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La concezione di Follia nel corso della storia




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La concezione di Follia nel corso della storia

'La follia è la condizione più diffusa tra gli uomini.'

Erasmo Da Rotterdam                      





Dopo la concezione platonica, che vedeva la Follia come strumento utile alla creazione artistica, l'argomento non è certo stato accantonato ed ha preso punti di vista diversi nel corso dei vari periodi storici.


Periodo Medioevale: tra scienza e magia

Alla fine del II secolo d.C. si affermano nel mondo della medicina europea le idee di Galeno di Pergamo, medico di origini greche che visse ed operò presso le corti latine di Marco Aurelio, Lucio Vero e Settimio Severo. Rifacendosi alle teorie ippocratiche secondo le quali la malattia e la salute di una persona dipendevano da fattori e circostanze umani e non da superiori interventi divini, trova come causa del disturbo mentale uno squilibrio umorale del cervello, dando dunque una spiegazione organica della malattia mentale.


Alle teorie scientifiche su contrappongono quelle legate alla magia, arte fortemente praticata durante il Medioevo. Secondo la superstizione il disturbo mentale era da collegarsi al contatto con particolari soggetti ed animali oppure riconducendolo alle varie congiunzioni astrali. I rimedi prevedevano l'uso di amuleti e di speciali formule o l'attuazione di riti magici.


Una terza spiegazione arriva dal mondo della religione, per il quale il soggetto che manifesta disturbi psichici è posseduto da spiriti maligni oppure viene classificato come indemoniato. In questo caso interviene l'intera comunità religiosa pregando, richiedendo un esorcismo oppure arrivando addirittura a perseguitare i soggetti ed a condannarli al rogo.

Questa ultima spiegazione è quella che avrà maggior successo nel periodo medioevale, in cui la follia sarà vista come segno del peccato. Il folle però è anche visto come persona in grado di vedere realtà superiori, colme di misteri ed è dunque associato alla figura del mago. È per questo motivo che a partire dalla fine del 1400 molte persone furono bruciati sul rogo, accusati di stregoneria. Tra loro molti erano affetti da disturbi mentali.


1600 e 1700: il grande internamento

Durante questo periodo le città si sviluppano prendendo le forme proprie della civiltà moderna. Parigi è la città che ha maggiore influsso sul resto dell'Europa e ciò che avviene nella capitale francese troverà riscontro nel resto del continente. L'Hospital General ed altre strutture simili liberate ormai dai lebbrosi, vengono utilizzate per ospitare i soggetti rifiutati dalla società. Vengono qui relegati libertini, prostitute, maghi, mendicanti, omosessuali, aspiranti suicidi, sifilitici, atei e folli. Tutte quelle categorie quindi che vanno contro la razionalità tipica del Seicento.

Inizialmente non si tratta di una istituzione medica, nonostante il nome, ma di una istituzione amministrativa con poteri autonomi. Nel 1650 un parigino su cento vi si troverà rinchiuso.

Gradualmente viene a perdersi l'individualità del soggetto ed il folle, il povero ed il criminale vengono posti sullo stesso piano: tutti e tre sono visti come una minaccia per la comunità. È però anche la prima volta che la società si fa carico della follia in quanto tale.



1800: nascita del manicomio

Dopo la massificazione che ha caratterizzato i secoli precedenti, con l'arrivo dell'Illuminismo e della Rivoluzione Francese si ha finalmente una separazione tra i folli ed i criminali e riprendono le teorie scientifiche sulla follia come vera e propria malattia, pensando anche al trattamento in termini medici.

Fu Philippe Pinel a separare i folli dai criminali creando il primo manicomio, istituzione che si basa su obbiettivi di cura dei pazienti e di ricerca medica. È tuttavia ancora forte il legame con i reclusori del passato a causa della persistenza dell'idea di controllare i malati, soggetti che la società ancora non accetta e tenta di escludere.


Prima metà del 1900: nascita della psicoanalisi

Nel 1904 viene in Italia formulata la prima legge nazionale sull'assistenza psichiatrica. Essa però parla più del mantenimento di un ordine pubblico che dell'assistenza sociale vera e propria, anteponendo la protezione sociale alle cure mediche di cui i paziente necessiterebbero. I ricoverati sono quindi persone ritenute pericolose e "di pubblico scandalo".  Il paziente psichiatrico assomiglia molto ad un detenuto ed il suo ricovero viene stabilito dalla Magistratura o dalla Questura locale. Spesso l'internamento era a vita e ciò è dovuto al fatto che il direttore del manicomio fosse responsabile del paziente dimesso dal punto di vista penale e civile.

L'istituzione manicomiale perfeziona sempre più le proprie tecniche di reclusione arrivando ad isolare non solamente i pazienti, ma anche se stessa, divenendo cosi una Istituzione totale specializzata nella funzione sociale di "contenitore della follia", ma priva di un programma di cura e di riabilitazione.

Verso la fine degli anni Trenta cominciano a diffondersi le terapie di shock, secondo l'ipotesi che un trauma elettrico ipoglicemico potesse avere effetti terapeutici.


Nello stesso periodo storico, in cui l'istituzione manicomiale resta pressoché immobile e vittima di pregiudizi sociali, si avvia la più grande rivoluzione storica nel campo della psicologia ed il primo nome da ricordare è quello del neurologo austriaco Sigmund Freud. Il cambiamento però non è portato avanti da una sola persona o solamente dalla nascita della psicoanalisi; esso comprende anche studi di antropologia e della fenomenologia, che permettono di comprendere meglio il concetto di identità personale, del rapporto tra individuo e società e di delimitare i confini tra salute e malattia mentale.




Seconda metà del 1900

Dalla seconda metà degli anni Cinquanta viene introdotta la somministrazione di psicofarmaci i quali, indipendentemente dagli esiti curativi, hanno l'effetto di attenuare i sintomi e dunque di rendere controllabili i momenti di crisi. Risultano essere un ulteriore strumento di controllo sul paziente.


Alla fine della seconda Guerra Mondiale, sulla scia dei progressi teorici, si sviluppano le prime comunità terapeutiche, che pongono come elemento fondamentale per la cura lo stretto rapporto tra il personale ed i pazienti, i quali partecipano alle attività della comunità e contribuiscono alle decisioni che li riguardano. Si ha dunque un radicale cambiamento rispetto alle istituzioni precedenti, che si ponevano come obbiettivo principale il controllo sui pazienti.
Nello stesso periodo prendeva vita in Francia la psichiatria di settore.
Sono iniziative con una sistematicità ancora da perfezionare, ma si distaccano da quelle precedenti superando il pregiudizio secondo il quale la malattia mentale deve essere vista in chiave organicistica aprendo cosi la strada ad interpretazioni che prendono in considerazione il contesto sociale e le componenti psicologiche individuali.

Si avvertono cosi sempre più i limiti della psichiatria ottocentesca ed è in questo scenario che si inserisce il movimento italiano di negazione delle istituzioni manicomiali, criticate in quanto non curano il paziente ma contribuiscono allo sviluppo della sua patologia a causa dei metodi di cura adottati.

Cosi, nel 1968 viene approvata la legge Mariotti, con la quale vengono istituiti enti ospedalieri con vaste finalità ospedaliere e classificati gli ospedali per specialità ed importanza (comunali, regionali, provinciali) ed edificati preferibilmente nelle zone periferiche delle città, per godere di ari pulita, sfuggendo cosi all'inquinamento causato da officine ed industrie. In seguito all'approvazione della legge Mariotti viene costituito il Fondo Nazionale Ospedaliero e attribuita ad ogni regione il compito di emanare norme legislative riguardanti l'assistenza sanitarie ed ospedaliera, nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato Italiano.


È tuttavia ancora una fase di passaggio, perché è con la legge 180/78 conosciuta come legge Basaglia e approvata dieci anni più tardi, che il percorso si compie. Questo provvedimento impone la chiusura dei manicomi e regolamenta il trattato sanitario obbligatorio, istituendo servizi di igiene mentale pubblici. Successivamente la legge confluì nella legge 883/78 che istituì il Servizio Sanitario Nazionale:


" La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e

interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale.

La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della

dignità e della libertà della persona umana."

Articolo I (i principi, punti 1-2)


Grazie al lavoro di Franco Basaglia, diventato direttore dell' Ospedale Psichiatrico di Trieste, ed al suo impegno nella riabilitazione nei manicomi e nella preparazione di un adeguato servizio territoriale esterno al manicomio, nel 1977 avviene la prima chiusura a livello mondiale di un manicomio.

Finalmente l'attenzione viene incentrata sulla malattia del paziente che viene seguito ed assistito a domicilio e presso gli ambulatori per la terapia ordinaria. Sono inoltre previsti bravi ricoveri qualora si presentasse una crisi. Coloro che erano destinati ad una reclusione permanente possono tornare in famiglia oppure in piccole comunità.

La legge Basaglia introduce quindi porta allo smantellamento dei manicomi in quanto non possono essere considerati come luoghi di cura, all'introduzione di un'assistenza a livello territoriale, al rispetto della persona sofferente ed alla fiducia nella possibilità di essere curata. Inoltre si supera anche l'idea secondo la quale il folle sarebbe un soggetto pericoloso per la società, idea sulla quale si basavano i manicomi; si prende coscienza anche del fatto che, per superare il problema esso va affrontato dove nasce il disagio, quindi nella società e non fuori da essa.

La situazione del paziente cambia radicalmente: esso viene ora riconosciuto come cittadino ed in quanto tale non perde i suoi diritti e non viene allontanato dal proprio ambiente vitale. Il provvedimento di ricovero non è più preso dalla Magistratura, ma deve essere specificato da due medici, disposto dal sindaco e convalidato dal giudice tutelare, onde evitare abusi.




31 dicembre 1996:  verso la chiusura definitiva

18 anni dopo la legge Basaglia, 21 ex ospedali psichiatrici su 76 ancora in funzione cesseranno di esistere, secondo la scadenza imposta dalla Finanziaria. le regioni ritardanti però sono molte e non si arriva ad un vero e proprio smantellamento dei manicomi fino al 1999, anno in cui i 1.936 pazienti ricoverati nelle 12 strutture ancora aperte verranno trasferiti in nuovi centri psicosociali diurni, in comunità protette oppure nei day hospital.


Un posto per tutti

Strutture come manicomi non ospitarono quindi solo persone affette da malattie mentali, ma accolsero anche coloro che con il disagio psicologico avevano forse bene poco, come criminali oppure libertini.

È interessante notare come in questo tipo di strutture vennero internate personalità considerate di rilievo ancora oggi, come il filosofo tedesco Friederich Nietzsche, sulla cui malattia ancora si discute: alcuni studiosi hanno attribuito l'origine della follia alla sifilide (contratta durante un incontro sessuale con una meretrice) che avrebbe portato ad una progressiva paralisi del sistema nervoso. Altri invece sostengono che la causa del collasso nervoso sia da attribuire all'enorme tensione dovuta allo sforzo creativo e filosofico svolto negli anni precedenti.

Un altro esempio è rappresentato da Van Gogh, il quale dipingeva anche nei periodi in cui si faceva internare volontariamente negli ospedali psichiatrici.
















Nietzsche al manicomio di Jena












"C'è sempre un grano di pazzia nell'amore, così come c'è sempre un grano di logica nella follia"

Friedrich W. Nietzsche


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