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La "crisi dei fondamenti" della matematica




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La "crisi dei fondamenti" della matematica


1. Che cos'è la crisi dei fondamenti della matematica

Con crisi dei fondamenti della matematica si vuole indicare l'ampio dibattito che ha coinvolto l'intera comunità dei matematici, e dei filosofi, nel primo trentennio del XX secolo, incentrato sulla natura della matematica, cioè su quali siano, se ci sono, gli enti primitivi indimostrabili che costituiscono il punto di partenza di questa disciplina.

Come già accennato, le posizioni filosofiche più innovatrici diedero vita a vere e proprie scuole matematiche: l'Intuizionismo, il Formalismo e il Logicismo. Dalle nuove impostazioni epistemologiche derivò addirittura la nascita di nuove discipline, come la formalista 'teoria della dimostrazione' o 'metamatematica', ed il consolidamento di quelle emergenti, come la logica matematica (discipline alle quali abbiamo già fatto in parte riferimento nella sezione precedente, relativamente ai sistemi formali). 

Nel prossimo paragrafo cercheremo di fare un sintetico e il più possibile chiaro resoconto della crisi, analizzandone le cause principali.


2. Le cause della crisi dei fondamenti della matematica

Le cause ultime della crisi dei fondamenti della matematica vanno senza dubbio ricercate nelle radicali trasformazioni che il corpo delle conoscenze matematiche ha subito nel corso del XIX secolo.

Queste profonde trasformazioni sono principalmente costituite dalla nascita delle geometrie non-euclidee, dalla formalizzazione della geometria, dalla nascita dell'analisi moderna, dall'aritmetizzazione dell'analisi, dalla nascita della teoria degli insiemi, dalla nascita della logica matematica, e infine dalla logicizzazione dell'aritmetica. Vediamo di descriverle in maniera abbastanza schematica.

a) La nascita delle geometrie non-euclidee

Le geometrie non-euclidee propongono, attraverso i loro più importanti ideatori János Bólyai (1802-1860), Nicolaj Ivanovič Lobacevskij (1793-1856) e Georg Friedrich Bernhard Riemann (1826-1866), una visione del tutto nuova della geometria, la quale, fino all'Ottocento, era tradizionalmente identificata con il celeberrimo sistema assiomatico non formale degli Elementi dell'alessandrino Euclide (dominante da quasi due millenni, e la cui autorità e solidità logico-intuitiva erano così grandi, da fungere da fondamento di tutto il corpus matematico, e tali che non pareva immaginabile costruire geometrie diverse e altrettanto coerenti). Gli Elementi partono dalla definizione di alcuni enti primitivi (punto, retta, piano) derivanti dall'intuizione; il sistema è poi sviluppato assiomaticamente sulla base di cinque postulati, di cui il quinto in particolare, noto come postulato delle parallele, recita: "Dati, in un piano, una retta e un punto esterno ad essa, esiste una e una sola retta, in quel piano, parallela a quella retta e passante per quel punto". Secondo questo postulato, e conformemente alla definizione euclidea di retta parallela ad un'altra, l'unica retta parallela ad una retta r e passante per un punto P esterno ad r forma quattro angoli retti con la perpendicolare ad r passante per P.  

È questo un postulato molto importante, in quanto è proprio dalla sua abolizione e sostituzione con postulati differenti, che prendono forma le costruzioni assiomatiche non-euclidee.

In particolare, la geometria iperbolica (ideata, indipendentemente l'uno dall'altro, da János Bólyai e da Nicolaj Ivanovič Lobacevskij) stabilisce che dati, in un piano, una retta e un punto esterno ad essa, esiste più di una retta, in quello stesso piano, parallela a quella retta e passante per quel punto. Secondo questo tipo di geometria, infatti, viene postulato che due rette s e s' passanti per un punto P esterno ad una retta r cessino di intersecare r quando gli angoli minori di un angolo retto a e a' (formati rispettivamente dalla perpendicolare a r passante per P e dalle due rette s e s') raggiungono un valore comune a0, che è detto angolo di parallelismo (sempre minore di un angolo retto). In questo modo, tra le infinite rette passanti per P e che non incontrano r, s ed s' vengono definite parallele ad r, mentre tutte le rette comprese tra s e s' (che formano con la stessa perpendicolare sopra considerata angoli maggiori di a0) vengono chiamate iperparallele. Infine, le rette che formano con la suddetta perpendicolare angoli minori di a0 intersecano la retta r e sono le secanti di r. Questo tipo di interpretazione del parallelismo deriva dall'aver considerato la retta r come un segmento privato dei suoi estremi: in tal modo sono secanti le rette che intersecano r nei punti interni al segmento, parallele quelle che incidono r agli estremi del segmento senza quindi intersecarla, e iperparallele le rette che non intersecano r, incontrando punti esterni al segmento.

La geometria sferica, ideata da Georg Friedrich Bernhard Riemann, reinterpreta la geometria del piano euclidea introducendo uno spazio di tipo curvo. Secondo questo modello di geometria, infatti, viene considerata una superficie S di una sfera di raggio r e centro O. Il punto euclideo è ora interpretato come punto della superficie S, mentre per retta s'intende una qualsiasi delle circonferenze massime di S (formate dall'intersezione tra S e un piano qualunque passante per O). L'angolo tra due rette è l'angolo formato dai due piani che tagliano la superficie sferica S secondo le due rette. Si può verificare che anche in questo modello il V postulato di Euclide non viene mantenuto; infatti non esistono rette parallele ad una retta data passanti per un punto P esterno ad essa: ovvero, tutte le rette sono tra loro incidenti.

In ogni caso, al di là delle peculiari caratteristiche di tutti i modelli geometrici elaborati in alternativa a quello euclideo (che in questa sede abbiamo solo accennato), ciò che è importante da tenere in considerazione, in riferimento alla nascita delle geometrie non-euclidee, è che esse sono portatrici di un relativismo mai presente prima di allora in matematica.

Si è sempre pensato che la matematica, e in particolare la geometria, nel loro partire da enti primitivi e assiomi immediatamente giustificati dall'evidenza intuitiva, potessero da questi coerentemente derivarne modelli unici nella loro solidità logica, e pertanto unici anche nella loro veridicità; come abbiamo visto infatti gli Elementi di Euclide costituivano l'unico e vero modello attraverso il quale poter descrivere lo spazio fisico. Filosoficamente, questo processo di assolutizzazione e dogmatizzazione della geometria  euclidea è culminato con l'opera del filosofo tedesco Immanuel Kant (1724-1804) Critica della ragion pura, nella quale viene addirittura affermato che la realtà fisica fenomenica possiede una struttura geometrica di tipo euclideo, proprio perché la mente umana la percepisce e la ordina attraverso la forma immutabile a priori di spazio, che appunto è unicamente di tipo euclideo. È quindi come se la mente umana, proprio a causa delle forme a priori di cui è corredata, riuscisse a percepire come unico, vero e sensato solamente lo spazio euclideo.

Alla luce di tutto ciò, è quindi evidente la portata gnoseologicamente eversiva di questo nuovo tipo di geometrie, che paradossalmente, nonostante l'introduzione di postulati a prima vista contrari al senso comune, dimostrano di possedere una coerenza formale pari a quella euclidea (la loro coerenza è infatti implicata dalla coerenza della geometria euclidea). Appare pertanto l'ovvio interrogativo su quale sia la vera geometria dello spazio fisico, interrogativo al quale il fisico Albert Einstein, nel secondo decennio del XX secolo, darà una risposta di tipo euclideo-riemanniano con la sua teoria della gravitazione - inclusa nella teoria della relatività generale - , confermando, anche da un punto di vista fisico, la non superiorità del modello euclideo nei confronti delle nuove geometrie.

b) La formalizzazione della geometria da parte di David Hilbert

Lo sviluppo delle geometrie non-euclidee aveva messo in luce l'inaffidabilità del ricorso quasi dogmatico alle verità intuitivamente evidenti del sistema assiomatico non formale della geometria euclidea. Pertanto, si rende necessaria una rifondazione della teoria euclidea in chiave formale, che la depuri da qualunque riferimento all'intuizione. Questo programma è attuato dal matematico David Hilbert.

L'intenzione di Hilbert è quella di dare una presentazione della geometria euclidea tale che le proprietà degli enti primitivi indefiniti, che si chiamano 'punto', 'linea', 'piano' (ma in realtà non corrispondono a niente in senso ontologico) appaiano vere solo perché dedotte meccanicamente dagli assiomi. In tal modo, il fatto che la geometria analizzata da Hilbert sia euclidea appare dunque come una scelta (derivante dalla scelta degli assiomi) del matematico che crea, e non come una constatazione di qualcosa creato da altri o esistente di per sé. Infatti, contrariamente alla gnoseologia a-priori di Kant, Hilbert non partiva da intuizioni ma da scelte arbitrarie e la sua geometria non parlava di oggetti chiaramente intuiti, ma di qualsiasi cosa soddisfacesse gli assiomi scelti.

Si può già notare la presenza, nel pensiero hilbertiano, di quella mentalità formalista che avrà un importante ruolo nel dibattito filosofico connesso alla crisi dei fondamenti.

c) La nascita dell'analisi moderna

L'analisi infinitesimale, nata grazie alle geniali idee dei matematici Isaac Newton e Gottfried Wilhelm Leibniz tra il XVII e il XVIII secolo, nonostante costituisse un ambito in crescita sia dal punto di vista teorico sia da quello applicativo, verso la fine del XVIII secolo non appariva ancora una costruzione organica, coerente e con sicure fondamenta. Era quindi necessario procedere ad una fondazione rigorosa degli importantissimi quanto ancora oscuri concetti di infinito, infinitesimo, limite, derivata, integrale ecc.; questa fondazione venne poi completata nel corso dell'Ottocento, ad opera di matematici come (per citarne solo alcuni) Lagrange, Cauchy, Weierstrass e molti altri, segnando così la nascita dell'analisi moderna, cioè dell'analisi così come è oggi studiata.   


d) L'aritmetizzazione dell'analisi

Con aritmetizzazione dell'analisi s'intende il tentativo di ridurre e ricondurre i principi dell'analisi all'aritmetica dei numeri naturali. Il programma riduzionistico aritmetizzante (un programma cioè che cerca nell'aritmetica il fondamento ultimo di tutta la matematica) prende vita, nella seconda metà dell'Ottocento, dalla rivoluzione delle geometrie non-euclidee, che avevano decretato la fine della supremazia euclidea, e, implicitamente, anche l'impossibilità di fondare la matematica su basi geometriche.

Il programma riduzionistico è già predisposto per quanto concerne i numeri relativi e razionali, introdotti come estensione dei numeri naturali al fine di rendere possibili le operazioni di sottrazione e di divisione, e anche per quanto riguarda la geometria, algebrizzata da Descartes e Fermat (primi ideatori di quella che viene comunemente chiamata geometria analitica o cartesiana). L'ostacolo più grande al processo di aritmetizzazione è invece rappresentato proprio dall'analisi, e dal suo fondamentale concetto di continuità: si affaccia, dunque, il problema della fondazione del continuo numerico; problema che implica appunto la definizione della continuità dell'analisi attraverso la discontinuità propria dell'aritmetica, e dunque la definizione dei numeri reali (in particolare, dei numeri irrazionali) a partire da quelli razionali.           

La fondazione aritmetica del continuo viene affrontata, in special modo, tra il 1870 e il 1880, attraverso l'opera di due matematici in particolare: Richard Julius Dedekind (1831-1916) e Georg Cantor (1845-1918).

Nella fattispecie Dedekind risolve dal canto suo il problema intendendo i numeri irrazionali come le "lacune" lasciate dai soli numeri razionali sulla retta dei numeri reali, in corrispondenza delle quali possono essere operati altrettanti "tagli" che la dividano ciascuno in due sottoinsiemi (detti classi) di numeri razionali; di questi due sottoinsiemi, quello posto a sinistra della lacuna contiene elementi razionali tutti minori (indefinitamente) del numero irrazionale definito dalla lacuna, mentre quello a destra contiene elementi razionali tutti maggiori dello stesso numero irrazionale. Il concetto di numero irrazionale viene dunque definito da Dedekind con procedimenti insiemistici.

Cantor, invece, definisce i numeri irrazionali come limiti di successioni e di serie convergenti, formate da determinate classi di numeri razionali, e che non convergono ad alcun numero razionale.

e) La nascita della teoria degli insiemi

A Georg Cantor si deve, oltre al suo tentativo di aritmetizzare l'analisi, anche la nascita della teoria degli insiemi. Questa teoria rivoluzionaria costruisce un nuovo concetto di numero attraverso la cardinalità e la potenza di un insieme, concetti tra loro affini e riferiti rispettivamente a insiemi contenenti un numero finito o infinito di elementi. La cardinalità e la potenza di un insieme finito o infinito consentono di valutarne la quantità di elementi, associando ad esso un numero cardinale; nel caso della potenza di un insieme infinito il numero cardinale corrispondente viene denominato numero transfinito.

Secondo Cantor, due insiemi sono equipotenti o equinumerosi (cioè hanno lo stesso numero di elementi) quando esiste una legge con la quale è possibile porre ogni elemento di un insieme in corrispondenza biunivoca con ciascun elemento dell'altro insieme. Sulla base di questi concetti, dunque, Cantor mette in relazione, confrontandole, le potenze dell'insieme dei numeri naturali N, dell'insieme dei razionali Q, e dell'insieme dei numeri reali R, mostrando in tal modo che Q è paradossalmente equipotente a N, mentre R ha una potenza maggiore di N a causa della presenza dei numeri irrazionali (i quali, da soli, risultano più numerosi di tutto N).

Lo sviluppo cantoriano di una aritmetica dell'infinito, con tutti i suoi paradossi, e soprattutto la fondazione logico-insiemistica del concetto di numero saranno poi ampiamente discusse nel dibattito fondazionale: in particolare, la teoria degli insiemi sarà la base della fondazione logicista della matematica.

f) La nascita della logica matematica

Con logica matematica o logica formale (di cui ci siamo in parte già occupati nella sezione precedente, riguardante i sistemi formali) si indica quella parte della logica che concepisce le espressioni del pensiero attraverso combinazioni di stringhe di segni e, spogliate queste di ogni significato, riconduce lo studio del pensiero allo studio di tali stringhe e alle leggi che ne regolano le trasformazioni.

Il precursore della logica matematica fu il già citato Leibniz, il quale per primo espresse, senza attuarla concretamente, l'idea di creare un alfabeto universale di segni tale che tutti i possibili pensieri potessero essere espressi tramite stringhe di tali segni. Tuttavia, colui che è considerato il padre della logica formale è George Boole (1815-1864). Con idee del tutto innovative, Boole afferma che la logica è strettamente connessa alla matematica, che essa si occupa dello studio della "forma" dei ragionamenti e non del loro "contenuto" (di qui l'aggettivo formale), e che la vera essenza della matematica risiede unicamente nella logica (e non nei classici oggetti aritmetici e geometrici da essa studiati).

Le rivoluzionarie tesi booleane, con la conseguente nascita della moderna logica formale, daranno l'avvio ad un iniziale programma di logicizzazione dell'aritmetica, programma che verrà in seguito ulteriormente esteso a tutta la matematica con la filosofia logicista.

g) La logicizzazione dell'aritmetica

Con logicizzazione dell'aritmetica intendiamo la riformulazione assiomatico-formale del sistema dell'aritmetica classica, avente come oggetto di studio i numeri naturali. Questa riformulazione costituisce, in campo aritmetico, l'analogo di quella formalizzazione hilbertiana della geometria euclidea vista sopra; di conseguenza, anch'essa si scaglia contro Kant e contro il suo porre l'intuizione sensibile spazio-temporale a fondamento delle scienze matematiche. Essa, quindi, rivoluziona la maniera tradizionale di concepire il numero come entità primitiva, meramente intuita e indefinibile.

Il matematico italiano Giuseppe Peano (1858-1932) è il primo a dare all'aritmetica una veste assiomatica formale abbastanza rigorosa. Egli, nonostante ricorra ancora all'uso di concetti primitivi indefiniti - come numero naturale, zero (0) e successivo di un numero naturale - tuttavia è innovatore nello scegliere cinque assiomi dai quali derivare tutto il sistema formale dell'aritmetica, che vengono chiamati in suo onore assiomi di Peano, e che sono:

0 è un numero naturale;

Se x è un numero naturale, allora esiste un altro numero naturale denotato da x' (chiamato successivo di x);

Non esiste alcun numero naturale x tale che x' = 0;

Se è  x' = y', allora sussiste la relazione x = y;

Se Q è una proprietà che può valere oppure può non valere per tutti i numeri naturali, e se sono soddisfatte le seguenti due condizioni:

a) 0 ha la proprietà Q;

b)     se un qualsiasi numero naturale x ha la proprietà Q, allora ce l'ha anche il successivo x';

allora tutti i numeri naturali hanno la proprietà Q (principio di induzione).

La logicizzazione dell'aritmetica può a ragione essere considerata un evento ancor più rivoluzionario della formalizzazione della geometria euclidea attuata da Hilbert; infatti, mentre quest'ultimo dà alla geometria già assiomatizzata da Euclide una maggiore sistematizzazione formale, tale da eliminare ogni residuo di intuizione, l'opera di formalizzazione dell'aritmetica porta invece, per la prima volta, ad una sua assiomatizzazione. Assiomatizzazione che comporta un notevole sforzo, da parte dei matematici, consistente nell'indagare le proprietà dei numeri per estrapolare un numero finito di esse, da porre a fondamento dell'intera teoria. 

La logicizzazione dell'aritmetica porta a notevoli progressi per quanto concerne il grado di astrazione delle definizioni di numero, anche grazie all'importante contributo del logico e matematico tedesco Friedrich Ludwig Gottlob Frege (1848-1925). I risultati ottenuti da Frege sono inquadrabili nel già più volte citato programma logicista di fondazione della matematica, del quale può essere non a torto considerato, insieme a Bertrand Russell (1872-1970), il massimo esponente.


Il logicismo di Frege costituisce la prima delle tre risposte filosofiche alla crisi dei fondamenti della matematica, che è stata qui descritta nelle sue linee essenziali e senza pretese di esaustività, ma unicamente con l'intento di delineare il contesto storico-culturale con il quale queste stesse filosofie si confrontano criticamente, allo scopo di dare un'unica base certa e sicura al sempre più espanso e multiforme universo matematico. Il logicismo di Frege verrà trattato nel prossimo paragrafo.  


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