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Krakatoa - la furia della terra




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KRAKATOA - LA FURIA DELLA TERRA
























"L'isola dalla montagna a punta"


Il Krakatoa era uno stratovulcano situato sull'isola di Rakata, nel mezzo delle stretto della Sonda che divide l'isola di Giava con quella di Sumatra, nell'attuale Indonesia.

La sua presenza sulla terra rimase a lungo ignorata fino al tragico 28 agosto 1883, quando, dopo una lunga eruzione di tipo pliniano, esplose con una potenza di 200 megatoni, pari a 15.000 bombe atomiche, lanciando in aria 25.000 metri cubi di roccia all'altezza massima di 38 km e uccidendo 37.000 persone tra indigeni e coloni olandesi.

La sua violenza e lo sviluppo delle tecnologie di comunicazioni fecero diventare ben presto il Krakatoa, il più famoso vulcano dell'età moderna.

Prima del 1883 era composto da 3 coni, Rakata, Danan e Perboetawan. Ora è rimasta una parte del Rakata e dove si trovava Danan, è nato Anak Krakatoa (il figlio del Krakatoa).


LA CULLA DEL FUOCO


L'Isola di Rakata su cui una volta sorgeva imponente il Krakatoa, si trova, come già detto, a soli 50 chilometri dalla costa di Giava, lembo di terra, generato completamente da colate laviche e da forti eruzioni esplosive. L'isola indonesiana ha infatti la più alta densità di vulcani in piena attività (21) tra cui ricordiamo oltre al Krakatoa, il Tambora, che nel 1815 sparò nell'aria 90 chilometri cubi di polveri, provocando il famoso "anno senza estate" del 1816 (a Londra nevicò a luglio e la temperatura globale si abbassò di 1-2 gradi).


Ma come è possibile questa particolare concentrazione di "montagne infuocate"? Per una corretta spiegazione bisogna risalire alla teoria della tettonica a zolle.

La terra nel suo complesso è divisa in numerose placche (da 6 a 36 ma gli scienziati moderni ne considerano 12) che scivolano su uno strato meno denso chiamato astenosfera alla velocità di qualche centimetro all'anno e che presentano ai bordi diverse tipologie di attività:

Margini costruttivi: le dorsali oceaniche, ossia margini in cui abbiamo la creazione di nuovo materiale.

Margini distruttivi: le fosse oceaniche, dove abbiamo lo sprofondamento della litosfera nel processo di subduzione.

Margini conservativi: lunghe faglie trasformi, lungo le quali scorrono due placche, generando forti attività sismiche.

L'isola di Giava si trova in prossimità del margine tra l'enorme placca eurasiatica e quella indo-austrialiana. A 300 chilometri dalla costa , lo scienziato olandese dell'università tecnica di Delft Felix Vening Meinesz scoprì nel 1927 una forte diminuzione del campo gravitazionale, ovvero che il fondale marino cominciava a scendere con una pendenza media del 10% per arrivare alla profondità di 8000 metri sotto il livello del mare.


La fossa in questione è stata in seguito chiamata fossa di Giava ed è la causa di tutti le attività sismiche e vulcaniche presenti sull'isola.

La sottile linea che divide le due imponenti placche è quindi un margine distruttivo, ossia una fossa di subduzione. Per zona di subduzione si intende la striscia di territorio relativamente ridotta nell'ambito della quale si scontrano i materiali in movimento. La litosfera oceanica, formata  in prevalenza da basalto e gabbri, fredda e densa, scivola, grazie all'azione fluidificante dell'acqua, sotto la litosfera continentale, più leggera, lungo una linea che porta la crosta all'interno della terra ,chiamata superficie di Benioff, scendendo fino a 600-700 km di profondità. Questa discesa di materiale non avviene senza attrito, perciò lungo la superficie di Benioff si trovano spesso gli ipocentri di terremoti che liberano l'energia accumulata in profondità (tra questi il terremoto che ha generato il gigantesco Tsunami del 2003, abbattutosi proprio su quelle aree colpite 120 anni prima dall'esplosione del Krakatoa). Nel tuffo che porta il materiale oceanico verso il centro della terra, una parte si fonde, a causa dell'acqua che abbassa il punto di fusione, tra i 50 km e i 200 km di profondità, creando così del magma fortemente viscoso e gassoso, chiamato magma anatettico.

Il magma risale verso la superficie spinto dai gas, anidride carbonica e vapore, provocando un aumento di pressione fino a ad emergere con l'irruenza di un torrente dalla fenomenale potenza esplosiva, dando origine ad un tipico vulcano delle zone di subduzione. Ecco perché il Krakatoa esplose. E non è il solo. Il 94% dei vulcani visibili in superficie è di origine convergente. Tra questi vanno ricordati il Nevado de Ruiz, il Pinatubo e il St. Helens.


FUOCO DALL'ISOLA


Grazie ad alcune testimonianze, solo quattro precedenti eruzioni del Krakatoa risultano verosimili. Tuttavia una di esse è ritenuta improbabile e gli scienziati sono concordi nel ritenere che non sia avvenuta affatto, sulla seconda abbiamo sufficienti  prove concordanti, della terza disponiamo d'alcune prove poco affidabili e molte fantasiose. L'unica, di cui siamo assolutamente certi, è la quarta, quella del 1883.


Eruzione del 414 d.C.


Spesso citata come prima attività del vulcano indonesiano, dispone di una sola fonte per essere verificata, ossia il monumentale libro dei re, del poeta cortigiano del diciannovesimo secolo Raden Ngabahi Ranggawarsita che si propose nel 1869 di scrivere un enciclopedia esaustiva sull'isola di Giava:


il mondo intero fu scosso fin dalla fondamenta, e si scatenarono violenti boati di tuono accompagnati da forti piogge e tremende tempeste, ma il diluvio anziché estinguere le fiamme che eruttavano dal Kapi, ne aumento il divampare; il fragore era spaventoso, e infine il Kapi esplose con un ruggito terribile, andò in pezzi e sprofondò nelle viscere della terra. Le acque del mare si innalzarono e inondarono le nuove terre emerse, allagarono le campagne ad est del monte Batuwara fino al monte Raja Basa, morirono annegati e furono trascinati via con tutti i loro possedimenti.


Gli scienziati rimasero scettici e difficilmente accettarono come vera la descrizione di Ranggawarsita, inoltre il monte Kapi non è mai stato identificato (il nome Krakatoa era già in uso a quel tempo, perché modificarne il nome?), l'autore fa riferimento ad una data precisa nonostante gli scritti dell'antica storia giavese siano spesso tra loro contraddittori, e soprattutto non esiste alcun'evidenza geologica del fenomeno, nessun granello di polvere tra i ghiacci antartici, nessuna riduzione del diametro degli anelli nei tronchi vegetali.

Per questi e per altri numerosi motivi, gli esperti tendono ad accantonare la possibilità di un'eruzione del 414 d.C. e a farla coincidere con la successiva eruzione più probabile, ossia quella del 535 d.C.


Eruzione del 535 d.C.


I vulcani, che diffondono nell'atmosfera immense quantità di polveri, lasciano due tipi di tracce facilmente riconoscibili. Nei ghiacci polari ne restano intrappolate sottili strisce; inoltre, poiché il pulviscolo disperso nell'atmosfera provoca un abbassamento della temperatura in varie zone del pianeta, il ritmo di crescita degli alberi si fa più lento e gli anelli all'interno appaiono di conseguenza più vicini.

La probabile eruzione del 535 d.C. si basa quindi su due prove fondamentali: le numerose evidenze geologiche che segnalano una brusca diminuzione della temperatura e un aumento della concentrazione di polveri sulfuree tra il 510 d.C. e il 560 d.C. e l'assenza di notizie storiche dal 530d.C. al 540d.C,. come se gli storici, prima di descrivere il corso degli eventi, abbiano prima pensato, come il resto della popolazione, alla loro sopravvivenza.

Per risolvere il dubbio dei geologi, nel 1999, lo specialista sul Krakatoa presso l'università di Rhode Island, Haraldur Sigursson, partì per una spedizione diretta sul vulcano. Sigursson prelevò campioni di carbone dalle colate laviche più antiche dell'isola di Rakata (i resti del Krakatoa) per esaminarli attraversamento la datazione al Carbonio 14. I risultati risolsero la questione solo in parte . Le combustioni del carbone, in seguito all'esperimento, avevano avuto luogo tra l'anno 1 e il 1200 d.C., i primi 1200 anni del cristianesimo, ma non verificarono se l'eruzione fosse avvenuta il 414 d.C., il 535 d.C. o in un'altra data.

Ad attirare l'attenzione della massa su una possibile eruzione del Krakatoa, prima del 1200, intervenne il documentario televisivo Catastrofe, del londinese David Keys. La trasmissione televisiva sosteneva con grande enfasi che l'eruzione del Krakatoa del 535 non solo si era verificata, ma aveva causato un numero straordinario di avvenimenti, in apparenza non legati al cataclisma, tali da mutare le sorti del mondo.

Il programma dimostrava come i cambiamenti climatici provocati da una possibile eruzione del Krakatoa, potesse aver generato eventi di enorme portata quali il crollo dell'impero romano, lo scoppio della peste diffusa dai ratti, le miserie dei secoli bui, la nascita dell'Islam. Molti degli argomenti a sostegno di tali eventi erano frutto di mere congetture ma ebbero perlomeno il merito di attirare l'attenzione dell'opinione pubblica su quella che era stata la storia  dell'isola dalla montagna a punta.


Eruzione del 1680 d.C.


Anche di questa eruzione abbiamo poche prove che non sono certo modello di esattezza scrupolosa. Al fenomeno assistettero solo tre europei: Johan Vogel, saggiatore d'argento, lo scrittore Elias Hesse e l'anonimo capitano di un veliero mercantile sulla rotta per Batavia. I testimoni tratteggiarono un'eruzione vulcanica ricca di particolari coloriti, ma non suscitarono l'attenzione dei superiori al castello. Qualcosa accadde, ma qualunque  fosse la sua natura, si trattò con ogni probabilità di un evento molto meno rilevante della probabile eruzione del 525 e di quella avvenuta 203 anni dopo.


1883. QUANDO LA MONTAGNA ESPLOSE


Gli ultimi attimi del Krakatoa durarono esattamente 20 e 56 minuti, e culminarono con la devastante esplosione alle 10.02 di lunedì 27 agosto 1883. Il conto alla rovescia invece di questa gigantesca bomba a orologeria partì domenica alle 13.06.

In un giorno festivo volto al sereno riposo, gli abitanti delle isole furono sconvolti da un boato improvviso e da forti scosse, scosse che diversamente da quelle sismiche si propagavano solo tramite l'aria. Dalla cima del vulcano si alzarono enormi sbuffi di fumo bianco, che salivano per chilometri raggiungendo la stratosfera, e la superficie del mare si alzava e si abbassava con energia a scatti improvvisi e regolari, agitando le acque in modo innaturale. I fenomeni destarono la preoccupazione di coloni e indigeni, ma erano solo una piccola prova, in attesa della fine.

Alla cinque di domenica pomeriggio, un'ora prima del crepuscolo in circostanze normali, regnavano le tenebre più fitte sulla costa occidentale di Giava. Cominciarono allora a piovere dal cielo massicci frammenti di pietra pomice. Un'idea della situazione attorno all'isola si può dedurre dai racconti dalle navi che attraversarono lo stretto tra il crepuscolo e le 10.02.

William Logan, capitano della Berbice scrisse:


Tuoni e lampi peggioravano sempre più. I bagliori esplodevano tutto intorno alla nave. Sul ponte precipitavano in continuazione sfere di fuoco che scoppiavano in una miriade di scintille.. Il timoniere fu colpito da  forti scariche al braccio. Il rivestimento di rame del timone si arroventò per via dell'intensa attività elettrica.


L'elettricità dell'aria, causata dalla forte concentrazione di polvere di ferro e magnetite nell'aria fu causa di problemi anche per la nave britannica Medea che descriveva così la sua traversata nell'oscurità.


Di tanto in tanto un marinaio si lamentava di essere stato colpito: allora mi sforzavo di calmarlo, e cercavo di distrarlo, finché io stesso, aggrappato alle sartie con una mano, chino per ripararmi da uno scroscio accecante di pioggia di cenere, dovetti mollare la presa a causa della forte scossa elettrica che mi serpeggiò lungo il braccio. Non riuscì a muoverlo per parecchi minuti.

Ma la descrizione più dettagliata ci viene fornita dal capitano Watson del brigantino mercantile Charles Bal, che rimase a lungo a una quindicina di chilometri dal Krakatoa, più vicino di qualunque altro sopravvissuto.


Era una notte spaventosa; la caduta accecante di sabbia e pietre, tenebre fitte intono a tutti noi, interrotte soltanto dai continui bagliori, e gli incessanti ruggiti del Krakatoa rendevano la nostra situazione davvero terribile. Alle 23. avvistammo l'isola. Tra la terra e il cielo sembravano dispiegarsi catene di fiamme, mentre dalla zona di sud-ovest parevano rotolare in continuazione sfere di fuoco bianco. Il vento, per quanto teso, soffiava caldo e soffocante, carico di esalazioni sulfuree, portando con sé un odore di braci ardenti: una parte dei materiali infuocati ci cadeva addosso come una pioggia di tizzoni di ferro.


Finché alle 10.02 del 28 agosto 1883 Danan esplose, sparando in aria 25000 metri cubi di acqua, causa delle morte di 36.417 persone e di migliaia di feriti, uccisi in un modo alquanto insolito per un vulcano.



I danni

Di solito le eruzioni vulcaniche nelle varie zone del pianeta colpiscono in modo diretto e prevedibile, tramite colate piroclastiche, piogge di cenere, allagamenti causati dalla forte quantità di vapore emessa nell'aria o giganteschi pezzi di montagna scagliati nell'aria, detti tephra. Nel caso del Krakatoa la moltitudine dei morti va attribuita ai giganteschi tsunami provocati dall'esplosione. Solo mille persone morirono direttamente per la cenere ardente, le restanti migliaia furono sorprese dalla potenza dell'oceano che travolse ogni cosa sul suo cammino. L'ondata responsabile della tragedia, sicuramente scaturita dall'esplosione finale, raggiunge la costa in mezz'ora alla velocità di 96 km/h, alta dai 36 ai 48 m, portando con se i resti dell'isola e ammassi di barriera corallina strappati dal fondo (il faro di Anjer fu distrutto da un blocco di 600 tonnellate), e penetrò fino a 10-15 km nell'entroterra. Gli scheletri viaggiarono su zattere di pietre pomice per tutto l'oceano indiano, toccando L'india e tutta l'Africa sudorientale.


Altra particolarità dell'eruzione fu il frastuono provocato dalla detonazione delle 10.02. Il rumore fu scambiato in molti paesi per cannonate di navi e raggiunse l'isola di Rodriguez, 5000 km a ovest del luogo dell'esplosione, mentre i pochi superstiti nello stretto della Sonda riportarono gravi danni ai timpani. A oggi l'eruzione del Krakatoa rimane ancora il rumore più grande mai udito sulla terra.

La vita di due isole intere fu sconvolta. Oltre ai morti ci furono quasi centomila feriti, le cittadine sulle costa a ovest di Giava e a sud di Sumatra furono completamente demolite, i raccolti andarono perduti a causa di una stagione particolarmente fredda e di una settimana di continue piogge e tenebre. Inoltre, la tragedia innescò violenti moti di protesta contro la dominazione olandese e un intenso fondamentalismo islamico: pochi giorni prima il mistico locale Abdul Karim profetizzò l'avvento di un cataclisma: "Le malattie colpiranno il bestiame. Ci saranno inondazioni. Cadrà una pioggia del colore del sangue. E i vulcani esploderanno, e la gente morirà." E si dà il caso che a Giava si stessero verificando tutte le predizioni dell'haji. Le mandrie venivano decimate dalla babeiosi, i villaggi erano stati colpiti da imponenti tsunami, la pioggia era marrone per la cenere, l'isola di Krakatoa era esplosa e 36.417 persone erano morte.


Gli effetti su scala globale


Altre conseguenze del cataclisma, di tutt'altro genere, furono visibili a Londra, New York e altre capitali, con effetti molto teatrali e assolutamente innocui: L'immensa quantità di polveri scagliate nell'aria si disseminarono in tutto il mondo, per parecchi anni (dai 4 ai 11) provocando una serie di tramonti spettacolari.

William Ashcroft sfruttò l'occasione disegnando, tra il 1883 e il 1887, 553 acquerelli, tutti rappresentanti il cielo londinese, tinto di colori rosso-arancione. Le sue opere sono conservate alla Royal Society di Londra come prove scientifiche. In un secolo dove la fotografia non era ancora a colori, i tramonti di Ashcroft rappresentano un'ottima prova della rifrazione dei raggi solari in seguito alla presenza di polveri nella stratosfera.        

















Nel 2004, la forte tonalità di questi tramonti, i colori vorticosi e il periodo 1883-1894 portò Donald Olson, professore di fisica e astronomia alla Texas State University, a ipotizzare che Munch, nel suo celebre dipinto "l'urlo", si fosse ispirato proprio ai tramonti rosso-arancione di quegli anni per stendere quel tramonto angosciante che rimane tanto impresso a chi ha la fortuna di vedere il quadro dal vivo.


"L'URLO": GRIDO DI ANGOSCIA


Edvard Munch nasce il 12 dicembre 1863 a Löten, in Norvegia. L'anno successivo si trasferisce a Christiania (l'odierna Oslo) e 5 anni più tardi la madre muore di tubercolosi. La stessa triste fine accompagna nel 1877 la sorella. Sono i primi dei molti appuntamenti con la malattia e con la morte che caratterizzarono tutta vita dell'artista. Accolto da drastici giudizi da parte della critica, le sue opere iniziarono a essere accettate nel 1914. Nel 1937 il regime nazista definisce "degenerate" 82 opere del norvegese, accusa che lo costringe ad un breve rifugio negli Stati Uniti. Il 23 gennaio 1944 muore a Ekely, nei pressi di Oslo, lasciando tutte le sue opere al municipio della capitale.


E' il pittore dell'angoscia per antonomasia, lui stesso ammise di interessarsi a soli due temi: l'amore (visto come affiorare di un'animalità primitiva insopprimibile) e la morte. Le radici della sua arte sono prevalentemente letterarie, ammiratore di Kierkegaard, (da cui attinge la teoria dell'angoscia come sentimento dell'incertezza e della possibilità) e dei drammi di Ibsen.


Il suo espressionismo (fonte di ispirazione per il successivo movimento "Die Brücke") si articola attraverso l'abbandono del chiaroscuro, del disegno e di ogni forma di tradizionalismo, con un ampio ricorso a simboli inquietanti. Dove il simbolismo di Munch si fa più maturo è indubbiamente nel celebre "L'urlo", una delle opere più inquietanti. Il senso profondo del dipinto lo troviamo espresso in alcune pagine di un suo diario:


Camminavo lungo la strada con due amici, quando il sole tramonto, il cielo si tinse all'improvviso di rosso sangue, mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un recinto, sul fiordo neroazzurro e sulla città c'erano sangue e lingue di fuoco, i miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura, e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura.


La scena è ricca di riferimenti simbolici. L'uomo in primo piano esprime nel suo grido il dramma dell'umanità e il dolore della solitudine. Il ponte simboleggia gli ostacoli dell'esistenza. Mentre gli amici, che incuranti proseguono la loro passeggiata, rappresentano la falsità dei rapporti umani.

L'uomo che, inascoltato, leva l'urlo, è un mostro serpentino, scheletrico e immateriale, poiché la sua bocca non sembra avere profondità, senza capelli, sfigurato come un cranio repellente; le narici sono ridotte a due fori, le labbra nere rimandano ai cadaveri. Il grido sgraziato e inascoltato dagli uomini sembra propagarsi nelle piaghe del fiordo e del cielo. Il dipinto, che destò enorme scalpore, doveva far parte di un'opera più complessa, divisa in quattro temi: Il risveglio dell'amore, L'amore che fiorisce e passa, Paura di Vivere, La morte. Probabilmente "L'urlo" fa parte della terza tematica.




Ritornando agli effetti del Krakatoa, Donald Olson e la sua spedizione, attraverso lo studio dei diari del pittore norvegese, delle sue abitudini, e dei luoghi in cui amava passeggiare con gli amici al calare del sole, riuscì a individuare esattamente la posizione in cui si trovava l'artista 120 anni prima ed effettivamente risultò che l'artista stava guardando in direzione sud-ovest, ossia da dove provenivano le polveri del Krakatoa.









TRA PROGRESSO E SOCIETÀ DI MASSA: LA FORTUNA DEL KRAKATOA.


In seguito alla crisi del 1873, ci fu in Europa un progresso scientifico, tecnico ed economico da cui scaturì il futuro capitalismo. In campo economico nacquero le grandi aziende, che monopolizzavano la produzione di determinati prodotti; in Germania il complesso Krupp  impiegava più di 20.000 operai mentre in Usa la Standard Oil di John Rockfeller controllava il 90% della produzione petrolifera del paese. La corsa ai nuovi mercati per i propri prodotti, fuori dalla aree industrializzate, fu comune a tutte le economie più avanzate, corsa che aprì l'età dell'imperialismo economico e raggiunse tutte le colonie europee, che si adattarono alle importazioni europee puntando sulla monocoltura.

In ambito scientifico, la vera novità del periodo fu l'applicazione sempre più in larga scala delle scoperte ai vari rami dell'industria. Scienziati di grande prestigio si misero al servizio dell'industria moltiplicandone gli effetti pratici e sviluppando le industrie "giovani" quali la chimica, la metallurgia, la siderurgia e l'elettrotecnica. Nel frattempo fecero la loro prima apparizione oggetti di uso domestico che sarebbero diventati parte integrante della nostra vita quotidiana. La lampadina, la macchina da scrivere e soprattutto il primo antenato del telefono: il telegrafo.

Il telegrafo ebbe un'importanza fondamentale nella diffusione delle notizie. In pochi gironi gli scienziati inglesi e i giornalisti del Times furono informati dell'eruzione. Tuttavia la funzionalità del telegrafo era ancora dipendente dai lunghi fili oceanici (il telegrafo senza fili fu inventato solo nel 1895 da Guglielmo Marconi) e dalla impermeabilità della guttaperca, sostanza simile alla gomma molto abbandonate (per una strana coincidenza) nel Borneo e nell'isola di Giava. Pertanto dopo l'eruzione molti dei fili che collegavano Batavia con il resto del mondo furono tranciati, tuttavia in breve nuovi cavi furono messi sulle profondità oceaniche e ricominciò il flusso di informazioni verso il vecchio continente.


La diffusione delle notizie, però, sarebbe rimasta in mano ai pochi scienziati e geologi inglesi, se non si fosse sviluppato un immenso circolo di informazioni dovuto allo svillupparsi della società di massa.

Nella società di massa la maggioranza dei cittadini viveva in grandi agglomerati urbani, gli uomini erano sempre più in contatto fra di loro, anche se i rapporti si facevano sempre più impersonali e anonimi. Il mercato si allargò e le industrie, produttrici di beni di consumo, poterono allargare il numero dei clienti. Ruolo di fondamentale importanza in questo periodo lo ebbe la scuola. Ovunque si cercò di rendere l'istruzione, almeno quella primaria, un diritto universale. La scuola divenne obbligatoria e gratuita, processo che diminuì l'analfabetismo e favorì il nazionalismo delle masse, ma contemporaneamente impensierì gli ambienti più conservatori e socialmente elevati, che vedevano nell'istruzione un'arma pericolosa in mano alle classi subalterne.

Proprio a causa della migliore istruzione e dell'estensione del diritto di voto si affermò per la prima volta un nuovo modello di partito: quello proposto dai socialisti, basato sull'inquadramento di una larga fetta della popolazione e articolata in organizzazioni locali.

Il primo e più importante di questi partiti fu indubbiamente quello socialdemocratico tedesco, nato nel 1875, che diventò sotto la guida efficiente di Auguste Bebel esempio per altri partiti nazionali. In Francia un primo partito di ispirazione marxista si formò nel 1882, per mano di Jules Guesde, ma si scisse in diversi tronconi fino alla riunificazione nella Sfio (Sezione francese dell'Internazionale operaia) avvenuta nel 1905 per opera di Jean Jaurès. In Gran Bretagna, i gruppi socialisti non riuscirono a influenzare i lavoratori, come nelle altre nazioni europee, poiché erano già presenti le Trade Unions, ma furono gli stessi dirigenti a prendere l'iniziativa di creare un partito politico espressione del movimento operaio, nacque così, nel 1906 il partito laburista (Labour party), privo di un'ideologia definita ma ricco di adesioni da parte delle organizzazioni sindacali.

Al di là delle diversità organizzative e ideologiche vi era una base comune tra i vari partiti operai: il superamento del sistema capitalistico, la gestione sociale dell'economia, gli ideali pacifisti ed internazionalisti, la partecipazione attiva alla vita politica. Tutti questi principi furono accordati nel 1889, anno di nascita della Internazionale socialista, o Seconda Internazionale, quando a Parigi, si riunirono importanti esponenti di gruppi marxisti che approvarono alcune deliberazioni (giornata lavorativa ridotta a 8 ore e una giornata annua di sciopero generale) e sottolinearono l'importanza di un'organizzazione di coordinamento. Tale importanza fu poi ribadita nel congresso di Bruxelles del 1891.

Grazie alla crescita dell'urbanizzazione, allo sviluppo dell'istruzione e ai movimenti politici di massa crebbe la stampa di quotidiani e periodici. Il numero delle testate raddoppiò tra il 1880 e il 1900 e, cosa più importante, aumentò il numero dei lettori. In Francia la tiratura totale dei quotidiani passò da 200.000 copie a 8-9 milioni alla vigilia della guerra. In Europa e negli Stati Uniti nacquero i quotidiani popolari ad altissima tiratura come il "Daily Mail" e i periodici dei vari movimenti artistici e politici che sarebbero diventati, nel XX secolo, il nervo delle avanguardie.

Diventava così più facile, per un numero crescente di cittadini, accedere alle informazioni di interesse generale e farsi una propria opinioni sulle questioni più importanti.

La curiosità dell'eruzione del Krakatoa e dei suoi fenomeni artistici, propagatasi per 10 anni nel cielo, venne subito appagata con l'ampia diffusione di notizie a riguardo, inizialmente da parte di Olanda e Inghilterra, successivamente da tutte le maggiori testate nazionali.


ANAK KRAKATOA: IL FIGLIO



Nel 1883 il Krakatoa esplose lanciando 25.000 metri cubi di roccia in aria e spazzando completamente ciò che rimaneva dell'isola. È quindi completamente terminata l'attività del vulcano?

Certamente no.








Nel 1930, dal luogo in 50 anni prima si trovava Danan, spuntò un primo abbozzo di terra che nei successivi mesi, tramite furiose eruzioni, crebbe fino ad un'altezza di 30 metri, vincendo così la forza erosiva dell'acqua. Nei successivi anni, il vulcano è cresciuto costantemente con l'accumulo di rocce portate dalle incandescenti colate piroclastiche. Al giorno d'oggi la sua altezza è di 267 sul livello del mare e continua a crescere con l'incredibile velocità di 13 cm a settimana. Tuttavia è difficile che si ripeta in questo momento ciò che era avvenuto quel fatidico 28 agosto. Il riflusso di lava in questo momento è regolare e le eruzioni si susseguono a intervalli di 2-3 mesi.

Non c'è da temere, nel presente, per le popolazioni che vivono sulla costa. Quando il vulcano tornerà ad essere silenzioso e apparentemente quieto, comincerà l'accumulo di lava ricca di gas che porterà, in un lontano futuro, alla replica del 1883, o come dicono gli scienziati, dopo aver notato la forte acidità del magma ricco di gas e vapore, ad un evento ancora peggiore, tale da poter oscurare la terra intera per un lungo periodo.



Titolo: "Krakatoa: la furia della terra."


Materie:

Scienze della terra (Krakatoa, vulcani, tettonica a placche)

Storia (fine '800: sviluppo tecnologico e società di massa)

Storia dell'arte (Munch , "L'urlo", e i tramonti di William Ashcroft)


Bibliografia:

GDE UTET (2005), La Scienza: la terra, 1a edizione, Torino.

Nicosia Fiorella (2003) Munch, Giunti, Firenze.

Winchester Simon (2003), Krakatoa, Longanesi & C., Milano.


Sitografia:


www.geology.sdsu.edu/how_volcanoes_work/Krakatau.html

www.freewebs.com/krakatoa3000/comic.htm

https://www.earlham.edu/~bubbmi/krakatoa.htm

https://www.damninteresting.com/?p=578

www.volcanodiscovery.com

www.volcanolive.com


Filmografia:


Le Scienze, I vulcani

National Geographic, Vulcani, la furia della natura.

Ulisse, Krakatoa, la furia dei vulcani.


Scarica gratis Krakatoa - la furia della terra
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