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La comunicazione in carcere




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LA COMUNICAZIONE IN CARCERE


1.Il ruolo della comunicazione


La comunicazione è uno degli elementi fondamentali che contraddistinguono la vita umana e l'ordinamento sociale. Goffman, a questo proposito, ci insegna l'importanza di questo mezzo in un'interazione sociale: esso prevede un notevole scambio di informazioni e di significati.

Tuttavia, non bisogna dimenticare che quando si parla di comunicazione non si devono intendere solo le "parole" o le "frasi", ma ci si riferisce anche alla cosiddetta «comunicazione non verbale», ovvero a quelle interazioni costituite da gesti e movimenti corporei.

Quest'ultima, all'interno del carcere, riveste una grande importanza: essa filtra attraverso le crepe dei muri, e si può "ascoltare" dalle voci soffocate dei detenuti costretti al silenzio, il primo nemico delle persone recluse.

Anche il direttore di San Vittore, nella prefazione del Rapporto degli ispettori europei sullo stato delle carceri in Italia (CPT 1995), ha espresso la propria opinione sull'argomento: "La condizione quotidiana che i detenuti sono costretti a vivere è equiparabile a una tortura. In realtà, la mia preoccupazione è piuttosto il silenzio. Non succede nulla nelle carceri e quindi la società non si preoccupa. Nel centro del carcere, nella rotonda dove convergono i raggi, io posso sostare per mezz'ora la sera quando i detenuti sono in cella e non sento rumori umani. Sento solo i piccoli rumori di stoviglie od oggetti spostati. Non sento voci: questo dovrebbe spaventare chiunque".

La detenzione è lo strumento usato per punire i criminali e i malviventi, ma all'interno degli istituti il soggetto, oltre ad essere privato della propria libertà, viene svuotato dell'identità personale (difficile da ricostruire, in seguito, in un contesto sociale pieno di pregiudizi).

Le modalità di comunicazione carceraria riflettono il clima della struttura penitenziaria: è quest'ultima che influenza sia il comportamento che la personalità dei detenuti.

L'atteggiamento del recluso subisce una trasformazione in seguito al periodo che trascorre all'interno del carcere. Il motivo di tale mutamento si deve ricercare nell'influenza che l'istituto penitenziario ha sul detenuto stesso, e sulla comunicazione linguistica.

A tal proposito, il sociologo Clemmer sostiene che la comunicazione non verbale dopo un anno di detenzione è maggiore rispetto a quella che si incontra dopo tre anni. Il motivo di questa affermazione è riconducibile a tre cause: innanzitutto, l'internamento porta il soggetto a reprimere la propria individualità e aggressività, producendo in questo modo un comportamento definibile "standard"; in secondo luogo, un deficit psicomotorio provoca un mutamento nella postura, nella mimica e nella prossemica; infine, all'interno del carcere si assiste ad una diminuzione della frequenza degli atti comunicativi (verbali e non) dovuti ai processi di depersonalizzazione e destrutturazione dell'io.

Il carcere, di fatto, porta l'individuo a non considerarsi più come persona, ma solo come un rifiuto della società.

Per questo motivo la comunicazione all'interno dell'istituzione penitenziaria può essere definita unidirezionale: essa entra in carcere attraverso vari canali, ma con molta fatica (e, fino a poco tempo fa, raramente) riesce ad uscire nuovamente.

Il soggetto, privato di qualsiasi mezzo fisico e psicologico, ha un solo modo per rimanere in contatto con il mondo esterno, e con tutte le novità che lo popolano: guardare la televisione.

Purtroppo, la maggior parte dell'opinione pubblica crede ancora che il possesso di una televisione all'interno della cella sia un segno di benessere, o di agio: ancora oggi, dopo molto tempo, si conferisce, simbolicamente, alla televisione un'etichetta che definisce uno status sociale.

Questo luogo comune ci conduce ad una riflessione: questa idea ci permette di capire come l'immaginario collettivo sia ancora legato ad un'antica forma di carcere, basato solo sulla sofferenza e sulla segregazione cellulare. 

E' bene sapere che il consumo televisivo non riduce l'afflizione del soggetto: in realtà, non fa che aumentare il grado di sofferenza del soggetto  a causa della mancanza di libertà personale.

La fruizione passiva sottolinea l'impossibilità del detenuto di essere "normale", in quanto gli è preclusa la possibilità di avere un dialogo e di scambiare le proprie opinioni con la società esterna. Molti detenuti vedono la televisione come un modo di passare il tempo e di ridurre la propria pena.

Grazie allo sviluppo delle tecnologie e delle fonti informative, però, la comunicazione ha visto mutare il proprio utilizzo. In questi scenari, negli ultimi tempi, Internet ha costituito una grande opportunità di comunicazione per i detenuti.


1.1. Il tempo in carcere


Il tempo che viene sottratto al detenuto in carcere viene considerato come una grandezza oggettiva uguale per tutti, e come una scala di misura proporzionale: tutti i reati, e i crimini commessi, vengono valutati in forma di "tempo da trascorrere" in isolamento dalla società.

Il soggetto che si trova recluso in questi istituti identifica il suo tempo come un periodo vissuto nell'impotenza: tutto ciò che sperimenta, diventa per lui degradante ed umiliante.

Inoltre, l'arco temporale trascorso in isolamento porta il detenuto ad un alto grado di insicurezza. Nonostante il soggetto sia riuscito a sfuggire alle paure che la società esterna gli provocava, la detenzione viene vissuta come un ambiente da cui è impossibile percepire minacce. Tuttavia, al tempo stesso, questo luogo forza il suo sentimento di sicurezza, lo invita a ricercare nuovi modelli e valori di vita.


1.2. Dal carcere alla società: la comunicazione dei detenuti


Grazie allo sviluppo delle tecnologie e delle fonti informative, la comunicazione ha visto mutare il proprio utilizzo. In questi scenari, negli ultimi tempi, Internet ha costituito una grande opportunità di comunicazione per i detenuti: "Sicuramente è stato allargato il numero delle persone che si sono interessate, e si interessano, al carcere- ha spiegato al Dott.ssa Patruno-. Io spero di aver fatto vedere e immaginare cos'è internet: ci sono persone che solo quando sono entrate in carcere hanno visto un computer.

E se questa grande potenzialità venisse utilizzata in senso positivo per fare un percorso formativo, sarebbe una cosa molto importante, ed utile.

Poi ritengo che nel momento in cui c'è trasparenza sull'istituzione, il carcere diventa "meno carcere", soprattutto quando si smascherano certe ipocrisie"[1].

Tutto è iniziato alla fine degli anni '80, quando Nicolò Amato (allora direttore generale degli istituti penitenziari) rese possibile l'istituzione di "Sale Stampa" all'interno di alcune carceri. L'idea di base era quella di rendere evidente le condizioni carcerarie e i relativi problemi, al fine di instaurare un legame tra la società esterna e i detenuti.

La prima di queste strutture venne aperta, ed inaugurata,  a San Vittore il 12 luglio 1989, seguita a ruota libera da Torino, e da altre città.

Purtroppo le difficoltà burocratiche non mancarono: il riserbo e la segretezza che da sempre aveva contraddistinto gli istituti penitenziari non facilitarono la situazione. L'informazione dentro, e sul, carcere rimaneva esercizio della buona volontà dei singoli giornalisti, dei direttori, magistrati e operatori penitenziari. 

Molti giornali nacquero come "bollettini" interni; solo grazie all'aiuto di volontari, e cittadini esterni, i detenuti riuscirono a portare la loro voce al di fuori del muro di silenzio che da sempre li aveva contraddistinti.

Un esempio pratico è il caso di "Magazine 2", un periodico nato nel 1995 e diventato l'emblema della comunicazione moderna all'interno del carcere (di questo caso se ne parlerà in dettaglio più avanti).




Traccia dell'intervista filmata. Vedere "allegati"

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