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Testimonianze




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TESTIMONIANZE

Vi sono innumerevoli e indiscutibili testimonianze della coltura della vite nell'antichità in Verona e della rinomanza dei suoi prodotti.[41]

Si hanno prove della coltivazione dell'uva risalenti al periodo delle palafitte, proprio nella zone del Lago di Garda, precisamente a Pacengo.

I reperti archeologici provano inoltre che le popolazioni pre-romane conoscevano la vite e ne sfruttavano il prodotto trasformandolo in vino.

Ovunque sono state rinvenute moltissime testimonianze enoiche databili con l'età romana, come innumerevoli sono le pagine di letteratura dedicate al vino nel corso dei tempi; inoltre sotto il selciato di Verona si continuano ancora oggi a trovare 'cauponae' e 'tabernae', le antiche osterie romane.[42]

Vi sono anche testimonianze di viticoltura nella zona risalenti al dominio etrusco (7° - 5° secolo a. C.) quando certamente vi era produzione vinicola : l'odierno 'Valpolicella' viene identificato con il vino 'Retico', esaltato dagli scrittori latini e tanto apprezzato sulle mense imperiali.[43]

Nella decadenza generale che seguì lo sfacelo delle istituzioni imperiali, la disastrosa situazione agricola ebbe tragiche ripercussioni sulla coltura della vite, la cui coltivazione venne completamente abbandonata.

Solo lo sviluppo del Cristianesimo salvò dalla completa decadenza la vitivinicoltura, anche se ne limitò la produzione allo stretto necessario.[44]

La vite rientrò poi di prepotenza nella storia come fondamentale strumento di ripopolamento delle campagne di tutta Europa durante il Medioevo, e progressivamente venne trasformata da coltura di prestigio in impresa economica commerciale, mirante ad un sempre maggior profitto.

La presenza del vigneto divenne sempre più rilevante, finchè, a metà dell'Ottocento rappresentava il vero punto di forza dell'agricoltura veronese, tanto che tutto il territorio era coperto dai vigneti, poichè con essi il contadino oltre ad assicurarsi una bevanda per consumo personale, rispondeva facilmente alle richieste del padrone e aveva inoltre a disposizione una merce agevolmente negoziabile.

Spesso però era merce dequalificata, a causa dei luoghi inadatti in cui spesso era coltivata la vite e delle tecniche di coltivazione che privilegiavano la quantità sulla qualità.[45]

Per ovviare a questi problemi, nacquero varie società ed accademie allo scopo di divulgare notizie e tecniche per cercare di migliorare la produzione vitivinicola.

Ad esempio nel 1872 nacque a Verona la 'Società enologica', che aveva lo scopo di produrre vini pregiati e farli apprezzare sul mercato, mentre l''Accademia di Verona' organizzò cicli di conferenze e dimostrazioni pratiche contro la peronospora e l'oidio [46], che apparve nella zona del lago di Garda verso il 1851, ma nonostante le precise indicazioni sull'uso dello zolfo per combattere la 'crittogramma della vite', i viticoltori tardarono molto ad usarlo.

Nel 1857 la produzione era sensibilmente calata e si dovette ricorrere all'importazione dei vini per i bisogni locali e si pensò di 'comporre bevande alcoliche le quali potessero per qualche guisa tener luogo al vino mancante'.[47]

Si dovette arrivare al 1860 perchè lo zolfo venisse largamente utilizzato per combattere questo grave malanno.

Nacque in quegli anni anche la 'Società veronese', che creò le prime piccole cantine sociali e nel 1875 fece partecipare alla Fiera Enologica di Torino alcuni vini veronesi, che ebbero l'opportunità di aprirsi nuovi sbocchi per l'esportazione.[48]

Grazie a tutte queste iniziative, che fecero acquisire notevoli conoscenze agli agricoltori, fra la fine dell'800 e l'inizio del '900, la produzione viticola conobbe un notevole miglioramento.

Nel 1880 fece la sua prima apparizione nei vigneti di Villafranca la peronospora, ma solo nel 1887 furono effettuate con successo le prime applicazioni di lotta con il solfato di rame unito alla calce.

Nel 1894 si ebbero i primi allarmi in provincia di Verona dell'invasione della fillossera, originaria dell'America del Nord, un vero flagello distruttore per la vite europea, che era già stata precedentemente segnalata in altre zone viticole italiane, mentre nella zona del lago si manifestò palesemente verso il 1910.[49]

Solamente come conseguenza alla diffusione delle terribili malattie crittogrammiche, cominciò a cambiare il modo di produrre ed investire.

Iniziarono ad essere utilizzati i trattamenti chimici di difesa e l'uso generalizzato dell'innesto con la vite americana, immune alla filossera, con cui si riuscì a mantenere pressochè inalterata la qualità del vino.

Si fecero inoltre più consistenti gli investimenti di capitale nella produzione e nell'immagazzinamento del vino, mentre diminuirono gli investimenti a vite in pianura e si intensificarono le colture nelle zone collinari, con enorme vantaggio per la qualità dei vini.

Per comprendere quale grande importanza rivestisse il vino nell'economia veronese, basti pensare che nel 1903 funzionava a Verona una Borsa vinicola, che aveva lo scopo di facilitare il commercio dei vini.[50]

Nonostante l'avvento delle due guerre mondiali abbia frenato la produzione vitivinicola, essa comunque ha sempre mantenuto un posto importante nell'economia della zona.

La produzione vitivinicola non ha subito grandi innovazioni dal punto di vista tecnico-produttivo fino al 1960, quando si è affermata una serie di modifiche tecnologiche, sia per quanto riguarda le coltivazioni che la produzione, che hanno avuto il merito di abbassare i costi di produzione e livellare la qualità dei vini per riuscire a conquistare il mercato di massa.

Il miglioramento della vite è sempre stato concentrato sull'ottenimento di particolari innesti o sulla soluzione di problemi di resistenza ai parassiti e a particolari tipi di terreno, ma i risultati sono sempre stati limitati dai lunghi tempi necessari per ottenerli.

Negli ultimi anni, grazie all'uso delle biotecnologie, prima fra tutte la coltura in vitro, sono stati fatti passi da gigante in questo campo.[51]

indice

I CONSORZI DI TUTELA

Dopo la ricostruzione fillosserica, la produzione  viticola specializzata subì un vistoso incremento.

Di  pari passo il commercio del prodotto  confezionato  e venduto in damigiane registrò un sensibile incremento.

Per soddisfare la crescente domanda, i commercianti veronesi introdussero  imponenti quantitativi di vini  di  altre regioni italiane, a prezzi ben più convenienti, per  trasformarli  e rivenderli poi con il nome di  'Bardolino', 'Valpolicella', 'Soave', ecc.

Sotto la spinta di questa evidente inflazione riguardante la denominazione d'origine, la tutela della  produzione, problema sempre fortemente sentito dai produttori locali, si rendeva assolutamente necessaria.[52]

I Consorzi volontari tra produttori sono organismi di autodifesa della produzione enologica.

Rappresentano la volontà di tutti gli operatori che vi aderiscono, di imporsi una autodisciplina tesa a conseguire miglioramenti qualitativi del vino oggetto della difesa consortile, promuovendone l'espansione commerciale e tutelandone il nome contro un uso indebito e nocivo.[53]

Questi organismi esistevano in Italia già prima della legge 930/63, in cui si legge che 'il Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste può affidare al Consorzio volontario per la tutela di un vino a denominazione di origine controllata o controllata e garantita, l'incarico di vigilare sull'osservanza delle disposizioni di cui alla legge medesima e ai disciplinari di produzione, con facoltà di costituirsi parte civile nei relativi procedimenti penali'.[54]

Nella provincia di Verona, nonostante esistano una decina di vini a denominazione controllata, 'Lugana', ' Valdadige Bianco', 'Valdadige Rosso', 'Valdadige Pinot Grigio', 'Valdadige Schiava', 'Lessini-Durello', 'Bardolino', 'Soave', 'Valpolicella' e 'Bianco di Custoza', solo per questi ultimi quattro sono stati creati i Consorzi.

Ad esempio, prendiamo in considerazione il Consorzio di Tutela del Vino Bardolino.


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