, la musica, scrivere) è talmente distante dalla mia realtà di allora da non riconoscermi più. (.).


Riccione, 20 novembre 1999"[2].


3S testimonianza

Autore sempre Paolo Severi

"31 gennaio mercoledì

La farsa continua.

L'importante è fingere. Far finta di star bene e ridere di tutto. Se si accorgono di qualche piccola debolezza, se trovano un varco per prevaricarmi finisce che faccio la fine del novello Diogene. Occorre non dare spazi.

Ho messo su una piccola attività di pubbliche relazioni. Faccio istanze di remissione in libertà; si è già sparsa la voce: vedo se riesco a sopravvivere così. Non c'è posto per il debole in carcere. L'anello debole perisce, viene fagocitato o asservito. Oltre alla violenza istituzionale, al manganello in divisa, c'è una violenza più atroce, che è quella che i disperati esercitano su se stessi e contro i compagni di sventura. La prevaricazione della piazza riportata dentro e non capiscono di essere vittime.

C'è un capo del popolo nero. Un capo con il suo stuolo vassallatico di servitori. Mi pare di comprendere che il problema sia quello della gestione dello spaccio intero.

Conosciuto il cappellano del carcere"


4S testimonianza

Sempre da 231 Giorni riporto un intervento particolarmente interessante per la sua concreta proposta. Si tratta di uno scritto di Sergio Cusani che in carcere, in "qualità di detenuto" si è impegnato particolarmente per rendere questo ambiente meno afflittivo; inoltre successivamente ha fondato un'agenzia per l'inserimento lavorativo e quindi sociale degli ex-detenuti:

"Basterebbe poco per cambiare le cose", di Sergio Cusani

Il vissuto carcerario mi ha insegnato che è possibile, se si vuole, e anche con poco, umanizzare la vita detentiva. Si pensi a quel momento particolarmente delicato che è l'impatto col carcere: il momento dell'ingresso.

Ad esempio il tossicodipendente, quando non sia già in terapia metadonica da libero, non riceve il farmaco in carcere, tranne che in alcuni istituti penali, e sempre in via sperimentale. Subisce così, e in modo repentino, la crisi di astinenza. Crisi di solito tamponata, in parte, con la somministrazione di sedativi e antidolorifici o psicofarmaci.

Il corpo in crisi di astinenza è molto più sensibile agli stimoli: si abbassa la soglia del dolore; si modifica il metabolismo legato al cibo; si alterano i parametri connessi alla percezione della temperatura esterna; si ha la parziale perdita di controllo di alcune basilari funzioni fisiologiche. I dolori sono intensi, il freddo si fa insopportabile, le emicranie sono lancinanti.

L'esito è uno stato confusionale, una non presenza. L'impatto con il carcere è quindi violentissimo. Vieni subito sbattuto in cella, il più delle volte sovraffollata e decrepita.

Ma per un tossicodipendente in crisi, per quanto sedato, l'evento più grave è che entro cinque giorni dovrà affrontare l'interrogatorio del GIP, Il Giudice per le indagini preliminari. Come si può ben immaginare, un evento decisivo del percorso giudiziario. ().

Forse la faccio semplice, ma in occasione del Convegno presso la Comunità di Calamandrana[4]. «Oltre le sbarre», ho avuto l'opportunità di presentare una proposta concreta che implica, più che un investimento economico, un investimento culturale: realizzare all'interno di ogni carcere un Centro crisi prima accoglienza per tutti i detenuti, ma con particolare attenzione alle persone tossicodipendenti. In quella circostanza ho suggerito al signor Caselli, Direttore generale del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, che, per incominciare, basterebbe, allestire in carcere uno spazio adeguato, riscaldato e con un minimo di accoglienza garantita dalla presenza di personale competente: i medici, gli educatori, ma soprattutto il volontariato anche come mediatore culturale e linguistico, posto che la più parte della popolazione carceraria è oggi costituita da extracomunitari.

In carcere, il tossicomane, specie se extracomunitario, di solito è un ultimo, una paria. Uno che ha come unico valido sostegno i codetenuti della cella. Ma costoro già vivono in una sezione particolarmente assoggettata a ogni tipo di stress e di quotidiani nuovi arrivi. In tal modo l'Istituto Penale incrementa la separazione e la distanza relazionale tra esseri umani e conferma i peggiori contenuti razzisti della subcultura carceraria.

Poiché il carcere va inteso intanto come una Comunità, sarebbe opportuno introdurre elementi alternativi, così come si fa sul territorio, nelle migliori esperienze. Elementi volti all'accoglienza, anche per ridurre il rischio di incanaglire il detenuto e per offrirgli invece una socialità ben diversa nelle forme e nei contenuti da quella propria della cultura criminale.'[5]


5S testimonianza

Il 3 aprile 2003, in prima serata (replica) su Antenna 3 Nord-Est è andato in onda un dibattito sul carcere e le sue problematiche. Qui riporto una sintesi personale di due interventi:

Sandra Paccagnella, detenuta della Giudecca di Venezia

Appena entrata in carcere Sandra dice di aver sperimentato una grande confusione. Sentiva l'esigenza di avere la giornata occupata in modo costruttivo per arrivare alla sera e fare sonni tranquilli. Il carcere le è servito per rafforzare le proprie convinzioni; inoltre secondo lei la sofferenza l'ha aiutata ad essere più determinata. Il lavoro di coltivazione degli ortaggi è stato per lei importante per la gratificazione dei risultati ottenuti.


6S testimonianza

Sergio Cusani

Sergio Cusani, ex detenuto, propone una sorta di «Piano Marshal» per favorire l'impiego per gli ex detenuti; strutture di accoglienza e l'appoggio degli istituti dell'amnistia e dell'indulto per alcune categorie di detenuti allo scopo di ridurre il percorso giudiziario attualmente lunghissimo e senza un fine certo.

Il Piano Marshal prevederebbe una fase di prima accoglienza per i detenuti che escono dal carcere senza la certezza di un lavoro e di una casa e l'inserimento della persona in una struttura per imparare un mestiere.

Cusani sostiene che un uomo recuperato ha voglia di abbracciare il mondo e quindi affronta la realtà con un certo ottimismo e fiducia. Un detenuto salvato non è solo un pericolo in meno per la società, ma è anche una risorsa positiva in più.



2. TESTIMONIANZE DIRETTE


2.1. Profilo di Valerio Fioravanti e di Francesca Mambro


Le prossime testimonianze sono particolarmente ricche e singolari. Esse, infatti, rappresentano esperienze di persone che svolgono lavori particolari; persone in un certo senso "più famose" rispetto ad altre, persone che vivono in situazioni "speciali", per le singolari opportunità avute. Mi riferisco a Valerio Fioravanti, e alla compagna Francesca Mambro, pluriergastolani ed ex terroristi neri, ai quali da qualche anno è consentito di uscire di prigione (Valerio è in semilibertà, rientra in carcere ogni sera, Francesca è in detenzione speciale, qundi è a casa per seguire la figlia) per recarsi lavorare presso l'Associazione "Nessuno Tocchi Caino" di Roma, che si batte per l'abolizione della pena di morte nel mondo (associazione federata al Partito Radicale Transnazionale) [6].

Ho telefonato alla segreteria del Partito Radicale a Roma e Valerio è stato subito disponibile a collaborare alla mia tesi, portando la sua esperienza. Mi ha detto: "Non ci sono problemi che il mio nome appaia scritto nella tua tesi, tra radicali non ci poniamo tante formalità". Dopo una lunga corrispondenza via e-mai (sei-otto mesi circa) siamo riusciti a concordare un'intervista. Prima di mandargli le domande avevo letto Il bacio sul muro di Francesca. Il suo stile, i contenuti trattati mi hanno particolarmente colpita ed emozianata, così ho allargato anche a lei l'intervista.

Ho spedito A Valerio e Francesca una traccia di domande e loro mi hanno registrato le risposte su due audiocassette e poi me le hanno spedite. Ho proceduto poi alla sbobinatura.

Nell'introduzione a Il bacio sul muro Francesca cerca di spiegare come il lavoro di trattare la sofferenza altrui (il libro presenta una serie di esperienze con altre donne in carcere) sia di aiuto a se stessi nell'aggirare la propria sofferenza; lei dice, infatti: "Fare da eco alla sofferenza di altre donne ha attutito la mia".[7] Francesca ha dato "colore blu" alle storie altrimenti invisibili delle proprie compagne di percorso. Francesca racconta aspetti di vita quotidiana del carcere, arricchiti di ricette di cucina, "perché al contrario degli artisti, che studiano linguaggi alti, le donne in carcere si parlano ricorrendo al linguaggio più basso di tutti, quello primordiale della fame e dello scambio di cibo. Le nostre sono piccole eucarestie di donne pagane. Riti di accoglienza e di memoria. Pezzi di pane e bicchieri d'acqua che passano di mano come il gesto di accettazione nella comunità delle catacombali, come la mano tesa della mamma o, più indietro ancora, quello che rimane, in profondità e ormai inconsapevole, del dovere di ospitalità delle comunità contadine" .

Francesca sostiene l'importanza di continuare a progettare anche se sei in una situazione di limitazione della propria libertà. "Il fatto che una in carcere possa fare solo progetti scemi e per cose banali non deve trarre in inganno: quello che conta è continuare a farli i progetti, e trovare dentro di sé la determinazione necessaria per portarli a compimento. L'importante è lavorare sui desideri, saperli riconoscere come tali, non averne paura, dar loro una dignità almeno pari a quella della malinconia, della sofferenza, del rimorso, della nostalgia . perché far spuntare il sorriso sul volto di una persona amica è materia altrettanto difficile e importante che saper convivere con i propri fantasmi, dare un minimo di dignità a chi è stato posto accanto a te per soffrire è la prova, piccola, distante, indiretta ma pur sempre prova, che dentro di te c'è ancora qualcosa di fertile, qualcosa che un giorno potrà darne di più di quella serenità, e a più persone, per più di un minuto"[9]. Il carcere ti può portare a imparare a chiedere aiuto, a credere che si può ricominciare, anche solo trovando un nuovo lavoro; Francesca afferma, infatti, "come tutte le persone intelligenti, hanno chiesto aiuto. Sono passate anche nei nostri uffici e si è riusciti, attraverso Laura che lavora all'Arci, a trovare una borsa lavoro" .

Lo trascrivere i propri desideri, i propri progetti e quelli altrui è risultato essere per Francesca un «lavoro» di riconoscimento, di condivisione e di progettualità, anche se in carcere e con «vari ergastoli da scontare».



2.2. Profilo di Claudio Stella


Claudio Stella è Presidente dell'Associazione Penitenziaria Utopie Fattibili di Vicenza, ideata e progettata con altri compagni ancora quando si trovava in carcere.

L'associazione si pone le seguenti finalità primarie: fornire abitazioni ad ex detenuti, informare l'ex detenuto dei propri diritti e doveri, divulgare le informazioni a livello di cittadinanza ed educare alla legalità nel rispetto delle regole. Claudio Stella sostiene fermamente che il reinserimento sociale del detenuto o ex detenuto risulta essere una forma di sicurezza sociale oltre che essere un riscatto della persona in sé. Nella brossura dell'associazione si legge: "La nostra è una società che chiede soprattutto di "rinchiudere" chi ha commesso un reato e di buttare via la chiave. Lo si voglia o meno, prima o poi il detenuto "esce". Una volta uscito dal carcere il soggetto disagiato si trova ad affrontare molte problematiche. Le principali sono: finanziarie (in galera non c'è lavoro), lavorativa, ma soprattutto dell'alloggio.

Si deve fare qualcosa perché non reiteri e ritorni in carcere.

Il carcere non deve essere "la vendetta della società", ma come cita l'art. 1 della legge 354:26/06/1975: ".il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona.Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno al reinserimento sociale degli stessi".

I traguardi raggiunti dall'associazione sono stati di vario genere. Nel 2000 il Presidente è entrato a far parte della Consulta comunale per le problematiche penitenziarie del Comune di Vicenza. L'associazione ha formulato un progetto finanziato dalla Regione Veneto: "Formazione professionale e reinserimento lavorativo e sociale dei detenuti della Casa Circondariale di Vicenza'. Sempre nello stesso anno tre ex detenuti sono stati inseriti nel mondo sociale e produttivo. Nel 2001 altri obiettivi di notevole importanza sono stati raggiunti: l'associazione è titolare del progetto finanziato dal Centro Servizi per il Volontariato di Vicenza "Informazione Carcere"; ha organizzato iniziative di informazione per la cittadinanza e ideato altri progetti in collaborazione con il Comune di Vicenza, Assessorato ai Servizi Sociali e l'E.N.A.I.P.; è convenzionata con l'Università di Verona, Facoltà di Scienze della Formazione per stage formativi e lezioni sulla tematica penitenziaria, in Verona e Vicenza; sta attendendo l'approvazione per il progetto, ora al vaglio della Regione Veneto, "Un'ora di sana evasione", consistente in una serie di concerti con artisti di fama anche internazionale, da svolgersi nella Casa di Reclusione di Padova.

Per il 2003 l'associazione si propone di raccogliere fondi per l'acquisto di un appartamento da destinarsi a detenuti e/o ex detenuti, uso foresteria e accoglienza; di costituire una cooperativa sociale e un'agenzia di solidarietà per il lavoro e reinserimento sociale.



2.3. Intervista a Valerio Fioravanti


1) Che cosa significa per te il lavoro in senso generale?

Ma non .. In senso generale il lavoro è quella cosa che bisogna fare per guadagnare uno stipendio, andare a casa, mantenere una casa, mettere qualcosa dentro il piatto, vivere sostanzialmente. Dopodichè il lavoro si divide in lavoro fortunato, se è un lavoro che ti piace e lavoro sfortunato se non ti piace.


2) Cos'è il lavoro per un detenuto?

Il lavoro per un detenuto, al di là di una scuola ottocentesca per cui uno delinque solo quando è povero e sfortunato, diciamo che probabilmente uno delinque perché non ha voglia di fare lavori per cui si guadagna poco, quindi un lavoro per un detenuto è quella cosa che è obbligato a fare se vuole accedere alla legge premiale, se vuole avere uno sconto di pena, se vuole uscire dal carcere prima del tempo previsto deve per forza dimostrare di saper fare un lavoro e avere qualcuno disposto a farlo lavorare. Dopodiché c'è il detenuto che è spaventato, che è stanco, che non vuole più tornare in carcere che lavorerà per davvero. La maggior parte dei detenuti è in grado di fare reati che gli permettono di arricchirsi facilmente e che lavorerà solo quel tanto per essere scarcerato e poi tornerà a spacciare, a fare altre cose.


3) Com'è la vita di un detenuto senza la possibilità di lavorare?

Ma.diciamo che in carcere il lavoro è ovviamente un passatempo ed è la possibilità di uscire prima, diciamo anche che il lavoro in carcere, nella maggior parte dei casi è un lavoro squalificato e pagato pochissimo, nel senso che le statistiche ci dicono che l'80% dei lavori sono lavori di bassissima manovalanza: pulire i corridoi, portare il carrello del vitto, pulire i cortili, tutti lavori che non richiedono nessuna capacità e soprattutto che non forniscono nessuna, come si può dire. nessun curriculum per quando si esce; perché quando uno esce e va a cercare un lavoro così poco qualificato come l'uomo delle pulizie e tra l'altro porta come referenza il fatto che ha pulito i corridoi del carcere. È un lavoro che uno fa tanto per non rimanere chiuso in cella, tanto per guadagnare quelle tre, quattrocentomila lire al mese che è pochissimo, ma. a volte sufficiente per vivere adeguatamente, non certo per mettere i soldi da parte, non certo per aiutare la famiglia che è rimasta fuori e ha enormi problemi economici, ma è quanto basta al detenuto per comprarsi il vino, per comprarsi le sigarette, per qualche piccolo lusso. Quindi il lavoro in carcere è per prima cosa la via maestra per essere un giorno scarcerato, perché fa parte della legge Gozzini. Il carcerato sarà scarcerato ai sensi della legge Gozzini se mostra di volersi reinserire; la prova principe del reinserimento è voler lavorare. Poco conta che il lavoro sia del tutto squalificante che non fornisca in realtà nessuna qualifica utile, però va fatto; è una specie di gioco delle parti in cui lo Stato ti offre un lavoro che non serve a niente, tu lo accetti e in cambio lo Stato ti dice che tu sei migliorato e sei in grado di affrontare eventualmente la libertà. Detto questo c'è ovviamente l'eccezione: chi è in carcere per sbaglio, per chi è in carcere perché ha fatto un solo reato nella vita sua; c'è una percentuale di persone che si aggrappano al lavoro, per distrarsi, per non pensare, per avere una continuità con la vita esterna, ma non riguarda la maggior parte dei detenuti.


4) Cosa significa per te e per la tua vita il lavoro?

Qua ci sono una serie di domande, (ho letto quelle successive), che si assomigliano tutte, nel senso che devo risponderti che io sono qui nel Partito Radicale e in 'Nessuno Tocchi Caino' e che faccio un lavoro particolare, ossia un lavoro che mi piace, un lavoro che mi dà molta possibilità di manovra, molta elasticità, mi dà soddisfazione, che viene retribuito decentemente, quindi io sto facendo sicuramente un lavoro che mi piace. Quando uno fa un lavoro che gli piace e, tra l'altro viene pagato decentemente e tra l'altro può gestirlo con una certa libertà senza che nessuno venga a controllare giorno per giorno se hai fatto tot pagine, è sicuramente una situazione privilegiata. Quindi per me il lavoro è sicuramente un obbligo nel senso che io devo stare qua tutti i santi giorni dalle nove di mattina alle sette di sera perché è un obbligo di polizia, è un qualcosa che devo fare per forza, è un qualcosa che mi costringe per questioni di polizia ad orari molto rigidi, molto severi. Al di là dei controlli di polizia, io lavoro in un ufficio grande, dove ci sono in media cinquanta persone, locato su tre piani di un palazzo, dove quindi uno può sentirsi libero, può muoversi, incontra molti ragazzi, l'età media delle persone che lavorano qui dentro è sui trent'anni, quindi sto in un ambiente piuttosto piacevole. Per me e per la mia vita questo è qualcosa che devo fare; forse a vent'anni avrei scelto di fare altre cose, ora ne ho quarantacinque, devo stare qui perché me lo impone la legge. Detto questo sto bene, sto in un posto che mi piace e che non mi fa mancare nulla, quindi per me va, bene. Devo dire che per carattere non sono una persona che si realizza attraverso il lavoro e quindi per certi versi sono una persona atipica, non m'interessa naturalmente far carriera, anzi non m'interessa; a me interessa avere uno stipendio decente a fine mese da portare a casa perché ne ho bisogno, ne ho bisogno avendo ricominciato da zero a 42 anni. Io e Francesca siamo una coppia come tante altre con l'unica differenza che di solito le giovani coppie cominciano da zero a vent'anni, e allora a vent'anni uno è forte e giovane, comincia a mettere i soldini da parte, noi abbiamo ricominciato da zero a 40 anni, e questo è un piccolo handicap, nel senso che abbiamo 20 anni di ritardo. Detto questo sta andando tutto bene, stiamo lavorando, abbiamo le nostre piccole soddisfazioni, abbiamo una casetta che ci piace, una bambina che cresce bene, la possibilità di avere ogni giorno vestiti puliti, di mangiare decentemente, quindi va tutto bene, aggiungi che, il lavoro non è la fonte primaria di felicità, di sicuro nel nostro caso non è fonte di infelicità, cioè felicità è stare fuori, avere quel minimo di tempo libero, comunque una libertà intellettuale per dedicarci alle cose che ci interessano. Questo non coincide al 100% con quello che ci viene richiesto nel contratto di lavoro, comunque il contratto di lavoro al quale noi adempiamo non è un qualcosa di frustrante, non è un qualcosa di castrante, il lavoro non è, come per altri la nostra prima ragione di vita, è comunque un ottimo complemento di vita, cosa che non ci priva dell'entusiasmo necessario, ci permette di vivere discretamente.


5) Hai scelto tu di uscire e lavorare, ti è stato proposto?

(Vedi risposta precedente).


6) Che cosa ti dà il lavoro che un altro tipo di esperienza non ti offrirebbe?

Non so. A dire il vero se io fossi ricco o fossi figlio di un padre ricco e potessi non lavorare e dedicarmi soltanto alla lettura di libri, la sera andare a teatro, a sentire concerti di musica classica, forse non lavorerei; insomma ci sono delle situazioni ipotetiche in cui rinuncerei a questo lavoro, se potessi non fare niente, se potessi vivere d'arte, se potessi vivere di viaggi, fare un puro lavoro intellettuale sarei più soddisfatto, ma siccome questa è una cosa ipotetica, che non mi tocca, va tutto bene così.


7) Vivi il lavoro secondo le categorie: economico, funzionali, di realizzazione, di creazione come ipoteticamente lo vive un altro tipo di lavoratore?

Forse si, forse no; a differenza degli altri, ma questa è una differenza mia di carattere, non ho ambizioni particolari, nel senso che ho fatto un'altra vita, ci sono delle cose che sono successe nella mia vita prima di venire a lavorare qui, diciamo che io accetto che nella mia vita attuale ci siano una serie di handicap, una serie di ritardi funzionali, quindi è chiaro che io a 45 anni, ho un lavoro che mi piace, vengo trattato bene, ma chi ha iniziato il mio lavoro a vent'anni è molto più bravo di me, ha molta più esperienza, e quindi se dovessi paragonarmi agli altri sono per forza di cose in forte ritardo. Potrei colmare il ritardo sgomitando, ma non è il mio carattere, non me lo ispira il tipo di ufficio dove lavoro, mi piace stare in buoni rapporti con tutti, non mi piace essere in concorrenza con questa gente alla quale voglio sostanzialmente bene. Io vivo come gli altri, con un po' di fatalismo in più rispetto agli altri, con la consapevolezza che va tutto bene così, che non importa se c'è qualcuno che fa carriera un po' più rapidamente, c'è qualcuno che la fa meno rapidamente. Come dicevo prima non è la prima molla, non è la prima cosa a cui penso la mattina quando mi sveglio, o alla sera quando vado a dormire, il lavoro è qualcosa di necessario e ringrazio il cielo che questa cosa che devo fare per forza sia tutto sommato gradevole.


8) Che mansioni hai all'interno di 'Nessuno Tocchi Caino' (N.T.C.)?

Io ho due mansioni. N.T.C. è un'Associazione federata al Partito Radicale, parte della cosa mi è commissionata dal partito Radicale e un'altra parte dall'Associazione Nessuno Tocchi Caino. Per il Partito Radicale io curo un progetto di mettere in elettronico l'archivio. Il Partito Radicale ha un archivio di tutte le cose che ha iniziato a fare dagli anni sessanta in poi. Come tutti gli archivi è fatto di carta, di carta impolverata. Da un anno e mezzo stiamo lavorando al progetto di mettere in ordine questo archivio piuttosto voluminoso e soprattutto spostarlo su supporto elettronico, questa è parte della mia attività. L'attività mia primaria è collaborare alla banca dati di Nessuno Tocchi Caino. Mi spiego. Nessuno Tocchi Caino è un'associazione contro la pena di morte e in generale per i diritti umani. È un'associazione atipica, è un'associazione piccola, che non organizza normalmente manifestazioni in piazza o comunque cose grandi; ha come statuto principale quella di fornire informazioni a politici o ad altre personalità che, per motivi di lavoro, di viaggio, per motivi di stato, per motivi di responsabilità pubbliche sono in grado di fare pressione su personalità all'estero che possono fare pressione in qualche modo sui governi dove viene ancora applicata la pena di morte. Mi spiego. La cosa principale che fa N.T.C. è far pressione sui nostri parlamentari perché, quando vanno all'estero in missione presso altri parlamenti, spendano qualche minuto del proprio tempo per far pressione sui loro colleghi a favore dei diritti umani e contro la pena di morte. Quindi quando un parlamentare parte per un viaggio in Cina, per un viaggio in Russia, per un viaggio negli Stati Uniti, per un viaggio ovunque, è nostro compito prima di tutto chiedergli di dedicarsi a questo. Una volta ricevuta la disponibilità dobbiamo fornirgli una scheda aggiornata su qual è la situazione in quel paese che sta andando, quali sono state le recenti modifiche di legge, quali sono le condizioni dei vari partiti, quali sono i politici principali all'interno di quel paese, che posizioni hanno, quali sono i deputati, i ministri, gli intellettuali che all'interno di quel paese si stanno interessando di pena di morte. Quindi noi compiliamo dei piccoli dossier, che siano di facile utilizzo e cerchiamo di fare pressione sui nostri politici perché a loro volta facciano pressione sugli altri. Abbiamo un'altra mansione, che è molto simile, e cioè preparare questi dossier e preparare un'opera di pressione all'interno della Comunità Europea e all'interno dell'ONU perché periodicamente i temi dei diritti umani e della pena di morte vanno in votazione sia in Comunità Europea, sia all'ONU; anche lì è nostro incarico diffondere alcuni dati, diffondere alcuni trend, diffondere alcuni dossier, cercare qualche sponsor, qualcuno che ci aiuti a far circolare le nostre idee. Quindi a differenza di altre grandi associazioni come Amnesty, come Sant'Egidio, che spesso organizzano fiaccolate, raccolte di firme e cose strane, noi in realtà facciamo un lavoro più riservato, molto più coperto. Da un anno questo lavoro lo stiamo facendo anche con una grande banca dati su internet; praticamente la nostra banca dati, tutte le notizie che noi raccogliamo che fino all'anno scorso erano raccolte in un libro, pubblicato una volta l'anno in inglese e in italiano, che comunque erano ottenibili contattando la nostra associazione, da un anno sono disponibili su un sito internet che è in quattro lingue. Quindi chiunque ha bisogno di avere dati aggiornati su qualsiasi paese del mondo o in generale sui diritti umani, ma per il 95% del nostro lavoro è dedicato alla pena di morte, apre i siti di N.T.C. e di Hands off Cain, e lì può trovare nella versione francese, inglese, spagnola o italiana e trovare le informazioni relative di N.T.C. All'interno di questo grande progetto io ho l'incarico di seguire la situazione degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti sono l'unico paese a democrazia avanzata che ancora applica la pena di morte. Questo crea una situazione particolare. È uno stato che sostanzialmente è responsabile dell'1% delle esecuzioni che avvengono nel mondo, ma è lo stato che pubblica il 95% del materiale che è disponibile sulla pena di morte. Perché negli Stati Uniti i giornali ne parlano, perché negli Stati Uniti ci sono molti abolizionisti, perché lì c'è libera discussione su questo argomento, perché negli Stati Uniti il condannato a morte può avere un proprio sito internet, può rilasciare interviste quando vuole, può scrivere libri. Leggevo giusto oggi che c'è un condannato a morte che è stato candidato per due volte al nobel per la letteratura e che, dopo essere stato un capobanda delle gangs giovanili, ha scritto diversi libri per l'infanzia, invitando i ragazzi a prendere le distanze da certi modelli di vita, dalla droga e altro. Diciamo che gli Stati Uniti uccidono poco, ma parlano molto della pena di morte, quindi io ritrovo in media un centinaio di pagine al giorno che scarico di solito da internet, da una serie di rassegna stampa che noi facciamo, da alcune facoltà delle principali università americane, quindi io devo prendere un centinaio di pagine al giorno, esaminarle rapidamente e di queste cento pagine scartare le parti troppo tecniche o comunque di non diretto interesse e fare un riassunto della parte rimanente, tradurla in modo che vada sul nostro sito, sia nella parte in italiano, sia nella parte in inglese.

È un lavoro che mi piace sostanzialmente, perché sono una persona che ha vissuto per oltre un anno negli Stati Uniti, che ha un'ottima opinione degli Stati Uniti, che ha nostalgia degli Stati Uniti, e che soprattutto sono incaricato ormai da tre anni di seguire una situazione che è in continua evoluzione. La situazione degli Stati Uniti è interessante, è molto progredita per certi versi, ha delle nicchie di barbarie, delle cose inspiegabili, porta con sé spunti per moltissime riflessioni, per capire anche meglio il sistema italiano. È un paese portatore di una contraddizione di fondo: negli Stati Uniti la polizia funziona molto meglio della nostra, lì la magistratura funziona molto meglio della nostra, negli Stati Uniti il carcere è molto duro, però il tasso di criminalità è molto più alto. Quindi è evidente che in uno Stato non basta avere un'ottima polizia, non basta avere una buona magistratura che di solito in media ad un anno dal reato è già arrivata alla condanna di primo grado, non basta avere cerceri dure perché, date queste condizioni apparentemente importantissime, il tasso di criminalità non diminuisce. Non serve la pena dura, non serve la polizia efficiente, non serve la magistratura. Questo è un argomento di continua riflessione per me e in più in generale per chi si avvicina a questi argomenti e quindi è molto interessante per me, al di là diciamo del lavoro d'ufficio che faccio ogni giorno e che è un lavoro quasi invisibile, poi in realtà le banche dati sui diritti umani sono importantissime per noi che le facciamo, ma hanno in realtà poca importanza all'esterno, sono poche migliaia nel mondo che si occupano di queste cose. Quindi non è tra virgolette un lavoro importante; è un lavoro che mi piace fare, in cui crediamo, ma che in realtà non ha niente a che fare con un lavoro di successo, che dà visibilita. Però mi dà molti dati che poi io posso fare circolare su iniziativa personale tra giornalisti, tra politici, tra persone interessate, dare molti spunti di riflessione che poi si riverberano e ritrovo spesso citati in articoli di amici; perciò è importante che io abbia incamerato negli anni molti dati, che abbia un lavoro elastico, duttile che permette di fare circolare questi dati, di darli gratuitamente a chiunque voglia riflettere su questo argomento, a chiunque sia interessato a dei paralleli tra sistema giudiziario italiano e sistema giudiziario americano.


9) Svolgi questo lavoro per particolari capacità intellettuali e/o tecniche che possiedi o per adesione ai principi ispiratori dell'associazione?

Vogliamo dire tutte e due? Diciamo che io sono piuttosto bravo nel lavoro: ho dimestichezza con l'inglese, ho dimestichezza con il computer e con internet e credo di aver compreso lo stile dell'associazione. Vedo che altre persone che vengono a lavorare con noi hanno la tendenza a schierarsi politicamente, la maggior parte della gente giovane che viene non vede l'ora di dire qualcosa contro l'America, diciamo che c'è questa grande tendenza a dare opinioni quasi sempre superficiali. Io credo di essere abbastanza "saggio" e abbastanza navigato da poter fare un riassunto della situazione americana, che non tenga conto di mie particolari simpatie o antipatie, ma di riuscire davvero a individuare nella massa enorme di notizie quelle veramente importanti, quelle dalle quali si nota un certo mutamento, sia nelle strutture giuridiche vere e proprie, sia nel lavoro dei politici, sia dei mass media. Quindi credo di essere abbastanza bravo, bravo per quello che riguarda il lavoro di inglese, . e poi ho una dote che va fatta risalire alle maestre delle elementari: io sono bravo a fare i riassunti e altri decisamente no. Sembra una cosa semplice e banale, ma se dai una pagina a una persona e le dici di ridurla in cinque righe, di solito questa persona non ci riesce. È una cosa che io trovo facile, ma mi accorgo, quando vedo il lavoro di altri, quando devo correggere il lavoro di altri, quando per motivi di malattia devo subentrare, che la maggior parte della gente, che magari ha titoli di studio rinomatissimi non è in grado di fare un riassunto che sia semplice e leggibile; quindi io ho questa dote mia, personale, facile, che risale alle elementari, per me risulta semplice e mi è utile.


10) Secondo te come viene vissuta dai "compagni" la tua presenza all'associazione?

Io lavoro al Partito Radicale, partito che per tradizione ha sempre avuto a che fare con i carcerati; ha aiutato Tortora quando c'era il caso Tortora, ha aiutato Toni Negri, il segretario della mia associazione N.T.C. è stato in carcere anche lui, lui era un terrorista rosso, le persone che fanno le pulizie vengono dal carcere; è un partito molto alla mano da questo punto di vista, l'associazione è vicina a Sofri, vicina a tanta altra gente, ci occupiamo anche di carcere in Italia, raccogliamo le segnalazioni, quindi questo è un posto di lavoro dove nessuno ti guarda storto, dove nessuno ti fa pesare da dove vieni, quindi è vissuta con estrema normalità.


11) Ti senti alla pari con i compagni?

Decisamente si per i motivi di cui sopra, sono tra gente particolarmente civile.


12) Se ipoteticamente chiudesse l'ufficio di Nessuno Tocchi Caino cosa cambierebbe nella tua vita?

Ma.non lo so. Credo che potrei fare un lavoro simile per altri, per i privati insomma, quello che ho imparato a fare è abbastanza richiesto, fare delle richieste su internet e poi riassumerle e produrle. In realtà quello che è veramente utile e che faccio come terzo, quarto, quinto lavoro è utilizzare le informazioni che prendo da N.T.C. e farle circolare sulla stampa, scrivendo articoli, collaborando con varie testate di giornale, insieme a Francesca, e quindi credo che se perdessi una parte del mio stipendio con una eventuale chiusura di "Caino", avrei più tempo per lavorare per le altre cose e quindi le cose si bilancerebbero.


13) Se non fosse più possibile il lavoro per i carcerati, cosa succederebbe secondo te?

Non lo so. Come ti dicevo il lavoro per i carcerati è un lavoro di bassa qualità, serve più per far distrarre la gente, tenere buona la gente all'interno del carcere più che ad altro. Serve ad avere una manodopera a basso costo, lavori qualificati ce ne sono pochissimi, per cui se all'interno del carcere si smettesse di lavorare avremo soltanto una grande situazione di noia in più e di depressione in più. Quando si parla di carcere e di lavoro in carcere si omette sempre un aspetto importante e che in Italia è particolarmente grave e che non a caso non ha simili esempi nei paesi più civili d'Europa o negli Stati Uniti. Mi spiego. Se un capofamiglia finisce in carcere perché ruba, perché spaccia c'è da un lato la necessità di punire la persona che finisce in carcere perché ha sbagliato, dall'altro lato rimane completamente abbandonata a se stessa la famiglia, moglie ed eventuali figli. In Italia non è prevista, e anche nei pochi casi in cui è prevista, ed è del tutto inefficiente, non è prevista la collaborazione dei servizi sociali, ovvero la famiglia rimane abbandonata: non esistono sussidi specifici, non esistono pensioni, non aiuti particolari; esiste solo la speranza che il detenuto possa lavorare, ma come dicevo prima lo stipendio è sulle quattrocento mila lire al mese, quindi del tutto insufficienti per aiutare una famiglia in difficoltà. Quindi il criminale che finisce in carcere o ha messo da parte dei soldi, o appartiene a delle cosche che sono in grado di fornire un minimo di sopravvivenza alla famiglia o la famiglia si spacca, si deteriora assolutamente perché chi rimane fuori non ha i mezzi per sopravvivere. La gestione del lavoro all'interno del carcere in Italia viene vista come argomento di premio o di non premio nei confronti del criminale. Questa è una politica del tutto miope che non esiste nei paesi più civilizzati. Chi volesse occuparsi dell'argomento deve ricordare che la persona che è in carcere e che lavora, dovrebbe essere messa in condizione di contribuire, seppure faticando e sudando, alla sopravvivenza della sua famiglia fuori, affinché i figli abbiano una vita dignitosa, perché la moglie abbia una vita dignitosa senza essere costretta a rivolgersi ai compagni di banda del marito o a essere costretta a cercare chi sa quale soluzione. Quindi dovrebbe essere come succede in altri paesi dove è quasi obbligatorio lavorare e quasi obbligatorio versare quasi tutto il provento perché la famiglia possa continuare a vivere e non si incanalino anche i figli e la moglie sulla strada della delinquenza. Questo è un obbligo che esiste in altri paesi che da noi non esiste. Esiste una certa forma mentale; in questi ultimi anni ci sono delle proposte demagogiche di evolvere il ricavato del lavoro per le vittime o per altre cose e come al solito si dimentica che accanto un persona che delinque ci sono dei figli, dei parenti che in Italia vengono completamente abbandonati. Questo è un problema veramente grave. Cosa succederebbe se quel poco che oggi un detenuto può fare per aiutare la propria famiglia venisse meno. Non sono in grado di immaginare. Se poi ci riferiamo al fatto che esiste questa valvola di sfogo ossia la possibilità per qualsiasi criminale, ameno che non abbia il famoso 41 bis, a meno che non sia un mafioso o non abbia problemi particolarmente gravi, si può dire che esiste questa valvola di sfogo verso cui quasi qualsiasi criminale può sperare un giorno di uscire a condizione di avere un lavoro, certo se si togliesse al detenuto questa speranza, certo succederebbe un casino. È da quando esiste la legge Gozzini, è da quando a ognuno di noi è data la speranza di uscire dal carcere sono smesse le violenze, sono smessi gli omicidi in carcere, sono smessi i ferimenti, la vita all'interno delle carceri ha guadagnato in dignità, la delinquenza è molto diminuita, perché tutti vogliono uscire, perché chiunque desidera cavarsela. Quindi oggi esiste questa valvola di sfogo che permette a un numero molto basso di detenuti di uscire per motivi di lavoro; basta vedere le statistiche. Qui a Roma siamo circa 120 ad avere accesso al lavoro esterno su una popolazione di circa 5.000 detenuti, è un numero molto basso, inferiore all1%, ma il fatto che tra noi si sappia che almeno uno su cento se la può cavare è un incentivo fortissimo. Nel momento che una legge è restrittiva, nel momento che una legge è d'emergenza e dovesse cancellare questa speranza di uscire, non lo so cosa succederebbe, credo che sarebbe una cosa molto grave, non riesco ora a considerarne le relative conseguenze. Potrebbe prospettarsi anche un sistema come quello americano in cui i penitenziari che non prevedono la scarcerazione per nessun motivo, sono circuiti molto violenti, molto costosi, dove tenere un detenuto costa molto denaro perché è gente che non ha niente da perdere e non ha nessun problema a usare la violenza e la prevaricazione, comunque è un sistema che in America non funziona. Costa molto e non funziona. Quindi spero che nessuno abbia l'idea, al di là di qualche retorica pre-elettorale di instaurare una cosa del genere. Usare la sola arma della repressione contro le persone in cattività non è mai stata una buona strategia, spero che non lo facciano.


14) Cosa vorresti che ti avessi chiesto, o meglio cosa desideri che venga inserito (oltre a quanto detto fino a qua) nella mia tesi di laurea EDUCAZIONE DEGLI ADULTI E LAVORO IN CARCERE. Riflessioni teoriche e progettualità pedagogiche?

Ma.Progettualità pedagogiche è un argomento interessante. Facciamo un paio di riflessioni di fondo che io poi lascerò incomplete perché poi ognuno deve giostrarsele come vuole. Così come è organizzata oggi la detenzione, così come sono organizzati i carceri, la direzione e, attraverso la direzione, lo Stato non fa niente per trovare un lavoro ai carcerati. Questo deriva da un eccesso di garanzie se vogliamo. Qualsiasi forma di obbligo per i carcerati a lavorare verrebbe vissuta da una certa cultura ipergarantista come una coazione, come un qualcosa che assomiglia ai lavori forzati, quindi si è avuto un risultato paradossale e opposto. Oggi lo Stato non fa niente per aiutare i carcerati a trovare un buon lavoro, a qualificarsi. Io ho imparato il mio lavoro tutto a spese mie, nel senso che girando per i regolamenti ho impiegato tre anni per costringere la direzione a non boicottare l'acquisto di un computer. Ho dovuto fare molte istanze e ho dovuto alla fine ottenere la vittoria sul principio che da nessuna parte era vietato l'acquisto di un computer, non lo permettevano, ma neanche lo vietavano. Alla fine dopo tre anni di lotte sono riuscito ad ottenere un computer e attraverso questo computer e attraverso una serie infinita di altre lotte sono riuscito a imparare ad usarlo, insomma sono abbastanza bravo e questo mi ha permesso oggi di lavorare in un posto dove vengo stimato per ciò che ho imparato a fare. Tutto questo l'ho fatto sempre a spese mie, anticipando sempre i soldi, lottando con i regolamenti, con le istanze, scrivendo al ministero, ai direttori, ai magistrati. Questa è la situazione dello Stato italiano. Uno deve essere fortunato ed avere risorse personali, intellettuali, economiche e di carattere e ottenere dallo Stato di non venire boicottato. Scordiamoci che lo abbia mai aiutato qualcuno a trovare un lavoro decente. Lo Stato da questo punto di vista delega tutto al volontariato, poi se un detenuto vuole trovare lavoro non deve rivolgersi a nessun rappresentante dello Stato, al Direttore del carcere, non agli educatori del carcere, non agli psicologi, deve rivolgersi al volontariato. Esistono molte associazioni di volontariato che si occupano di carcere. A volte queste associazioni riescono a trovare dei piccoli posti di lavoro, per incarichi anche marginali, minimi, anche a tempo e comunque è l'unica cosa che il detenuto può fare, rivolgersi al volontariato o a degli amici personali che possono trovarti un lavoro. Detto questo, a tutto questo tipo di iter che uno deve fare ha valenze pedagogiche? Secondo me ha pessime valenze pedagogiche perché è di nuovo la legge del più forte, chi ha più cervello e amicizie se la cava, gli altri non se la cavano. C'è da dire un'altra cosa, fare un'altra premessa. Non si può pretendere, come a volte fanno gli ipergarantisti, che lo Stato si occupi più del criminale che non della persona perbene; voglio dire: non è verosimile che vengano creati dal nulla dei buoni posti di lavoro da dedicare esclusivamente ai criminali, quando questi posti di lavoro non vengono creati per le persone perbene. Non si può pretendere che lo Stato fornisca un servizio psicologico perfetto al criminale quando questo servizio non viene fornito a tante persone che hanno problemi psicologici pur non avendo mai fatto reati. Non si può pretendere che esista un servizio sociale perfettamente efficiente, che si prenda cura con efficienza e con larghezza di mezzi delle famiglie dei criminali, quando questo servizio sociale, notoriamente non riesce a fare quasi niente anche per le persone che non commettono reati. Quindi è vero che c'è una lunga lista di lamentele che uno potrebbe mettere in fila per tutto quello che il carcere non fa, di tutte le sue pigrizie, di tutte le sue stoltezze, delle sue stupidità e di tutte le sue resistenze; però in Italia di questo tipo di cose inefficienti non riguardano solo il pianeta carcere, quindi non è giusto lamentarsi per l'inefficienza del carcere nel momento in cui è inefficiente l'intero sistema. Non è giusto lamentarsi perché non esistono posti di lavoro per i carcerati. Detto questo, la valenza pedagogica c'è solo per chi la vuole capire, nel senso che il messaggio è chiaro: noi non siamo in grado di aiutarti più di tanto, aiutati che Dio ti aiuta, dopodiché se non vuoi tornare in carcere è meglio che ti rimbocchi le maniche, che fai i salti mortali, che campi con uno stipendio da fame, se serve, che non fai tanti problemi. La valenza pedagogica è quasi nulla, nel senso che non aiuterà mai le persone deboli, le persone incerte. La valenza pedagogica esiste solo per le persone che già escono dal carcere forti, in qualche modo solide, o comunque che in qualche modo sono supportate da una famiglia o amici forti e solidi. Per loro il messaggio è chiaro e forte: uscire dal carcere è difficile, ma ce la potete fare e ce la dovete fare. Questo è un messaggio molto duro, molto elementare e che però è inevitabile, il messaggio c'è, è chiaro e leggibile e permette a chi può permetterselo e che ha le risorse per farlo di sopravvivere. Per gli altri c'è un messaggio pedagogico inconsistente: esci dal carcere, se hai qualcuno che ti raccomanda, se hai qualcuno che ti sfrutta, perché la maggior parte della gente esce dal carcere facendosi sfruttare da datori di lavoro che magari ti pagano 500/600.000 lire al mese sapendo che tu hai un bisogno disperato di quel posto di lavoro; oppure si esce dal carcere entrando a far parte di quella grande macchina mangiasoldi e burocratica che in pratica è il terzo settore. Molte di queste associazioni di volontariato riescono ad ottenere centinaia di milioni, se non miliardi per progetti di assistenza ai carcerati ed è un grande sperpero, perché poi in realtà sono progetti dispendiosi e di pochissima utilità. La persona che è costretta a entrare in questo meccanismo, si accorge subito che è un meccanismo di parassitismo, è un meccanismo dove magari in cambio di un miliardo o due di fondi si trova lavoro per due, tre, quattro persone. La persona diviene consapevole di entrare in un percorso mafioso che è diverso dalla mafiosità siciliana, ma che è comunque mafioso. Per cui l'associazione che ha padrini politici, che ha la possibilità di accedere ai mass media, che ha la possibilità di avere copertura a ogni livello e ottenere ingenti finanziamenti per piccole cose. Il detenuto sa, deve stare zitto, per lui è importante uscire, è consapevole di essere sfruttato, è consapevole di essere utilizzato da queste associazioni, a volte semplicemente composte da persone ingenue, a volte composte da veri e propri professionisti del buonismo che in cambio di stipendi che si decidono da soli, che sono stipendi anche sostanziosi, aiutano il detenuto a venire fuori. L'attività pedagogica nella maggior parte dei casi è nulla. Torna per il detenuto il messaggio che il più forte se la cava, e chi non è forte non se la cava. Si tratta di sostituire il boss di quartiere con il politico di riferimento, l'associazione di riferimento o con il direttore del carcere. Il messaggio per il detenuto è sempre quello: sottometterti a qualcuno, devi avere un protettore, se hai un bravo protettore, se sai renderti utile, se sai ricambiare con la tua fedeltà e con i tuoi servigi, tu avrai un lavoro decente. Questo è il messaggio che sostanzialmente anima questo tipo di struttura. Quindi direi che l'utilità pedagogica è nulla. È anche vero che è pure sterile, come faccio io adesso, elencare solo i lati negativi. Vogliamo dire che c'è una sinistra che per vent'anni, trent'anni ha speculato sul carcere, creando associazioni specializzate in queste piccole cose, prese una per una sono tutte associazioni all'apparenza truffaldine, però almeno qualche piccola cosa loro, la Caritas e le associazioni locali fanno. Sono piccole cose su cui a volte vengono spesi miliardi e quindi uno vorrebbe dire che prese singolarmente sono attività parassitarie, attività di nessuna utilità, attività che non risolvono in blocco il problema dell'utilità della struttura carceraria come è concepita in Italia. Dall'altro lato il centro-destra, o comunque il nuovo governo, non ha proposte alternative. La proposta del centro-destra, a volte è semplicemente repressiva, togliere tutto, chiudere tutto, aumentare i cancelli, mettere i lavori forzati, espellere la gente, certezza della pena, 41 bis, carcere lungo per tutti e quindi da un lato abbiamo un buonismo di sinistra che è parassitario, porta pochissimi risultati ed è velleitario e comunque crea più un'industria utile a vivere alle spalle dei carcerati che non a portare delle risoluzioni. Dall'altro lato c'è un centro-destra che non fa neanche questo, che non risolve neanche quel centinaio di casi che risolvono le associazioni di sinistra, semina nel paese un messaggio negativo che è quello di chiusura, che è quello di separazione tra la persona che sbaglia e quella che non sbaglia. Quindi da un lato abbiamo una sinistra inefficiente, dall'altro abbiamo una destra sorda a qualsiasi istanza di rieducazione e di reinserimento e tra le due cose uno è costretto a dire che la sinistra fa meno danni, fa delle cose spesso inutili, molto costose, ma almeno non dà un messaggio di piena chiusura nei confronti del pianeta carcere. Io dico: di solito quando si affronta questo argomento che la colpa di tutto non è tanto dei politici che in Italia sono una categoria a parte; il politico in Italia di solito segue l'opinione pubblica, non ha mai coraggio di andare contro corrente e formare un'opinione pubblica avanzata o progredita. La colpa di tutto questo è secondo me degli intellettuali e nei giornalisti che non riescono a fare un buon lavoro di informazione, che non riescono a spiegare alla popolazione che il carcere fa parte della città. Io ho insistito più volte con i direttori di giornali di grandi città, chiedendo quando potevano parlare di questi argomenti, dedicare per esempio una rubrica settimanale per esempio al carcere della loro città perché il cittadino sappia per esempio che a Roma ci sono 5.000 romani chiusi in carcere. Questi fanno parte della città, un giorno usciranno, hanno altrettante famiglie, hanno altrettante mogli, altrettanti figli, fanno parte della città. Sbaglia l'intellettuale, sbaglia il giornalista che non affronta l'argomento in maniera organica, che si limita a parlare dei criminali nel momento in cui commettono il reato, nel momento in cui c'è il grande fatto di sangue, nel momento in cui c'è la grande emergenza, il grande attentato, o l'uxoricidio. È una colpa profonda secondo me di una classe intellettuale, di una classe anche intellettuale, quella che lavora nei mass media, che non fa un lavoro di ricucitura tra le varie fasce della popolazione e che trascura il pianeta carcere in qualche modo, ne parlano o con enfasi eccessivamente buonista quando c'è da fare propaganda pre-elettorale, c'è il Papa: diamo l'amnistia, dopo sei mesi niente amnistia, c'è l'emergenza. Manca un lavoro profondo da parte degli intellettuali, manca una riflessione profonda da parte degli intellettuali, manca, visto che stiamo parlando di una tesi universitaria, anche un lavoro di riqualificazione, di restituzione di dignità al carcere, per cui il magistrato di sorveglianza oggi viene visto come un magistrato di serie B, l'incarico di rieducazione viene visto come un incarico di serie B, chi vuole fare il magistrato si specializza nelle indagini clamorose, chi vuole fare l'avvocato vuole difendere solo il grande criminale e anche da parte della scuola e dell'università in particolare c'è una mancanza di una cultura specifica che riguarda tutti gli argomenti della detenzione, che sia trovare questo giusto equilibrio tra l'esigenza della società di essere protetta da chi commette reati e l'esigenza anche della società di non creare dei mostri, garantire che chi esce dal carcere non sia più cattivo di quando è entrato, non sia più deluso di quando c'è entrato e soprattutto non subisca dalla struttura carceraria quella convinzione che invece è quella che ha oggi e cioè che la vita è tutta mafia: c'è la mafia in divisa, c'è la mafia in borghese, c'è la mafia dei politici, c'è la mafia della Sicilia. Oggi è l'opinione che abbiamo tutti e da questo punto di vista c'è un grave ritardo da parte della scuola e da parte degli intellettuali. Oggi il carcere, e la struttura carceraria com'è gestita, non ha quello scatto di autorità morale in più che permetta di dire al cittadino che ha sbagliato "mi riconosco" nella parte in cui ha sbagliato perché "vedo come controparte qualcuno più onesto di me, o più impegnato di me perché impegnato per il progresso sociale del paese". Oggi chi capita in carcere vede persone estremamente pigre, estremamente demotivate, estremamente di basso livello e quindi non c'è in lui questo scatto, questo senso di colpa, questa consapevolezza di essere lui la zavorra della società, di essere lui dalla parte del torto, di essere lui in dovere di emendarsi e di migliorare. Ha spesso di fronte a sé persone che lavorano poco e male e che sono tendenzialmente disoneste quanto e come lui e questa è una grande colpa dei nostri intellettuali, non vigilano su questo e lasciano che il carcere sia un pianeta oscuro, poco trasparente, salvo dedicarci una volta ogni tanto, ma con esiti di solito molto deludenti, molto utopistici, molto retorici; si fanno film, si fa teatro, si fa poesia sul carcere, ma poi la realtà vera è un'altra insomma. Il carcere è un posto brutto, dove si va di solito per motivi brutti e dove comunque il lato e il carattere oscuro della persona vanno affrontati da gente consapevole e competente, non da gente che è lì soltanto per ritirare lo stipendio a fine mese e che non ha capacità, né valori specifici.



2. Intervista a Francesca Mambro


1) Che cosa significa per te il lavoro in senso generale?

Credo che. mi piace lavorare, è una cosa che mi piace, soprattutto se riesco a dare dei risultati, dove le cose che faccio hanno un senso e portano dei risultati che convincono me e chi lavora con me. È un momento importante della giornata, però non è fondamentale, non è al centro della mia giornata. Al centro della mia giornata sono gli affetti, la figlia, il lavoro è secondario.


2) Cos'è il lavoro per un detenuto?

Per un detenuto invece credo che sia un momento molto importante della giornata, considerando le condizioni di isolamento che si vive all'interno del carcere nell'arco della giornata, quindi lavorare, per un detenuto, significa avere contatti con gli altri, poter dimostrare di non essere soltanto un numero, un nome. E poi, dal punto di vista per esempio della famiglia, anche di guadagnare poco, ma quel poco da non pesare sulla famiglia, sull'economia della famiglia; soprattutto per l'uomo, per le persone adulte, avere i soldi per le sigarette, i francobolli, poter essere, almeno per le piccole cose, indipendente; purtroppo da questo punto di vista, sembra assurdo, ma è un traguardo perché poi vediamo che per esempio il lavoro in carcere non è che sia retribuito chissà con quali compensi, le cosiddette mercedi sono .somme esigue; quindi è difficile, è difficile non avere un lavoro ed è difficile ottenerlo e quando lo si ottiene è difficile anche mantenerlo, insomma non è semplice. Per me per esempio è stato importante perché finché sono stata in una condizione di detenzione speciale il lavoro era un beneficio per pochi e quando sono entrata in un circuito normale dopo tanti anni, invece sono riuscita ad ottenere un lavoro che era un lavoro, non veniva pagato molto, però mi occupavo di un aspetto interessante del detenuto che erano appunto le tabelle "vittuarie" : quindi avevo a che fare con la ragioneria, la cucina del carcere, la commissione vitto e questo era quindi un lavoro che poteva anche gratificarmi perché potevo aiutare le persone che non potevano accedere a diritti particolari perché magari c'era una deficienza nella burocrazia, quindi riuscire a risolvere i piccoli problemi per me era importante, dare un aiuto alle mie compagne e in qualche modo rendevo utile il lavoro che facevo a quelli dell'amministrazione.


3) Com'è la vita di un detenuto senza la possibilità di lavorare?

La vita di un detenuto senza la possibilità di lavoro in carcere è difficile, a meno che non sia un detenuto che abbia una famiglia benestante che può lasciarti i soldi alla porta ogni mese, quindi chi non lavora vede i giorni passare, a volte con una certa angoscia, proprio per il discorso di responsabilità per il resto della famiglia che è fuori, magari della moglie che viene a fare il colloquio, oppure dei figli a quali il padre e la madre dovrebbero regalare qualcosa a Natale e a Pasqua. I figli vengono a colloquio e potrebbero portare qualcosa, un pensiero, un regalo, un libro, dei dolci: se hai dei soldi puoi farlo, altrimenti sei escluso. Per me il lavoro, come dicevo prima, è importante, ma non è fondamentale. Faccio delle cose che mi piacciono, a volte sono anche gratificata da questo e sono soddisfatta. A volte mi scontro con delle realtà che non sono piacevoli, ma fa parte anche questo della vita di ogni giorno e anche degli incidenti che ci sono sul lavoro.


4) Che cosa significa per te, per la tua vita il lavoro?

(Vedi sopra).


5) Hai scelto tu di uscire e lavorare, ti è stato proposto?

Io non ho scelto di uscire e lavorare, nel senso che non c'è possibilità di scelta di uscire per lavorare in carcere. Viene proposto da qualcuno, può essere proposto per esempio dalla famiglia, laddove la famiglia ha la possibilità di offrirti un lavoro, oppure da un'associazione laddove ci sono delle associazioni che entrano in carcere. Comunque tutto è relegato al mondo esterno, l'istituzione non interviene nella ricerca di un lavoro finalizzato all'uscita dal carcere. In certi istituti ci sono state delle convenzioni tra imprese e istituzione penitenziarie, ma sono casi rarissimi e appunto riguardano una percentuale talmente bassa che non può essere presa ad esempio, neanche ad esempio statistico.


6) Che cosa ti dà il lavoro che un altro tipo di esperienza non ti offrirebbe?

Non saprei perché..Diciamo che prima di lavorare ho fatto tanto volontariato, quindi forse ho dato da questo punto di vista, non ero retribuita, però facevo delle cose che mi mettevano a conoscenza, mi consentivano la conoscenza di mondi i più svariati.questa domanda. non saprei.


7) Vivi il lavoro secondo le categorie: economico, funzionali, di realizzazione, di creazione come ipoteticamente lo vive un altro tipo di lavoratore?

Il lavoro è funzionale a una serie di cose, soprattutto per l'aspetto economico in questo momento. A me per esempio piacerebbe avere più tempo per leggere, per scrivere, per dedicarmi alla famiglia; quindi diciamo che lo vivo secondo la categoria economica e funzionale all'economia familiare.


8) Che "mansioni" hai all'interno di Nessuno Tocchi Caino?

All'interno di Nessuno Tocchi Caino mi occupo in particolare dell'aspetto culturale, legato per esempio al rapporto con le associazioni e coloro che cercano patrocini, legati a rappresentazioni teatrali o a testi che trattano della pena di morte. Seguo spesso studenti che intendono fare delle tesi su questo argomento e poi diciamo che mi occupo di pubbliche relazioni con soggetti politici che hanno conoscenze più particolareggiate.


9) Svolgi questo tipo di lavoro per particolari capacità intellettuali e/o tecniche che possiedi o per adesione ai principi ispiratori dell'associazione?

Credo di svolgere questo lavoro perché ho una serie di conoscenze sull'argomento, in modo più ampio a livello culturale, e tecniche, ovviamente acquisite nel tempo e poi perché ho anche delle capacità probabilmente legate al mio carattere per cui mi piace stare a contatto con la gente e aiutarla laddove posso essere d'aiuto. Poi i principi ispiratori dell'associazione: ovviamente non potevo lavorare qui se non avessi avuto anche quelli.


10) Secondo te come viene vissuta dai "compagni" la tua presenza all'associazione?

Credo che i miei compagni abbiano vissuto la mia presenza all'interno dell'associazione come un momento di scoperta perché nell'immaginario collettivo, e quindi anche del resto nell'associazione, c'erano dei pregiudizi, dei preconcetti che nascono appunto dalla non conoscenza reciproca, nel momento in cui ti conosci, vivi con loro, lavori con loro, ecco che anche la presenza viene vissuta in modo completamente diverso di come era stata ipotizzata.


11) Ti senti alla pari con i "compagni"?

Credo che non ci siano differenze, comunque ci sono anche ruoli diversi quindi ognuno nel suo ambito ha le sue peculiarità, le sue competenze, quindi c'è chi è migliore nel suo campo e può dare consigli. Non mi sento sminuita dalla condizione carceraria. Ho vissuto in questa associazione per anni in articolo 21, rientrando la sera, semmai sentivo il disagio per chi doveva in qualche modo rendere conto della mia presenza in termini di essere riaccompagnata in carcere o per non far tardi insomma.


12) Se ipoteticamente chiudesse N.T.C. cosa cambierebbe nella tua vita?

Ma, credo che cambierebbe in termine di rapporti umani, sarei molto dispiaciuta di questo, ma . credo che cambierebbe poco perché comunque so fare una serie di cose che mi permetterebbero di continuare a lavorare; soprattutto io mi occupo dell'archivio del Partito Radicale, per cui è un lavoro talmente vasto che sarebbe difficile rimanere senza lavoro.


13) Se non fosse più possibile il lavoro per i carcerati cosa succederebbe secondo te?

Ma, per tanto tempo i carcerati sono stati senza lavoro, quindi non saprei dire, nel senso che a suo tempo in carcere non si lavorava, o lavoravano in pochissimi. Credo che sarebbe una regressione, una regressione che non farebbe bene né ai carcerati, né all'amministrazione carceraria.


14) Cosa vorresti che ti avessi chiesto, o meglio cosa desideri che venga inserito (oltre a quanto detto fino a qua) nella mia tesi di laurea EDUCAZIONE DEGLI ADULTI E LAVORO IN CARCERE. Riflessioni teoriche e progettualità pedagogiche?

Credo che l'aspetto più interessante sia l'aspetto pedagogico; io immagino ad esempio il carcere come un luogo dove non viene considerato soltanto il lavoro legato a delle prestazioni (in carcere c'è chi fa le pulizie, chi cucina, chi lavora in biblioteca), credo che dovrebbe essere considerato lavoro anche la scolarizzazione, nel senso: immaginare che chi è entrato per esempio con la licenza elementare o solo la licenza media o la maturità deve essere messo nelle condizioni di finire gli studi considerare questo come un lavoro. Un lavoro finalizzato proprio alla ricerca di un lavoro esterno e quindi finalizzato all'uscita dal carcere. C'è da dire che forse con tutto quello che sta venendo fuori rispetto, per esempio al terziario, forse il carcere potrebbe essere un laboratorio di idee da questo punto di vista. Però è un argomento che non posso trattare perché non ho la più pallida idea di come adesso il carcere si stia evolvendo da questo punto di vista; so che ci sono ad esempio dei corsi di informatica a dei livelli ancora bassi. E poi, considerando appunto che nel carcere c'è sempre più immigrazione, immaginavo per esempio la figura dei mediatori culturali che potrebbe essere interessante da sviluppare. Per il resto mi pare di aver detto tutto e provo a pensarci ancora e scrivo.



2.5. Intervista a Claudio Stella


1) Che cosa significa per te il lavoro in senso generale?

Essere una persona solida. Chi evita di impegnarsi a fondo o trascura le cose da fare, chi passa il tempo mangiando, dormendo, giocando, guardando la televisione, non sperimenterà mai la vera felicità, la soddisfazione o la gioia. Il lavoro è gioia e soddisfazione, qualunque esso sia. Importante è lo spirito con cui lo si esegue.


2) Cos'è il lavoro per un detenuto?

L'uscita dall'inedia. Il privilegio più ambito. Lo strumento principale per risocializzare. L'uscita dal "NON TEMPO". Una fonte di guadagno che spesso diventa una valvola di sfogo contro la violenza repressa.


3) Com'è la vita di un detenuto senza la possibilità di lavorare?

Il lavoro dà un barlume di gioia e allegria. Emerson scrisse: "Più gioia o allegria si spende, più ne rimane". Senza la gioia non esiste forza. In Carcere la gioia e l'allegria non esistono!


4) Se non fosse più possibile il lavoro per i carcerati cosa succederebbe secondo te?

Quel poco di violenza repressa grazie al lavoro, esploderebbe con tutta la forza che il Carcere sa produrre.


5) Cos'è il lavoro per un ex detenuto?

Spesso si esce dal Carcere come soggetti ancora più deboli di quando si è entrati per la scarsa abitudine ai ritmi di un lavoro vero, la salute rovinata dalla detenzione, l'età spesso non più adatta ad affrontare lavori che offre il mercato. Il lavoro per un ex detenuto diventa quindi "Pazienza" che è la chiave di tutte le vittorie. Coloro che non resistono, non possono sperare di vincere. La vittoria finale appartiene a chi sa aspettare rimettendosi totalmente in gioco, come fosse nato oggi e con pazienza rideterminare la propria esistenza.


6) Che cosa significa per te, per la tua vita, il lavoro?

Oggi ho 51 anni di cui 30 (fino al 1996) svolgendo la professione di Disc - Jockey e P.R.. posso dirti che cosa significa per la mia vita il lavoro oggi e non ieri: conquista. L'età non è una scusa per rinunciare. Chi si permette di diventare passivo e si tira indietro sarà sconfitto. Può esistere un'età per il pensionamento nel lavoro, ma non nella vita e per un ex detenuto il lavoro è vita. Una vita che si conquista quotidianamente senza cedimenti e con la consapevolezza che solo io posso determinare la vittoria o la sconfitta, gioie o dolori, stato d'animo alto o depressione totale.


7) Vivi il lavoro secondo le categorie: economico, funzionali, di realizzazione, di creazione come ipoteticamente lo vive un altro tipo di lavoratore?

Vivo il lavoro come descritto sopra.


8) Hai deciso di fondare l'associazione all'uscita dal carcere? Quali motivazioni ti hanno spinto ad affrontare tale scelta?

L'associazione "UTOPIE FATTIBILI" è nata in Carcere e non fuori. Riprendendo un'altra frase di Ralph Waldo Emerson[11] "La benevolenza abbonda, ma noi desideriamo la giustizia con un cuore di acciaio, per combattere gli orgogliosi'. Solo coloro che lottano con cuore di acciaio sono paladini della giustizia. Il mondo del volontariato penitenziario in genere, ma vicentino in particolare, fino al nostro arrivo era fondamentalmente clero - assistenziale e privo di competenze specifiche. Nella cella 12 della 3^ sezione Casa Circondariale di Vicenza, tre detenuti con profonda determinazione, decisero di capire cosa mancava ai detenuti e cominciarono a studiare il volontariato, i veri problemi dei futuri ex detenuti, i problemi del reinserimento socio - lavorativo - abitativo, dei familiari, delle vittime del reato, delle cause che portano l'80% delle persone dimesse dal Carcere a reiterare ecc. ecc. Claudio Stella determinò di "Trasformare il veleno in medicina" e studiare il Carcere per aiutare quel 75 % di sotto culturati, Extracomunitari, tossico - alcool dipendenti, emarginati, malati psichiatrici che affollano le Carceri Italiane. "Ogni detenuto recuperato è un pericolo in meno e una conquista per la società". La mancanza totale d'informazione e conoscenza della problematica Penitenziaria da parte delle Istituzioni e Società Civile - Imprenditoriale sono state la molla determinante alla nascita della nostra Associazione.


9) Quali sono i principi ispiratori dell'associazione Utopie Fattibili?

CASA - LAVORO - INFORMAZIONE - EDUCAZIONE ALLA LEGALITA' - RISPETTO DELLE REGOLE. Reinserimento!


10) Che cosa ti dà il lavoro che un altro tipo di esperienza non ti offrirebbe?

Fiducia. Non essere dipendente da nessuno. Ognuno di noi si deve rafforzare e sviluppare attraverso i propri sforzi. Non ci si deve arrendere di fronte a difficoltà o nemici. Non si deve aver paura. Questo è per me il vero significato della fiducia in se stessi.


11) Che "mansioni" hai all'interno di Utopie Fattibili? In che cosa consiste il tuo lavoro quotidiano?

Sono Presidente. Il lavoro svolto quotidianamente è: ricercare normative tutelanti la dignità del detenuto, reinserimento socio - lavorativo, contatti con le Associazioni in rete con noi, rapporti epistolari, ricerca posti di lavoro, alloggi, contatti con i familiari, sviluppo progetti finalizzati ai principi dell'Associazione, contatti con le istituzioni locali, provinciali, regionali, tenere conferenze, contatti con gli studenti e società Civile - Industriale, Enti Istituzionali ecc. per dare informazioni sulla nostra attività, programmare raccolta fondi, in quanto una Associazione come la nostra ha costi elevati per la mole di lavoro da svolgere, spostamenti e soprattutto "Telefono - Bolli - Cancelleria - Assicurazioni", ricostruire psicologicamente il dimesso dal Carcere con supporto di Personale specializzato. Molto altro...!


12) Se ipoteticamente chiudesse l'associazione Utopie Fattibili cosa cambierebbe nella tua vita?

"UTOPIE FATTIBILI" fino a che sono in vita non chiuderà mai!


13) Cosa vorresti che ti avessi chiesto, o meglio cosa desideri che venga inserito (oltre a quanto detto fino a qua) nella mia tesi di laurea EDUCAZIONE DEGLI ADULTI E LAVORO IN CARCERE. Riflessioni teoriche e progettualità pedagogiche?

Chi ha vissuto una grande esperienza (di sofferenza) DEVE VINCERE E DIVENTARE FELICE. Qual è la vera gioia nella vita? Questa è una domanda difficile che ha interessato molti pensatori e filosofi. La gioia può velocemente cedere il passo alla sofferenza. La gioia è breve e la sofferenza lunga. Ciò che la società considera gioia è superficiale. La chiave sta nello sviluppare uno stato vitale in cui si possa percepire che la vita è in sé gioia. "Ricomincio da oggi". Questa è già gioia. La consapevolezza che in qualsiasi momento della propria vita si può ricominciare. Almafuerte, grande educatore e poeta argentino scrisse: "Per il debole la difficoltà è una porta chiusa. Per il forte è una porta che aspetta di essere aperta" Le difficoltà impediscono a chi è debole di progredire. Per i forti esse sono opportunità di aprirsi a uno splendente futuro. L'atteggiamento e la determinazione decidono l'evolversi delle circostanza. Ciò che più conta è il nostro cuore. L'ex detenuto deve convincersi che i principi citati sono il vero veicolo per la rinascita sociale.  Citando Ghandi, "Più buia è la notte più l'alba è vicina". L'ossessione per i fallimenti passati è segno di stupidità. Il presente e il futuro sono importanti, non il passato. Esso ci permette di trasmettere uno spirito di continua sfida a vincere nel presente, progredendo verso il futuro Chi abbandona questo senso di continua lotta rivolge la propria vita verso la rovina. Anche nei momenti di maggior difficoltà, la cosa importante è che ogni uno di noi decida di essere il protagonista della propria vita, senza mai smettere di progredire. Sminuirsi, indietreggiando di fronte agli ostacoli, porta come risultato la sconfitta. Se ci rafforziamo e sviluppiamo il nostro stato vitale possiamo trovare una soluzione. Non mollare mai, non indietreggiare mai.



2.6. Analisi degli aspetti salienti delle interviste


Dall'analisi delle interviste qui sopra riportate, ho potuto trarre alcuni spunti di riflessione, evidenziando punti in comune tra le risposte degli intervistati e aspetti particolarmente interessanti che riguardano progetti di lavoro per i detenuti.

Per quanto concerne il lavoro in generale, emergono rappresentazioni diverse: si passa col definirlo un obbligo per sopravvivere, a un buon completamento della vita, elemento importante, ma non fondamentale, fino a ritenerlo fonte di felicità, gioia, soddisfazione (di qualunque lavoro si tratti).

Le opinioni espresse da tutti e tre gli intervistati convergono sulla necessità dell'esistenza di opportunità di lavoro per i detenuti ed ex-detenuti, (non solo come "obbligo-opportunità" per uscire dal carcere come prevede la legge) e si evidenzia inoltre l'urgenza di maggiori progetti di lavoro che arrivino alla meta e non rimangano solo sulla carta. Ritengo particolarmente interessante la proposta di considerare esperienza lavorativa la scolarizzazione dei detenuti che, entrando in carcere, interrompono la loro carriera scolastica. Lì potrebbero avere l'opportunità di continuare e portare a "compimento" il processo di formazione scolastica tralasciato a causa di "incidenti di percorso". Il carcere è inoltre visto come laboratorio di idee, nel senso che essendoci concentrate centinaia di persone, ci sono 'teste' e capacità che andrebbero messe a frutto, sia per un percorso di crescita individuale, sia per un di più da poter offrire alla "società esterna". Il lavoro per il carcerato è occasione di mantenimento di legami con l'esterno, è opportunità di relazionarsi con altre persone. Da queste interviste emerge come nella realtà il lavoro in carcere possa «produrre società» nel senso che intende Donati. Egli in Lavoro che emerge sostiene che il lavoro è un processo di differenziazione come lo è il capitale. Egli sostiene che il capitale presenta varie sfaccettature: l'aspetto politico, quello strumentale, l'aspetto culturale e quello sociale. 'Il capitale assume così volti diversi a seconda che prevalga uno di questi aspetti (che sono le distinzioni-guida interne e proprie di ciascuna forma di capitale), e a seconda delle combinazioni e degli interscambi fra di essi. Riflessivamente, la stessa cosa accade al lavoro'[12]. Tutti e tre gli intervistati svolgono un tipo di lavoro in cui prevale l'aspetto politico-sociale e quindi si può dire che anche le loro esperienze sono da connotarsi all'interno di «prodotti» sociali e civili.

È evidente come il lavoro per il detenuto costituisca utile strumento contro la noia, la depressione, la violenza e aiuti a salvare delle persone che una volta che usciranno dal carcere non saranno più nocive per la società, o lo saranno meno e, inoltre, avranno "percorso una strada" e non avranno messo radici nella cella.

Gli intervistati sottolineano in più punti la difficoltà per il detenuto ad avere un lavoro, e in particolar modo un lavoro qualificato. Sembra che tutto dipenda dalle associazioni di volontariato. Emerge una profonda carenza dei servizi statali, sia per chi è in carcere, sia per chi esce dal carcere e, in particolar modo, per le famiglie dei carcerati durante la loro detenzione. Il lavoro, infatti, permetterebbe al detenuto di continuare a contribuire al mantenimento della famiglia che, altrimenti è lasciata a se stessa. I lavori svolti dagli intervistati sono particolarmente qualificati e costituiscono frutto di iniziativa personale. Sono degli intervistati particolari e, da un certo punto di vista, "fortunati". Hanno acquisito capacità e conoscenze tali da non temere di rimanere senza lavoro se si prospettasse una data di 'fine rapporto di lavoro".

È emersa inoltre una forte carenza degli intellettuali e dei politici italiani, responsabili di una carente informazione sul mondo carcerario e di una inefficace e superficiale formazione dell'opinione pubblica.

Il messaggio di Claudio Stella "ogni detenuto salvato è un delinquente in meno per la società", mi sembra sia la proposta pedagogica che abbracci e raggruppi tutte le analisi e i progetti emersi da queste interviste.







3. RIFLESSIONI SU ALCUNE PROPOSTE OPERATIVE


Il paragrafo presenta una serie di proposte operative: parte tratte da una giornata di studio tenuta a Padova, durante la quale vari relatori hanno riportato le proprie esperienze effettivamente svolte o in corso d'opera e una mia ideazione di progetto, con due ipotesi di sotto-progetto, rivolte alla cittadinanza e/o agli addetti ai lavori.



3.1. Una giornata di studio: 'Carcere: non lavorare stanca'


Dalla giornata di studi 'Carcere: non lavorare stanca' che si è tenuta alla Casa di Reclusione di Padova il 9 maggio 2003, alla quale ho assistito, sono emerse varie idee, proposte e veri e propri progetti per agevolare, incentivare e migliorare l'inserimento lavorativo di persone detenute o ex detenute, partendo dal presupposto che 'chiunque lavori è un lavoratore, poi se è anche un detenuto è anche un detenuto.ma in prima battuta è un lavoratore con i diritti e doveri nascenti dal rapporto di lavoro' .

È emersa da più interventi l'importanza di mettere in correlazione, non solo le varie unità proponenti (vari enti, istituzioni, associazioni), ma in particolar modo i percorsi progettuali (per esempio la ricerca di un lavoro con l'abbinamento di un alloggio per la persona). Dalle varie esperienze proposte da associazioni e enti locali risulta fondamentale l'ampliamento di sportelli per l'integrazione lavorativa del detenuto. L'azione fondamentale che tali sportelli vanno a svolgere è quella di sostenere la persona che esce dal carcere nella ricerca di un lavoro, nel riaffrontare pratiche burocratiche, sempre tenendo conto delle sinergie tra le diverse realtà. Nel Triveneto la realtà degli sportelli non ha raggiunto livelli di altre province. Dal Convegno è emersa l'urgenza di ampliare tale esperienza.

Nella realtà del profit stanno diminuendo le resistenze all'assunzione di persone ex detenute o in pena alternativa; risulta di fondamentale importanza offrire alle varie imprese figure professionalmente qualificate. La formazione del detenuto in carcere (informatica, lingue, ecc.) è essenziale per un efficace reinserimento nel mondo del lavoro. Vari relatori hanno evidenziato l'esagerata differenza dei tempi della realtà penitenziaria rispetto ai tempi della vita fuori del carcere. Se un'impresa accetta di inserire un detenuto nel proprio organico, prima di avere tutti i permessi necessari passano parecchi giorni, tanti da poter far correre il rischio a questa persona di perdere l'opportunità lavorativa.

Due sindaci della provincia di Padova (Galliera Veneta e Limena) hanno testimoniato l'esperienza di due persone detenute che hanno avuto la possibilità di scontare la propria pena nel loro territorio comunale e alle dipendenze dell'amministrazione comunale. Entrambi i sindaci hanno evidenziato come sia carente l'informazione della realtà carceraria e come sia invece di fondamentale importanza svolgere attività di formazione e informazione alla gente comune, per aiutarla a superare pregiudizi. Essi hanno evidenziato come gli stessi organi di stampa non aiutino nell'opera di informazione, in quanto i giornalisti spesso stendono articoli solo in occasione di gravi reati, o nell'onda di alcuni slogans di qualche politico, senza entrare nel merito della questione della realtà carceraria. Gli stessi enti locali a volte non conoscono le opportunità che le leggi offrono loro per dare occasioni lavorative e di reinserimento sociale a queste persone.

I due sindaci hanno evidenziato la necessità di aumentare le opportunità di pubblicità di esperienze simili alle loro, con l'organizzazione di mostre e convegni aperti alla cittadinanza.

Altra proposta interessante è stata quella di formulare una guida con due percorsi differenziati: uno mirato ai detenuti che necessitano di sostegno e guida per trovare un lavoro una volta usciti dal carcere; l'altro indirizzato agli imprenditori interessati ad assumere ex carcerati o detenuti in pena alternativa. È stata avanzata anche la proposta di introduzione della figura del tutor come facilitatore, sia alla persona detenuta, sia alla persona datore di lavoro. Questa figura non deve essere vissuta come un 'carabiniere' che controlla ogni minimo movimento, ma come un sostegno, un consulente, un facilitatore appunto sia per il detenuto che, una volta uscito dal carcere, può incontrare difficoltà nell'affrontare un colloquio di lavoro, nel maneggiare denaro, nell'espletare compiti burocratici, sia per il datore di lavoro che non sempre ha una conoscenza approfondita della realtà carceraria.

Si è evidenziata la necessità di aumentare le agevolazioni fiscali per le imprese che assumono ex detenuti o detenuti in pena alternativa e si è ipotizzata una proposta di legge che garantisca la loro entrata al lavoro e/o addirittura si mantenga, quando è possibile, il lavoro che precedentemente la persona svolgeva. La Commissione sui problemi giuridici ha inoltre proposto che la misura alternativa possa essere applicata direttamente nel processo e non successivamente: ciò favorirebbe uno stato fin da subito favorevole al reinserimento sostanziale della persona, 'passando da una dimensione in cui prevale la dichiarazione di colpevolezza a una dimensione in cui prevale la preoccupazione per la risocializzazione' . Per il carcerato il lavoro assume un significato molto più ampio rispetto alle persone libere; oltre ad essere sinonimo di libertà, per il detenuto costituisce una via alternativa alla devianza e alla delinquenza; risulta quindi fondamentale l'allargamento delle opportunità lavorative.

Si riportano qui di seguito delle trascrizioni letterarie di parti di alcuni interventi della giornata studi.







3.2. Alcuni interventi del Convegno: 'Carcere: non lavorare stanca'


a) Carlo Alberto Romano (Vicepresidente Associazione 'Carcere e territorio ' di Brescia)[15]

La nostra esperienza nasce da una visione lungimirante, non posso non citarla, di un Magistrato di Sorveglianza, del presidente del Tribunale di Sorveglianza di Brescia, il dottor Giancarlo Zappa, del quale non credo ci sia bisogno di altre presentazioni per chi lavora e opera nell'ambito del diritto penitenziario e non è un caso che sia amico del dottor Margara. spesso faccio da trait d'union tra questi due illuminati esponenti della dottrina penitenziaria.

Ecco, l'esperienza lungimirante del dottor Zappa, il quale ha fondato un'Associazione, che si chiama "Carcere e Territorio", Associazione che secondo la visione del dottor Zappa si doveva prefiggere come obiettivo quello di costituire il collante, il collettore, il bacino di raccolta delle varie esperienze che afferiscono al carcere. Questo non per portare via ambiti di autonomia, ma per fare in modo che le varie esperienze potessero agire in rete e per evitare sovrapposizioni o misconoscenze relative, da parte dell'una nei confronti dell'altra. E questo credo sia stata la visione intelligente del dottor Zappa, perché ha fatto in modo che si potessero mettere in correlazione non solo le entità proponenti e agenti all'interno del carcere, ma soprattutto i percorsi progettuali, ed è questo che mi interessa portare alla vostra attenzione. I percorsi progettuali, che in qualche modo devono avere dei confini limitrofi, sovrapponibili, perché è impensabile oggi proporre un percorso progettuale che si occupi di attività lavorativa senza essersi occupato del problema dell'alloggio, dell'housing. Come è pensabile poter gestire una persona che arriva alla Camera di Consiglio, che porta in dote una attività lavorativa giudicabile idonea dal collegio di sorveglianza, sulla quale quindi è concedibile la misura alternativa, e che poi frana nel momento in cui attua la valutazione sulla opportunità alloggiativa della stessa. Sarebbe, oltre tutto, un lavoro inutile, quello svolto.

Nasce allora l'opportunità di collegare i percorsi progettuali e, in questo senso, abbiamo cercato di agire. L'esperienza che vi porto è quella di una collaborazione con l'Ente locale, nella fattispecie la Provincia della mia città, la quale ha inaugurato un progetto che vede la partecipazione di una schiera di componenti sociali estremamente nutrita: dai sindacati, al Tribunale di Sorveglianza, all'Associazionismo, al volontariato, e che è confluita in un progetto definito, con un termine non particolarmente originale, "Progetto Carcere".

All'interno del "Progetto Carcere" sono state individuate varie priorità, una delle quali è stata la gestione di uno Sportello per l'integrazione lavorativa del detenuto. È stata chiamata in causa l'Associazione Carcere e Territorio, presieduta dal dottor Zappa e, in sua sostituzione, da chi vi sta parlando, alla quale è stato affidato il compito di gestione dello Sportello. La nostra intuizione, se possiamo così definirla, è stata quella di introdurre un'innovazione ulteriore in questo passaggio, cioè la gestione dello Sportello è nostra, ma noi l'abbiamo attuata in sinergia, in collaborazione, con un Consorzio di aziende. Altrimenti ci saremmo ritrovati a doverci caricare sulle spalle l'esigenza del reperimento delle risorse, non facili tra l'altro da individuare, come ben sapete, sulla base della nostra rete di conoscenze. Così invece abbiamo sfruttato anche la rete di rapporti delle imprese sociali e delle imprese non sociali del Consorzio, che aveva già aperto e già lavorava con un suo Sportello.

A questo punto si è innestato un ulteriore percorso progettuale, quello dell'housing. Grazie ad un finanziamento della regione Lombardia, che ha attribuito una serie di possibilità, attraverso appunto il versamento di un contributo, per la gestione di progetti di housing sociali, siamo riusciti a creare parallelamente anche un percorso di individuazione di opportunità alloggiative, una serie di appartamenti che mettessero a disposizione non molti posti di alloggio, ma non è il numero complessivo che importa, quando la possibilità di scardinare quel meccanismo ostativo per cui il soggetto che può avere l'attività lavorativa improvvisamente frana nella sua aspettativa per la carenza dell'alloggio. Mettendo in contatto queste due realtà si riesce a costruire un percorso che possa avere come obiettivo quello del reinserimento e della riabilitazione.

Peraltro devo dirvi, sulla riabilitazione, che a me piace molto studiare l'origine delle parole e (.) sono andato a vedermi il significato originale della parola "riabilitazione", da habilis, un aggettivo verbato che significa "rendere maneggevole", il che mi ha preoccupato molto, perché dalla neutralizzazione alla maneggevolezza si può avere un altro elemento di pericolosità.

Allora, l'unione dei percorsi progettuali, la sinergia tra le diverse realtà, la collaborazione con gli enti locali, possibilmente attuata nelle forme rituali meglio disponibili, quelle del Protocollo, dell'Accordo di programma, certamente in forme che abbiano carattere di ufficialità, può portare a un tentativo di risoluzione del problema. Non è certamente esaustivo, non è la soluzione che può risolvere tutti i problemi, ma costituisce in qualche modo il tentativo di dare una risposta da parte del territorio, perché siamo convinti che sia il territorio che può dare una risposta. Deve provenire innanzi tutto da altre realtà, in primis quella del legislatore, ma se il territorio si fa trovare impreparato e non si fa trovare con i mezzi idonei per poter dare applicazione anche alle migliori proposte provenienti dal legislatore, o comunque dalle strategie politiche, dalle politiche attive del lavoro, in qualche modo si rischia di essere deficitari.

Ultimamente, abbiamo cercato di aggiungere a questa impostazione che abbiamo da qualche anno, anche un intervento concreto e strettamente embricato con la realtà penitenziaria andando a lavorare direttamente all'interno del carcere su alcuni progetti di gestione della tossicodipendenza. Questo è stato un passaggio non da poco, cioè abbiamo in atto, sempre con un finanziamento della regione Lombardia, un progetto di implementazione del Servizio delle dipendenze all'interno del carcere. Voi sapete le vicende relative al passaggio della gestione delle tossicodipendenze al Servizio Sanitario Nazionale, oltre alle difficoltà di gestione del Servizio Sanitario non per tossicodipendenti, susseguente al decreto legislativo 230. È stato quindi un momento che ci ha impegnato fortemente soprattutto a livello ideologico: in un momento di revisione del decreto ministeriale 444, in un momento di possibile passaggio alla realtà del privato sociale addirittura dei Servizi delle dipendenze ci poteva essere il rischio di andare a impelagarsi in una situazione che non avesse tutti i caratteri della trasparenza, dell'efficacia e dell'effettività che invece ci proponevamo. Ci stiamo provando, tentiamo con le nostre forze di costruire qualcosa di buono e speriamo che il territorio, che peraltro da questo punto di vista ci ha sempre aiutato, riesca anche questa volta a darci la forza di proseguire.


b) Licia Roselli (direttrice dell'Agenzia di Solidarietà per il Lavoro di Milano)[16]

Devo fare una doppia parte, perché doveva venire anche Riccardo Rebuzzini, presidente del Consorzio "Nova Spes", che per problemi famigliari non è potuto venire. Quindi vi racconterò non solo l'esperienza dei progetti integrati dell'Agenzia di Solidarietà, ma vi farò anche una piccola panoramica su quella che è l'esperienza della Nova Spes.

Noi siamo abbastanza giovani, siamo nati nel 1998, come Agenzia di Solidarietà per il Lavoro, però abbiamo alle spalle l'esperienza di soggetti che già lavoravano in carcere, per esempio io lavoravo in C.G.I.L. dal 1993, quindi a partire da questa esperienza e a partire anche dalla sollecitazione di un gruppo di detenuti di San Vittore, perché noi siamo partiti da quello, da un'idea venuta ai detenuti, abbiamo capito che c'era il bisogno di coinvolgere tutte le realtà presenti sul territorio che si occupavano di lavoro, tra cui non solo le associazioni del volontariato ed i Consorzi, ma anche i sindacati e le associazioni imprenditoriali.

Quindi uno degli sforzi che stiamo facendo da anni (e vi dirò che gli sforzi profusi non è che abbiano portato grandi risultati, ma ancora non abbiamo rinunciato a fare i miracoli) è di cercare di convincere il profit a superare queste barriere, che ci sono nell'ingresso di un detenuto. Io parlo su progetti che sono nella realtà milanese, dove c'è un tasso di disoccupazione ufficiale pari al 4,6%, dove quindi rasentiamo la piena occupazione, se mettiamo dentro anche il lavoro nero. Quello che noi abbiamo sono sacche di disoccupazione che, se andiamo a guardare, si trovano in settori industriali obsoleti, o in crisi, e le persone disoccupate lo sono da tanto tempo e hanno caratteristiche professionali ben precise: persone oltre i 40 anni, con professionalità di bassa mansione, che non sono riuscite a riconvertirsi alla nuova economia in un ambito come quello milanese. Se non erro, secondo i dati della Camera di Commercio a Milano ogni anno nascono 18.000 imprese, quindi abbiamo un tessuto che si muove, molto in movimento.

Fatto questo quadro generale, pensiamo ai nostri amici delle carceri milanesi e ci troviamo con delle caratteristiche professionali e personali esattamente uguali a quelle persone che sono disoccupati di lunga durata: sono spesso abbastanza anziani, spesso non hanno mai lavorato o hanno lavorato in maniera frammentaria, sono fuori dai processi produttivi, hanno una professionalità scarsa, perché nelle carceri si fanno sempre i soliti corsi, aiuto cuoco, o giardiniere, abbiamo fatto anche gli origami, sì, c'è qualche corso di informatica, però diciamo che il livello è quello che non viene né richiesto né assorbito dal mercato del lavoro.

Dunque questa è la grossa difficoltà. Poi, secondo me c'è un handicap culturale nei confronti dei detenuti. Proprio in questi giorni stiamo facendo un'inchiesta telefonica su un campione di aziende: dopo un giro di parole, dove diciamo dei meccanismi di selezione, chiediamo se assumerebbero un detenuto e, tra quelli che accettano l'intervista, non c'è una chiusura totale. Non sto dicendo che non abbiano delle chiusure, questo è chiaro, ma non possiamo più nasconderci dietro questo dito, dicendoci che c'è una preclusione nei confronti dei detenuti e perciò non riusciamo a portarli a lavorare, se non nelle cooperative sociali, che stanno scoppiando di svantaggiati di vario genere e non riescono a stare sul mercato e non hanno mai commesse.

Il problema credo sia a monte, appunto riuscire a portare delle persone all'ingresso nel mercato del lavoro con figure e profili professionali adeguati al mercato del lavoro, perché le aziende che noi abbiamo contattato (faccio un esempio per tutti), se avessi 100 saldatori, me li prendono subito, non importa se hanno fatto stragi. non stanno a guardare il reato perché la figura del saldatore, a Milano, è richiestissima e non li trovano tra i lavoratori liberi.

Poi c'è da dire che le aziende, soprattutto quelle piccole, non riescono a pensare quando avranno bisogno di manodopera: arriva la commessa e hanno bisogno della manodopera entro 15 giorni o al massimo un mese. Ed il tessuto milanese è fatto di aziende medie e piccole. I nostri lavoratori, o sono ex detenuti, ma se devono uscire in misura alternativa dobbiamo aspettare sei mesi prima di averli disponibili, quindi anche se ho trovato il "famoso" saldatore, dopo sei mesi l'azienda non ne ha più bisogno.

Quindi i problemi stanno nei meccanismi di selezione delle aziende, nella professionalità dei detenuti e soprattutto nei tempi del Tribunale di Sorveglianza. Non so quello di Brescia, che ha una storia diversa, come quello di Firenze, ma a Milano siamo in una situazione dove non si riesce neanche a parlare coi magistrati e non si riesce a capire come si fa a sveltire queste cose. Abbiamo visto però che, ultimamente, qualcosa è cambiato. I tempi sono lunghi, però abbiamo visto che non hanno più in testa i meccanismi del mercato del lavoro degli anni 70 e accettano offerte anche di contratti di lavoro che chiamiamo "atipici". Ultimamente CO.CO.CO., part - time, stage, vengono accettati. Naturalmente sempre in numeri minimi, però abbiamo visto anche questo.

E un servizio come il nostro, che è fatto da una A.T.S. (Associazione Temporanea di Scopo) cui partecipa anche l'ente locale, che si è fatto conoscere da tanti anni come un servizio "serio", che ha sempre selezionato aziende e cooperative "sane", che ha sempre proposto posti di lavoro veri, non finti, è chiaro che a questo punto la magistratura fa meno fatica ad accettare anche contratti che non sono a tempo pieno e indeterminato. Ci vuole un po' questa figura da mediatore. Noi non abbiamo mai fatto incontri con la magistratura di sorveglianza: ne abbiamo chiesti tanti, ma non ci hanno mai guardato nemmeno di striscio. quindi non possiamo dire che ci siamo impastettati, cosicché le proposte che facciamo noi sono guardate con un altro occhio. No, la credibilità ce la siamo proprio guadagnata sul campo!

Abbiamo cominciato nel '99, come Agenzia, assieme alla Caritas. Dal 2000 abbiamo fatto una A.T.S. anche con la Provincia di Milano, essendoci ormai tutte le deleghe del Collocamento in capo alla Provincia, non più al Ministero. E quindi mi dispiace che oggi il rappresentante della Provincia di Padova sia andato via. Mi dispiace anche che sia arrivato il rappresentante del settore Servizi Sociali, perché noi abbiamo bisogno del rappresentante del settore Lavoro! E voi dovete chiedere alla Provincia di Padova che faccia il suo dovere secondo le competenze a norma di legge.

Comunque, la Provincia di Milano il primo anno ha fatto un bando per l'appalto dei Servizi di orientamento al lavoro e collocamento dei detenuti; noi abbiamo fatto questa A.T.S., tra l'Agenzia di Solidarietà, il Consorzio Nova Spes e altri tre Consorzi, quindi abbiamo messo assieme l'esperienza di un'Associazione che faceva "mediazione" al lavoro con l'esperienza dei Consorzi, che facevano inserimento lavorativo. Quindi siamo riusciti a coprire tre funzioni: gli Sportelli di orientamento al lavoro all'interno delle carceri, uno Sportello di orientamento e inserimento al lavoro fuori delle carceri (e il nostro operatore è presente qui oggi), infine abbiamo un'équipe di tutor che si occupano di accompagnamento al lavoro e un'équipe che si occupa di sensibilizzazione delle aziende.

Sulla sensibilizzazione delle aziende, avendo a questo punto un parco - operatori notevole e anche un finanziamento, non corposo, perché erano 400 milioni, ma insomma un po' più dei 50 che ci aveva dato l'anno precedente la Provincia, abbiamo potuto articolare queste fasi: abbiamo fatto circa 1.500 colloqui di approfondimento e di informazione, abbiamo inserito 221 persone al lavoro, tra interno ed esterno, fatto 40 tutoraggi e portato a casa una cinquantina di posti di lavoro disponibili.

Con questo, devo dire che convincere le aziende è sempre difficile: abbiamo mandato 8.000 lettere e ci hanno risposto in quattro! Abbiamo fatto una profusione di telefonate, stiamo provando con i Comuni, che facciano da facilitatori e ci organizzino delle riunioni con gli imprenditori. Devo anche dire che c'è qualche imprenditore che ci telefona, però è chiaro che se sono loro che cercano il detenuto, sicuramente è per una mansione che non vuole fare nessuno, nemmeno gli immigrati extracomunitari senza permesso di soggiorno! L'ultimo esempio è quello di un'azienda che cercava degli spazzacamini, quindi adesso proveremo anche con i detenuti - spazzacamini.

Questo progetto, che abbiamo chiamato "Cercare lavoro" è dell'anno scorso. Quest'anno abbiamo fatto un'altra A.T.S.: a questo punto la Provincia non era più lei che faceva il bando per appaltare i Servizi, ma abbiamo partecipato a un bando europeo multi-misura di orientamento e la Provincia è entrata nell'A.T.S..

Quindi il percorso è stato questo: prima la Provincia faceva una sorta di sperimentazione, poi bandiva un pezzo del suo lavoro, infine si inserisce assieme al privato sociale e si crea questa sinergia con il pubblico e il privato sociale che lavorano assieme. Questo bando era sicuramente più corposo, perché era di 500.000 euro, e ci occupammo solo di orientamento e di inserimento lavorativo. Abbiamo un altro progetto, con i fondi della Regione, sul Protocollo d'Intesa, che si occupa unicamente di sensibilizzare le imprese. Quindi abbiamo visto che la Regione Lombardia non ha tantissimi soldi, però un po' li investe su questi progetti.

C'è da dire che in provincia di Milano abbiamo 500 - 5.000 detenuti, abbiamo tre Case di Reclusione e una Casa Circondariale. È chiaro che i nostri risultati sembrano esigui, se si guarda a tutta l'area penale esterna presente, ma soprattutto se si guarda alla popolazione carceraria milanese, dove in luoghi come San Vittore abbiamo ormai il 70% di stranieri e il 40 - 50% di tossicodipendenti.

I detenuti stranieri, con la nuova legge Bossi - Fini ormai li mettiamo da parte, noi non possiamo farci niente: facciamo gruppi di orientamento al lavoro, però sappiamo che di "art. 21", purtroppo, per gli stranieri non se ne parla neanche. Questo è uno scoglio sul quale dovremo lavorare, perché non è possibile lasciare una fetta così consistente della popolazione detenuta solo con un minimo d'informazione. D'altronde cosa gli facciamo, l'orientamento al lavoro a Milano, quando poi saranno portati in Albania? Quanto meno, visto che non possiamo cambiare le leggi, dobbiamo pensare al modo di rendergli utile questo periodo di permanenza in carcere in Italia per un rientro onorevole, almeno. Su questo stiamo lavorando, infatti, ci siamo messi in contatto con gli operatori di Bologna, che hanno più esperienza di noi.

Per concludere, devo dire due parole su "Nova Spes". Questo è un Consorzio di cooperative sociali, si chiama "Nova" perché ha assorbito la "Spes", che era un'azienda pubblica - privata e che aveva un appalto pubblico, di "Lombardia Informatica", per obliterare le ricette mediche attraverso la loro lettura ottica. Era un'azienda che era andata in perdita di tanti miliardi, questo nuovo Consorzio ha preso in mano, con diversi soci, tra cui Caritas Ambrosiana, Compagnia delle Opere, Gruppo Abele e Gruppo Exodus di don Mazzi, e in 3 - 4 anni, dai miliardi di perdita che aveva, con una buona gestione aziendale, senza abbassare né i livelli produttivi, né i livelli degli stipendi, ha mantenuto questa quota di lavoro nelle carceri. È presente in nove carceri della Lombardia, impiega 160 detenuti, più altre 60 persone che lavorano nelle cooperative all'esterno.

Quello che diceva in dottor Margara, se è vero come è vero che gli stanziamenti della Smuraglia per quest'anno coprono 333 posti di lavoro, mi sa che se li prenderà tutti "Nova Spes". nel senso che questi finanziamenti sono davvero pochi! Il Consorzio "Nova Spes" fa tante cose, oltre ad essere capofila nella nostra A.T.S.: fa serigrafia, data entry, piccole costruzioni e assemblaggi meccanici, gestione archivio ottico, gestione archivio cartaceo, logistica, stampa, duplicazione CD. C'è da dire che sono riusciti anche, come buona gestione di un'impresa sociale, per far vedere che le imprese sociali riescono anche a fare la conduzione di un'impresa vera, a diversificare e quindi non vivere più solo di commesse pubbliche ma andare anche in gara con i privati.


c) Monica Vitali (Giudice del Lavoro presso il Tribunale di Milano)[17]

Io vi porto un'esperienza totalmente diversa, nel senso che io faccio il Giudice del Lavoro a Milano e quindi mi occupo di mercato del lavoro, in prima battuta, cioè il mercato del lavoro lo vedo davanti a me, ne vedo gli sviluppi e cerco o, almeno, ho cercato, nel libro che molto gentilmente il nostro ospite di oggi vi ha citato, di applicare i concetti del diritto del lavoro nell'ambito del lavoro dei detenuti. Questo, cercando di ricordare a me stessa e agli altri un piccolo particolare, cioè che chiunque lavori è un lavoratore, poi se è anche un detenuto è anche un detenuto. ma in prima battuta è un lavoratore con i diritti e i doveri nascenti dal rapporto di lavoro.

Chiaramente in chi lavora e ha anche una posizione giuridica di detenuto che sta espiando una pena, c'è un'intersecarsi di diritti e doveri nascenti da questo duplice status, che determinano una serie di problemi che in qualche modo devono essere risolti.

Oggi il mondo del lavoro va veloce, ma ultimamente va molto veloce anche il diritto del lavoro, o meglio stanno velocemente cambiando le normative in materia di lavoro. Noi stiamo assistendo veramente - non so se è percepito fino in fondo - a un mutamento molto forte nel nostro impianto generale del diritto del lavoro. E questo mutamento, che cercherò di riassumervi, ha certamente delle ricadute, per quanto riguarda il lavoro penitenziario, sotto due profili.

Il primo è un profilo di tipo normativo, nel senso che se noi partiamo dal presupposto fondamentale, contenuto nella legge sull'Ordinamento Penitenziario, per cui il lavoro all'interno del carcere e il lavoro libero tendenzialmente devono essere assimilati, o assimilabili, è chiaro che una modifica di uno di questi due elementi porta necessariamente delle ricadute sull'altro.

Il secondo aspetto è quello invece pratico, nel senso che va a modificarsi il mercato del lavoro. Io sono consapevole che il lavoro penitenziario è, sicuramente, molto orientato verso il mondo delle cooperative. Però sono contenta che qua, diversamente che a Milano, si riesce a far venire in carcere, a partecipare a un convegno di questo tipo, anche un rappresentante del mondo imprenditoriale, perché non si può prescindere da questa parte del mondo del lavoro, se si vuole far fare un salto di qualità al lavoro penitenziario.


Anche perché bisogna mettersi un po' d'accordo su cosa serve il lavoro penitenziario. se vogliamo che il lavoro penitenziario sia essenzialmente qualcosa che serve a riempire le giornate di chi sta in carcere è un discorso, se vogliamo invece che sia qualcosa che serve al detenuto, quando esce, in termini di professionalità spendibile, è un altro discorso, perché a quel punto il lavoro che si fa in carcere deve in qualche modo tener conto di quello che c'è all'esterno.

Cioè di quello che i detenuti, a fine pena, prima o poi, trovano uscendo. E non solo in misura alternativa: escono, prima o poi.[18]

Dicevo che, nell'ottica del Giudice del Lavoro, questo è un momento, se non epocale, comunque di grande mutamento. Probabilmente l'avrete anche letto, perché le pagine dei giornali sono piene di questa che viene definita la "Riforma Biagi". In realtà è semplicemente una legge delega, io me la sono portata, ma naturalmente non mi metto a raccontarvela, anche perché è una legge delega, poi bisognerà vedere cosa farà il legislatore delegato dei principi e, quindi, come li rende norma applicabile concretamente.

Però alcune cose, secondo me, sono interessanti, perché interessante è la filosofia di fondo che viene riconosciuta in questa Riforma Biagi e che è esplicita nella relazione di accompagnamento alla legge delega, dove si dice: "La legislazione della contrattazione attuale mantiene come obiettivo centrale la conservazione del posto di lavoro, piuttosto che la mobilità del singolo nella transazione tra scuola e lavoro, tra non - lavoro e lavoro, tra lavoro e formazione, determinando in questo modo una crescente divaricazione rispetto alle necessità delle imprese di forme flessibili di adeguamento della manodopera".

Dopodiché la legge delega prevede una serie di cose, alcuni nuovi tipi di lavoro, come il lavoro a chiamata, oppure le prestazioni di lavoro occasionale o accessorio, soprattutto nei confronti di disoccupati di lungo periodo. E chi è più "disoccupato di lungo periodo" dei detenuti? Altri soggetti a rischio di esclusione sociale sono regolarizzabili attraverso la tecnica dei "buoni", corrispondenti a un certo ammontare di attività lavorativa. E poi altre cose, come il job sharing, cioè due lavoratori che si dividono il posto di lavoro a metà e se lo gestiscono tra di loro: mentre nel lavoro a chiamata l'obbligo viene assunto nei confronti del datore di lavoro e ci si obbliga ad essere a disposizione, qui invece sono due persone che si mettono d'accordo e si dividono un posto.

Poi c'è tutto un discorso sui cosiddetti CO.CO.CO., collaborazioni coordinate continuative, però voi direte: tutto questo, cosa c'entra con il lavoro penitenziario? C'entra, c'entra tanto, secondo me.

Questi lavori particolari, che non sono più "atipici", ma diventano tipicissimi, saranno applicabili nei confronti delle persone che sono detenute? Licia Roselli ve l'ha già detto che, ad esempio a Milano, un lungo lavoro ha reso sensibile la Magistratura di Sorveglianza al fatto che il lavoro dei detenuti non è necessariamente lavoro a tempo indeterminato full-time. Esistono altre possibilità, però voi capite che la frontiera si sposta sempre più avanti, nel mercato del lavoro, e noi stiamo sempre ad inseguirla, nel senso che tutte queste riflessioni, che poi hanno dato origine al mio libro, non è che me le sono fatte da sola chiusa nella mia stanzetta, sono frutto di un discorso che risale a tanto tempo fa, una riunione famosa dove eravamo molte meno persone di oggi. alcune di quelle persone sono qua anche oggi. e si cominciò a chiacchierare, a discutere sul fatto se era possibile immaginare una specie di percorso, anche culturale, per la Magistratura di Sorveglianza, per la Magistratura in generale, per gli operatori, per chiunque si occupi di queste cose, per non restare troppo indietro rispetto a un mondo del lavoro in evoluzione.

È chiaro, quindi, che a questo punto la sfida diventa sempre più complessa, perché si deve sempre andare ad inseguire. D'altra parte, però (e mi riaggancio al discorso che non basta la cooperazione), torniamo al problema del perché mai l'impresa profit dovrebbe investire sul carcere.

Io, qui, vedo due problemi grossissimi: uno lo vedo difficilmente risolvibile, l'altro con qualche possibilità maggiore di soluzione. Comincio dal più facile da risolvere, cioè l'incentivazione. È chiaro che l'unica prospettiva, in quest'ottica di sempre maggiore flessibilità del mondo del lavoro, è quello dell'incentivo perché (e questo è l'altro problema, non me ne vogliano i rappresentanti dell'Amministrazione penitenziaria qui presenti) purtroppo il mondo penitenziario è quanto di meno flessibile ci sia. Ed è meno flessibile perché ovviamente ha delle tempistiche che non sono quelle del mondo del lavoro. Questo discorso dei tempi è un discorso che mi venne sollecitato proprio da Licia Roselli, con una riflessione, in un'altra occasione, circa un anno fa. Quando le chiesi: "Qual è il problema più grosso che voi operatori avete?", lei mi rispose "I tempi". Ma è ovvio, qui ci sono i detenuti. io ho fatto il Magistrato di Sorveglianza per tanti anni: i tempi del carcere e i tempi del mondo sono due cose diverse e non si riescono a mettere assieme. E con questo non sto solo parlando dei tempi tecnici, ma sto proprio parlando della concezione del tempo (scusatemi questa deriva. filosofica, se volete). I tempi sono diversi. Sono diversi anche i tempi della Magistratura di Sorveglianza, perché ci sono i termini, perché bisogna fare l'udienza, perché bisogna mandare la polizia a controllare, perché c'è tutta una serie di cose dalle quali non si può prescindere, rispetto alle quali il mondo del lavoro, oggi ancor di più, invece ha bisogno di velocità, di flessibilità, ma non solo in termini di "mi sposto da qui a lì", ma anche "mi sposto da qui a lì velocemente", perché qui non hanno più bisogno e vado lì, poi non ce l'avranno più lì e allora io devo essere capace di tornare di qui. Voi lo sapete meglio di me, rapportare questa capacità di movimento al lavoro penitenziario non è cosa semplice.

L'altro discorso, sulla incentivazione, non ve lo faccio, nel senso che ho vicino a me chi ha informazioni migliori e ne sa di più, ma è chiaro che è l'unico strumento, l'unica leva che può in qualche modo aiutarci, in questa situazione.


d) Mario Carraro (Industriale di Padova)[19]

Io mi espongo un po' alla vostra curiosità, perché ho visto che ho destato un po' di fermento quando sono arrivato. A dire il vero non trovo molti colleghi e mi domando se sono venuto in un posto dove è imprudente essere, ma in genere non me lo domando mai. invece mi domando se è utile, per quello che posso dare, e soprattutto per quello che posso ricevere.

Credo che il problema che state evocando sia un problema molto importante, che ha duplice dimensione, quella di dare un senso di utilità all'interno del carcere al detenuto e prepararlo, per quando esce, a trovare una posizione naturale di inserimento, che è molto importante. Su questo bisogna fare molta attenzione, a partire da come si procede alla formazione dei detenuti perché siano pronti al passaggio verso l'esterno.

Ricordatevi che il mondo del lavoro sta cambiando con una rapidità incredibile e mi domando se sono disponibili, all'interno del carcere, gli strumenti che fanno oggi abile un lavoratore. E, fra gli strumenti, gli elementi della formazione, come quello della lingua, che potrebbe essere una delle facilitazioni. Penso che non sia il massimo delle aspirazioni, quella di fare il saldatore, come ha ricordato la dottoressa Roselli prima. Il fatto che non ci siano saldatori deriva dal fatto che il saldatore è un lavoro difficile, è un lavoro anche pericoloso, nocivo, che si dà ai derelitti. Non è una condizione a cui aspirare, insomma.

Mi domando se ci sono dei limiti per l'introduzione in carcere degli strumenti della nuova tecnologia, Internet ad esempio: oggi Internet è diffuso all'interno delle aziende, perché diventa uno strumento di comunicazione e di lavoro. In carcere penso ci siano delle difficoltà per l'utilizzo di Internet, però bisogna anche avvertire questi elementi di trasformazione della società, perché chi esce non si ritrovi disorientato.

Voglio ricordare, tra l'altro, che qui a Padova, per quanto riguarda il lavoro carcerario, c'è stato un pioniere, un personaggio molto particolare, che è stato Rizzato, ed aveva un'industria dentro il carcere, quando stava a Piazza Castello, dove faceva telai di biciclette. Devo dire che quest'uomo, durissimo peraltro, aveva acquistato anche un certo rapporto con i detenuti, perché alcuni di loro, che io ho conosciuto, che avevano scontato più di vent'anni, quindi per punizioni non lievi, li aveva portati come giardinieri nella sua villa.

Se amiamo una società avanzata, non possiamo averla senza avere dei rapporti forti anche con gli elementi che sono ai margini della società, proprio perché più ci sono margini nella società e meno è forte la società.

Io sono a disposizione per alcuni contatti, per capire meglio quale è il problema, quale è anche la capacità di creare del lavoro per i detenuti, sia all'interno sia all'esterno, ricordando che uno dei limiti che sottolineava sempre Carli, quando era presidente degli industriali, erano i lacci e i laccioli, che sono termini brutti da usare in questo ambiente, ma che non devono crescere ulteriormente quando il rapporto di lavoro riguarda i detenuti.


e) Giulio Vettorazzi (Sindaco del Comune di Limena - PD) [20]

Per chi non conosce Limena, è un Comune confinante con Padova, a nord della città. Devo dire che tra i cittadini c'è una scarsissima conoscenza, in generale, della realtà carceraria. E certamente non aiutano gli organi di stampa a evidenziare quelli che sono i problemi e quelli che possono essere gli aiuti che anche i semplici cittadini possono dare alla realtà carceraria.

In particolare, gli enti locali stessi non conoscono le possibilità di utilizzo della manodopera all'esterno del carcere. Io personalmente ho partecipato, tre anni fa, ad un convegno organizzato dal Comune di Galliera, un paese dell'alta padovana il cui Sindaco è qua presente, ed a questo convegno c'era Caselli (.) e si parlava della possibilità di utilizzare il lavoro dei detenuti all'interno e all'esterno del carcere. L'argomento mi era sembrato molto interessante e quella è stata l'occasione per arrivare a fare questo tipo di esperienza nel nostro Comune. Io direi che dovrebbe esserci anche un obbligo, non solo morale, di sostenere i progetti di reinserimento in società dei detenuti da parte degli enti locali.

Nel Comune di Limena inizialmente c'è stata una diffidenza, anche da parte dei cittadini, ma soprattutto da parte dei dipendenti comunali che avrebbero dovuto affiancarsi a questi detenuti ammessi al lavoro esterno. Questo è successo solo inizialmente, poi, in effetti, c'è stata una condivisione del progetto e, direi, addirittura dell'entusiasmo.

A Limena abbiamo una convenzione, direttamente con il carcere di Padova, per un operaio stradino e, ripeto, c'era diffidenza tra gli operai ad avere questo personaggio "scomodo". Ma l'esperienza più significativa è certamente quella di un aiuto bibliotecario, che esce proprio dall'attività di Rassegna Stampa al Due Palazzi. È un incarico molto delicato, perché si riferisce a un'utenza particolare, è a contatto con un pubblico fatto soprattutto di ragazzi e bambini, ma anche genitori. Quindi l'equilibrio della persona, la capacità di rapportarsi, è molto importante. Devo dire che la scelta fatta dai responsabili è stata certamente molto oculata e il risultato è ottimo.

Dopo circa due anni di utilizzo del regime di articolo 21, il bibliotecario in parola ha ottenuto la semilibertà, ragione per la quale non era più possibile utilizzare la Convenzione con il carcere. Si trattava di interrompere un progetto di reinserimento e questo non faceva parte delle nostre idee. Abbiamo insistito con la direzione del carcere per trovare un'alternativa, che poteva essere un'assunzione diretta da parte del Comune, ma questo era impedito dalla Finanziaria nazionale; in alternativa abbiamo trovato la collaborazione con la cooperativa "Il Cerchio" di Venezia - che ringrazio pubblicamente - che ha assunto la persona e ce l'ha collocata a lavorare nello stesso posto che occupava prima, quindi continuando il progetto di reinserimento avviato, che certamente è molto positivo.

Per quanto sarà possibile aumenteremo la pubblicità riguardo a questo tipo di impegno, che è possibile prendere da parte delle amministrazioni comunali: oggi è presente anche il Sindaco di San Giorgio in Bosco (che è un altro paese dell'alta padovana), per la prima volta in un carcere, e vediamo se è possibile estendere questo tipo di esperienza, certamente molto positiva, perché veramente crediamo che l'aiuto al reinserimento dei detenuti nella società civile, se non parte per tempo, rischia di ottenere dei disadattati, degli sbandati, che quando rientrano in società sono potenzialmente più a rischi di prima.


f) Silvano Sabbadin (Sindaco del Comune di Galliera Veneta - PD)[21]

Galliera è l'ultimo paese, verso nord, della provincia di Padova, confina con la provincia di Treviso e la provincia di Vicenza. È un Comune di 6.700 abitanti, che ha attivato questa esperienza con l'Amministrazione penitenziaria del carcere Due Palazzi dal 2000. E questo è successo perché il Sindaco è stato sollecitato da una sua cittadina, che opera all'interno dell'amministrazione, e che ha detto: "Caro Sindaco, è il caso che questa amministrazione, che tanto si dichiara in favore. faccia qualcosa di concreto anche nei confronti di questo problema".

E così abbiamo accettato. E vi assicuro che all'inizio, come ha detto prima il mio collega, abbiamo dovuto lottare soprattutto per convincere gli operatori con i quali poi i detenuti avrebbero dovuto lavorare. Questo, all'inizio, è stato fatto come un'imposizione, da parte della nostra amministrazione, perché c'era una sorta notevole di diffidenze, di paure, quando non di aperta intolleranza, che notavamo anche nella popolazione, rispetto alla decisione presa.

Al punto che poi, come amministrazione, abbiamo deciso non solo di continuare, ma di tentare di spiegare alla popolazione di Galliera che, al di là di quella che era l'esperienza puramente manuale, operativa, che questi due operatori ecologici detenuti andavano a fare, in collaborazione con i nostri operatori ecologici, era importante conoscere l'esperienza carceraria. E pertanto abbiamo organizzato il convegno, ricordato prima, dopo circa un anno dall'inizio dell'esperienza con i detenuti, dal titolo significativo, "Carcere e territorio", e la prima mostra di prodotti artistici fatti dai detenuti.

Insomma, questo è stato il metodo (poi il notiziario comunale ne dava notizia) con il quale si è cercato di dare diffusione all'esperienza e quindi anche per cercare il superamento di quel pregiudizio diffuso che esiste nelle nostre popolazioni. Immaginarsi un paese che, pur avendo i "clienti" all'interno del carcere, perché poi i nostri cittadini sono anche qui, non vuole neanche sentir parlare di questi argomenti.

A distanza di due anni l'esperienza si è ampliata con un altro tipo di attività, oltre a quella svolta dagli operatori ecologici: abbiamo avuto la fortuna di poter usufruire dei dipintori detenuti, che ci hanno riqualificato tutto il palazzo municipale e, attualmente, abbiamo una squadra di giardinieri, che hanno completato un corso di manutenzione del verde e che sono impegnati nella tenuta del parco storico della Villa imperiale.

Ecco, la collaborazione si è sviluppata anche con un'altra mostra, tenuta un mese fa, nella quale i cittadini di Galliera hanno potuto acquistare i prodotti del laboratorio di legatoria del Due Palazzi e, quindi, hanno potuto portare a casa degli oggetti prodotti dai detenuti all'interno di questo carcere. Tutto questo ha fatto sì che all'opinione di diffidenza sia subentrata la curiosità: l'ultima mostra è stata molto frequentata, ma poi ci sono andate le scuole, i bambini hanno portato i genitori e i genitori hanno comprato i prodotti. Insomma, questa curiosità ha permesso di sfatare certi pregiudizi e di cominciare a ragionare diversamente.

Devo dire che tutti i percorsi attivati in articolo 21 sono poi transitati in un ampliamento delle misure della libertà personale: i detenuti sono passati nel regime di semilibertà e qualcuno ha anche finito di scontare la pena. Uno di questi - e lo dico con una punta di soddisfazione, non tanto per me, quanto per gli operatori comunali che ci hanno lavorato assieme - ha deciso di svolgere l'attività risarcitoria, a cui è tenuto il detenuto al termine della sua pena, in favore del Comune di Galliera. Questa persona viene, spontaneamente, un sabato al mese, e lavora assieme ai suoi ex colleghi dipendenti comunali, insieme ad altri detenuti.

Questo, nel piccolo, mi dà un messaggio, che traggo e propongo alla vostra attenzione: sono necessari i percorsi individualizzati, cioè valutare caso per caso, fare il tutoraggio (come è già stato detto), è importantissimo per il percorso che ciascuno fa. Non si possono trattare i grandi numeri, sui grandi numeri la gente si perde. Il caso singolo, invece, ha un percorso che generalmente, se accompagnato, funziona.

Il secondo spunto è che probabilmente c'è bisogno di più operatori all'interno della amministrazione penitenziaria, perché i tempi molto lunghi, tra le richieste che fanno gli enti e le risposte dell'amministrazione penitenziaria, non aiutano di certo a supportare questa collaborazione.


g) Ornella Favero (Coordinatrice della rivista 'Ristretti Orizzonti') [22]

Vorrei suggerire un paio di cose. Il nostro Centro di Documentazione, insieme al P.I.L.D. (Pronto Intervento Lavoro Detenuti: organizzazione legata alla CGIL di Firenze e Toscana) e all'Agesol, stiamo discutendo della possibilità di avviare un lavoro per produrre una specie di guida duplice: una parte per i detenuti; una parte per chi voglia avviare un'attività, o di reinserimento fuori, o di lavoro dentro. Per la parte riguardante i detenuti, noi sappiamo che c'è stata un'iniziativa del Comune di Roma che ha prodotto un manuale e, da quello, vorremmo fare un passo avanti, perché ad esempio ha un'ottima parte di indirizzario che potrebbe, in ogni regione, dare una serie di indicazioni su tutto quello che serve a un detenuto per orientarsi all'esterno. Per esempio sul problema citato dal dottor Margara, per la patente: a noi tanti scrivono con questi quesiti. Allora, ci piacerebbe riuscire a produrre un manuale che poi potrebbe davvero essere generalizzato, perché un difetto del lavoro in carcere è che ognuno nella sua situazione fa delle ottime cose, ma non siamo assolutamente capaci di far circolare le notizie, di comunicare le buone esperienze.

Prima che il gruppo "ristretto" cominci a lavorare separatamente, credo che l'onorevole Ruggeri debba fare una comunicazione sulla sua proposta di legge, per l'abbassamento dell'aliquota IVA sui prodotti e servizi in entrata ed uscita dal carcere.


h) Ruggero Ruggeri (Deputato Margherita) [23]

Insieme ad alcuni amici, come Marco Boato, Piero Ruzzante ed Ermete Realacci di "Legambiente" siamo riusciti a mettere in pista due iniziative. La prima riguarda un impegno che il governo si è preso, quando farà la riforma del sistema fiscale, di tenere conto del problema del mondo delle carceri. L'impegno riguarda l'abbassamento delll'IVA, se non ridurla a zero, almeno abbassarla al massimo, per tutti quei beni e quei servizi che entrano in carcere e che escono dal carcere.

Quindi, per quelli che entrano - voi pensate al budget che ha l'amministrazione finanziaria, che viene sempre più ridotto, o comunque i bisogni aumentano sempre di più, per il sovraffollamento che c'è - potrebbero eventualmente acquistare qualcosa in più, perché avrebbero un minor costo per quanto riguarda i prodotti. La stessa cosa potrebbe funzionare come un incentivo per quelle imprese che potrebbero lavorare all'interno del carcere e uscire con un prodotto dal costo inferiore, perché con un'IVA inferiore. Questa iniziativa ha una probabilità di riuscita del 50%: il governo mi ha detto che va bene, però devono fare i calcoli per vedere quanto costa l'operazione e, se costa molto, non verrà fatta.

L'altra iniziativa, che invece avrà una probabilità molto alta di riuscire, è quella delle ceramiche. Il Ministero delle Attività Produttive sta predisponendo un regolamento per rilasciare finanziamenti al settore delle ceramiche artistiche. Ecco, il governo si è impegnato, in questo caso in modo serio, concreto, a riservare una quota alle ceramiche artistiche che provengono dal carcere. O meglio che siano, o aziende individuali, o aziende societarie, di ex detenuti o di detenuti.

Se mi permettete vorrei rubarvi un minuto, per dirvi che quando si parla del lavoro in carcere noi dobbiamo tenere conto anche della polizia penitenziaria. Perché la polizia penitenziaria è sotto organico, è sotto pagata e, mediamente (questo è il caso sicuro della Lombardia), gli straordinari non vengono pagati. Questo vuol dire che, ancora una volta, la riduzione del budget che riguarda il sistema penitenziario viene fatta pagare direttamente alla polizia penitenziaria e poi sui servizi che riguardano i detenuti, in modo eclatante per quello che riguarda il tema della salute, quindi sui farmaci e sui servizi forniti dai medici.

Questo è importante perché, quando in una struttura c'è un numero adeguato di personale, anche tutte le attività interne si possono fare, altrimenti non le possiamo fare. Oggi abbiamo potuto fare questo bellissimo incontro anche grazie alla disponibilità e alla presenza della polizia penitenziaria. Se non ci fosse anche questo apporto "umanitario" in più, che loro danno, moltissime cose che nelle carceri si fanno non potrebbero essere fatte. Quindi dobbiamo legare le cose, perché è importante pensare a tutti quelli che vivono in carcere.


i) Carmen Bertolazzi (Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia)[24]

Io cercherò brevemente di rilanciarvi degli interrogativi che mi sono posta sentendo gli interventi di stamattina. Innanzi tutto noi usiamo la parola "lavoro in carcere" e già questa è una parola molto ampia, perché abbiamo il lavoro interno, che pone tutta una serie di problemi, il lavoro in misura alternativa, il lavoro per la persona che ha finito la pena e, poi, abbiamo anche il lavoro come idea di una pena alternativa, cioè il lavoro socialmente utile, perché diciamo sempre che una condanna non deve essere solamente la cella, può e deve essere anche qualcosa d'altro.

In questa discussione sul lavoro in carcere mi preme ricordare, forse perché vengo dal Centro e mi sento direttamente coinvolta, che le situazioni sono molto diverse da zona a zona e lo sanno molto bene i detenuti che hanno girato un po'. Qui abbiamo la situazione del Veneto, abbiamo sentito la Toscana e la Lombardia ma, via via che scendiamo, a partire dal Lazio, che è ancora una regione privilegiata, sotto molti aspetti, anche se ovviamente il mercato del lavoro è diverso, la situazione diventa diversa, difficile, è difficile dentro e fuori dal carcere.

La terza cosa che vorrei ricordare è che, lo sappiamo tutti, il lavoro dà dignità, dà autonomia, dà prospettiva, è una parola chiave. Però in carcere ha un valore aggiunto, perché il lavoro in carcere dà libertà. La Riforma Gozzini ha stabilito varie norme, dalla semilibertà, alla condizionale, al lavoro esterno, e via dicendo, per le quali l'elemento di valutazione principale è avere una prospettiva di lavoro. Quindi diciamo che la parola "lavoro" equivale, nel nostro ordinamento, alla parola "libertà" e questo non è da dimenticare.

Abbiamo visto anche che negli anni dopo la riforma c'è stata tutta l'esperienza della cooperazione sociale, ma dobbiamo anche dirci che della cooperazione sociale nata nel periodo del dopo - riforma, poche sono le cooperative che sono riuscite a rimanere veramente in modo autonomo sul mercato del lavoro, trasformandosi in genere da cooperative di soli detenuti a cooperative integrate. Spesso le cooperative sociali hanno questo ruolo di fare da luogo quasi da cuscinetto, all'uscita, cioè diventano il luogo che permette ad una persona di uscire ma anche di sistemarsi nel primo momento dopo l'uscita, di capire com'è la situazione che la circonda, di risolvere anche problematiche personali e famigliari, comunque di riqualificarsi e poi, magari, di posizionarsi in modo definitivo sul mercato del lavoro.

Quindi anche la cooperazione sociale non va vista soltanto come luogo dove possiamo fare degli inserimenti di lavoro, ma forse dobbiamo anche una riflessione sulla cooperazione sociale come laboratorio di avvio al lavoro. Questo certamente significa tante cose, anche dal punto di vista economico.

Poi, e il mondo del volontariato lo sa bene, non c'è persona che è entrata in carcere che non ha dovuto affrontare una richiesta di lavoro, tutti noi l'abbiamo fatto e tutti noi abbiamo dovuto registrare anche dei fallimenti e quindi credo che poi, da questa risposta individuale del volontariato, sono nati tutti i progetti e le sperimentazioni che hanno portato oggi a sentire tutte queste esperienze molto propositive. Perché sono esperienze che si legano sul territorio, si legano con gli enti locali, si pongono il problema del mercato del lavoro, si pongono il problema di costruire le reti.

Noi parliamo di lavoro e carcere, ma è forse riduttivo: il carcere, in fondo, è solo l'ultima tappa di un lungo percorso di disagio, di non adattabilità, di lacerazioni, di sofferenze. Vuol dire una cultura famigliare, vuol dire un viaggio dall'altra parte del mondo, vuol dire problemi di dipendenza, malattia psichica, povertà, difficoltà a relazionarsi con il mondo, modelli di vita non corretti. C'è tutta questa situazione che porta al carcere, che quindi è una tappa per una persona che, già da prima, vive l'esclusione sociale. Allora, forse, quando noi che lavoriamo sul campo ci sforziamo di analizzare e confrontare dei modelli di intervento, forse non potrebbe esserci utile ragionare sul termine di disagio ed esclusione sociale, dove il detenuto fa parte delle politiche per l'inclusione sociale.

Quindi, non è forse che il nostro lavorare sulla persona detenuta è troppo limitativo ma dobbiamo invece vederla come una persona del disagio e dell'esclusione sociale? Perché se fosse così il nostro problema non sarebbe solamente quello all'uscita dal carcere, o in vista di una misura alternativa, ma quello di affrontare l'inserimento lavorativo di questa persona nelle sue problematiche più ampie, che possono essere da quelle inerenti le relazioni famigliari e sociali, o di dipendenza, o di quant'altro. Non è sempre centrale ed essenziale il problema di trovare un lavoro, ma anche di costruire il percorso di reingresso o di primo ingresso nel mondo del lavoro, che vuole dire una formazione particolare e mirata, che vuole dire un orientamento rispetto a molte cose, anche alla relazione con se stesso, per esempio. Vuol dire un accompagnamento, durante la fase di inserimento professionale, ma non solo verso la persona che esce dal carcere, ma molto spesso anche un accompagnamento per l'azienda che inserisce questa persona e per i suoi colleghi di lavoro. Significa che un inserimento lavorativo si deve per forza accompagnare ad un inserimento sociale, le due cose non possono essere disgiunte. Questo vale ovviamente anche per altre fasce del disagio sociale.

Da quando il volontario entrava in carcere e si sentiva chiedere: "Trovami un posto di lavoro" abbiamo fatto molta strada, io credo che sia anche una strada di qualità. Molti di noi fanno dei progetti europei e quando ci confrontiamo con gli altri paesi non siamo certo ultimi. Ecco, facciamo uno sforzo per identificare dei centri e su questi cresciamo insieme, coordiniamoci, confrontiamoci, vediamo i nostri punti deboli e i nostri punti di forza e cerchiamo di socializzarli.


l) Francesco Morelli (Redazione di 'Ristretti Orizzonti')[25]

Volevo innanzi tutto presentarvi i risultati di un'inchiesta, realizzata qui nella Casa di Reclusione di Padova attraverso un questionario anonimo. Si tratta di un'indagine sul reinserimento lavorativo e il rapporto con il volontariato e, da questa, traggo alcuni dati che possono servire al dibattito di oggi.

Una domanda richiedeva quale tipo di sostegno fosse più necessario al momento dell'uscita dal carcere, o in prossimità dell'uscita, e la risposta più frequente è risultata essere l'aiuto nel trovare un lavoro, con il 75% delle richieste: tre quarti degli intervistati ritiene di aver bisogno di sostegno nel reperimento dell'occupazione. Al secondo posto c'è la richiesta di aiuto economico, con il 64% delle risposte, quindi la ricerca dell'alloggio, e così via.

Un secondo dato, che riguarda più in generale le condizioni delle carceri, piuttosto che lo specifico problema del lavoro, è che un 8% degli intervistati terminerà la pena entro il 2003, quindi ha meno di sette mesi da scontate e ben il 42% la termina entro il 2005, quindi come massimo ha due anni e mezzo di pena residua. Si tratta di condanne che potrebbero benissimo essere sostituite con forme di sanzione alternative al carcere e, invece, nei fatti non lo sono, con le conseguenze che abbiamo sotto gli occhi, anche in termini di sovraffollamento.

Per quanto riguarda i temi più strettamente attinenti l'inserimento lavorativo, credo che una attenzione particolare vada dedicata agli Sportelli di orientamento e accompagnamento, come peraltro è stato fatto qui oggi. Le esperienze di questo tipo sono già diverse, un po' in tutta Italia, dal "Carcere e territorio" di Brescia, alla "Agenzia di Solidarietà per il Lavoro" di Milano, al "P.I.L.D." di Firenze, al "C.I.L.O." di Roma, e agli Sportelli che ci sono a Torino, Genova, Palermo, e in altre città ancora.

Va detto che in tutto il Triveneto, con i 17 istituti di pena che ci sono, non esiste un'iniziativa simile. Ci sono alcuni tentativi che stanno partendo, come a Verona, dove è stato costituito un Tavolo di lavoro sul carcere, o a Venezia, dove un progetto partirà forse prossimamente. Comunque, attualmente, non esiste nulla di attivo e funzionante e un po' la mancanza la si sente.

Ricollegandomi a questo fatto della richiesta consistente di un aiuto nel trovare lavoro, approfitto di questa occasione per rilanciare il progetto delle "Pagine salvagente per il carcere", che come Centro di Documentazione abbiamo in corso da tempo.

Si tratta di un indirizzario delle cooperative e delle associazioni di tutta Italia che si occupano del reinserimento lavorativo dei detenuti. A suo tempo avevamo previsto di farne un opuscolo, adesso l'opuscolo non è ancora stato realizzato, abbiamo delle pagine internet, un sito internet all'interno del quale vi sono già alcune migliaia di indirizzi, che però rappresentano anche una difficoltà di gestione notevole, perché a volte le associazioni e le cooperative cambiano recapito, cessano di lavorare, cambiano nome. Sono tutte cose che andrebbero continuamente aggiornate: alcune segnalazioni ci sono arrivate, cioè alcuni operatori ci hanno chiamato, dicendoci "abbiamo cambiato sede, numero di telefono, etc.".

Ma questa cosa andrebbe fatta a tappeto, quindi visto che voi arrivate un po' da tutta Italia, vi rilanciamo l'invito a sentire, sul territorio di vostra competenza, chi offre questi servizi, chi fa orientamento, chi assume, chi fa accoglienza, e altro, quindi saperci dire se i dati che ci avete comunicato sono sempre validi oppure se cambiano, perché altrimenti diamo indicazioni ai detenuti che non corrispondono più a quello che c'è sul territorio. Questi dati, per ora, sono disponibili solo su internet, quindi possono arrivare ai detenuti solo tramite altri operatori. Se riusciremo a fare questo progetto dell'opuscolo informativo, probabilmente riserveremo uno spazio anche all'indirizzario, che ci sembra essere molto utile.


m) Luigi Nieri (Assessore al Lavoro del Comune di Roma)[26]

Io vi ringrazio veramente dell'opportunità che mi date oggi, che date all'amministrazione comunale di Roma di far sapere cosa sta tentando di fare sul lavoro in carcere. Come diceva Carmen Bertolazzi, il problema è un po' più ampio, perché il carcere sta sul territorio. Noi a Roma abbiamo due istituti, Rebibbia e Regina Coeli, più il carcere minorile di Casal del Marmo e sentiamo che questi luoghi fanno parte del territorio. Lo scorso novembre noi siamo andati con l'intera Giunta, con l'intero Consiglio comunale, a tenere un consiglio comunale all'interno del carcere, scegliendo Rebibbia, in quel caso. Erano alcuni mesi che si era insediata la nuova amministrazione e abbiamo voluto portare lì quello che avevamo fatto fino a quel momento e, soprattutto, ci siamo presi degli impegni per il futuro, con un rapporto che teniamo costantemente, con tutte le difficoltà che ovviamente tutti quelli che stanno qui oggi conoscono, che non dobbiamo nascondere, proprio per capire come essere sempre più incisivi.

Gli enti locali e i Comuni hanno un ruolo importante, determinante, e le amministrazioni, oltretutto, possono intervenire in più settori, tant'è che noi abbiamo fatto un lavoro che ha coinvolto tutto l'associazionismo, che ci ha portato alla creazione del Piano regolatore sociale. Anche lì abbiamo fatto degli incontri e sono coinvolti più Assessorati, tra i quali anche il nostro, l'Assessorato ai Servizi Sociali e quello alla Semplificazione: ho sentito, qui oggi, quanto siano importanti quelle pratiche per chi sta in una condizione di detenzione.

Il nostro è anche un Assessorato particolare, che affronta le tematiche delle politiche della periferia urbana, dello sviluppo locale e del lavoro, però ci è sembrato necessario e fondamentale, tra gli interventi sul lavoro e sulle politiche attive del lavoro, pensare proprio in quell'ottica nella quale il carcere fa parte del territorio del Comune di Roma, e iniziare a organizzare una politica seria, concreta, costante, sul problema del lavoro in carcere. Per questo abbiamo istituito l'Ufficio Lavoro in carcere, del quale è direttore, oltre tutto a titolo gratuito, il dottor Stefano Anastasia, e abbiamo iniziato ad avviare una serie di politiche attive del lavoro.

Considerate che noi a Roma abbiamo, nei vari istituti, circa 3.500 detenuti, solo il 20% lavora, quindi siamo nella media e, forse, anche un po' sotto, rispetto ad alcuni istituti. Ma la percentuale, se le cose continuano ad andare avanti così, può solo diminuire, perché se pensiamo ai dati sentiti nell'intervento prima del mio, di quante persone in questo paese sono in carcere e potrebbero non esserci; se poi pensiamo a tutta la vicenda legata alla tossicodipendenza.

Allora, questo che cosa significa? Significa che, siccome i lavori interni al carcere rimangono gli stessi, perché sono i lavori domestici, è chiaro che la percentuale di chi lavora, purtroppo, può continuare solo a restringersi. E credo che questo sia un problema che può solo preoccuparci, per tante ragioni.

La legge Smuraglia, se non è adeguatamente finanziata, non può produrre quegli effetti che noi tutti vorremmo. Allora, concretamente, che cosa pensiamo debba fare il nostro Ufficio Lavoro in carcere? Ci impegniamo perché possa coordinare tutti gli interventi dell'Amministrazione sul lavoro, sulla formazione, in tutta l'area penale minorile e per adulti; attivare percorsi di inserimento lavorativo; preparare una mappatura e fornire informazioni sui servizi di sostegno e inserimento, pubblici e privati, del volontariato, operanti sul nostro territorio; facilitare l'accesso di nuove risorse per il lavoro e la formazione per i detenuti; facilitare l'acquisizione di informazioni e procedure per la ricerca del lavoro, sulle opportunità di formazione e qualificazione professionale, dentro e fuori dal carcere.

Poi c'è un impegno, che speriamo di concretizzare nei tempi più rapidi possibili: ci siamo impegnati a dar vita a un Protocollo d'Intesa con il Ministero della Giustizia sul lavoro in carcere e fuori dal carcere per i detenuti: abbiamo già fatto una serie di incontri e ci auguriamo che su questo, in tempi rapidissimi, arrivare ad una conclusione.

Cosa siamo riusciti a fare fino ad oggi e su cosa siamo impegnati, anche con il bilancio di quest'anno? Tra le deleghe che ha il mio Assessorato, noi abbiamo la gestione della legge 266 del '77, che ci permette di dare finanziamenti a fondo perduto, per la creazione di imprese e di cooperative, fino a 100.000 euro.

Nei nostri bandi, nel programma denominato "Nuovi lavori per le periferie", abbiamo dato una preferenza in termini di punteggio per chi assume detenuti, detenuti in misura alternativa, o ex detenuti che abbiano espiato la pena da meno di sei mesi. In bandi precedenti, riferiti all'area Tiburtina, dove si insedia il carcere di Rebibbia, abbiamo esteso apposta il perimetro dell'area del bando, comprendendo anche in carcere, per permettere anche ai detenuti di partecipare a questo bando.

Il lavoro che abbiamo fatto a Roma intende permettere a chiunque voglia intraprendere una attività di auto imprenditorialità di essere nelle condizioni di poterlo fare. In realtà i risultati ci danno ragione perché siamo passati, da quando siamo arrivati e ai bandi partecipavano più o meno 100 -120 progetti, a 800 domande per gli ultimi bandi. Oltre tutto non facciamo più un solo bando all'anno, ma ne facciamo tre. Almeno dal punto di vista della conoscenza, della partecipazione, questa è una cifra molto alta.

In questa fase di animazione tecnica, molte cooperative integrate, composte da detenuti in esecuzione penale esterna, hanno avuto consulenza gratuita da parte degli Uffici dell'Amministrazione comunale. In tutti i bandi che mettiamo in cantiere - ne abbiamo pubblicato uno proprio la scorsa settimana, che è un bando particolare, perché serve per aprire librerie nella periferia romana (diamo finanziamenti fino a 50.000 euro) - ci sono le stesse condizioni di preferenza per chi assume detenuti ed ex detenuti nelle condizioni che vi ho detto prima.

Poi l'Assessorato ha messo a disposizione 10 borse di inserimento lavorativo, per detenuti nelle carceri romane: il bando è scaduto il 7 ottobre 2002 ed era riservato a cooperative sociali ed associazioni. È stata una iniziativa diretta a creare opportunità mirate di occupazione, in stretta collaborazione con le realtà del territorio, del mondo produttivo e del privato sociale, e abbiamo avuto circa 40 richieste di partecipazione. Abbiamo già dato inizio all'assegnazione delle borse e alcune hanno già avviato le attività.

Si è parlato prima del C.I.L.O., il Centro di Orientamento al Lavoro, noi abbiamo effettuato questa prima esperienza ed è stata estremamente interessante, adesso abbiamo, in modo itinerante, coperto con il Centro di orientamento al lavoro tutti gli Istituti, compreso anche il carcere minorile. Poi abbiamo realizzato in libro di cui si diceva prima, curato dall'Assessorato. Abbiamo anche deciso di rilanciare la formazione professionale in carcere e a partire dal gennaio di quest'anno è nato il primo corso di formazione per i detenuti ristretti nell'alta sicurezza. Si tratta di un corso di telelavoro e alfabetizzazione informatica.

Vi dicevo del Centro di orientamento a Casal del Marmo. Lì, ovviamente, essendo ragazzi e ragazze, l'abbiamo voluto costruire tenendo non solo conto di orientare al lavoro, ma abbiamo pensato a uno Sportello che orienti ma dia anche informazioni educative e culturali. Presenteremo, nei prossimi giorni, un corso di formazione per tre ragazzi, che poi andranno a lavorare in una fattoria, vicino all'istituto di Casal del Marmo, una fattoria che lavora nella filiera del biologico.

Quest'anno abbiamo inserito in bilancio, per tutte queste attività, 300.000 euro, sono aumentati rispetto all'altro anno e vorremmo utilizzare bene questi fondi per fare un ulteriore rialzo il prossimo anno.

Una delle novità, che partirà nei prossimi giorni, perché arriverà la delibera in Consiglio comunale, è che verrà ufficialmente istituito l'Ufficio del difensore civico delle persone private della libertà personale a Roma, con compiti di promozione e tutela dei diritti individuali dei detenuti. Questa è una novità assoluta, sulla quale dobbiamo lavorare con grande attenzione.

Nel carcere femminile di Rebibbia verranno riattivate alcune lavorazioni da tempo ferme, attraverso un sostegno di tipo strutturale, formativo e auto imprenditoriale. Si tratta di un progetto che intende riaprire i laboratori semi-industriali: la lavanderia, la conceria, etc.. Quindi, formare le detenute, dare vita a cooperative integrate che possano gestire sul mercato questo tipo di attività.

Verrà bandita poi una nuova gara, un nuovo bando della legge 266, quella di cui vi parlavo prima, proprio diretta a sostenere economicamente ed a fondo perduto piccole imprese e cooperative che si impegnano ad assumere almeno una persona in esecuzione penale e a tempo indeterminato. Le iniziative di formazione professionale, sul tipo di quelle che vi ho detto precedentemente, le replicheremo nuovamente in autunno.

Per chiudere, verranno realizzate e pubblicate inchieste sul lavoro penitenziario a Roma e sulle condizioni dei detenuti migranti nelle carceri romane, che è l'altro grande pezzo di popolazione che occupa le nostre carceri.

Una parte di quei fondi che abbiamo inserito in bilancio, li vorremmo utilizzare anche come incentivo anche rispetto ad un'attenzione maggiore rispetto alla defiscalizzazione prevista della legge Smuraglia, facendo un'operazione di questo tipo: raddoppiando l'offerta che fa il governo; nel senso che quante imprese sono coinvolte dal governo, noi mettiamo i soldi per raddoppiare quel numero, perché secondo me le condizioni per fare l'operazione ci sono, il problema è fare uno sforzo dal punto di vista economico.


n) Licia Roselli[27]

In sintesi, la figura del tutor non è una figura di controllore, ovviamente, perché non siamo noi quelli che devono fare i controlli. La figura del tutor di accompagnamento al lavoro è una figura di facilitatore, che serve sia alla persona detenuta sia alla persona datore di lavoro. Quindi, cosa fa il tutor: aiuta l'azienda in tutta la parte "burocratica" (siete tutti operatori del carcere, non vi sto a spiegare tutta la marea di carte, procedure e percorsi), perché se una cooperativa sociale è già attrezzata per fare queste cose, pensate ad un'azienda privata. se poi è anche un'azienda piccola, certamente non ha voglia di farsi carico di tutte queste pratiche.

D'altra parte, il tutor aiuta il detenuto fin dall'inizio, a fare il colloquio con il datore di lavoro. Noi non mandiamo una persona, dicendo: "Tu vai a lavorare lì". Noi mandiamo, per un posto di lavoro, una rosa di persone, quindi c'è un colloquio di lavoro vero e proprio. Se ad ogni inserimento abbiniamo un tutor, se la persona che noi non riteniamo particolarmente forte, oppure se ha bisogno per altri motivi, ecco che il tutor assiste al colloquio di lavoro e aiuta questa persona, anche nelle cose più piccole.

La prima volta che esce dal carcere lo accompagna al lavoro, gli fa vedere il percorso. Persone che sono state in carcere tanti anni, se escono oggi non sanno neanche manovrare l'euro, perché non l'hanno mai visto. quindi per loro diventa difficile anche fare le cose più semplici.

In seguito, il tutor aiuta nell'adattamento al posto di lavoro, naturalmente se un inserimento sta andando bene, se non ci sono problemi, può presentarsi anche una volta alla settimana. poi questi tutoraggi non durano una vita, al massimo durano 40 ore. Sennò, sia il detenuto, sia l'azienda, per qualsiasi problema possono chiedere aiuto. Abbiamo avuto il caso, drammatico, di una persona che ha avuto un infortunio sul lavoro il primo giorno di lavoro e il nostro tutor ha accompagnato il detenuto al pronto soccorso, in ambulanza con lui e, comunque, lo sta aiutando anche adesso che è a casa, perché se è a casa in malattia ha comunque bisogno di sostegno, per lo meno psicologico.

Quindi dico, noi non facciamo da controllo, ma non pensate che, siccome non siamo dei controllori, a quel punto facciamo trasgredire le regole. Se qualcuno trasgredisce, segnaliamo. Se qualcuno non va al lavoro, siamo i primi a segnalarlo all'Amministrazione penitenziaria, perché comunque questo è un reinserimento lavorativo e le persone detenute devono imparare le regole del mondo del lavoro. Quindi non siamo dei controllori, però insegniamo come una persona si deve comportare in un posto di lavoro, quindi uno non deve pensare che può fare stupidate perché tanto il tutor lo copre, perché è dalla sua parte. Il tutor è sicuramente dalla parte del detenuto, ma per favorirlo nell'inserimento lavorativo.


o) Conclusioni di Alessandro Margara (Presidente Onorario della Corte di Cassazione)[28]


In sostanza nel gruppo si è parlato di quelle proposte che, fino ad un certo punto, avete sentito anche stamani e che riguardano gli ostacoli che vengono preposti all'inserimento di una persona all'esterno, nella vita, nel lavoro, nella famiglia, e sono rappresentati da disposizioni di carattere giuridico.

Le aree in cui questo discorso è particolarmente presente sono quelle dell'esecuzione della pena pecuniaria, delle pene accessorie, delle misure di sicurezza, degli effetti penali della condanna. Queste aree sono rimaste come erano, mentre le misure alternative hanno segnato un cambio di impostazione, una costituzionalizzazione della pena, una finalizzazione dell'attuazione della pena stessa in funzione riabilitativa, con le misure alternative, essenzialmente.

Per queste aree - che sono vicine tra loro, infatti, la pena pecuniaria è parte della pena, le pene accessorie sono un corollario della pena, le misure di sicurezza discendono dall'irrogazione della pena, oppure da interventi analoghi sempre in tema penale, e gli effetti penali della condanna sono effetti che la legge stabilisce relativamente alla condanna - non ci sono state modifiche.

Il gruppo ha cercato il modo di attivare, anche per queste aree, delle modifiche normative, che sostanzialmente sono abbastanza semplici e che si allineano a quella che è la finalità di agevolare il reinserimento della persona, anziché di renderlo più difficile, come accade con gli strumenti che ci sono dati dalla legge attuale.


p) Conclusioni di Giuseppe Mosconi (Docente di Sociologia alla facoltà di Scienze Politiche all'Università di Padova)[29]

In sintesi queste proposte si riassumono in una doppia possibilità: quando la pena è stata conclusa con un periodo di misura alternativa la pena è da intendersi estinta in tutte le sue componenti ed articolazioni; dove invece si è arrivati al fine pena in stato di detenzione, è prevedibile che le varie pene accessorie residue possano essere sostituite da una forma di misura alternativa, come può essere l'affidamento in prova o simili.

Però i temi che abbiamo affrontato si sono posti in un quadro anche più ampio, che ha a che fare da un lato con la ottenibilità delle misure alternative e, dall'altro, col rapporto (che è cruciale nella discussione di questa giornata tra la questione) tra il lavoro - da intendersi come diritto e come risorsa - e l'ottenibilità delle misure alternative stesse.

Dal primo punto di vista si è riproposta l'idea, difficile ma non irrealizzabile, che la misura alternativa venga applicata direttamente nel processo, dal giudice di merito, e non in una fase successiva alla condanna, da parte di un tribunale dell'esecuzione. Questo, sia sottolineato, comporta non irrilevanti difficoltà in termini di reperimento di informazioni e risorse e di organizzazioni procedurali, ma determinerebbe uno stato fin da subito favorevole al reinserimento sostanziale della persona, passando da una dimensione in cui prevale la dichiarazione di colpevolezza a una dimensione in cui prevale la preoccupazione per la risocializzazione.

Il secondo problema di cui ho parlato, cioè la questione del lavoro, si è posta nei termini della possibilità di ottenere il lavoro, da un lato, e la necessità della presenza di un lavoro come presupposto per l'ottenimento della misura, dall'altro lato.

Le due cose si presentano come contraddittorie, in qualche modo, cioè se da un lato l'interpretazione della legge è orientata a richiedere il lavoro come condizione necessaria all'ottenimento della misura alternativa (tra i vari presupposti), d'altro canto non ci sono disposizioni di legge, né iter operativi adeguati, per garantire effettivamente il lavoro.

Questo sostanzialmente significa che da questo punto di vista è necessario incentivare la possibilità di ottenere il lavoro, anche se il lavoro stesso non dovrebbe essere previsto come una condizione assolutamente necessaria per ottenere la misura. Come ampliare, quindi, le possibilità di estendere le opportunità occupazionali in termini di diritto, in termini di risorsa reale?

Ci sono state alcune idee, una prima idea è stata quella di pensare alla continuità del lavoro come diritto per le persone che, condannate, possono godere dell'applicazione dell'art. 21 nella stessa condizione lavorativa in cui si trovavano prima di essere detenute e, quindi, di una continuità di attività lavorativa, che non verrebbe interrotta dalla condanna.

Un secondo aspetto è stato quello di analizzare se gli incentivi previsti dalla legge Smuraglia siano adeguati alle logiche oggi presenti sul mercato del lavoro, se cioè quelli che sono i motivi all'assunzione, le dinamiche che riguardano i rapporti tra occupazione e disoccupazione, siano effettivamente ridefiniti dal tipo di vantaggi economici che la legge Smuraglia prevede, o se piuttosto non si debba invece ridefinire il versante dei diritti all'occupazione da un lato e la questione della retributività del lavoro dall'altro.

D'altra parte si è posto anche il problema dell'obbligatorietà dell'assunzione cioè se si possa pensare di definire una forte percentuale di posti di lavoro a livello aziendale riservati, oltre che alle varie categorie di svantaggio sociale che la legge oggi prevede anche alla categoria dei detenuti e degli ex detenuti. Si è pensato che questa cosa non sia così irragionevole ma sia al passo con le proposte che si stanno lavorando sul piano della definizione delle attività lavorative oggi.

Cioè, oggi si ha una articolazione tale del mercato del lavoro, di opportunità, di ruoli, di variabilità, di incentivazione delle forme lavorative autonome, che sembra lasciare spazio a una proposta anche più concreta e più attuabile e di questo tipo di idea, cioè di creare delle condizioni per essere inseriti lavorativamente anche in situazioni che non siano necessariamente protette, com'è la situazione delle Cooperative oggi. Un altro aspetto ha a che fare con la formazione da un lato e il sostegno all'attività occupazionale dall'altro. Il parlare di inserimento lavorativo comporta un processo, magari lungo ed articolato, che si svolge per fasi e può contemplare anche momenti di apertura e di sperimentazione, di tolleranza, di modifica graduale, non ponendo il modello lavorativo delle otto ore, tipiche del lavoro salariato industriale, come unico modello rigido e predefinito di normalità lavorativa, accettabile in alternativa allo stato detentivo.

Quindi questo significa dare una possibilità di articolazione nel reinserimento, che non fa del reinserimento lavorativo l'unico presupposto rigidamente definito perché ciò avvenga, il che del resto è nello spirito della Legge, perché la stessa semilibertà non prevede il lavoro come unica condizione che legittima la concessione del beneficio. Il problema allora è come articolare in termini normativi più specifici questo tipo di proposte e l'onorevole Boato si è offerto di promuovere, e l'onorevole Ruggeri anche, per fare avanzare queste proposte che si articoleranno secondo quanto ha già preparato il dott. Margara.

IDEAZIONE DEL PROGETTO AMPI ORIZZONTI


Dopo il percorso di ricerca sulla motivazione al lavoro, le riflessioni storiche sul lavoro e l'analisi della situazione carceraria, arricchita anche da emblematiche esperienze dirette, si propone ora l'idea di un progetto per i carcerati ed ex detenuti, ma in particolar modo per favorire il loro lavoro, grazie anche ad un'azione di sensibilizzazione e d' informazione rivolta a tutta la cittadinanza.



1. Finalità e struttura del progetto


a) Titolo

Per la scelta del titolo ho tratto l'ispirazione dalla rivista Ristretti Orizzonti, periodico d'informazione e cultura del carcere "Due Palazzi" di Padova e, in 'contrapposizione', mi è sembrato calzante il titolo Ampi Orizzonti, da dare al progetto.


b) Finalità generali

Ampi Orizzonti è un progetto con tre grandi finalità generali: 1) operativa per i carcerati, 2) formativa per gli operatori e 3) culturale nei confronti dell'intera popolazione.


c) Obiettivi generali

Ampi Orizzonti è un progetto che vuole dare respiro, opportunità, ampiezza di vedute sia ai cosiddetti «ristretti», sia alla cittadinanza tutta, creando e ampliando occasioni di lavoro per carcerati ed ex carcerati. Per queste persone il lavoro può rappresentare occasione per 'acquisire le caratteristiche della condizione adulta mediamente rappresentata nel loro contesto di vita, ritenendola una condizione in sè valida e per se stessi auspicabile, ma che ne sono impediti o rallentati da ostacoli di tipo materiale'[30].

Alla base di tale progetto c'è la convinzione che il lavoro sia un diritto morale per tutte le persone e, quindi anche per un detenuto o per un ex 'ristretto'. Diritto inteso nel senso che ognuno deve avere la possibilità, l'opportunità di poter svolgere un'attività lavorativa in alternativa ad azioni criminali, al posto dell'ozio quotidiano e non di avere solo lo scopo di ricevere una remunerazione in seguito a prestazione data ad un qualsiasi datore di lavoro.

Il lavoro costituisce luogo di crescita, d'approfondimento delle proprie conoscenze, di 'dono' alla comunità civile della quale ogni persona fa parte. Il lavoro è luogo ed occasione di accrescimento della propria autostima. Il lavoro è 'produzione' di beni per sè, ma anche per altre persone. Il lavoro costituisce luogo di cultura e di passaggio d'informazioni e di conoscenze, teorico-pratiche, esplicite ed implicite.

Per tutte queste ragioni il lavoro deve essere considerato la via privilegiata, per i detenuti di poter, non solo 'risarcire la comunità', ma, in particolar modo, avere l'opportunità di 'scegliere una via diversa' rispetto alla strada che, per svariate ragioni li hanno portati in carcere.

Esso raggrupperà in sè varie occasioni e proposte in linea con gli obiettivi generali e specifici; esso costituisce lo sfondo dal quale potranno essere ideati vari specifici 'orizzonti', cioè tanti sotto-progetti che cercheranno di sviluppare e ampliare il processo complessivo iniziato.

Ampi Orizzonti potrà essere assunto e avviato da un qualsiasi ente (Comune, Provincia, Istituti Carcerari, Associazioni di Volontariato, Privato); successivamente potrà essere sottoposto all'attenzione di altri enti, ai quali potrà essere chiesto di collaborare, creando così una rete.

Con il progetto Ampi Orizzonti ci si propone di:

* svolgere un'analisi dei bisogni dei carcerati e delle richeste del territorio;

* promuovere la crescita in maturità e stima di sé della persona in carcere (o ex carcerata), attraverso l'esperienza diretta del lavoro;

* svolgere attività d'informazione e formazione nel territorio;

* accrescere la sensibilità nei confronti del tema carcere, della vita dei carcerati e delle loro famiglie, in riferimento in particolar modo all'azione educativa e formativa del lavoro.


d) Obiettivi specifici

Per realizzare tali finalità è necessario creare:

* opportunità lavorative retribuite e di volontariato per e con i carcerati o ex 'ristretti', in sinergia e collaborazione con enti e imprese profit e no-profit locali;

* occasioni di informazione e di pubblicità del progetto all'interno di enti pubblici e privati al fine di costruire una rete tra i vari enti e imprese che aderiscono alle varie sotto-iniziative;

una struttura che seguirà gli aspetti tecnici e organizzativi, cioè occasioni di formazione per il gruppo di operatori-tutor, i carcerati interessati e le loro famiglie;

* inserire il progetto all'interno delle attività in programma a livello territoriale secondo la legge 8 novembre 2000, n. 328 'Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali'.


e) Struttura formale e struttura organizzativa

Ogni sotto-progetto avrà una propria organizzazione autonoma, in grado di garantire la realizzazione dell'iniziativa che si propone, e il raggiungimento degli obiettivi previsti. Per garantire una buona comunicazione fra le diverse proposte è necessario nasca una 'commissione di coordinamento e di controllo' che garantisca la rispondenza di queste agli obiettivi generali e specifici di Ampi Orizzonti; inoltre è necessario che sappia accogliere e proporre un percorso operativo per ogni idea utile alla realizzazione del progetto pilota. Essa sarà composta dai responsabili dei singoli progetti e dal coordinatore del progetto.


f) Tempi di realizzazione

La realizzazione potrà avvenire ogni tre anni: durante il primo anno si svolgerà il presente progetto e contemporaneamente potrà partire anche il primo sotto-progetto, successivamente si darà spazio agli altri e nei trienni successivi si potrà riproporre l'esperienza con sotto-progetti anche diversi. Il primo sotto-progetto sarà Ristretti e lavoro.


g) Modalità

Saranno proposti: questionari di rilevazione dati, colloqui con i carcerati ed ex, con i dirigenti degli enti e delle carceri e assemblee con gli operatori.


h) Tempi e contenuti di verifica

Ogni progetto prevederà al proprio interno le modalità di verifica che potranno essere di vario tipo (verifica numero soggetti pubblici e privati che aderiscono all'iniziativa, verifica numero detenuti e ex carcerati impegnati in attività lavorativa, soddisfazione del lavoro svolto da parte di questi ultimi, liberi interventi di cittadini, interventi operativi da parte dei politici). Ogni sotto-progetto prevederà verifiche in itinere per sondare se la sua realizzazione sta andando nella direzione degli obiettivi o meno. Anche il progetto Ampi Orizzonti dovrà alla fine del triennio analizzare il raggiungimento di quali obiettivi sono stati raggiungi ed è auspicabile prevedere il superamento di questi con un loro ampliamento.

Ogni attività verrà debitamente documentata con foto, scritti, video.


i) Diffusione dati

Ampi Orizzonti e i vari sotto-progetti verranno avviati da conferenze stampa; il loro svolgimento e le relazioni finali saranno pubblicizzati sui giornali, televisioni locali e siti internet.



2. Prima ipotesi di sotto-progetto: Ristretti e lavoro


a) Titolo

Il sotto-progetto si intitola Ristretti e lavoro.


b) Finalità generali

Il progetto proporrà una prima riflessione sull'importanza del lavoro e sulle motivazioni che spingono le persone adulte a lavorare. La consapevolezza che la strada del lavoro sia una scelta alternativa alla via deviante del 'fuori legge' costituisce altra finalità principale di tale progetto. Questo progetto si prefigge anche un mettere insieme idee e progettazioni tra imprese profit e no-profit, mondo dell''associazionismo in generale, comprese le associazioni politiche presenti nel territorio. Il progetto si prefiggerà, inoltre, di:

1°- sensibilizzare la cittadinanza, ma in particolar modo il mondo delle imprese, affinchè si maturi la convinzione che un detenuto 'salvato' è sì una conquista per i servizi sociali e per l'interessato stesso, ma anche per l'intera società.;

2°- offrire una gamma d'informazioni e supporti legislativi ai detenuti o ex, e al mondo delle imprese, funzionali all'assunzione di persone in stato di detenzioni o usciti dal carcere.


c) Obiettivi specifici

Uno degli obiettivi specifici è quello di aumentare le opportunità di lavoro, alle dipendenze o in proprio, per le persone recluse o ex 'ristretti', mediante il lavoro di mediazione tra domanda e offerta, cioè tra detenuti e imprese. Il progetto inoltre ha come meta particolare quella di ideare possibilità di lavoro da parte di chi può offrire lavoro (Enti, Imprese, Associazioni di volontariato e/o politiche, Cooperative) assieme alle persone che effettivamente poi saranno impegnate nell'attività lavorativa (i 'ristretti'o ex reclusi).



d) Metodi

I metodi di lavoro saranno più di uno. Per la parte che riguarda l'illustrazione teorica sulle possibilità di lavoro per i soggetti 'svantaggiati' si proporranno lezioni frontali con l'ausilio di materiale cartaceo a disposizione dei partecipanti e altri strumenti come il computer, il video, la lavagna luminosa.

Per quanto riguarda invece l'aspetto operativo si useranno maggiormente metodi attivi, basati su lavoro di gruppo da dove potranno emergere strategie di intervento e veri e proprie proposte operative, il tutto con l'ausilio di domande stimolo che costituiranno la traccia dell'elaborato ad opera del responsabile-formatore del progetto.


e) Attivitá

Nella prima parte a) l'attività maggiormente presente sarà quella di ascolto e di illustrazione, con successivi interventi e dibattito; b) per la fase più operativa si proporranno attività di scambio di esperienze relative al lavoro in carcere e fuori e di individuazione di bisogni di entrambe le parti (chi offre e chi riceve opportunità lavorative). Mettendo insieme le capacità e le necessità delle parti, ('ristretti' e non) si potrà arrivare alla elaborazione della parte operativa del progetto, cioè la messa in atto delle proposte lavorative complete di luoghi, tempi e proposte di contratto vero e proprio.


f) Nome referente, sua appartenenza, eventuali collaboratori e conduttore del

sotto-progetto

Si contemplano più figure. La conduzione complessiva può essere data a un formatore che si avvarrà di altri collaboratori competenti in diritto ed economia, oltre a tenere una diretta comunicazione con il mondo carcerario.





g) Target

Il progetto è rivolto a tutti i carcerati in condizione di chiedere lavoro e alla cittadinanza, ma in particolar modo ad imprenditori (profit e no-profit), associazioni di volontariato e politiche.


h) Luogo

Possibilmente da tenere all'interno del carcere, per avvicinamento diretto alla realtà. Se la proposta creasse troppi problemi per la partecipazione di pregiudicati, o per altre difficoltà, si ipotizzerà qualche altro luogo, pubblico o privato.


i) Tempi

Il progetto si svolgerà in quattro incontri, debitamente pubblicizzati e documentati. Ogni incontro avrà la durata di circa tre ore.


l) Indicatori di valutazione

Saranno indicatori di valutazione:

* il numero dei partecipanti;

* le effettive proposte che saranno elaborate e portate a termine;

* la messa a confronto tra ciò che uno pensava prima e dopo il corso sulle

tematiche del progetto;

* gli abbandoni durante il corso;

* il clima durante lo svolgimento delle attività;

* i 'giudizi' espressi dai partecipanti, ricavati da eventuali questionari da far compilare e/o commenti dati a voce, sia in itinere, sia alla fine del percorso svolto.


m) Ipotesi di ripetibilitá

Si ipotizza di ripetere l'esperienza alla fine del triennio, fissando un periodo preciso che possa diventare appuntamento per la cittadinanza tutta.

3. Seconda ipotesi di sotto-progetto: Al lavoro con il tutor


a) Titolo

Il sotto-progetto si intitola Al lavoro con il tutor.


b) Finalità generali

La convinzione che rientrare nel mondo del lavoro o l'avvicinarsi per la prima volta possa costituire situazione di disagio e di non conoscenza, sia per la persona interessata, sia per chi offre l'opportunità di lavoro, ci porta a proporre la la costituzione di una cooperativa sociale là dove non esiste, e delle opportunità di formazione di tutor dove già esistente una struttura di supporto. Il tutor potrà aiutare la persona detenuta o ex carcerata a individuare opportunità di lavoro e potrà "accompagnarla" nel percorso d'inserimento lavorativo, o aiutarla al reinserimento al lavoro che precedentemente svolgeva.

Il tutor costituirà, inoltre, ausilio giuridico e relazionale per l'impresa che accoglie la persona 'reclusa'.


c) Obiettivi specifici

Si considerano obiettivi specifici del progetto:

* aiutare la persona a individuare i bisogni e i desideri nella scelta di un'attività lavorativa;

* individuare gli enti e/o imprese che offrono opportunità di lavoro;

* aiutare le persone nell'iter burocratico per l'assunzione o avvio attività;

* accompagnare anche fisicamente (per i primi giorni) il lavoratore alla sede di lavoro;

* svolgere azione di mediazione tra lavoratore e datore di lavoro;

* proporre alla persona 'disagiata' di tenere un diario quotidiano dell'andamento generale del rapporto di lavoro e delle difficoltà eventuali incontrate. Il diario costituirà strumento utile per la verifica in itinere e finale e aiuterà anche il tutor nella sua azione di monitoraggio;

* formare un equipe di tutor 'specializzati' a svolgere questo ruolo.


d) Metodi

I metodi di lavoro saranno più di uno. Si seguiranno lezioni frontali per la spiegazione della nuova figura del tutor e poi si proporranno delle attività più pratiche con le quali 'ristretti', datori di lavoro e tutor si confronteranno sul campo.


e) Attivitá

Si proporranno attività di ascolto e di scambio di esperienze, inoltre, per la parte più operativa ci saranno delle simulate di situazioni particolari, durante le quali i vari attori si confronteranno su problematiche reali.


f) Nome referente, sua appartenenza ed eventuali altri collaboratori e conduttore del sotto-progetto

Si prevede la figura di un formatore.


g) Target

Il progetto è rivolto sia a detenuti che lo desiderano e sono nella possibilità di scontare la pena in modo alternativo al carcere, sia ad ex detenuti che si stanno reinserendo nella società, sia agli imprenditori o soggetti in grado di offrire loro lavoro. Inoltre, il progetto è rivolto ad operatori sociali che vogliano intraprendere l'esperienza del tutor, a chi già svolge tale funzione (come esperienza formativa) e a chi fosse intenzionato a costituire una cooperativa/struttura di appoggio per queste persone (detenuti o ex).


h) Luogo

Carcere o altro luogo sufficientemente capiente, ma non esageratamente grande.


i) Tempi

I tempi per la preparazione e la formazione saranno di quattro incontri circa di tre ore l'uno; il progetto si concretizzerà poi con l'effettiva realizzazione dell'azione di tutoraggio che durerà per il tempo necessario (circa un mese), poi la persona interessata continuerà il cammino autonomamente.


l) Indicatori di valutazione

Saranno indicatori di valutazione del sotto-progetto:

* il numero dei partecipanti;

* la costituzione di eventuali cooperative sociali;

* il numero dei rapporti di lavoro iniziati con l'azione del tutor;

* la durata del rapporto di lavoro;

*la messa a confronto tra ciò che uno pensava prima e dopo il corso sulle tematiche del progetto;

* gli abbandoni durante il corso;

* gli abbandoni durante il lavoro;

* il clima durante lo svolgimento delle attività;

* i 'giudizi' espressi dai partecipanti, ricavati da eventuali questionari da far compilare e/o commenti dati a voce, sia in itinere, sia alla fine del percorso svolto.


m) Ipotesi di ripetibilitá

Il corso potrà avere scadenza semestrale, sia per la formazione di nuovi tutor, sia per l'avvio di nuovi rapporti di lavoro.



CASO Gianni, Uomini oltre le sbarre, Roma, Città Nuova Editrice, 1998, pp. 36-37.


SEVERI Paolo, 231 Giorni, Milano, Frontiera Editore, 2000, pp. 9-10.

Ibid., pp. 35-36.


Provincia di Asti.

SEVERI Paolo, 231 Giorni, Milano, Frontiera Editore, 2000, pp. 167-168.


"Nessuno Tocchi Caino" è una lega internazionale di cittadini e di parlamentari che, come ho già ricordato in una nota in introduzione ha come obiettivo principale l´abolizione della pena di morte nel mondo. È un'associazione senza fine di lucro, federata al Partito Radicale, fondata a Bruxelles presso il Parlamento Europeo nel 1993.

Il nome di Nessuno Tocchi Caino è tratto dalla Genesi, ed è stato fortemente voluto da Mariateresa Di Lascia, dirigente radicale, parlamentare e scrittrice celebrata, scomparsa nel 199 Nella Bibbia non c´è scritto solo 'occhio per occhio, dente per dente', c´è scritto anche: 'Il signore pose su Caino un segno perché non lo colpisse chiunque l´avesse incontrato' (Genesi 4, 15-16). Per l'associazione questo vuol dire appunto 'Nessuno tocchi Caino', che nessuno Stato può disporre della vita dei suoi cittadini, che nessuna esigenza di giustizia può consentirsi l´atto estremo della soppressione del reo.

Obiettivo principale di Nessuno Tocchi Caino è ottenere, attraverso mozioni parlamentari e una mobilitazione dell´opinione pubblica internazionale, una moratoria universale delle esecuzioni stabilita dalle Nazioni Unite.

Potrà consentire agli Stati di guadagnare il tempo necessario perchè si affermi nell´opinione pubblica e nelle leggi un nuovo diritto della persona: non essere uccisi a seguito di una sentenza o misura giudiziaria.

La campagna di Nessuno Tocchi Caino è partita dall´Italia, ed è oggi fatta propria dall'intera Unione Europea. Nel ´94, la risoluzione presentata in Assemblea Generale dal governo italiano è stata battuta per soli otto voti. Nel ´97, nel ´98, nel ´99, nel 2000 e nel 2001, invece, nella sede della Commissione per i Diritti Umani dell´Onu a Ginevra la moratoria è stata approvata e la pena di morte è stata iscritta tra le questioni che riguardano i diritti umani. È stata una grande vittoria che bisogna consolidare, perché la sospensione delle esecuzioni sia votata anche all´Assemblea Generale dell´Onu a New York. Nel novembre ´99, l´iniziativa pro-moratoria, attraverso la presidenza finlandese dell´Unione Europea, è arrivata in Assemblea Generale, ma all´ultimo momento l´Unione Europea ha rinunciato di portarla al voto. l programma di iniziative 2002/2003 di Nessuno Tocchi Caino è volto a ripresentare la risoluzione per la moratoria all´Assemblea Generale entro il 2003, e si propone di mobilitare in vista di questa data, innanzi tutto, l'opinione pubblica e i parlamentari attraverso:

*missioni nelle capitali europee per convincere l´Unione Europea a riportare all´Assemblea Generale dell´Onu lla proposta di moratoria;

*missioni in Nigeria, Botswana, Zambia, Corea del Sud, Giappone, India, Sri Lanka, Filippine, Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan, Libano, Autorità Palestinese e Stati Uniti, paesi tutti mantenitori;

*ferma la pena di morte via Internet, una campagna online di raccolta firme, promossa con Nexta.com, Oliviero Toscani e altri siti web, i quali manifesteranno con varie iniziative contro la pena di morte nel giorno in cui le firme raccolte verranno inviate all´Onu;

*la Nazionale Italiana Cantanti che ha deciso di promuovere una serie di eventi musicali e artistici fino al 2003 a sostegno della campagna di Nessuno Tocchi Caino (vedi la canzone "Nessuno Tocchi Caino" lanciata da Enrico Ruggeri a Sanremo a marzo di quest'anno);

*Live from Death Row, un´Opera multimediale in Germania, Belgio, Giappone, Corea del Sud e New York;

*assistenza legale per condannati a morte stranieri negli Stati Uniti, in collaborazione con l´International Criminal Justice Law Clinic (ICJLC) presso la Gonzaga Law School, Stato di Washington;

*una conferenza a Roma nel 2003 per valutare i risultati ottenuti alla fine dei due anni di iniziativa e programmare nuove azioni. Aderendo e quindi sostenendo tale associazione, i suoi principi e i suoi obiettivi, mi sembrava doveroso riportare le esperienze di lavoro di Valerio e Francesca all'interno di essa.

MAMBRO Francesca, Il bacio sul muro e altre storie, Milano, Sperling & Kupfer Editori, 2000, p. VIII dell'introduzione.

Ibid., p. IX.


Ibid., p. 72.

Ibid., p. 20

Ralph Waldo Emerson fu uno studioso, letterato e poeta vissuto in America nel secolo scorso (1803-1882).

DONATI Pierpaolo, Il lavoro che emerge, Torino, Bollati Boringhieri, p. 125.


VITALI Monica, Carcere: non lavorare stanca, Atti della giornata di studi, Padova, 9 maggio, 2003, p. 10.


MOSCONI Giuseppe, Carcere: non lavorare stanca, Atti della giornata di studi, Padova, 9 maggio, 2003, p. 35.

ROMANO Carlo Alberto, Carcere: non lavorare stanca, Atti della giornata di studi, Padova, 9 maggio, 2003, pp. 6-7.

ROSELLI Licia, Carcere: non lavorare stanca, Atti della giornata di studi, Padova, 9 maggio, 2003, pp., 7-10.

VITALI Monica, Carcere: non lavorare stanca, Atti della giornata di studi, Padova, 9 maggio, 2003, pp., 10-12.

Il corsivo e il centrato sono miei, per evidenziarne il contenuto inerente alcune delle argomentazioni che andranno a costituire il progetto da me ideato e di seguito illustrato.

CARRARO Mario, Carcere: non lavorare stanca, Atti della giornata di studi, Padova, 9 maggio, 2003, p. 16.


VETTORAZZI Giulio, Carcere: non lavorare stanca, Atti della giornata di studi, Padova, 9 maggio, 2003, pp. 17-18.


SABBADIN Silvano, Carcere: non lavorare stanca, Atti della giornata di studi, Padova, 9 maggio, 2003, pp. 18-19.

FAVERO Ornella, Carcere: non lavorare stanca, Atti della giornata di studi, Padova, 9 maggio, 2003, pp. 19-20

RUGGERI Ruggero, Carcere: non lavorare stanca, Atti della giornata di studi, Padova, 9 maggio, 2003, p. 20.

BERTOLAZZI Carmen, Carcere: non lavorare stanca, Atti della giornata di studi, Padova, 9 maggio 2003, pp. 20-22.

MORELLI Francesco, Carcere: non lavorare stanca, Atti della giornata di studi, Padova, 9 maggio 2003, pp. 23-2

NIERI Luigi, Carcere: non lavorare stanca, Atti della giornata di studi, Padova, 9 maggio 2003, pp. 24-26

ROSELLI Licia, Carcere: non lavorare stanca, Atti della giornata di studi, Padova, 9 maggio 2003, p. 32


MARGARA Alessandro, Carcere: non lavorare stanca, Atti della giornata di studi, Padova, 9 maggio 2003, p. 35.

MOSCONI Giuseppe, Carcere: non lavorare stanca, Atti della giornata di studi, Padova, 9 maggio 2003, pp. 35-36.

TRAMMA Sergio, Educazione degli adulti, Milano, Guerini e Associati, 1997, p. 127.

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