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I nuovi schiavi- la merce umana nell'economia globale




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I nuovi schiavi- la merce umana nell'economia globale


I NUOVI SCHIAVI LA MERCE UMANA NELL'ECONOMIA GLOBALE Kevin Bales, militante
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I NUOVI SCHIAVI

LA MERCE UMANA NELL'ECONOMIA GLOBALE


Kevin Bales, militante di Anti-Slavery International e ricercatore sulle nuove forme di schiavitù, lavora presso il Roehampton Institute dell'Università del Surrey, in Gran Bretagna ed è tra i massimi esperti mondiali della schiavitù contemporanea.

Nell'effettuare questa ricerca Bales si fonda sui classici modelli dell'indagine sociologica.

L'autore a seguito delle sue ricerche, ha potuto testimoniare che la schiavitù nel mondo non è affatto scomparsa, si stimano circa ventisette milioni di schiavi, una cifra mai raggiunta in passato che può essere contestata data la difficoltà ad elaborare le statistiche; questa difficoltà è sorta  perche la schiavitù risulta un'impresa illegale e piena di ombre.

Oggi la schiavitù è illegale ovunque e non esiste più alcuna forma legale di proprietà di un essere umano. Oggi coloro che comprano degli schiavi non chiedono una ricevuta o un certificato di proprietà, eppure ne ottengono il controllo.

I detentori di schiavi non avendo la proprietà legale possono esercitare sugli schiavi il loro controllo totale senza avere alcuna responsabilità per ciò che possiedono.

La schiavitù tende a concentrarsi in India, Pakistan, Nepal, Sudest asiatico, Africa settentrionale e occidentale, America latina.

In questi luoghi gli schiavi tendono a essere usati per lavori semplici, non tecnologici, tradizionali; la maggior parte è impiegata nell'agricoltura.

Se una volta la schiavitù si serviva delle differenze etniche e razziali per spiegare e giustificare lo schiavismo, oggi i  criteri per rendere schiavo un altro essere umano sono la precarietà, la debolezza e lo stato di bisogno.

I fattori determinanti nel passaggio dalla schiavitù di tipo tradizionale all'esplosivo diffondersi della nuova sono due:

il drammatico aumento della popolazione mondiale dopo la Seconda guerra;

i paesi in cui si diffuse l'aumento della popolazione subirono anche un rapido mutamento sociale ed economico. In molti paesi in via di sviluppo la modernizzazione ha portato un immenso benessere alle èlite e ha continuato o aggravato il processo di impoverimento della maggioranza dei poveri.

Per comprendere meglio la vecchia schiavitù e la nuova è opportuno vedere quali differenze le caratterizzano:

Vecchia schiavitù

Nuova schiavitù

Proprietà legale accertata.

Proprietà legale evitata.

Alto costo d'acquisto.

Bassissimo costo d'acquisto.

Bassi profitti.

Elevatissimi profitti.

Scarsità di potenziali schiavi.

Surplus di potenziali schiavi.

Rapporto di lungo periodo.

Rapporto di breve periodo.

Schiavi mantenuti a vita.

Schiavi usa e getta

Importanza delle differenze etniche.

Irrilevanza delle differenze etniche.

La nuova schiavitù può apparire un fenomeno chiaro e definito; al contrario è caotica, dinamica, mutevole. I caratteri generali però sono: la violenza, strumento mediante il quale si ottiene l'obbedienza; la durata, tipica quella di breve periodo dove breve può voler dire dieci settimane come dieci anni; la perdita di controllo sulla propria vita da parte dello schiavo e l'inesauribilità del suo "debito" nei confronti del padrone.

Vi sono tre forme fondamentali di schiavitù:

1. La schiavitù che si basa sul possesso. È la forma più vicina alla schiavitù di tipo tradizionale. In questo caso un individuo diventa schiavo a vita perché viene catturato, nasce in cattività o viene venduto, e spesso la proprietà è accertata.

2. La servitù da debito. È la forma di schiavitù più comune del mondo. Un individuo impegna se stesso in cambio di un prestito in denaro, ma la durata e la natura del servizio non sono definite e la prestazione lavorativa non va a ridurre il debito originale, anzi può passare da una generazione all'altra.

3. La schiavitù contrattualizzata. Vengono offerti contratti che garantiscono l'occupazione, ma una volta condotti al posto di lavoro  i lavoratori scoprono di essere schiavi. Il contratto viene usato come esca per attirare e ridurre in schiavitù, e allo stesso tempo per dare una parvenza di legittimità alla schiavitù.

L'autore ha deciso di analizzare nello specifico alcune situazioni:


         Thailandia. La schiavitù presente in questo paese rientra nella categoria della schiavitù da debito. In genere sono i genitori, soprattutto nella parte settentrionale del paese, a vendere le figlie ai bordelli delle città (spesso con finti contratti di impieghi più dignitosi), ricavando una somma per loro considerevole, che può permettere l'acquisto di apparecchiature HiFi o la tranquillità di un anno di viveri. A questo punto le ragazze vendute - in genere minorenni - sono vincolate ai loro proprietari, con il perverso meccanismo della remissione dei debiti ad alto tasso d'interesse, sino a che per vari motivi (spesso la contrazione dell'HIV) questi non decidano di rispedirle a casa. Violentate e percosse - e costrette al loro impegno anche dal favoreggiamento di un corpo di polizia corrotto -, per tutto questo tempo sono costrette, praticamente senza compenso, a compiacere a decine di clienti per giorno. Tutta la cultura thai è complice a tale situazione: tanto la religione buddista, per cui la donna è essere inferiore, quanto la cultura 'laica', profondamente maschilista, non trovano nulla da criticare su queste abitudini. Sia l'economia nazionale, che da questo commercio trae grandissimi profitti, sia il governo, che preme l'acceleratore sul turismo sessuale come fonte di guadagni, incoraggiano la pratica della schiavitù sessuale. Addirittura l'industria internazionale del turismo sessuale favorisce queste pratiche pubblicizzando le possibilità di acquisto di giovani schiave (da importare eventualmente nei paesi occidentali) per cifre improponibili.

Il boom economico degli anni '80 ha portato a simili commerci un'espansione enorme in Thailandia. La somma che Bales stima per il volume di affari 'sessuali' (tra i quali quelli derivati dalla schiavitù costituiscono una base non indifferente) 'supera di tredici volte il totale che la Thailandia ricava dalla fabbricazione ed esportazione di computer, una delle sue industrie più sviluppate, ed è denaro che si riversa sul paese senza alcun bisogno aggiuntivo di costruire fabbriche o potenziare infrastrutture' .


         Il caso dell'India, per molti aspetti diverso,  lascia invece intravedere alcune possibilità di uscita. Nel paese la schiavitù è presente in forma massiccia, e anche in questo caso diffusissima è la schiavitù di minori, o meglio di bambini: le fabbriche di fuochi d'artificio e di tappeti, ad esempio, si basano su questo tipo di manodopera. Ma anche l'attività agricola si fonda su questo modello, seguendo le linee della schiavitù da debito. Bales descrive la vita e il mondo di alcuni schiavi agricoli: come Baldev, contadino-schiavo nell'Uttar Pradesh, vincolato ad un debito che al momento della conversazione con l'autore ammontava a 25 dollari.  Ma qualche cosa pare stia cambiando. Il governo indiano negli ultimi due decenni ha infatti avviato un piano di riabilitazione degli schiavi da debito che, nonostante rallentamenti e corruzioni, sta cominciando ad ottenere alcuni risultati. "Quando gli impiegati del governo o dell'assistenza pubblica identificano dei casi di servitù da debito, esiste una procedura standard per passare alla loro registrazione. Una volta registrati, i debiti di questi lavoratori vengono immediatamente cancellati ed essi sono liberi di lasciare i loro padroni. Per metterli in grado di sottrarsi al rapporto di servitù, a ogni famiglia viene dato un finanziamento di 6250 rupie, spesso in terra o bestiame" .

Esistono poi organizzazioni governative preposte all'individuazione dei casi e all'assistenza, spesso affiancate da iniziative analoghe su iniziativa dei singoli stati. La situazione descritta da Bales a proposito dell'India lascia quindi trasparire qualche spiraglio di speranza. Quello che si sta creando - seppur con i fortissimi limiti dovuti all'analfabetismo, alla tradizione e alla corruzione -, più che un meccanismo giuridico, è quello di una formazione alla libertà che passa dall'alfabetismo e dalla scolarizzazione sino all'acquisizione della consapevolezza dei propri diritti. Molti aspetti del piano non hanno funzionato, ma questo "continua ad essere l'unico piano al mondo in grado di liberare dalla schiavitù da debito" . Quando si riusciranno ad eliminare le sacche di corruzione e lo stato indiano riuscirà ad applicare massicciamente il "piano", forse la schiavitù da debito declinerà con maggiore rapidità.

Mauritania. È il paese del mondo con il più alto numero di schiavi sulla popolazione totale, eppure non sa neppure che cosa sia la schiavitù. Qui vige un tipo di schiavitù che non richiede in particolar modo l'uso della violenza; essa riconosce al corpo e alla vita degli schiavi un valore superiore a quello che viene attribuito loro da altre forme di schiavitù. "È a tal punto radicata sia nella testa debello schiavo sia in quella del padrone che non c'è quasi bisogno di ricorrere alla violenza per mantenerla in vigore.".

In questo paese ogni singolo schiavo appartiene a uno specifico membro di sesso maschile della famiglia; in quanto beni di proprietà gli schiavi vengono ereditati, e in rari casi venduti. Alcuni padroni sono gentili e trattano gli schiavi quasi come figli, altri sono brutali. Gli schiavi non vengono pagati per il loro lavoro e paradossalmente il fatto che i genitori, i nonni e i bisnonni dello schiavo abbiano lavorato e vissuto nella stessa casa della stessa famiglia spesso da vita a un profondo legame affettivo tra padrone e schiavo.

Brasile. Nel 1854 vennero abolite l'importazione e la tratta internazionale di schiavi, ma non la schiavitù che si praticava nel paese. La piena emancipazione arrivò nel maggio 1888, quando il Brasile fu l'ultimo paese delle Americhe ad abolire la schiavitù legale. Oggi il Brasile soffre delle più grandi disparità economiche della terra.

In Brasile la schiavitù si può definire da debito. I gatos percorrono le varie città promettendo cibo, alloggio e lavoro agli aspiranti lavoratori che in disgrazia e povertà vengono attirati dai soldi e trasportati in camion, dove gli verranno ritirati la carta d'identità e il libretto del lavoro, indispensabili per vivere nel paese. Senza carta d'identità gli schiavi possono essere arrestati dalla polizia per vagabondaggio o come sospetti criminali.

Sono poche le persone che una volta diventati schiavi riescono a scappare, e quei pochi che ci riescono vengono inseguiti dalla polizia, mandata dal padrone, e costretti con la violenza a tornare a servire il padrone perché non è stato ancora estinto il debito (che nel frattempo sarà sicuramente aumentato).

La maggior parte dei lavoratori però vuole restare a lavorare dai gatos perché sentono con forza che i debiti vanno pagati e che chi non paga  i propri debiti è il più miserabile dei miserabili. La disonestà dei gatos si nutre dunque dell'onestà di questi schiavi e quindi non è indispensabile l'uso della violenza.

Cosa si può fare per fermare la schiavitù?

Per il consumatore è ad esempio molto difficile, quasi impossibile, sapere se il prodotto che compera nel supermercato italiano è in realtà prodotto da manodopera schiava, tanto più se commercializzato da una multinazionale. Come è altrettanto difficile sapere se i propri fondi di investimento traggono profitto da imprese che possiedono aziende che subappaltano lavoro schiavo. I passaggi, i trasferimenti e le dislocazioni sono tante che non si riesce a risalire sino all'origine. Eppure, agire sui profitti è la strategia chiave per porre fine alla schiavitù.
         Un esempio molto valido del potere che il consumatore può far valere è quello della Rugmark Campaign per combattere la schiavitù dei bambini indiani nelle manifatture di tappeti. La campagna, avviata da alcuni attivisti e destinata ai consumatori, prevede che i tappeti delle aziende che non sfruttino i bambini (e che versino un 1% dei loro profitti per un piano di scolarizzazione nella regione) abbiano un marchio, il Rugmark, che ne certifichi la produzione con manodopera non schiava. Molti rivenditori negli Stati Uniti, Olanda e Germania importano solo tappeti con questo marchio e quindi slave-free.; alcuni rivenditori inglesi, invece, come Liberty e Selfridges, hanno rifiutato di rifornirsi di tappeti Rugmark (che naturalmente costano un po' di più e garantiscono profitti minori). Ecco, il consumatore può in questo esercitare il proprio potere di scelta.
         Ma spesso i prodotti del lavoro schiavo raggiungono le nostre case in maniera più subdola, trattandosi di materie prime e non di manufatti. Il carbone prodotto dagli schiavi brasiliani può servire ad alimentare la produzione di acciaio che poi viene utilizzato per la fabbricazione di pezzi di automobile esportati in seguito in varie nazioni: E' evidente come sia complesso e quasi impossibile per un acquirente di un veicolo valutare se in tutta la catena produttiva si sia fatto uso di forza lavoro schiava. Occorre però sviluppare degli organismi che - al pari di quelli già operanti in campo ambientale - investighino su questi processi e ne diano informazione ai cittadini. L'azione dell'ONU in questo campo è troppo limitata dalle sovranità nazionali e dagli interessi dei singoli stati. Possono di più le organizzazioni non governative che hanno la finalità di tutelare i diritti umani, quali Anti-Slavery International, Amnesty International e Human Rights Watch, che agiscono più liberamente nell'istruire le indagini e nel diffonderne i risultati. Appoggiare tali organizzazioni è un modo concreto per combattere la schiavitù.

        Per concludere, i consigli di Bales per contribuire nella vita quotidiana alla lotta contro la schiavitù si riassumono principalmente in 5 punti.
            - 1. Appoggiare le organizzazioni antischiaviste (vedi elenco sotto).

            - 2. Informare e sensibilizzare sul problema. Anche se il mondo fa finta che la schiavitù sia un problema del passato occorre parlarne, diffondere i libri che ne parlano e far conoscere le organizzazioni che la combattono.
            - 3. Porre domande ferme e precise agli istituti di beneficenza, privilegiando le organizzazioni e le iniziative rivolte al terzo mondo (adozioni a distanza, lavoro missionario, assistenza medica, ecc.), che si impegnino nella lotta contro la schiavitù.
            - 4. Porre domande ferme e precise ai politici. Le sanzioni economiche sono l'arma migliore per sconfiggere la schiavitù. Quando i politici chiedono il vostro voto, chiedete cosa fanno o s'impegnano a fare in questa direzione.
            - 5. Porre domande ferme e precise al vostro ente pensionistico e ai vostri fondi comuni d'investimento. Se non ricevete risposte documentate che escludano che il vostro denaro venga investito in imprese che traggono profitti dalla schiavitù, portate altrove i vostri risparmi.

        Principali associazioni non governative che lottano nel mondo contro la schiavitù (oltre, naturalmente, a quelle già citate):

- Global Alliance against Traffic in Women, Center for the Protection of Children's Rights e Task Force to End Child Sexploitation : concentrano l'azione soprattutto sulla prostituzione in Thailandia ed in particolare su quella dei bambini

- Sos Slaves e El Hol - organizzazioni per la liberazione degli schiavi in Mauritania (non ho trovato, comprensibilmente, home pages di tali associazioni)

- ECPAT italia: lotta contro lo sfruttamento dei minori quale nuova forma di schiavitù

- >Global Survival Network: lotta contro la tratta di donne slave in tutto il mondo

- South Asian Coalition on Child Servitude : coordina alcune centinaia di organizzazioni, soprattutto indiane, contro il lavoro minorile schiavo. Ha promosso programmi di riabilitazione per gli schiavi indiani.
 

Concludendo non si può che ricordareche:

"La  schiavitù non consiste soltanto nel rubare il lavoro altrui, è il furto della vita stessa."

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